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Autore: FunnyBunny    13/11/2011    4 recensioni
«Senti, abbiamo iniziato con il piede sbagliato! Perché-»
«Il piede era giustissimo, invece!»

Erin non ha mai voluto amare nessuno. Un antipatico ragazzo riuscirà a farle cambiare idea o rimarrà tutto come prima?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Onew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 7/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì 


 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

-

 

 

Ancora mezza addormentata, avvertii una mano posarsi sulla mia fronte e una voce sussurrare qualcosa d’incomprensibile. Mi sforzai ad aprire gli occhi, trovandomi davanti il viso preoccupato di Jihyun, che mi osservava sollevata. Mi trovavo ancora in salotto, dove la luce del sole era andata via del tutto, costringendo la mia amica ad accendere le luci.

«Hey... Come stai?» la sentii chiedere. Mormorai un “meglio” poco accennato, ricordando immediatamente quello che era successo ore prima.

«Onew?» chiesi senza pensarci tanto.

«E’andato via un’oretta fa, aveva da fare... E’ un ragazzo simpatico» mi alzai di scatto seduta, guardandola sorpresa. Aveva parlato con Onew?

«Hai parlato con Onew?»

«Era seduto di fianco a te quando sono rientrata, era ovvio che gli chiedessi cosa stesse facendo!»

«Cosa stava facendo?»

«Ti guardava» disse semplicemente sorridendo. Distolsi lo sguardo, sentendomi leggermente a disagio.  «Vado a cucinarti qualcosa» aggiunse poi alzandosi, e potrei giurare che, appena arrivata in cucina, avesse ridacchiato.

 

“L’aereo in arrivo da Los Angeles ha iniziato ora l’atterraggio sulla pista due”.

Alzai il viso verso l’auto-parlante, cercando di capire cosa stesse dicendo la voce meccanica. Era l’aereo di mamma, pensai alzandomi dalla panchina dove aspettavo. Il fatto che si fosse trasferita a Los Angeles dalla Florida mi aveva fatta pensare, ma la città era grande e non c’era che l’uno per cento di possibilità che si incontrasse con mio padre, dal momento che si odiavano, no? Lei diceva che era per motivi di lavoro, quindi non vi erano problemi.

«Dove sei?» chiesi rispondendo al cellulare qualche attimo dopo.

«Ho un cappotto rosso, mi dovresti vedere, cara»

«Bene. Nel caso, io sono l’unica ragazza bianca» risposi buttando giù. Mi strinsi dentro il cappotto, avviandomi verso la massa di persone accanto all’uscita. La vidi dopo qualche attimo, il cappotto rosso e una borsa nera sulle spalle. Sussultai, osservandola da lontano.

Era, a vederla, poco più alta di me. Calzava un paio di tacchi a spillo con disinvoltura, come se non avesse fatto altro nella vita; i suoi capelli erano lunghi e mossi, lasciati sciolti sulle spalle e il suo viso era uguale a quello dei miei ricordi, solo molto più stanco e vecchio. Alcune rughe le segnavano il volto truccato sapientemente, le labbra tinte di rosso erano appena socchiuse. I suoi occhi, azzurri come i miei, vagavano alla ricerca di sua figlia.

Alla ricerca di me.

Sentii una strana sensazione prendermi lo stomaco, mentre mi avvicinavo. Quella era mia madre, pensai felice, era lì per stare con me.

«Mamma!» esclamai. La vidi girarsi e sorridermi sorpresa. Per quanto lo permettessero i tacchi, aumentò il passo.

«Erin! Come sei cambiata!» appoggiò la borsa per terra, abbracciandomi forte. Sorpresa e interdetta, rimasi immobile, respirando il suo profumo.

«Forza, andiamo a prendere le valigie! E’ freddo qui a Seoul!» l’accompagnai a prendere le valigie, poi tornammo a casa con un taxi. Le feci conoscere Jihyun, educata e gentile come al solito, poi la lasciai in camera mia a riposarsi.

Il giorno dopo la portai a vedere Seoul e a fare shopping insieme. Quella situazione era così irreale che non riuscivo a capacitarmene, venivo trascinata da quelle nuove emozioni che sentivo mentre le parlavo… Per la prima volta nella mia vita sentivo di potermi fidare di lei, di mia mamma. Anche se mi aveva lasciato, ora era tornata, no? Mi voleva bene.

