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Autore: B3CKS0FT    13/11/2011    0 recensioni
Freddo. Sentivo molto freddo. Aprii gli occhi e mi resi conto di essere sdraiato per terra. Mi alzai faticosamente, ogni muscolo del mio corpo mi faceva male. Una volta messomi in piedi mi guardai intorno, l'ambiente in cui mi trovavo era un lungo corridoio spoglio, con pareti, soffitto e pavimento in cemento il tutto era illuminato dalla fredda luce di lampade al neon attaccate al soffitto. Dalla posizione in cui mi trovavo si vedeva che dopo qualche metro il corridoio faceva una svolta a destra. Mi girai per vedere dove conduceva l'altra parte, e solo allora notai l'enorme lastra di metallo che mi bloccava la visuale, guardando meglio si trattava di una sorta di spessa porta di metallo, come quelle che si vendono nei caveau delle grosse banche. Incastonato nel muro accanto alla porta si trovava un terminale. Mi avvicinai lentamente al terminale, ogni movimento mi provocava dolore. Quando arrivai al terminale vidi sullo schermo la scritta "Inserire il codice di apertura". A quel punto mi resi conto che non ricordavo niente, ne dove mi trovassi e cosa ci facessi, e soprattutto non sapevo chi ero...
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco il secondo capitolo di Project Gemini.
Prima di lasciarvi alla lettura voglio ringraziare orfeopaci per aver recensito il primo capitolo.
Inoltre ho deciso di far uscire i capitoli una volta alla settimana, cercherò di pubblicarli sempre di domenica.
Ora vi lascio alla lettura del nuovo capitolo, invitandovi a lasciare una recensione per dirmi come vi sembra.
Buona lettura!


Mentre stavo girando il pomello mi chiesi cosa avrei trovato dentro quella stanza. Per un breve istante ebbi paura di vedere cosa ci fosse dentro. Poi mi resi conto che la serratura non scattava, provai ad imprimere più forza sul pomello, ma niente. La porta era chiusa a chiave. Avevo già controllato, e ricordavo di non aver trovato nessuna chiave durante la mia perquisizione. Mi chiesi se quella fosse veramente la mia stanza. Sicuramente non l’avrei scoperto in quel momento. Ripensai alla stanza di controllo che avevo visto sulla pianta del complesso “magari la dentro tengono le copie di ogni chiave dell’edificio, dopo essere passato dallo spogliatoio andrò a controllare, sicuramente non posso pensare di buttare giù la porta con la forza, mi sembra bella solida”. Così decisi di proseguire. Ormai doveva mancare poco all’arrivo. Mentre proseguivo ripensai alla mia presunta stanza, in un certo senso ero rincuorato dal fatto che fosse chiusa a chiave, ma non capivo il perché, forse aveva paura di ricordare il mio passato? Quel posto sembrava molto strano, mi ero risvegliato lì, senza sapere cosa ci facevo e chi fossi, e poi come se non bastasse, trovai quell’uomo ucciso da una malattia sconosciuta. Avevo tantissime domande per la testa, ma avevo paura di conoscere le risposte. Infine feci l’ultima svolta verso sinistra, e mi trovai nel corridoio, dove ci dovevano essere gli spogliatoi. Vidi subito due porte con sopra delle insegne, sopra la porta che stava alla mia destra c’era disegnato un uomo, invece sulla porta alla mia sinistra c’era disegnata una donna. Per un breve momento mi chiesi se, data la situazione, dovessi entrare obbligatoriamente nello spogliatoio degli uomini. La mia morale invece m’impose di entrare lo stesso nella parte dedicata agli uomini. Anche se sicuramente nessuno mi avrebbe detto niente se fossi entrato in quello delle donne. Mi diressi verso la porta sulla destra, allungai il braccio verso il pomello e lo afferrai. Pregai che la porta fosse aperta e infine girai il pomello. La serratura scattò subito. Spinsi la porta, ma niente, non si muoveva. Allora provai a tirarla, ma niente neanche così. Solo dopo qualche secondo mi resi conto che la porta non aveva i cardini, e allora mi accorsi che era una porta a scomparsa. Mi vergognai un po’ per quell’errore, anche se non c’era nessuno che l’aveva visto. Feci scorrere la porta verso sinistra ed entrai.
