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Autore: L_Fy    14/11/2011    41 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sui quattro cadde un silenzio stupefatto: Serena e Tebaldo, ma persino Paolo, fissarono Veronica come se avesse appena rigurgitato bava verdastra dalla bocca invece che sussurrare quel semplice monosillabo.
“Ok?” fu il primo a riprendersi Tebaldo e lo fece con una drammatica alterazione nella voce solitamente composta.
“Si, ok” rispose semplicemente Veronica “Sono stufa di tutta questa faccenda. Chiudiamola qui e chi s’è visto s’è visto.”
“Ok?” ripeté Tebaldo minaccioso come se lei nemmeno avesse parlato “Cioè, questo mollusco con gli occhioni da rana rifila a Grimilde il più clamoroso pacco della sua vita, mi costringe a prostituirmi con tutte le conoscenze altolocate che ho per salvarle il culo, mi fa pensare che come minimo lo inchioderai per i pollici sforacchiandogli i bulbi oculari con i tacchi della tua collezione di sandali Dior e tu… tu dici Ok?”
“Hai detto bene” ribatté Veronica con voce piatta “Bambi ha rifilato a Grimilde il più clamoroso pacco della sua vita, ma siccome non voglio che quello che succede a Grimilde sia più affare mio, ho detto ok.”
“Hai detto ok?”
“Sei sordo? Si, e lo ridico, pure: ok! Bianchi mi hai sentito? Ok, ti perdono con benedizione plenaria e annullamento della Sacra Rota!”
“Tu non perdoni uno stramaledetto niente!” tuonò Tebaldo facendo un passo avanti minaccioso “Tu sei Grimilde e quello che devi fare è ingoiare vivo questo celenterato, masticarlo e centrare la sputacchiera con i suoi miserabili resti!”
A quella minaccia Paolo sbiancò ma Veronica non lo stava nemmeno guardando.
“Da quando in qua mi ordini tu quello che devo o non devo fare?”
“Da quando ti comporti come se fossi posseduta dallo spirito di una suor missionaria! Non puoi essere tu a parlare così!”
“Invece sono io. Se il mio comportamento ti sconvolge tanto perché non lo fai tu?”
“Perché non è me che ha sputtanato in mondovisione! Perché non puoi permettere che un così insignificante e inutile ragazzetto possa arrivare a te e comportarsi così!”
“Così come? Ammettere di aver sbagliato e chiedermi scusa pubblicamente? Perdonami se non mi sembra una cosa così orribile da subire, visto che è la prima volta in vita mia che qualcuno che mi ha ferito mi chiede scusa… al contrario di un certo nobile cugino, che nemmeno conosce il significato della parola.”
“Ci avrei scommesso che alla fine lo stronzo di turno sarei stato io!”
“Forse perché tu sei sempre lo stronzo di turno!”
“Non chiamarmi stronzo, regina di spocchia!”
“Non chiamarmi regina di spocchia, ghiacciolo!”
A forza di insultarsi si erano avvicinati fino a sfiorarsi: tacquero di colpo con i nasi a un millimetro di distanza, occhi furenti negli occhi furenti, così fastidiosamente simili e belli da sembrare davanti a uno specchio magico. Bianchi e Serena, che avevano seguito la diatriba girando gli sguardi dall’uno all’altra come in una interessante partita di ping pong, rimasero cristallizzati a guardarli che si guardavano, percependo quasi l’energia che si trasmettevano.
Veronica, assurdamente, guardava fisso la bocca di Tebaldo: era strano che nel bel mezzo del discorso le fosse bastato far inciampare lo sguardo sulle sue labbra per perdere completamente il filo e accorgersi con elementare semplicità di desiderare di baciarlo. Nient’altro che quello: toccare quelle labbra con le proprie, assaporarle, sentirne il calore. Quelle labbra che l’avevano già baciata, oh si, tante e tante volte: da fredde e scostanti agli ultimi baci arrabbiati e roventi. Mai niente che andasse al di là di Grimilde e Re Tebaldo che si scambiavano la reciproca freddezza. In quel surreale momento nel bel mezzo dell’atrio della scuola, con Bianchi e la Colombi come pubblico e gente intorno più o meno curiosa, Veronica invece non sentiva altro che il desiderio potente e primordiale di baciare Tebaldo per davvero, con calore, con passione, con…
No, quello non poteva nemmeno pensarlo!
Come se l’avesse improvvisamente morsa la tarantola, Veronica fece un salto indietro andando quasi a sbattere contro un tizio curioso che si era avvicinato troppo per origliare meglio la loro conversazione. Tebaldo ondeggiò come sbilanciato da un filo invisibile che li legava insieme, ma si rizzò subito ed era ancora più furente di prima: Bianchi e Serena si ritrassero impercettibilmente davanti a quella furia cupa e contenuta, rivelata solo dalla mascella contratta e dallo scintillio pericoloso degli occhi verdi.
