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Autore: Shanimalrules    12/11/2011    2 recensioni
Se davvero lui poteva darmi la felicità che io avevo cercato tutti questi anni? Soprattutto però la decisione spettava a me. Io tenevo così tanto a Bill da chiedergli di passare il resto della sua vita con me? Volevo davvero andare a dormire e svegliarmi con lui? Volevo che lui mi sposasse e desse dei gigli? Volevo passare la vecchiaia con lui, magari seduti in veranda e circondati da nipotini?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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20.
 

 
L’aereo atterrò puntuale a Monaco.
 
“Ma sei sicura di sapere come arrivarci?” Mi domandò Bill.
 
“E’ la mia città. Ho passato 19 anni della mia vita qui a Monaco, certo che so come arrivarci. In ogni caso, prenderemo un taxi.”
 
Arrivammo alla clinica in mezz’ora più o meno, a causa del traffico.
 
“Scusi la cardiologia?” Domandai all’infermiera all’entrata della clinica.
 
“Primo piano.”
 
Bill mi teneva la mano, mentre eravamo nell’ascensore. “Tranquilla, andrà tutto bene.”
 
Annuii sperando che avesse ragione.
 
“Può dirmi la stanza di Christopher Becker per favore?” Domandai alla capo-infermiera del reparto.
 
“Lei chi è?” Mi scrutò.
 
“Sono la figlia.” Dare quella risposta mi sembra molto strano, non sapevo se potevo ancora considerarmi la figlia del grande imprenditore Christopher Becker.
Di quella famiglia, ormai, mi apparteneva solo il cognome.
 
“Mi dispiace, ma questo non è orario di visita.” Pronunciò disinteressata continuando a guardare la cartella clinica di non so chi.
 
Respirai profondamente e contai fino a tre prima di parlare. “Senta. Io sono venuta fin qui da Amburgo e non m’importa niente se questo non è orario di visita. Io devo vedere mio padre quindi mi dica il numero della stanza per favore. E adesso glielo sto chiedendo in maniera cortese.” Non era una minaccia...era una promessa.
 
Sentii Bill che mi stringeva la mano per calmarmi e io gli rivolsi un’occhiata rassicurante. Era tutto ok. Se l’infermiera mi avesse risposto nel giro di tre secondi.
 
La donna mi guardò incerta, poi parlò. “126.”
 
“Grazie.”
 
Partii a grandi passi verso il corridoio e in lontananza vidi mia madre seduta sulla panca fuori dalla stanza. Aveva la testa fra le mani e mi sembrava sul punto di piangere.
Mi bloccai e aspettai che Bill mi raggiungesse.
 
“Eccola.” Mormorai, guardandolo.
 
Lui si avvicinò a me. “Vuoi che ti aspetti qui?”
 
“No. Se non ti accetta sono problemi suoi, non sarà lei a decidere se io posso stare con te o meno.” Lo baciai, lo presi per mano e avanzammo.
 
“Mamma...” chiamai piano.
 
Lei si girò e balzò in piedi.
 
“Christine sei proprio tu?” Chiese incredula.
 
“Sono proprio io.”
 
Quasi corse da me e mi abbracciò, piangendo. Io non sapevo che fare; era la prima volta che mi abbracciava, che mi dava affetto. Che si comportava da normale mamma e non da dittatrice.
 
“Come stai?” Mi chiese accarezzandomi una guancia.
 
“Bene. Tu?” Sussurrai, chiedendomi se quella fosse la stessa madre che non mi aveva mai guardato in faccia per 19 anni.
 
Si ricompose e si asciugò le lacrime. Inclinò la testa da un lato. “ Potrebbe andare meglio.” Poi si accorse della presenza di Bill.
 
“Salve sono Bill!” pronunciò porgendole la mano.
 
“Ciao...-quasi gli sorrise- sei amico di Christine?”
 
“Stiamo insieme.” Intervenni io.
 
