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Autore: CowgirlSara    14/11/2011    4 recensioni
L’aveva notato subito. Perché spiccava, tra la folla anonima, in cima a quelle zeppe vertiginose. Non che ne avesse bisogno, per attirare l’attenzione.
I suoi espressivi occhi nocciola, resi più grandi dal trucco nero sfumato, erano brillanti e si spostavano veloci sulla superficie colorata del dipinto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7 - Something explodes
Ce l’ho fatta un’altra volta! So che mi ci vuole tanto, ma purtroppo i miei ritmi sono questi al momento, mi dispiace… Ad ogni modo, ecco un altro capitolo.
Temo che sia un po’ slegato tra la prima e la seconda parte, ma sta a voi lettori darmi un giudizio.
Quindi vi lascio alla lettura, ringraziando di tutto cuore chi continua a seguirmi ^_^
Vi adoro!

A presto!
Sara

7. Something explodes

Sometimes I feel so weak I just want to explode
Explode and tear this whole town apart
Take a knife and cut this pain from my heart
Find somebody itching for something to start
(The promised land – Bruce Springsteen)

La stanza fu illuminata improvvisamente dall’accensione di una lampada azzurra. Le lenzuola frusciarono, ma la figura esile di Bill Kaulitz si accartocciò ulteriormente su se stessa, restando ostinatamente di spalle.
“Andiamo, Bill.” Mormorò con delicatezza la voce di Michael, mentre con una mano gli sfiorava appena il braccio. Lui si scostò dal suo tocco.
“Non fare così.” Insisté il pittore, sempre dolcemente. “Non posso credere che stiamo avendo la nostra prima discussione per una stupidaggine del genere…”
“Non è una stupidaggine!” Reagì a quel punto Bill, restando però voltato. “Tu parti e io devo saperlo all’ultimo momento!”
“Mi dispiace, te l’ho detto! Mi ero dimenticato!” Replicò rammaricato Michael. “Anne ha dovuto chiamarmi stamattina per ricordarmi di fare le valigie…”
“E io ho dovuto vedere le valigie per sapere che partivi!” Protestò ancora il cantante.
“Mi rendo conto di aver sbagliato, ma sono fatto così, dimentico le date, le ricorrenze, le feste e i compleanni… Come posso fare a farmi perdonare da te?”
Trascorse qualche attimo di silenzio. I due ragazzi erano vicini, nel letto, potevano sentire il calore della pelle uno dell’altro.
“Credevo avessimo fatto la pace, poco fa.” Osò Michael, allungando di nuovo la mano sul braccio di Bill e facendola scivolare in una leggera carezza.
“Non pensare di comprarmi col sesso.” Ribatté acido l’altro. “È un brutto periodo per me, ne avevo bisogno.”
“Non è bello sapere di essere solo lo scaccia pensieri di Bill Kaulitz…” Affermò serio l’artista.
A quelle parole, Bill si girò un po’ verso di lui, stendendo appena le spalle. Michael lo fissava tranquillo, non arrabbiato o triste.
“Non… non è così.” Mormorò Bill, serio come Michael non lo aveva mai visto. “Non è una storia di solo sesso, sarebbe già finita… Io provo qualcosa per te, sto bene con te.”
Il pittore sorrise e gli carezzò la fronte “Oh, beh, meno male, perché…” Disse poi, prima di piegarsi a baciargli la spalla. “…potrei seriamente innamorarmi di te.”
Bill arricciò le labbra nel palese tentativo di trattenere un sorriso esultante, quindi nascose di nuovo il viso nel cuscino.
“Sei ancora arrabbiato con me?” Sussurrò allora Michael contro la sua pelle.
“Come faccio, se mi dici certe cose?” Sbuffò Bill.
“Dai, voltati e fammi uno dei tuoi meravigliosi sorrisi.” Gli ordinò quindi l’artista, spronandolo a girarsi con una presa dolce. Bill lo accontentò e si baciarono.
“Però sono ancora un po’ incavolato, perché tu parti e io litigherò con Tom!” Sbottò il cantante, sempre avvinghiato al collo del pittore.
“Non è obbligatorio litigare con tuo fratello.” Ribatté Michael.
“Certo che lo è! Quando mi annoio, litigo sempre con Tom!” Dichiarò risoluto Bill.
“Bill, sto via solo fino a venerdì e possiamo sentirci senza problemi…”
“Non mi piace particolarmente il sesso telefonico.” Lo interruppe lui, alzando gli occhi al cielo.
“Non ho mai parlato di sesso telefonico!” Bill alzò allusivamente il sopracciglio. “Oh, ma sei proprio un porcellino!” Aggiunse Michael ridendo. Risero insieme.
“Sai, a parte tutto… spero che la mostra vada bene, davvero.” Ammise Bill, quando si ritrovarono abbracciati a fissare il soffitto.
“Grazie.” Soffiò il pittore, prima di baciargli la tempia. “Ti prometto che quando torno ci prendiamo qualche giorno solo per noi, il fine settimana, ti porto in un posto dove non ci troverà nessuno e potremo girare tutto il giorno nudi e lascivi.”
“Ohhh…” Commentò Bill con un’espressione più che interessata. “Sei un tesoro, mi mancherai.” Aggiunse con sincerità.
“Usiamo bene il tempo che ci resta…” Ribatté Michael, stringendolo a se e baciandogli il collo. Bill rise e quello era il segnale che il divertimento iniziava.