“Molto bene” ringhiò Tebaldo e chissà perché sembrava che lo avesse perso anche lui il filo del discorso “Dunque le cose stanno così. Beh, Grimilde, la vita è tua: se stai andando fuori di cotenna e invece di demolire Bambi gli vuoi dedicare una serata di gala, fai pure.”
“Farò senz’altro come Re Tebaldo graziosamente concede” ribatté Veronica col respiro segretamente rapido e discontinuo come se avesse la febbre “La serata di gala è davvero un’ottima idea. Una bella festa a Villa Scarlini… naturalmente a scopo benefico.”
“Giusto e per rimanere in argomento il tema della serata potrebbe essere “Adotta un plebeo”. La nobiltà aderirà a frotte.” 
“Indubbiamente. Tu sarai in prima fila col tuo Topo Gigio, immagino.”
“E tu sul palco d’onore col tuo celenterato. Sarà solo un dramma abbinare i vostri look.”
“L’invito arriverà per posta e in carta satin riciclata, per non rovinare il mood eco-chic della serata.”
“Sarà favoloso.”
“Si, davvero speciale.”
Si stavano di nuovo guardando in cagnesco, da prudente distanza: Serena e Paolo si lanciarono uno sguardo spaesato prima che lui trovasse il coraggio di sfiatare.
“Una festa…?”
Lo sfiatò abbastanza forte da farsi sentire dalle tre Marie, in affannoso arrivo claudicanti sui tacchi.
In barba alla loro risaputa pochezza neuronica, le tre captarono la parola chiave “festa”, le facce furiose dei due cugini, quelle pallide dei due plebei tirapiedi e dedussero tutto il deducibile in un lampo magicamente contemporaneo.
“Una festa!” trillò deliziata Maria Beatrice “E’ scandalosamente troppo tempo che non ne date una, voi Della Torre! Davvero un’idea favolosa!”
“Finalmente ho la scusa per comprare quell’abito di Givenchy!” sospirò sognante Maria Ludovica.
“Quale sarà il tema?” si informò invece Maria Vittoria, entusiasta.
“Adotta un plebeo” rispose di rimando Tebaldo velenoso “Ormai la nostra piccola Grimilde non può fare altro.”
“Oh… originale!” esclamò Maria Vittoria con appena un filo di dubbio.
“Molto moderno!” sentenziò Maria Beatrice, che forse non ne era così convinta ma che per partecipare a una festa in casa Della Torre avrebbe smembrato il proprio padre con una mannaia, purché fosse firmata Dior.
“Un plebeo qualsiasi o di una categoria particolare?” si informò invece Maria Ludovica già pragmaticamente alla ricerca di qualcuno da adottare.
Si misero a parlottare fitto fitto, contagiosamente eccitate.
Gli unici palesemente muti erano i due plebei ovvero Paolo e Serena: il primo con aria sconcertata, la seconda via via sempre più rannuvolata.
“Scusate” proruppe alla fine con voce sottile ma incontenibile “State scherzando, vero?”
Persino Paolo, insieme a una nutrita schiera di curiosi, si girò a guardare il Miracoloso Evento, ovvero Serena Colombi che trovava il coraggio di intromettersi in una discussione fra gli dei del Walhalla scolastico.
“Certo che no!” precedette chiunque Maria Ludovica mentre ancora Tebaldo e Veronica erano intenti a scuoiarsi con lo sguardo “Una festa è proprio quello che ci voleva! A proposito… ma tu cosa sei? La plebea adottata da Tebaldo?”
“Sono Serena Colombi, ci hanno presentate poche ore fa. E intendevo contestare proprio questa cosa dell’adotta un plebeo, la trovo semplicemente…”
“Divina!” la precedette Maria Vittoria squillante.
“… ridicola, politicamente scorretta e degradante.”
“Davvero?” si informò Maria Beatrice blandamente confusa “Degradante per chi?”
Serena, esasperata, si girò verso Bianchi.
“Tu non dici niente?” supplicò sottovoce.
“Non posso” rispose lui con aria abbattuta “Sono qui per fare ammenda e il mio istinto mi dice di tacere e subire.”
Serena allora cercò aiuto con lo sguardo fra i compagni assiepati intorno a loro: un ragazzone di dimensioni e lineamenti taurici si fece coraggiosamente avanti accolto dal sorriso incoraggiante di Serena.
“Se cercate un plebeo vero sono qui io” la spiazzò il ragazzone parlando tutto d’un fiato e pieno di speranza “Mio padre è un metalmeccanico.”
“Lo puoi dimostrare?” chiese subito Maria Ludovica freddamente.
“Mia madre è casalinga” si intromise un’altra ragazza precipitosamente “Posso portare la carta d’identità!”
Serena rimase a bocca aperta mentre intorno tutti cominciavano a spintonare.
“Prendi me, ho un nonno invalido e uno zio disoccupato!”
“Io abito in un appartamento Gescal!”
“I miei hanno un mutuo a 25 anni!”
Sembrava di giocare in borsa le azioni di chi era più sfigato: Veronica e Tebaldo si distrassero dal reciproco livore quel tanto che bastava per rendersi conto della situazione e infuriarsi ancora di più l’uno con l’altra.