“Oh...bene!” Fu...entusiasta?
“Immagino che Chistine ti abbia raccontato che io e suo padre non siamo stati esattamente...”
 
“Mamma.” La interruppi. “Ne parliamo dopo ok? Sono venuta qui per papà. Cos’ha?”
 
“Ha avuto un infarto ed è in coma...Per ora le sue condizioni sono stabili, ma i medici dicono che non è ancora fuori pericolo.” Sentii il terreno sbriciolarmi sotto i piedi e Bill mi abbracciò.
 
“Si riprenderà?” Chiesi con voce rotta.
 
“I medici ancora non lo sanno.”
 
“Posso entrare?”
 
“Certo.”
 
“Vuoi che venga con te?” Mi sussurrò Bill all’orecchio.
 
“No.” Scossi la testa. “Rrimani fuori, io ce la faccio.”
 
Entrai.
 
Era lì, steso sul letto. Immobile. Flebo al braccio. Innumerevoli macchine lo circondavano. Si poteva udire solo il bip del monitor che cointrollava la regolarità del battito cardiaco.
 
Mi avvicinai a lui e gli presi la mano e potei giurare che lui me l’avesse stretta.
 
Mi scese una lacrima sul viso. Vedere così mio padre era una cosa straziante.
Aveva ragione Bill: si erano sempre comportati male con me, non li avevo mai senti spendere una parola positiva su di me o per me, o fare qualcosa per rendermi felici, gli era solo importata l’apparenza e nient’altro.
Ma era mio padre. E un padre resta per sempre.
 
“Devi svegliarti ok? Devi svegliarti perchè dobbiamo parlare, dobbiamo chiarire. Devi svegliarti perchè mamma è distrutta. Devi svegliarti perchè devo farti conoscere la persona più importante della mia vita.
Mi sono innamorata sai? L’avresti mai detto? Io no. Ma è successo. E adesso non potrei più fare a meno di lui nella mia vita.
Devi svegliarti papà, per favore.” Detto questo gli lasciai la mano e mi precipitai fuori dalla stanza piangendo a dirotto.
 
 

******

 
Accompagnai Bill a casa mia e tornai in ospedale per fare la notte con mamma. Dividemmo il letto vuoto che c’era nella stanza di papà, ma ovviamente nessuna delle due riuscì a chiudere occhio.
 
“Sei sveglia?” Mi chiese.
 
“Certo.”
 
“Possiamo parlare?”
 
“Di cosa?”
 
“Di tutto.”
 
“Parla.” Acconsentii.
 
Stette un minuto buono in silenzio, poi cominciò. “Sembra un bravo ragazzo...”
 
Oh tocchiamo il tasto ‘amore’; allora ci si è messa proprio d’impegno nel rimediare.
 
“Chi Bill? Lo è.” Confermai.
 
“Sei innamorata?”
 
“Sì.”
 
“E lui lo è di te?”
 
“Sì.” Risposte secche, efficaci e sintetiche.
 
“Come vi siete conosciuti?”
 
“In trasmissione.” E nel frattempo riaffiorarono in me i vecchi ricordi.
 
“Christine sto cercando di instaurare una conversazione, ma se tu mi rispondi a monosillabi non ci riuscirò mai!”
 
“E perchè vuoi instaurare un dialogo proprio adesso eh? Mi hai avuta a casa per ben 19 anni e non ci hai mai lontanamente provato!” mi sedetti sul letto.
 
“Lo sto facendo proprio perchè mi manchi, perchè non lo capisci? Non sono stata una buona madre, lo so. Ma adesso vorrei cercare di riparare. Me la dai questa possibilità?”
 
Abbassai lo sguardo.
 
“Lo amo sì, lo amo perchè mi sa sopportare, lo amo perchè mi ha reso una persona migliore, lo amo perchè con lui e solo con lui sono felice, lo amo perchè mi ama.” Uscì come un fiume di parole.  Era quella la verità, solo quella.
 