La stanza dove era entrato era molto diversa dal corridoio, tutti i muri erano intonacati e imbiancati, il pavimento era ricoperto di mattonelle bianche, ma le luci al neon erano le stesse. Lo spogliatoio era molto grande, erano presenti diverse file di armadietti, tra una fila di armadietti e l’altra erano presenti delle lunghe panche in legno. Entrai tra due file di armadietti, tutti gli armadietti avevano un lucchetto che si apriva con una combinazione di numeri a 6 cifre, inoltre su tutti gli sportelli c’era presente una targhetta con scritto un nome. “Chissà quale sarà il mio, magari è proprio questo”, pensai mentre guardavo un armadietto vicino a me. Sull’etichetta c’era scritto il nome John Rodwell. Quel nome non mi diceva niente, chissà se lo conoscevo. Alcuni armadietti erano aperti o socchiusi. Mi diressi verso quello più vicino a me. Sul cartellino c’era scritto Parker Larsen, aprii completamente lo sportello e guardai dentro l’armadietto, c’era un lungo camice, lo tirai fuori, era completamente bianco, aveva una taschino sul d’avanti, al taschino era attaccato un tesserino, in alto a sinistra c’era sempre il simbolo dei gemelli, in alto a destra c’era una foto e sotto c’era scritto il nome Parker Larsen, sotto al nume c’era scritto, autorizzazione livello due. Che cosa significava? Comunque quella roba non mi ricordava niente. La posai da una parte e guardai se c’era altro. Trovai solo delle biro e qualche cartaccia, niente di utile, decisi di prendere il tesserino e continuai. C’erano altri armadietti aperti in quella fila, li perquisii tutti ma non trovai niente di utile. Arrivato in fondo alla fila in cui ero entrato, notai che in quel lato della stanza c’era l’entrata per accedere ai bagni, mi avvicinai all’entrata che dava su una stanza piena di lavandini, sopra di essi c’era un enorme specchio, finalmente mi vidi interamente. Ero un uomo abbastanza alto forse misuravo un metro e ottanta, avevo capelli neri molto disordinati, e degli occhi celesti. Indossavo una maglietta a maniche lunghe bianca e un paio di jeans blu. Guardandomi meglio la faccia, non avevo una bella cera, il colorito del volto tendeva al bianco, avevo delle pesanti occhiaie e una leggera barba incolta. Non ero un bello spettacolo. Poi mi ricordai perché ero venuto li, mi avvicinai ad un lavello, sperai che ci fosse l’acqua corrente ed aprii il rubinetto. Non uscì niente, sentivo solo strani rumori provenienti dalle tubature, provai ad aprire un altro rubinetto, ma niente. Poi dal primo rubinetto cominciò ad uscire dell’acqua, allora chiusi il secondo e mi comincia a lavare le mani. In un certo senso sapevo che quello che stavo facendo era completamente inutile, ma continuai, dopo essermi lavato le mani, passai al viso, quando ad un certo punto mi prese un colpo di tosse. Smisi di lavarmi per portarmi una mano davanti alla bocca e aspettare che la tosse finisse. Una volta smessa feci per tornare a lavarmi, quando mi resi conto che la mano che avevo usato per coprire la bocca era sporca di sangue. A quella vista fui preso dal panico, e mi lavi via il sangue con l’acqua. Ero molto agitato. Ripensai all’uomo che avevo trovato davanti all’ascensore e al suo volto sofferente. Pensavo a che terrificante sofferenza avesse provato quell’uomo. Non sapevo cosa fare, continuavo a lavarmi via il sangue dalle mani, anche se ormai non era più presente. Poi m'imposi di calmarmi, non avrei ottenuto nulla disperandomi in quel modo. Smisi di lavarmi le mani, chiusi il rubinetto. Mi guardai un attimo intorno adiacente alla stanza dei lavandini ce ne erano altre 2, sulla destra c’erano le docce, mentre sulla sinistra le toilette. Feci ritorno nella sala degli armadietti e mi misi a sedere su una panca. In una fila differente da quella in cui ero passato prima. Non sapevo cosa fare, ormai ero quasi sicuro di essere stato contagiato dallo stesso virus che aveva ucciso l’uomo nel corridoio. Cercai di rilassarmi per qualche minuto, senza riuscirci. Mentre stavo lì seduto decisi di guardare se ci fosse qualcosa di utile negli armadietti rimasti aperti in quella fila. Mi alzai e inizia di cima. Nei primi due armadietti non trovai niente, erano vuoti. Il terzo attirò la mia attenzione perché fosse stato forzato, lo sportello era deformato ed attaccato ad esso c’era ancora il lucchetto chiuso. L’armadietto apparteneva a un certo Adam Forgét. Dentro non c’era niente, per terra c’era un camice e diverse biro. Sembrava che qualcuno avesse cercato qualcosa in fretta e furia. Quello era l’ultimo armadietto aperto della fila in cui si trovava. Provai a guardare se c’erano altri armadietti aperti in altre file. Ne trovai altri ma non contenevano molto, vestiti e qualche tesserino. Un tesserino attirò la mia attenzione, mentre la maggior parte aveva un'autorizzazione di livello due, quello aveva ne una di livello tre, la tessera apparteneva a Louis Shaw. Nella foto presente sul tesserino, si vedeva che aveva i capelli castani e gli occhi neri. Il volto era molto paffuto. Quel viso mi sembrava molto familiare. Mi sembrava di conoscerlo. Fu allora che mi rivenne in mente un vecchio episodio della mia vita.