“Hai visto che putiferio hai scatenato?” sibilò Veronica.
“Io! Ma se l’idea è stata tua!”
“Non provare ad addossarmi la colpa! Adesso ci toccherà farla davvero questa cavolo di festa!”
“Ci?”
“Si, ci! Se pensi che mi metta a organizzare da sola la tua pagliacciata, stai fresco!”
“Ne approfitti perché sai che sono un gentiluomo che non posso dire no!”
“Tu un gentiluomo! E io sono un allevatore di renne norvegesi!”
“Insulta quanto ti pare, basta che all’allestimento della sala ci pensi io: non oso pensare a come ridurresti il salone di Villa Scarlini, tu e le tue puzzolenti renne.”
“Piuttosto pensa a dove parcheggiare quel bisonte sodomita del tuo cane, io penserò alla musica e al buffet!”
“Bene, Grimilde, come vuoi!”
Veronica si stampò un “vaffanculo” sulla faccia pressando le labbra affinché non le uscisse dalla bocca, poi girò i tacchi e veleggiò via, lasciando la scuola a delirare in pieno fermento per la “favolosa festa sociale dei Della Torre”.
*          *          *
Oleana Odescalchi, ramo Riccobono, forse per la prima volta in vita sua era senza parole. L’evento apocalittico le era capitato d’improvviso tra capo e collo: in temporanea visita a casa dei nonni a Villa Odescalchi, se ne stava tranquillamente per i fatti suoi assisa su un imponente divanetto ottomano in posa e pensieri lascivi, quando la cugina di terzo grado Veronica Scarlini della Torre le era piombata quasi addosso in un delicato effluvio di Hermes con una domanda cosmica così stonata sulle sue labbra che aveva avuto il potere dirompente di ammutolirla di colpo.
“Come si gestisce un maschio plebeo?”
Oleana era rimasta con la bocca semiaperta e lo sguardo vacuo di un pesce morto.
Un tempo, un bel po’ prima dell’evento che le aveva del tutto ribaltato le prospettive, ovvero l’avvento degli ormoni, Oleana, Veronica e il cugino comune Tebaldo avevano passato parecchie estati in vacanza insieme nella tenuta in costa Smeralda di parenti comuni. Non avevano di certo passato il tempo a raccogliere lucertole o altre simili mancanze di etichetta, ma Oleana ricordava con affetto i crudeli sgobbi che si erano divertiti ad architettare alle spalle della mononeuronica vicina di casa, l’algida Maria Carla della Mirandola Santogiacomo. Poi, erano cambiati gli obbiettivi, Oleana si era dedicata alla dilettevole attività di concupire quanti più maschi possibili mentre i due perfidi cuginastri avevano continuato a demolirsi a vicenda, con un semi-fidanzamento in mezzo dal chiaro e reciproco intento omicida. Comunque, a parte le feste comandate nel castello o nella villa di qualche zio in vena di riunire la famiglia, Oleana e Veronica si erano gradualmente allontanate, fino a quell’improvvisa domanda.
Veronica, dopo qualche secondo di paziente attesa, aveva scrollato le spalle infastidita.
“Oleana, non solo le mosche potrebbero entrarti in bocca, se la tieni così aperta. Puoi darmi una risposta, possibilmente breve ed esaustiva, grazie?”
Oleana recuperò la favella, forse per quel “grazie” così educato e snob che aveva prontamente ripristinato le giuste prospettive.
“Buongiorno anche a te, Veronica cara” sospirò quindi incerta rizzandosi prudentemente a sedere “Si certo, godo di ottima salute, che gentile a preoccuparti così! Ma in effetti tu sei sempre stata una premurosa e attenta cugina, sono io una vera cafona a non saper che dire… cieli beati, dopotutto sono solo sei mesi che non mi rivolgi la parola!”
Sul viso di Veronica passò un’ombra corrucciata, ma poi fissando l’espressione canzonatoria di Oleana non poté fare a meno di sorridere sotto i baffi.
“Cieli beati, eh?” gorgogliò ammansita “Hai ragione, devo essere veramente fuori di testa a comportarmi in questo modo paleozoico. Ancora di più se non mi rendo conto di farlo e ho bisogno delle imprecazioni vittoriane di mia cugina di terzo grado per arrivare a scusarmi.”
“Così va meglio” sorrise Oleana già di buon umore: era per natura allegra e benché la nobile cugina le fosse sempre stata particolarmente sul piloro per la perfida superiorità con cui trattava tutto il parentado, in qui giorni in visita dai nonni si stava annoiando e l’arrivo di Grimilde in evidente stato confusionale poteva dimostrarsi un interessante diversivo “Erano delle scuse quelle, vero?”
“Diciamo che più di così non intendo scucire. Comunque, ehm… ciao, Oleana, ti trovo davvero bene.”
“Grazie” rispose Oleana divertita “Anche tu , sei sempre vomitosamente gnocca.”
“Vomitosamente…?”
