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Autore: Lilith Hedwig    13/11/2011    6 recensioni
Torna a casa. Sono tre parole. Tre parole soltanto? Dopo dieci anni, forse, saranno qualcosa di più.
Scritta per il "Gotta Ship'em all!" indetto da The Burnt Orchid e da Il_Genio_Del_Male.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per il "Gotta Ship'em all!" indetto da The Burnt Orchid e da Il_Genio_Del_Male. Prompt: Torna a casa (venerdì) e Lettera (sabato). Grazie a voi per la pazienza con le mie domande, e grazie a quanti leggeranno^^ Baci; Lil^^

Come back home
 

"Torna a casa."
La lettera si riduceva a quello.
Poteva fare tutte le parafrasi che voleva, ma sarebbe stato sempre e solo quello.
Non c'era ombra di scuse su quel pezzetto di carta sgualcito ed umido per tutte le riletture.
Conservava quella lettera da dieci anni, oramai; dieci anni nei quali si era deciso che non l'avrebbe più considerata, più riletta.
Eppure, eccolo lì ancora, nella penombra di quella topaia che lui tentava di chiamare casa, seduto alla debole e traballante luce di una lampada appoggiata sullo scrittoio di legno marcilento, con quello straccio lì davanti.
"Torna a casa."
Dopo dieci anni, finalmente quelle parole cominciarono a significare qualcosa di comprensibile.
Ricordava come quel giorno fosse tornato al buco, stanco morto, e avesse trovato gettata davanti alla porta una busta.
Aveva serrato gli occhi, come a desiderare che fosse solo una visione, un sogno da cui si sarebbe svagliato. Ma la busta rimaneva lì. Sapeva benissimo chi era, e cosa voleva.
"Torna a casa."
Di nuovo quelle parole, martellanti.
Di casa l'aveva cacciato via lei, ed ora lo rivoleva indietro. Ma non era disposta, non considerava nemmeno l'idea di chiedergli scusa.
Lo aveva visto quando se n'era andato via da quella casa, che non gliel'avrebbe mai detto, lo aveva visto nei suoi occhi colmi di disgusto e di disprezzo, anche se solo per un istante.
Disprezzo.
Per cosa, poi?
Tre sole parole, le aveva detto, tre cazzutissime parole. "Io sono gay."
E con tre stupide parole lei s'illudeva di riaverlo.
Il suo compagno di allora, non sapeva nemmeno più dove vivesse. Tutti i suoi ideali, i suo sogni, erano spariti come fumo nel vento.
"Torna a casa."
"Io sono gay."
Tre contro tre, verità contro verità.
Non avrebbe rinnegato ciò che era, non c'era nulla di sbagliato in quello.
Amava gli uomini. Amava gli uomini, come altri amavano le donne. E alloa? Cosa cazzo c'era di male? Come mai quell'esitazione, quel secondo di disgusto prima di voltarsi di nuovo verso i piatti, con un sorriso sulle labbra, quasi che non le importasse?
"Torna a casa."
E poi lo capì. Lei gli stava chiedendo scusa.
Era il suo modo assurdo e particolare di chiedergli scusa. Sorrise, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Carta. Ingiallita, umida, scritta a mano, resistente, profumata. Carta.
Ma, questa volta, non aveva esitato, ne era certo. Era sincera, era sincera.
Una frenesia che non provava da lungo tempo lo colse. Estrasse dall'armadio decadente un borsone da piscina logoro, e vi raggruppò le poche cose che aveva nello scialbo monolocale. Qualche moneta e banconota, i soliti vestiti, la sveglia. Avvolse con cura nei fogli di giornale i libri a lui più cari, ripiegò l'elegante carta da lettere che adorava, impacchettò un vecchio soprammobile del suo vecchio compagno. Ci sarebbe stato tempo, poi, per accomodare tutto il resto. Con un ultimo sguardo salutò il buco che lo aveva ospitato per anni, quindi chiuse la porta.
"Torna a casa."
Va bene, ritorno.

La porta di ciliegio si aprì senza un cigolio. Il prato era tosato, il vialetto regolare e pulito, l'aria pura. Il volto della donna tra la sessantina e la settantina che si presentò all'ingresso mostrava pacata sorpresa, sebbene una luce le brillasse negli occhi.
"Sono gay, mamma."
"Va bene." la donna sorrise. "Ora entra."

fin

   
 
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