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Autore: Vanilla Planifolia    11/11/2011    3 recensioni
"Il nostro rapporto si era trasformato in un carillon senza musica, dove noi eravamo ballerini che, in mancanza della base melodica, non sapevamo orientarci all'interno del mondo che ci aveva risucchiati.[...]
Coltivavamo una relazione nascosta, clandestina.
Fingevamo di odiarci.
Senza renderci conto che stavamo iniziando ad odiarci davvero."
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Reputazione

La campanella suonò all'improvviso e risvegliò entrambi nello stesso momento. Abbassò lo sguardo sulla sua cartella e si voltò verso di me; con la coda dell'occhio aveva visto che la stavo fissando, alzò il viso nella mia direzione ed io feci appena in tempo a voltarmi verso Jane mostrando un grande e gioioso sorriso prima di essere costretto ad incontrare il suo sguardo.
La mia vicina di banco tirò fuori la lingua e ruotò gli occhi, facendo una boccaccia alquanto buffa.
Risi.
E lentamente notai che sul volto della bella Marianne non vi era più quella dolce vaghezza e stanchezza che vi aleggiava prima, ora c'era solamente tristezza, l'armonia era stata distrutta da una causa che ero impossibilitato a conoscere. Distrutta da me, forse.
In parte godevo nel vedere la sua disperazione.
Odiavo la sua faccia tanto quanto odiavo il suo maledetto corpo ed il suo irritante modo di fare.
Detestavo ogni più piccola parte di lei.
Eppure non potevo fare a meno di parlarle.
Sentii la sua sedia che si spostava, afferrò con rabbia lo zaino pieno di libri – sotto lo sguardo scioccato della sua compagna Liz – e si diresse velocemente verso la porta dell'aula. Nel momento stesso in cui mi passava davanti ebbi la strana voglia di rivolgerle la parola. La fissai, sperai che lei mi guardasse, ma non lo fece. Non mi guardava mai.
Se ne andò.
Verso la pausa pranzo.
L'avrei rivista solo dopo una lunga ora in mensa.
«Liam, che cosa c'è? Sembri arrabbiato», Sarah attirò la mia attenzione con una delle sue solite domande inutili.
«Niente».
«Ne sei certo?», osservai la sua faccia paffuta, i suoi occhioni azzurri che si specchiavano nei miei.
Sbuffai: «Si, più che certo!». Perché tutti amavano pormi domande personali?
Decisi che era il momento adatto per fumare una lucky.
Nel cortile un mucchietto non ben definito di esseri umani esalava nello stesso momento una quantità incredibile di fumo e risate post-lezioni. Mi avvicinai sorridente al mio gruppo di amici e lanciai uno dei miei soliti saluti stupidi, «Hola maschioni!».
Risero.
«Ciao fesso!», esclamò Albert con un sorriso, «Come stai?».
«In bilico tra bene e male, come al solito».
«Wow! Oggi siamo in vena di filosofare. Cerca di non strafare, se ti fai vedere troppo intelligente le donne ti si attaccheranno come delle cozze e tu perderai la tua fama di uomo da una-settimana-e-mezza». Fulminai con lo sguardo Kile e ghignai sarcastico alla sua battuta così poco ricca di spirito.
«Tranquillo, la mia fama non batterà mai la tua!».
Bloccò la sigaretta tra le labbra violacee a causa del freddo e mostrò il dito medio in tutto il suo splendore.
«Oh, Kile, come sei romantico! Non temere, ti amo anche io!».
Accesi la sigaretta ed aspirai a pieni polmoni la prima, dolce boccata di fumo. Poi udii la sua voce. Era dolce, squillante, così bella da stregarti ogni volta che apriva la bocca.
Stava ridendo in mezzo ad un gruppo composto da una serie di ragazzi che conoscevo di vista, solo perché le stavano sempre appiccicati. Tra loro c'era anche Alexander. Quel maledetto. Uno dei miei più cari amici; eravamo compagni nella squadra scolastica di rugby e non sopportavo come la guardava. Come se Marianne fosse la cosa più bella che avesse mai visto.
Tutti la guardavano in quel modo.
Sembrava che volessero mangiarsela.
Schifosi cazzoni.
«Ehi», Kile richiamò la mia attenzione, «Non sembri molto felice. C'è qualcosa che non va, o sbaglio?».
Repressi una smorfia di disgusto, come diavolo aveva fatto a notarlo?
«Non c'è niente che non va'», dissi senza preoccuparmi di essere convincente.
Albert mi diede una forte pacca sulla spalla: «Dai, piccolo Liam! Dicci che cosa ti turba!».
Scostai il suo braccio che si era posizionato indebitamente attorno alla mie spalle e sbuffai, cercando di nascondere un certo grado d'irritazione. Non sopportavo quando qualcuno si faceva gli affari miei. Odiavo la mancanza di tatto della maggior parte degli esseri umani presenti su questa stupida Terra.
«Lasciate stare».
Bisogna ammettere che, nonostante i loro toni volgari e le loro facce da schiaffi, avevano almeno il buon gusto di non pressare troppo su di me e sui miei segreti.
Qualcuno mi prese alle spalle.
La sigaretta – fumata solamente a metà – cadde sulla ghiaia e si spense non appena il mio piede ci finì sopra nel disperato tentativo di mantenere l'equilibrio. Il vocione di Bart rimbombò nelle mie povere orecchie: «Bu-ongiorno Liam! Come stai? Passato bene il week-end?». Maledetto lunedì mattina. Dannato Bart.