“Hai introdotto tu per prima l’argomento plebeo, quindi non ti lamentare del mio lessico. Allora, spiegami: cos’ha combinato stavolta Tebaldo?”
Veronica, curiosamente, arrossì.
“Che c’entra lui? Ma io non l’ho nemmeno nominato… quel verme schifoso doppiogiochista ficcanaso velenoso.”
Oleana le lanciò un lungo sguardo scaltro.
“Andiamo Veronica, solo perché sono del ramo Riccobono e non della Torre non vuol dire che non sappia fare uno più uno. Qualcosa in grado di farti andare così fuori di cotenna può essere solo opera di Tebaldo.”
“Non necessariamente. E comunque non è di lui che voglio parlare, ma di Paolo Bianchi.”
“Paolo Bianchi! Che nome deliziosamente proletario. E’ lui il famoso plebeo di cui sopra?”
“E’ lui.”
“E cosa c’entra con Tebaldo?”
“Ma chi ti ha detto che deve c’entrare con Tebaldo! Non ha niente a che fare con lui, sono come il giorno e la notte, Mercurio e Plutone… il Diavolo e l’Acqua Santa…come…”
“Dior e la Coop? Ok, non fare quella faccia, stavo scherzando! Avanti, spiegami cos’ha questo Bianchi di tanto incredibile da farti portare il tuo regale culo fino qui. Possiede per caso occhi di puri zaffiri? Capezzoli di rubini? Manganello di platino?”
“Oleana!”
“Non fare finta di scandalizzarti, per favore: se diventi puritana la conversazione finisce qui.”
“Non sono scandalizzata. Beh, un po’ si. Ma per via degli occhi di zaffiri, non per il manganello di platino.”
“Però ce l’ha?”
“Il platino? Non ho potuto verificare nemmeno il manganello.”
“Oh, bella battuta. Sei arrossita lo stesso, ma andiamo già meglio. Allora, sei qui per parlarmi del manganello di Bianchi.”
“Io non… non voglio parlare di manganelli…”
“... per il momento…”
“Come vuoi: sono qui perché sei l’unica persona della mia cerchia di conoscenze che è fidanzata con un plebeo.”
“Un signor plebeo, vorrei specificare: si chiama Marco Ferri, un nome quasi più proletario del tuo Paolo Bianchi. Non ha zaffiri e rubini, ma ha due pettorali d’acciaio inox 18/10, un sedere di marmo di Carrara e un…”
“Ok! Ok, ho inteso il notevole concentrato di durezza naturale del tuo fidanzato. Ma, ehm, non è per questo che volevo la tua consulenza.”
“Fammi ricordare che hai detto prima… come si gestisce un maschio plebeo? E’ questo che vuoi sapere da me?”
“Più che altro, vorrei sapere come si interagisce con uno della loro specie. Con Paolo Bianchi mi sembra di avere a che fare con una razza aliena: ogni volta che tento un approccio, va fuori di testa e combina una stupidaggine.”
“Che i maschi SIANO una razza aliena è il festival dell’ovvietà. Dipende il tuo esemplare quanto sia alieno rispetto alla media nazionale.”
“Al primo appuntamento mi ha chiuso in una gabbia con due cani randagi e ha mandato in mondovisione il video di me con una cuffia di plastica in testa mentre venivo immerdata da tali canidi puzzolenti.”
“Uhm… bella cazzata…”
“Quindi, sapendo che la tua relazione col plebeo invece procede brillantemente…”
“…notizia che mia madre usa come scusa per farsi prescrivere fior di  antidepressivi…”
“… ho pensato che forse tu potessi….”
“… aiutarti?”
“Suggerirmi. Qualche approccio, per esempio. Tu come hai fatto con Marco?”
“Io mi sono nascosta nuda dentro il suo armadio.”
“Oh! Stupefacente. Ha funzionato bene?”
“Mi sono beccata una polmonite, quindi poteva andare meglio, ma tutto sommato non mi lamento.”
“Non credo che potrei infilarmi nuda nell’armadio di Bianchi. A parte che casa sua in tutto è grande come un armadio, non è esattamente nel mio stile. E Bianchi probabilmente morirebbe pietrificato. E’… sembra… molto prude.”
“Che noia. E’ un ragazzo carino?”
“Non saprei… forse lo sarebbe se non fosse così mortalmente sfigato.”
“Oh… ora capisco cosa c’entra Tebaldo.”
“Ancora! Guarda che ti sbagli.”
“Pensaci: Bianchi plebeo, Tebaldo patrizissimo; Bianchi sfigato, Tebaldo figo e arrapante. Non ci vedi niente?”
“Oleana, mi prendi in giro? Sono diversissimi!”
“Appunto!”
“Scusami, ma la tua logica mi sfugge: d’altronde, non è facile capire perché una persona possa arrivare a nascondersi nuda in un armadio. E comunque non… non lo è. Non così tanto. Cioè, immagino che dipenda dai punti di vista, ma…”
“Adesso sono confusa: di chi e che cosa stai parlando?”
“Tebaldo. Arrapante.” ammise Veronica dopo un po’, arrossendo suo malgrado.
