Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 7/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key
sì
This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.
Love’s
Way – SHINee
-
Ancora
mezza addormentata, avvertii una mano posarsi
sulla mia fronte e una voce sussurrare qualcosa
d’incomprensibile. Mi sforzai
ad aprire gli occhi, trovandomi davanti il viso preoccupato di Jihyun,
che mi
osservava sollevata. Mi trovavo ancora in salotto, dove la luce del
sole era
andata via del tutto, costringendo la mia amica ad accendere le luci.
«Hey...
Come stai?» la sentii chiedere. Mormorai un
“meglio” poco accennato, ricordando immediatamente
quello che era successo ore
prima.
«Onew?»
chiesi senza pensarci tanto.
«E’andato
via un’oretta fa, aveva da fare... E’ un
ragazzo simpatico» mi alzai di scatto seduta, guardandola
sorpresa. Aveva
parlato con Onew?
«Hai
parlato con Onew?»
«Era
seduto di fianco a te quando sono rientrata, era
ovvio che gli chiedessi cosa stesse facendo!»
«Cosa
stava facendo?»
«Ti guardava»
disse semplicemente sorridendo. Distolsi lo sguardo, sentendomi
leggermente a
disagio. «Vado
a cucinarti qualcosa»
aggiunse poi alzandosi, e potrei giurare che, appena arrivata in
cucina, avesse
ridacchiato.
“L’aereo
in arrivo da Los Angeles ha iniziato ora
l’atterraggio sulla pista due”.
Alzai
il viso verso l’auto-parlante, cercando di capire
cosa stesse dicendo la voce meccanica. Era l’aereo di mamma,
pensai alzandomi
dalla panchina dove aspettavo. Il fatto che si fosse trasferita a Los
Angeles
dalla Florida mi aveva fatta pensare, ma la città era grande
e non c’era che
l’uno per cento di possibilità che si incontrasse
con mio padre, dal momento
che si odiavano, no? Lei diceva che era per motivi di lavoro, quindi
non vi
erano problemi.
«Dove
sei?» chiesi rispondendo al cellulare qualche
attimo dopo.
«Ho
un cappotto rosso, mi dovresti vedere, cara»
«Bene.
Nel caso, io sono l’unica ragazza bianca»
risposi buttando giù. Mi strinsi dentro il cappotto,
avviandomi verso la massa
di persone accanto all’uscita. La vidi dopo qualche attimo,
il cappotto rosso e
una borsa nera sulle spalle. Sussultai, osservandola da lontano.
Era,
a vederla, poco più alta di me. Calzava un paio di
tacchi a spillo con disinvoltura, come se non avesse fatto altro nella
vita; i
suoi capelli erano lunghi e mossi, lasciati sciolti sulle spalle e il
suo viso
era uguale a quello dei miei ricordi, solo molto più stanco
e vecchio. Alcune
rughe le segnavano il volto truccato sapientemente, le labbra tinte di
rosso
erano appena socchiuse. I suoi occhi, azzurri come i miei, vagavano
alla
ricerca di sua figlia.
Alla
ricerca di me.
Sentii
una strana sensazione prendermi lo stomaco,
mentre mi avvicinavo. Quella era mia madre, pensai felice, era
lì per stare con
me.
«Mamma!»
esclamai. La vidi girarsi e sorridermi
sorpresa. Per quanto lo permettessero i tacchi, aumentò il
passo.
«Erin!
Come sei cambiata!» appoggiò la borsa per terra,
abbracciandomi forte. Sorpresa e interdetta, rimasi immobile,
respirando il suo
profumo.
«Forza,
andiamo a prendere le valigie! E’ freddo qui a
Seoul!» l’accompagnai a prendere le valigie, poi
tornammo a casa con un taxi.
Le feci conoscere Jihyun, educata e gentile come al solito, poi la
lasciai in
camera mia a riposarsi.
Il
giorno dopo la portai a vedere Seoul e a fare
shopping insieme. Quella situazione era così irreale che non
riuscivo a
capacitarmene, venivo trascinata da quelle nuove emozioni che sentivo
mentre le
parlavo… Per la prima volta nella mia vita sentivo di
potermi fidare di lei, di
mia mamma. Anche se mi aveva lasciato, ora era tornata, no? Mi voleva
bene.