 
Non so quanto tempo prima fosse successo. Ero in quella che sembrava una spartana sala conferenze, sul palo c’era una persona dietro ad un grosso leggio che era fatto in un qualche tipo di lega. L’uomo aveva i capelli biondi e un viso squadrato, gli occhi erano nascosti da dei sottili occhiali da sole, era vestito con un completo nero, che sembrava molto costoso. L’uomo sembrava intento a liberare il leggio da dei fogli, segno che aveva appena finito la conferenza. Mi guardai attorno, la sala era gremita di gente, avevano appena cominciato ad alzarsi per andare via. Anche mi alzai, mi trovavo ad un angolo della sala, proprio accanto al passaggio che conduceva all’uscita, dove mi diressi immediatamente. Nella sala c’era un forte brusio di persone che parlavano. Quando ero ormai prossimo all’uscita, sentii una voce che sovrastò il brusio della sala, “Adam! Aspettami!”, fu allora che mi fermai e mi girai per vedere da dove proveniva la voce. Cercai per qualche secondo tra la folla, poi vidi da chi proveniva la voce. Era un uomo dai lunghi capelli castani e dal volto un po’ paffutello, aveva un fisico abbastanza robusto, ed era vestito con una camicia rossa un baio di jeans. Stava correndo verso di me. Io l’aspettai. Alla fine riuscì a raggiungermi, riprese un po’ il fiato. Poi mi rivolse la parola. «Allora Adam, come ti è sembrata la conferenza?», «Non ne sono molto sicuro Louis, questo progetto non mi convince», Luis mi guardò per qualche istante, poi rispose «Secondo me è un ottima idea. Credo che parteciperò. Tutti devono dare una mano in un periodo come questo.» si fermo un altro po’, sembrava pensare a qualcosa, «Quindi non parteciperai? Ho sentito che Eve ha già detto che farà parte della squadra.»  Sembrava che stesse cercando di convincermi ad ogni costo. «Cosa vuoi dire con questo? Non m’interessa quello che fa Eve, e sicuramente non deciderò in base a quello che fa lei.» Dissi un po’ spazientito, «Certo. Come no.», rispose Lusi in maniera sarcastica, «comunque non vedo lavora di lavorare con il dottor Marcus», «Parli di quello che ha appena smesso di parlare? Non lo conosco», Luis mi guardò un po’ sorpreso «Non sai chi è il dottor James Marcus? Va bene era da un po’ di tempo che non si vedeva in giro. Ma quell’uomo è una leggenda nel nostro campo, si è laureato a 14 anni, e a soli…», «Ho capito Luis, è un fottuto genio, comunque devo ancora decidere se partecipare a questa cosa, Ti farò risapere quando avrò deciso. Ora scusami ma devo andare.» Guardai Luis con un aria un po’ spazientita, «Va bene ho capito», disse con l’aria un po’abbattuta «Ci risentiamo, ciao.», gli feci un cenno di saluto, poi mi voltai e mi diressi verso l’uscita. Il ricordo s’interrompeva li.
 
“Adam” pensai, “Mi chiamo Adam”, dissi ad alta voce. Poi ripensai a tutti i nomi scritti sulle targhette degli armadietti, e mi ricordai di aver visto almeno due Adam, ma non ne ero completamente sicuro. Mi misi la tessera di Luis in tasca e mi misi a riguardare tutti gli armadietti. Alla fine trovai tre Adam in tutto lo spogliatoio,: Adam Levine, Adam Forgét e Adam Jensen. L’armadietto di Adam Levine era chiuso, mentre quello di Adam Jensen era aperto, ma non c’era il tesserino di riconoscimento. Infine L’armadietto di Adam Forgét era stato scassinato. Poi ripensai a Luis, sembrava conoscermi abbastanza bene. Chissà che fine aveva fatto, chissà se era ancora vivo. Poi mi ricordai che nel ricordo Luis nominava una certa persona, Eve, chi era? Significava qualcosa per me? Dovevo assolutamente scoprirlo. Non m’importava se dovevo morire da un momento all’altro, dovevo scoprire chi era Eve. Luis aveva detto che Eve partecipava al programma, forse si riferiva a qualcosa che aveva a che fare con il posto in cui mi trovavo, quindi sicuramente aveva un armadietto nello spogliatoio delle donne. Decisi di andare nello spogliatoio delle donne e trovare l’armadietto di Eve. Magari trovandolo mi sarei ricordato qualcosa del mio passato, e di Eve. Quindi mi diressi con passo deciso verso l’uscita dello spogliatoio.
   
 
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