Michael partì la mattina dopo per San Francisco, lo aspettava una mostra personale molto importante che doveva confermarlo uno dei migliori giovani artisti della costa occidentale.
Ma per Bill significò solo l’inizio di una settimana di purgatorio, perché senza Michael era costretto ad una convivenza forzata con suo fratello e la sua trasformazione in un essere grugnante che viveva di birra e tornava ad ore impensabili.

Era una di quelle serate impossibili. A cena, Tom aveva a malapena spiccicato parola, in più c’era stata la pizza gommosa e la Cola calda. Ora Bill era sprofondato sul divano, con intorno almeno tre cani e decine di cuscini.
Tom scese dal piano di sopra, era ben vestito e fresco di doccia: significava che stava per uscire. Al gemello salì subito il nervoso.
“Esci?” Chiese stizzoso.
“Sì.” Si limitò a rispondere l’altro, mentre cercava qualcosa sul mobile dello stereo.
“Devi proprio? Per una sera potresti anche stare con me, ci vediamo un film, lo sai che sono solo in questi giorni…”
“Non ho voglia di fare il sostituto del tuo artista del culo.” Replicò secco Tom, mettendosi in tasca le chiavi della macchina.
Quelle parole sottolineate, però, fecero balzare la mosca al naso di Bill, che si raddrizzò di scatto sul divano, facendo scappare i cani accucciati accanto a lui.
“Sei una bestia, Tom!” Sbottò, mentre sbatteva la rivista che aveva in grembo sul tavolino. “Non hai rispetto per niente e odio quando hai questi tuoi periodi birra e fica!”
“Senti, sono più che maggiorenne e faccio quello che cazzo mi pare!” Esclamò Tom, avvicinandosi minacciosamente al divano.
“Non credere di farmi paura!” Ribatté Bill, alzandosi in tutta la sua altezza. “Sei uno stronzo, un vigliacco, non ammetti nemmeno di stare male a causa di Eve!”
“Non parlare di lei!” Ringhiò Tom.
“Ne parlo eccome!” Dichiarò l’altro, gesticolando. “Non hai avuto il coraggio di riprovare a parlarle e, quelle rare volte che sei a casa e vagamente sobrio, non fai che ascoltare quelle canzoni tristissime dei cd che lei ha lasciato qui!”
“Non hai nessun diritto di dirmi cosa devo fare!” Gli urlò in faccia il fratello. “Neanche tu, gran guru del cazzo, hai fatto un bel niente per aiutarmi! Ti sei rifugiato nella tua storiella d’amore, a farti consolare da Michael, mentre io stavo male!”
Le ultime parole di Tom scossero Bill. Perse subito l’atteggiamento bellicoso e abbassò le braccia, sospirando. Parlare o tenere tutto per se? Ma sapeva di essere incapace di mentire a Tom.
“Sono stato da lei.” Mormorò, dopo aver abbassato gli occhi. “Ho provato a parlarci, ma…”
“Cosa?” Soffiò rabbioso Tom.
Si ritrovarono a guardarsi negli occhi. Lo sguardo timoroso e quasi colpevole di Bill, in quello feroce e offeso di Tom. Il chitarrista non riusciva a credere che suo fratello avesse fatto una cosa del genere senza dirglielo e senza consultarlo. Era un suo affare personale!
“Vaffanculo.” Sputò infine, prima di girare i tacchi e avviarsi verso l’uscita di casa. Bill sospirò, si morse il labbro inferiore e si lasciò cadere sul divano, mentre la porta sbatteva.