“Oh. Hai ragione. Una sordocieca che ha perso il senso del tatto e dell’olfatto può effettivamente trovarlo poco interessante. Ma non mi sembra il nostro caso, vero? Altrimenti non diventeresti rossa come un vestito di Valentino a nominare il suo nome.”
“Sono arrossita perché ho detto la parola arrapante. Confesso che anche io sono noiosamente prude.”
Oleana si permise un attimo di silenzio fissando la cugina con uno sguardo apertamente interessato: Veronica si sentì improvvisamente a disagio.
“Cosa c’è? Essere prude è tornato ad essere così fuori moda da farmi meritare la scomunica?”
“No. E’ che pensavo che deve essere proprio brutta.”
“Chi?”
“La tua cotta.”
“Io non ho una cotta. Non è elegante avere una cotta, solo i plebei possono avere una cosa così banale e dal suono così incivile. Io, semmai, posso essere sessualmente ed emotivamente interessata.”
“Tu non sei interessata, tu hai una cotta mostruosa. Ed è per questo che non sai che pesci pigliare e ti affanni a cercare aiuto, per tentare di inquadrare la confusione che senti. Ma avere una cotta è così, non la si deve gestire, la si deve vivere… buttarsi…”
“Nuda dentro un armadio?”
“Anche. Vedi che cominci a capire?”
“Il tono era ironico, sordocieca.”
“Però sei ancora qui ad ascoltarmi, è questo è un segno piuttosto forte: Grimilde sarebbe già sparita da un pezzo, anche prima del manganello.”
“Sapevo che sarebbe tornato fuori quell’argomento. E comunque sono stufa marcia di sentirmi chiamare Grimilde. Non lo sopporto più.”
“Tebaldo, eh?”
“Tebaldo cosa!”
“Tebaldo ti chiama così.”
“Si, e tu puoi smettere di nominarlo ogni due secondi?”
“Ok. Possiamo parlare di Bianchi, allora, fra un manganello e l’altro.”
“Già, sono qui per questo!”
“Ehi, non ti scaldare: in qualità di consulente ufficiale di plebeitudine, se vuoi sapere come ti devi comportare con lui, posso risponderti solo che dipende da che risultato vuoi: temporaneo o duraturo?”
“Al momento, mi basterebbe che non ci fossero spargimenti di sangue nell’immediato futuro.”
“Vuoi uscire con lui? Un appuntamento a scopo copulativo?”
“Io?!?… Abbi pazienza, Oleana, non sarò più Grimilde ma non potrei mai dichiarare pubblicamente di volere un appuntamento a scopo copulativo con un plebeo sfigato che mi ha appena smerdata in mondovisione. Cioè, nessuna donna con un minimo di dignità potrebbe farlo!”
“Hai ragione. Scusami se sono così diretta, ma a parlare per metafore non sono brava, mi fa venire un cerchio alla testa… devo capire in che modo questo Bianchi ti interessa, se vuoi che ti reciti dei sonetti di Petrarca o se ti fa sangue.”
“S…sangue?”
“Ma in che mondo vivi? Se ti fa sangue, come una fiorentina… Se ti ispira sesso violento.”
Nella mente di Veronica passò rapida l’immagine di lei e Bianchi aggrovigliati in tenuta sadomaso sopra un letto dalle lenzuola nere. “Madre de Dios!” berciò la voce di Inocencia nella sua testa prima che la scacciasse via con un deciso battito di ciglia, non senza prima essersi trovata totalmente d’accordo con lei.
“Il sesso violento non è tra i miei progetti per il prossimo semestre, soprattutto con Bianchi.”
“E con Tebaldo?”
“Oleana!”
“Guarda che se nemmeno un topone come Tebaldo ti ispira sesso violento vuol dire che qualcosa nei tuoi ormoni non circola bene. Fatti curare, gioia mia!”
“Se nomini quella serpe ancora una volta, giuro che ti schiaffeggio!”
“Ti ricordo che sei venuta tu a chiedere la mia consulenza. E anche se la tua bocca parla di questo Bianchi, il tuo corpo va a fuoco solo quando parlo di Tebaldo.”
“Perché sono incazzata a morte con lui!”
“Oh, finalmente una parolaccia! Adesso si che posso chiamarti Veronica e non Grimilde. Spara, cos’ha fatto Tebaldo per farti incazzare?”
“Non. Voglio. Parlare. Di. Tebaldo! Voglio sapere come devo fare con Bianchi alla festa.”
“Che festa?”
“Quella che faremo a Villa Scarlini e che tu mi aiuterai a organizzare: ci occuperemo della musica e del buffet.”
“Wow, ganzo… aspetta, hai detto organizzare? Io e te?”
“Ovvio. Il tema della festa sarà “adotta un plebeo”.”
“Ah, ora capisco l’ovvietà del mio coinvolgimento, dopo tanti anni di silenzio stampa. Bel tema, direi, socialmente all’avanguardia. Chi l’ha concepito?”
“Tebaldo.”