«Allora,
come va con tua mamma?» mi chiese Onew al
telefono dopo essersi lamentato della coreografia di una canzone con
cui
dovevano esibirsi. Gli avevo accennato la cosa qualche giorno prima,
non
pensavo se ne ricordasse!
«Bene.
E’... strano avere una mamma»
«Immagino...
Scusa, Erin, devo andare, iniziano le
prove» lo salutai e poi allontanai il cellulare
dall’orecchio, appoggiandolo
sul tavolino di fianco a me. Mamma era uscita a fare una passeggiata da
sola,
mentre di là, in camera sua, Jihyun faceva le valigie. Il
giorno dopo sarebbe
partita. Entrai in camera sua, prendendo su due reggiseni caduti per
terra.
«Ma
quante valige hai?» borbottai osservando le tre valige
appoggiate sul letto.
«Un
po’!»
«Devi
stare via un mese, non tre anni» feci notare
sedendomi sul letto.
«Un
mese e una vita, non cambia nulla! I vestiti sono
quelli!» esclamò tirando fuori
dall’armadio i vestiti estivi. «Aiutami a
piegarli»
«Certamente,
signora Rottermaier»
borbottai prendendo però in mano un vestitino nero.
Senza
che me ne accorgessi, erano già passate due
settimane dall’arrivo di mia mamma in Corea, e una dalla
partenza di Jihyun. Passavo
le mie giornate tra lavoro e mia madre, ignorando persino la mia
macchina
fotografica, che giaceva ancora sul comodino, e Onew, con cui mi
sentivo a
volte per telefono.
Per
il primo periodo, mia mamma si comportava come se
fossimo sempre state insieme, come se non ci avesse davvero lasciato.
Rideva con
me, mi parlava dell’America, del suo fidanzato… mi
portò fuori a cena in uno
dei ristoranti più famosi di Seoul quando scoprii di non
aver vinto il famoso
concorso fotografico e aveva accennato ad affittare un appartamento qua
a seoul
per un po’… Insomma, faceva tutto quello che una
madre dovrebbe fare.
Dopo
la prima settimana, però, capii che c’era qualcosa
che non andava. era sempre con il telefono in mano, ma si rifiutava di
farmi
ascoltare le sue conversazioni. Si rifugiava in un angolino e parlava
concitatamente
con qualcuno che non conoscevo. Poi, fingendo un sorriso, tornava da me
e si
comportava normalmente. Con il passare dei giorni, delle ore, era
sempre più
agitata e ansiosa, mi faceva spesso domande su cosa intendessi fare nel
mio
futuro e, sinceramente, non avevo la più pallida
idea di cosa stesse succedendo.
«Jihyun,
parliamo» mi disse una sera sedendosi su una
sedia in cucina. Il suo viso sembrava sereno, ma potevo vedere
dell’agitazione
negli occhi e le sue labbra erano ristrette ad un filo immobile al
centro del
viso. Mi appoggiai al ripiano di marmo, aspettando.
«Sono
qui da due settimane e fra poco dovrò tornare in
America, lo sai?» la fissai perplessa. E
l’appartamento che aveva intenzione di
comprare? Decisi comunque di stare in silenzio. «Tu sei molto
giovane, i
ragazzi alla tua età vanno al college, non lavorano
e-»
«Mamma
vai dritta al punto» mormorai.
«Ok,
mettiamola così» disse dopo una piccola pausa, con
una voce ferma e severa, così diversa da quella dolce,
solita. «Tuo
padre mi ha contattato. Vuole che tu torni
in America e che studi per diventare avvocato. Io sono d’accordo»
-
Note
dell’autore.
Ok,
il capitolo è davvero,
davvero cortissimo. Ma prometto di postare domani, in modo da rifarmi!
Non mi
convince per niente questo capitolo… In pratica non succede
nulla, e non volevo
fare la cronaca di tutti i giorni passati insieme alla madre di Erin,
così ho
preferito fare un salto temporale.
n__n
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Chihiro02: Grazie,
davvero. Non mi sarei mai aspettata tutti questi complimenti! Il fatto
della
suspance era quello che mi preoccupava di più, avevo sempre
paura di fermarmi
al momento sbagliato (??). Sono contenta di esserci riuscita nel modo
giusto!
:D
_Eli Minho_: Sono
contenta
che ti piaccia! :3 Ah, immaginavo fosse ovvio…
Vabbè, ormai l’ho scritto! Spero
che ti sia piaciuto questo capito!