«Vaffanculo Bart! Levati!», urlai disperato, «Pesi più della madre di Albert!».
«Che cazzo c'entra mia madre?».
Kile scoppiò a ridere e toccò delicatamente il braccio del suo gemello che stringeva il mio povero collo: «Dai Bart, lascialo in pace. Oggi ha la luna storta».
Il ragazzo mi lasciò andare, «Siamo scesi dal letto con il piede sbagliato, eh?», scoppiando a ridere.
Faticosamente ripresi a respirare normalmente, «Fottiti, razza d'imbecille...».
«Wow, il tuo vocabolario diventa ogni giorno più ricco di meravigliose parole nuove! Sono stupito!».
«Cretino», disse suo fratello colpendolo giocosamente sulla spalla.
Sorrisi, guardai verso l'alto e ringraziai di non essere solo mai, nemmeno nei momenti che mi avrebbero trasportato nella più orrida depressione.
M'incantai ad osservare il cielo.
Infine, mi voltai ed il suo viso era a pochi centimetri dal mio. Stava spegnendo la sigaretta nel portacenere vicino alla porta d'ingresso posta sul retro della scuola e rideva, con accanto un grosso e grasso ragazzone dai lunghi riccioli neri. Marianne sorrideva.
Sorrideva ad un altro uomo.
No.
Quell'immagine non era reale.
Thomas – il grassone – mi lanciò un'occhiata piuttosto eloquente, infastidito dal fatto che li stessi fissando con uno sguardo particolarmente ossessivo. Lei seguì la direzione del suo sguardo ed incrociò i suoi meravigliosi occhi verdi con i miei.
Il mio cuore perse un battito.
Sorrise dolcemente e mi salutò ondeggiando lentamente la mano destra. Ero sul punto di saltare, saltare fino al cielo per toccare il paradiso, quando mi resi conto che non si stava rivolgendo a me; Bart si fece avanti e le baciò la fronte: «Ciao mamma, come stai?».
La ragazza scoppiò a ridere e gli fece una carezza, scompigliandogli i lunghi capelli disordinati. «Potrebbe andare meglio, tu?».
«Ho visto la mia adorata mammina, perciò adesso sto meglio!».
Dannato leccaculo.
«E tuo fratello dov'è?», chiese lei sporgendosi per vedere Kile.
Bart scoppiò a ridere, «E' attaccato alle labbra della sua bella!».
Marianne sorrise ed annuì convinta: «Ovviamente. Non potrebbe essere diversamente!».
Si voltò, affermando che andava a riempire il suo piccolo stomaco con qualcosa di solido, e scappò dentro l'edificio scolastico. Lasciandomi nuovamente solo. Senza di lei.
Sospirai affranto e lasciai che l'aria fredda di Novembre mi trascinasse in un sogno diverso da quell'incubo.
Un sogno che iniziava due anni prima.
Riportando nella mia mente l'immagine del suo viso, la prima volta che ci eravamo incontrati.
Avevo pensato che fosse una stupida.
Una di quelle ragazze che il cervello lo hanno comprato scontato su e-bay.
Invece, mi ero sbagliato. Avevo fatto l'errore più grande della mia vita e l'avevo sottovalutata; liberamente convinto della sua inferiorità rispetto alle cento altre ragazze di questo mondo l'avevo ferita e lei mi aveva odiato. Dal più profondo del suo animo.
Eppure mi aveva perdonato.
Nonostante quello che le avevo fatto e la delusione che le avevo provocato, lei mi aveva perdonato. Avevamo ricominciato a parlarci come se i suoi sentimenti per me non fossero stati altro che una semplice illusione.
I suoi sorrisi, che mi facevano compagnia ogni giorno mentre tornavamo a casa, erano il momento più luminoso della giornata. Parlavamo di tutto e di niente.
Ci dicevamo alcuni segreti.
Alcune confessioni.
Parlavamo delle persone che ci interessavano e facevamo commenti senza paura che l'altro si offendesse. Ci capivamo con un solo, semplice sguardo. Non avevamo bisogno di altro, se non di noi stessi; i pomeriggi passati insieme a studiare, i giorni a ridere, a bere cioccolate calde, a fumare al parco coricati sull'erba. Momenti perfetti che non sarebbero mai tornati indietro, ma che avevo sperato durassero in eterno.
Poi qualcosa si era inevitabilmente rotto.
Il nostro rapporto si era trasformato in un carillon senza musica, dove noi eravamo ballerini e, in mancanza della base melodica, non sapevamo orientarci all'interno del mondo che ci aveva risucchiati.
Ed avevamo smesso di considerarci.
Vivevamo ignorandoci, immaginando che l'altro non esistesse fino a dopo la scuola quando, le altre persone, i nostri compagni, i nostri amici, non potevano vederci. Coltivavamo una relazione nascosta, clandestina.
Fingevamo di odiarci.
Senza renderci conto che stavamo iniziando ad odiarci davvero.
L'altro non era niente se non un essere umano presente in un'aula con altri venti esseri umani privi di attrattiva. E così era per entrambi.
Nessun cambiamento di prospettiva per il nostro futuro.
Com'era accaduto?
Spesso immaginavo di parlarle, di starle accanto. Supponevo di sedermi vicino a lei come un tempo per discutere di qualsiasi cosa ci venisse in mente. Poi cambiavo idea.
Tutto solo perché possedevo una maledettissima reputazione che avevo il dovere – o forse più il volere – di difendere. Una reputazione più importante di qualsiasi altra cosa.
La mia reputazione di cui lei non poteva fare parte.