Oleana scattò in piedi sul divano puntando vittoriosa il dito verso Veronica.
“A-ha! Vedi che Tebaldo c’entra?!?”
“Diavolo, è vero… c’entra marginalmente. Ora siediti, mi hai fatto venire un infarto. L’idea della festa doveva essere una provocazione, poi c’era lì Topo Gigio che faceva la suffragetta…”
“Chi…?”
“Topo Gigio… Serena Colombi la ex fidanzata di Bianchi; e la futura concubina di Tebaldo, a quanto pare.”
Di nuovo lo sguardo di Oleana si fece penetrante e Veronica dovette sforzarsi di non farsi prendere dall’agitazione.
“Non che me ne importi qualcosa di Tebaldo e le sue concubine, sia chiaro. Questa Colombi poi è un tale stecchetto tutto sui toni del grigio, esteriormente e interiormente, che verrebbe da chiedersi cosa diavolo ci possa trovare Tebaldo… se la cosa ci interessasse, ma a noi non interessa, ovviamente.”
“Parla per te” la basì Oleana incrociando le gambe per accomodarsi meglio sul divano “Io sono interessatissima: per piacere a Tebaldo, qualcosa di speciale ce lo deve avere di sicuro. Cioè, fino a ieri pensavo che l’unica al mondo in grado di scalare quella gelida montagna di bonaggine e stronzitudine fossi tu. E invece… credi che possa essere lei ad avere la patatina di platino, alla fine?”
“Patatina…?”
“Eddai, Veronica!! Anche voi regine cattive dovrete pur dare un nome al vostro apparato sessuale!”
“Preferirei parlare della festa piuttosto che della patatina di Topo Gigio, grazie. E vorrei anche bere uno sherry, a questo punto credo di averne bisogno.”
“Niente sherry: Grimilde si farebbe uno sherry. Pensi che Veronica possa gradire una grappa?”
Veronica ci pensò un po’ su, la testa inclinata e l’aria curiosa: era così totalmente diversa dalla regina snob che era sempre stata che Oleana capitolò e decise che Grimilde era morta. Evviva Veronica!
“Ok, vada per la grappa. Ma con un cubetto di ghiaccio e una scorzetta di lime.”
“Come Sua Maestà ordina. Mentre io vado a prendere la grappa, tu riordini le idee e ti prepari per raccontarmi tutto per filo e per segno, partendo dal tuo primo incontro con Bianchi fino ad arrivare alla patatina di Topo Gigio. Passando naturalmente per il manganello di Tebaldo: su quello voglio una relazione scritta con tanto di grafico a istogramma.”
“Oleana!”
La ragazza uscì ridendo e lasciando Veronica turbata e istericamente divertita. Ma anche con qualcosa di nuovo, una sensazione strana di calore e complicità che non sentiva da svariato tempo e che se non fosse stata tanto smaliziata avrebbe anche potuto scambiare per amicizia.
*          *          *
“Serena! C’è di nuovo il nobilazzo dell’altro giorno alla porta!”
Mentre sua madre strillava in mondovisione, Serena si trovò a non provare nessuna sorpresa: il comportamento di Tebaldo Santandrea della Torre rimaneva sconcertante, ma stava diventando quasi prevedibile. Nel senso, cioè, che Serena pensava a quanto di più assurdo potesse succedere e Tebaldo arrivava circa lì: inquietante, ma anche confortante, dopotutto.
Come la volta precedente, Tebaldo era rimasto educatamente dietro la porta ma il sorriso con cui l’accolse non aveva niente a che fare con la dura tensione che gli aveva deformato il viso la volta scorsa.
“E’ pomeriggio” la salutò con quella sua voce morbida “E lo so, dovevo chiamarti per darti il tempo di preparare il caffè e la torta, ma siccome io da vero principino snob mi nutro solo di torte fatte dal mio pasticcere di fiducia e il caffè che bevo è della miglior miscela arabica importata dal Brasile, ho pensato che fosse meglio non metterti in difficoltà e piombarti qui tra capo e collo.”
“E a mani vuote” sorrise Serena col cuore che batteva a mille “Potevi portare una torta del pasticcere di fiducia. Noi mica ci offendevamo.”
Gli fece cenno di entrare ed entrambi beccarono in flagrante la madre che si volatilizzava in cucina trascinandosi dietro uno straccio e il Vetril con cui aveva dato una sommaria ripulita al salotto.
“Accomodatevi!” strillò la mamma armeggiando ai fornelli “Vi faccio una tazza di tè!”
“Mamma, lascia perdere…”
“… e i biscotti olandesi al burro, quelli nella scatola di ferro! Serena, prendili, sono nella credenza.”
Arrossendo furiosamente, Serena obbedì mentre Tebaldo tratteneva a stento un sorriso malefico sotto i baffi.
“Scusa” mormorò Serena sedendosi sul divano a prudente distanza e posando la scatola di biscotti sul tavolo “Non siamo abituati ad avere ospiti.”
“Ho sentito tua madre che mi chiamava il nobilazzo” rispose Tebaldo con perfida nonchalance “Sono lusingato dall’attenzione. Il tè è molto appropriato, very british.”