 

«Allora, come va con tua mamma?» mi chiese Onew al telefono dopo essersi lamentato della coreografia di una canzone con cui dovevano esibirsi. Gli avevo accennato la cosa qualche giorno prima, non pensavo se ne ricordasse!

«Bene. E’... strano avere una mamma»

«Immagino... Scusa, Erin, devo andare, iniziano le prove» lo salutai e poi allontanai il cellulare dall’orecchio, appoggiandolo sul tavolino di fianco a me. Mamma era uscita a fare una passeggiata da sola, mentre di là, in camera sua, Jihyun faceva le valigie. Il giorno dopo sarebbe partita. Entrai in camera sua, prendendo su due reggiseni caduti per terra.

«Ma quante valige hai?» borbottai osservando le tre valige appoggiate sul letto.

«Un po’!»

«Devi stare via un mese, non tre anni» feci notare sedendomi sul letto.

«Un mese e una vita, non cambia nulla! I vestiti sono quelli!» esclamò tirando fuori dall’armadio i vestiti estivi. «Aiutami a piegarli»

«Certamente, signora Rottermaier» borbottai prendendo però in mano un vestitino nero.

 

Senza che me ne accorgessi, erano già passate due settimane dall’arrivo di mia mamma in Corea, e una dalla partenza di Jihyun. Passavo le mie giornate tra lavoro e mia madre, ignorando persino la mia macchina fotografica, che giaceva ancora sul comodino, e Onew, con cui mi sentivo a volte per telefono.

Per il primo periodo, mia mamma si comportava come se fossimo sempre state insieme, come se non ci avesse davvero lasciato. Rideva con me, mi parlava dell’America, del suo fidanzato… mi portò fuori a cena in uno dei ristoranti più famosi di Seoul quando scoprii di non aver vinto il famoso concorso fotografico e aveva accennato ad affittare un appartamento qua a seoul per un po’… Insomma, faceva tutto quello che una madre dovrebbe fare.

Dopo la prima settimana, però, capii che c’era qualcosa che non andava. era sempre con il telefono in mano, ma si rifiutava di farmi ascoltare le sue conversazioni. Si rifugiava in un angolino e parlava concitatamente con qualcuno che non conoscevo. Poi, fingendo un sorriso, tornava da me e si comportava normalmente. Con il passare dei giorni, delle ore, era sempre più agitata e ansiosa, mi faceva spesso domande su cosa intendessi fare nel mio futuro e, sinceramente, non avevo la più pallida idea di cosa stesse succedendo.

 

«Jihyun, parliamo» mi disse una sera sedendosi su una sedia in cucina. Il suo viso sembrava sereno, ma potevo vedere dell’agitazione negli occhi e le sue labbra erano ristrette ad un filo immobile al centro del viso. Mi appoggiai al ripiano di marmo, aspettando.

«Sono qui da due settimane e fra poco dovrò tornare in America, lo sai?» la fissai perplessa. E l’appartamento che aveva intenzione di comprare? Decisi comunque di stare in silenzio. «Tu sei molto giovane, i ragazzi alla tua età vanno al college, non lavorano e-»

«Mamma vai dritta al punto» mormorai.

«Ok, mettiamola così» disse dopo una piccola pausa, con una voce ferma e severa, così diversa da quella dolce, solita. «Tuo padre mi ha contattato. Vuole che tu torni in America e che studi per diventare avvocato. Io sono d’accordo»

-

 

Note dell’autore.

Ok, il capitolo è davvero, davvero cortissimo. Ma prometto di postare domani, in modo da rifarmi! Non mi convince per niente questo capitolo… In pratica non succede nulla, e non volevo fare la cronaca di tutti i giorni passati insieme alla madre di Erin, così ho preferito fare un salto temporale.  n__n

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Chihiro02: Grazie, davvero. Non mi sarei mai aspettata tutti questi complimenti! Il fatto della suspance era quello che mi preoccupava di più, avevo sempre paura di fermarmi al momento sbagliato (??). Sono contenta di esserci riuscita nel modo giusto! :D

_Eli Minho_: Sono contenta che ti piaccia! :3 Ah, immaginavo fosse ovvio… Vabbè, ormai l’ho scritto! Spero che ti sia piaciuto questo capito!

 

 

  
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