Le parole dell'autrice.

Buonasera miei cari lettori (supponendo che vi sia qualche maschio tra voi, nonostante io ne dubiti),
spero che la vostra settimana sia stata gratificante - la mia è stata un vero inferno. Sto vivendo nell'ardente speranza che questo capitolo vi piaccia; devo ammettere che questa parte iniziale del racconto non consiste in una vera e propria svolta. In realtà la situazione non è cambiata affatto tra i due protagonisti, ma reputavo necessario descrivervi il loro comportamento ed i pensieri del nostro caro amico Liam.
Sopratutto perché in queste relazioni "scolastiche" sono le piccole cose a fare la differenza. Gli sguardi veloci, i contatti improvvisi, le parole scambiate per sbaglio, e così via...
Ora, l'immagine di Marianne che descrivo in questo capitolo è contraddittoria, lo so bene. Però, ricordatevi, che stiamo conoscendo la ragazza, per ora, solo dalle parole del protagonista e la vediamo come lui la vede.

Alcuni, per messaggio privato, mi hanno chiesto se è vero che la storia è ispirata a fatti realmente accaduti. Bene rispondo a tutti voi affermando che , la frase all'inizio del prologo non è decorativa. E' reale.
Per questo motivo vi informo che tutti i dialoghi che si terranno da questo capitolo in avanti (a parte alcuni che sono necessari allo sviluppo del racconto) sono realmente accaduti ai due protagonisti, perché, ovviamente, anche quest'ultimi esistono nella realtà.

Inoltre, siccome la storia che vi racconto è in pieno svolgimento affermo di non sapere ancora come andrà a finire.
Lo scopriremo insieme. Tutto ciò non è assurdo oltre che emozionante?

Un bacio miei cari, aspetto i vostri commenti.
Vostra, Vaniglia
  
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