“Noblesse oblige” ribatté brevemente Serena “Allora, mylord, qual buon vento ti porta alla mia umile dimora?”
“Sono qui per scusarmi” rispose Tebaldo prontamente “Il comportamento oggi a scuola di Grimilde è stato assolutamente ingiustificabile. Sono costernato. Ti prego di accettare le umili scuse da parte sua.”
Serena normalmente avrebbe accettato a occhi chiusi le plateali scuse di Tebaldo (anche se proprio in virtù dell’essere così pubbliche perdevano metà della loro importanza), ma c’era una cosa che la infastidiva e le pungolava il costato, come una spina fastidiosamente conficcata sottopelle: era qualcosa di sottile e poco evidente, invisibile, appena intuito… ma allo stesso tempo potente, come sentire sotto le suole gli echi di un terremoto in agitazione nel nucleo terrestre. Era qualcosa sfuggito agli occhi, ma recepito da sensori nascosti: era come si erano guardati Tebaldo e Veronica per una frazione di secondo.
“Strano” disse quindi con voce piatta “A me è sembrato che l’idea dell’adotta un plebeo fosse tua.”
Tebaldo si appoggiò con la schiena dritta allo schienale del divano: forse non si aspettava una risposta tanto fredda, pensò Serena, ma tanto meglio se riusciva anche lei a sorprenderlo, una volta ogni tanto.
“La mia era ovviamente solo una provocazione.” specificò compunto.
“Davvero? Anche l’idea di masticare Paolo e centrare la sputacchiera coi suoi resti era solo una provocazione?”
Tebaldo si concesse qualche secondo per fissarla con gli occhi verdognoli ben aperti e l’espressione insondabile: se non fosse arrivata sua madre a portare il vassoio con sopra due tintinnanti tazze di tè, Serena sarebbe probabilmente morta liquefatta sotto quel raggio rovente.
“Senza zucchero per me, grazie” mormorò Tebaldo mentre la mamma di Serena si volatilizzava di nuovo in cucina “Quindi, devo dedurre che non verrai con me?”
Per poco Serena non si rovesciò la bevanda bollente sul maglione: posò la tazza con precauzione sul tavolino prima di rispondere con voce acuta.
“Venire dove?”
“Al ballo. Ti sto invitando ufficialmente.”
Serena deglutì tre volte, travolta da sentimenti diversissimi tra loro. Quello che prevalse alla fine fu la rabbia.
“Direi proprio di no” sentenziò con la voce che vibrava appena “Ma ti ringrazio di aver pensato a me per il ruolo di tirapiedi plebea e adorante. Sono certa che non mancheranno le sostitute.”
Un sorriso divertito incurvò labbra di Tebaldo.
“Dovevo immaginare che ti saresti offesa… scusami, non ho spiegato bene le mie intenzioni: intendevo chiederti di partecipare al ballo come mia dama ufficiale. Ammetto che l’idea di adotta un plebeo abbia avuto una Genesi infelice e offensiva, ma a conti fatti potremmo sfruttarla come un’ottima opportunità per ridere sopra alle nostre differenze e divertirci.”
“Tebaldo, chi vuoi prendere in giro? Noi, voi, le Marie, Paolo, Grimilde… tutti insieme a Villa Scarlini a scambiarci pacche sulle spalle, bere vino e mangiare tarallucci? Dai, non sarebbe possibile nemmeno se succedesse davvero!”
“Per i tarallucci hai ragione… sai, il buffet lo organizza Veronica. Per il resto, perché no?”
“Per un milione di ragioni!”
“Le stesse che tu ripudi pubblicamente, mi è parso. Vuoi davvero dimostrare che si devono azzerare le differenze tra classi sociali? Dimostralo! Questa è o non è un’ottima opportunità?”
Serena scosse la testa confusa: sapeva che Tebaldo voleva convincerla per chissà quali reconditi scopi e benché sentisse in cuor suo che la stava abbindolando, in quel momento con i suoi occhi così vicini e il suo dannato profumo a inondarle le narici, non riusciva a pensare con sufficiente lucidità per controbattere a dovere.
“Non lo so” ammise alla fine riottosa “So solo che sarebbe sbagliato.”
“Sbagliato cosa, partecipare a una festa alla quale parteciperà tutta la scuola? La prima in tanti anni? Dopo secoli di indifferenza e divisione? Ti sembra davvero sbagliato fare qualcosa che ci avvicini e ci accomuni? O forse inizi a capire perché agli altri sembra miracoloso?”
“Ma il tema…”
“Il tema è un pretesto: partecipare dimostrerebbe una buona dose di autoironia e intelligenza. Qualità che tu stessa possiedi in abbondanza più di chiunque altro in quella scuola. Proprio tu mi stai dicendo di no?”
Si era avvicinato, maledetto lui: da così vicino era impossibile non notare quanto il suo viso fosse bizzarramente ammaliante, con quella bocca irresistibile, quelle ciglia nere e lunghe, quella mascella perfettamente sbarbata e liscia…
“I-i-io… devo bere il tè.”