“Mi basta sapere questo. Che tu sia felice.”
 
“Gr-grazie.” Balbettai.
 
“Non ringraziarmi. È questo che ogni madre dovrebbe sperare per la propria figlia.”
 
La conversazione si chiuse lì. Ero felice anche in quel momento. Era cambiata davvero.
 
 

*****



Papà si risvegliò due giorni dopo. I medici gli avevano detto che doveva stare a riposo e non doveva affaticarsi, ma era fuori pericolo.
Chiarii anche con lui, li perdonai entrambi. Non era mai tardi per avere dei genitori.
 
Tuttavia la conoscenza con Bill fu un pochino strana...
 
“Salve signor Becker, sono Bill.” Si presentò.
 
“Lo sai bene che se farai soffrire mia figlia la tua carriera artistica è finita, vero?” Gli rispose serio.
 
Già, metteva sempre in mezzo le minacce, anzi, mi meravigliai che non avesse esordito con tipiche frasi che avevo sentito infinite volte durante quei 19 anni ‘lo sai che sono una figura importante qui e ho molte conoscenze...” e bla bla bla.
 
“Io non...” iniziò Bill.
 
“Papà perchè devi sempre...” continuai io.
 
“Per il resto, sei il benvenuto in famiglia!” Gli fece un grande sorriso e si strinsero la mano amichevolmente.
 
Per tutta la settimana io e Bill rimanemmo a casa mia, volevo aiutare la mamma a tenere a bada papà che voleva già strafare.
 
“E’ stato un piacere conoscerti Bill, torna a trovarci quando vuoi!” Lo salutò calorosamente mamma con un abbraccio.
 
“Trattamela bene eh!” Si raccomandò papà.
 
“Stia tranquillo è in ottime mani!” mi sorrise.
 
Poi fu il turno mio. Li abbracciai forte, mi sarebbero mancati, sì.
 
“Fatti sentire eh e torna a trovarci presto!” mi raccomandò mamma.
 
“Certo. Anche voi!”
 
Finalmente avevo tutto quello che volevo: una famiglia e una persona da amare e che mi amasse.
 
Ci dirigemmo in aeroporto.
 
“Il gate è il numero 34.”
 
“Ti sbagli, noi andremo al numero 20.”
 
“No Bill, guarda qui c’è scritto 34.”
 
“E’ qui, il numero 20.” Mi mise il biglietto davanti agli occhi e lessi la destinazione.
 
“Oddio Bill dove stiamo andando?” Domandai, non potendo credere a ciò che i miei occhi vedevano.
 
“Ma come, non leggi? A Roma! Te l’avevo promesso che in Italia ci saremmo andati insieme.”  Mi abbracciò dalla vita.
 
“Tu...tu sei pazzo. Cioè grazie, io non so cosa dire.” Lo baciai.
 
“Non devi dire niente. Ti amo, lo sai.”
 
“E ti rendi conto che io ricambio?” gli accarezzai una guancia.
 
“Ed è una cosa così brutta?”
 
“Niente affatto, tutto il contrario. Ti amo Kaulitz, ti amo per davvero e non c’è niente di più bello al mondo.”




...The End...



Beh siamo arrivati proprio alla fine adesso. Volevo ringraziare tutti quanti: chi mi ha seguito, chi ha recensito, chi mia ha messo tra i preferiti. Mi piacerebbe avere un giudizio complessivo sulla storia, anche da chi non ha mai lasciato una sua impronta per quanto riguarda il giudizio.
Questa è stata molto importante per me, non credevo che sarei riuscita a concluderla.
Non vi prometto che ci sia un'altra FanFiction, ma semmai dovesse venirmi un'ispirazione non vi nascondo che proverei a svilupparla.
Ripeto: grazie, grazie, grazie!
A presto! 
Baci, Laura
   
 
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