Serena afferrò la tazza e la frappose tra Tebaldo e la sua bocca, trangugiando la bevanda rovente e scottandosi il palato.
“Ahia, caz… insomma, detta così mi fai sentire l’unica scema che… ma sono sicura che se solo potessi pensarci bene io… e poi non ho niente da mettermi.”
Suonava patetico persino alle sue stesse orecchie: gli occhi di Tebaldo scintillavano già di vittoria.
“Potrei farti avere il più bel vestito che tu abbia mai visto” la blandì tornando ad avvicinarsi e obbligandola quasi a spalmarsi contro il bracciolo del divano, la tazza di tè convulsamente stretta tra le dita “E portarti dal parrucchiere. Farti plasmare dal migliore make up del paese. Potresti essere Cenerentola per un giorno, quello più bello. Non l’hai sempre sognato da bambina?”
“No, io giocavo con i Lego.”
La risatina di Tebaldo le fece venire i brividi lungo la schiena.
“Dai, Serena, non farti pregare: io vorrei… io voglio… andare a quella festa con te.”
E lei voleva baciarlo, realizzò Serena molto placidamente, lo voleva così intensamente che si sentiva le membra addormentate dallo sforzo di non cadergli tra le braccia. Fine dei giochi, resa completa: la bianca colomba era stata rapita definitivamente dall’aquila reale e da quei suoi cazzuti occhi ammalianti.
“Perché” non si trattenne dal sospirare “Perché Tebaldo perdi tanto tempo con me?”
Tebaldo inarcò le sopracciglia ma non si allontanò. 
“Perché perdo tempo con te? Perché mi annoio a morte e il fatto che proprio tu, l’esserino più noioso del mondo, sia la cosa meno noiosa della mia vita in questo momento mi riempie di sorpresa e curiosità.”
“Non so se è un insulto o un complimento.”
“Nessuno dei due: è la verità.”
“Quindi sei qui perché ti annoi?”
Tebaldo, quasi sovrappensiero, allungò una mano e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio: dove le sue dita le sfioravano la pelle, Serena si sentì lambire da una scia di fuoco.
“Se ti dico che sono qui per baciarti mi mandi a quel paese, quindi dovrò pure trovare una scusa alternativa.”
Serena fece l’errore di guardargli le labbra: come se fosse stato un segnale di via, il suo inconscio cedette e senza che se lei ne rendesse conto chiuse gli occhi, prese il viso di Tebaldo tra le mani e con molta delicatezza lo baciò. Lui, dopo un attimo di immobilità, rispose al suo bacio con altrettanta lentezza. E benché se ne rendesse conto solo con una parte di sé (il resto chissà dov’era finito…), Serena pensò che non aveva mai baciato niente di altrettanto dolce, succoso e peccaminoso di quelle tremende labbra. Fu Tebaldo a staccarsi da lei, ma lo fece dolcemente: Serena preferì tenere gli occhi ostinatamente chiusi, un po’ per continuare a sognare e un po’ per vergogna.
“Mi era sembrato di capire che non ci tenessi per niente ad essere concupita da me” gorgogliò Tebaldo con voce divertita “Quindi, questo cos’era?”
Serena aprì gli occhi: Tebaldo sorrideva, né perfido né amorevole, tranquillo come se si fossero scambiati una stretta di mano.
“Lo chiedo a te.” rispose quindi immediatamente fingendo un controllo che non possedeva minimamente.
“A me sembrava un bacio.”
“Anche a me.”
“Allora direi che lo era.”
“Ma?”
“Chi ti dice che c’è un ma?”
“Per te non è contato niente.”
“Diciamo che mi hai colto di sorpresa.”
“Quindi, adesso che succede?”
Tebaldo sembrò pensarci seriamente su.
“Vieni alla festa con me?” chiese alla fine, come se fosse una risposta.
In veste di cosa?, avrebbe voluto chiedere Serena: plebea adottata, amica, fidanzata… ma aveva davvero importanza? O l’unica cosa che contava era avere la speranza di poter assaggiare di nuovo quella bocca… ancora e ancora e ancora?
“Verrò” capitolò sottovoce quasi con rabbia “Sapevi che avrei detto di si.”
“Sei proprio un agnellino” sospirò Tebaldo quasi con tristezza “Ma vedrai, farò il bravo con te.”
Si alzò in piedi agilmente e Serena per qualche motivo sentì uno strappo al cuore.
“Te ne vai?”
“L’etichetta me lo impone” sorrise lui ironicamente “Grazie per il tè. Ti farò sapere per il vestito.”
Non gliene importava un fico secco del vestito, constatò Serena: ma qualsiasi cosa andava bene pur di poterlo risentire.
“A presto Tebaldo.”
Lo guardò uscire, chiedendosi dove diavolo avrebbe finito per far scivolare il suo cuore…. Se all’Inferno o in Paradiso. Purtroppo, con Tebaldo di mezzo, le sembrava molto più probabile il primo.
  
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