Non passarono nemmeno cinque minuti che il cellulare di Bill si mise a squillare. Sperando che fosse Tom, il ragazzo lo afferrò di scatto, ma visto il nome sul display tornò mogio.
“Ciao, Naty…” Rispose mesto.
“Ciao piccolino!” Replicò la voce allegra di Natalie, ma poi fece una pausa. “Come mai questa voce moscia?” Gli chiese quindi.
“Hm, niente… Ho litigato con Tom…” Mormorò Bill, vago.
“Oh, e per quale motivo?” Domandò tranquilla la truccatrice.
Bill sbuffò, non aveva molta voglia di parlare di quella storia, tenuti in considerazione anche i rapporti di Natalie con Tom, ma soprattutto con Eve. Però parlarne con qualcuno era sempre meglio che starsene zitto a litigare col proprio cervello.
“È una storia lunga, ma… insomma, Eve si è licenziata.” Spiegò infine, molto succinto.
“Ah.” Fu la prima risposta di Natalie.
Seguì un lungo momento di silenzio, in cui Bill fu tentato di urlare nella cornetta per sapere se la sua amica era ancora in linea, ma alla fine Natalie tornò a parlare.
“Non stare lì a tormentarti, non poteva durare, quella ragazza era troppo diversa da voi, con tutte quelle sue idee bislacche, è ovvio che non abbia retto.” Sentenziò la truccatrice.
“Perché ne parli al passato? Guarda che è viva ed è una mia amica.” Replicò Bill con la fronte aggrottata.
“Sì, Bill, perché tu sei così buono e dolce e ti affezioni alle persone, ma i tuoi veri amici sono altri.” Ribatté Natalie, non conscia che il nervoso di Bill stava tornando a livelli di guardia, dopo il litigio con Tom. “Chi ti vuole veramente bene…”
“Smettila!” La interruppe lui, sobbalzando sul divano.
“Stavo solo cercando di dirti…” Tentò lei.
“Di dirmi cosa? Che sei la mia sola vera amica? L’unica che mi vuole davvero bene?” L’argine orami era rotto. “Ma se non vedevi l’ora che Eve si togliesse dai piedi, ti è sempre stata sulle palle e non provare a negarlo! Ora sono di nuovo tutto per te, sei contenta?!”
“Bill, sei fuori di te.” Affermò sostenuta Natalie.  
“Sei lì che gongoli, perché ora puoi dimostrare che posso fidarmi solo di te!” Continuò lui, ignorando le sue parole.
“Certo che è così!” Sbottò la donna. “Io te lo avevo detto e come sempre finisce che ho ragione! Ti sei fidato di qualcuno che non lo meritava… Anzi, vi siete fidati ed ora avete il cuore in pezzi!”
“Non ho voglia di stare ad ascoltare le tue lezioncine…” Commentò acido il ragazzo, mentre si accendeva nervosamente l’ennesima sigaretta.
“No, infatti, non mi sembri dell’umore di ascoltare niente stasera.” Rispose sgarbata Natalie. “Forse è meglio se te ne vai a letto.”
“Faccio quello che mi pare!” Esclamò lui. “Nemmeno mia madre mi ha mai mandato a letto!”
“Forse avrebbe dovuto farlo di più.” Pontificò la truccatrice.
“Vaffanculo, Naty!”
“Buonanotte, Bill!”
Ed entrambi chiusero la chiamata praticamente all’unisono. Bill, quindi, gettò il cellulare sul tavolino davanti a se e si lasciò andare contro la spalliera sospirando. Che serata di merda!

Pochi istanti dopo un basso ringhio nervoso annunciò il balzo di Bill dal divano. Quando attraversò il salotto a passo di carica, i cani si rifugiarono nelle loro cucce, evitando accuratamente d’intralciarlo. Lui, pantaloni del pigiama e piedi nudi, si diresse deciso verso la dispensa.
Entrò nella stanza adiacente alla cucina mentre sopra di lui il neon si accendeva con un riverbero freddo. Davanti al ragazzo scaffali ricolmi di ogni tipo di cibo secco: biscotti, snack, merendine – che Eve odiava – cereali e patatine, ma il suo obiettivo era un altro. Raggiunse il fondo della stanza rettangolare e vide l’oggetto bianco laccato che voleva raggiungere.
Bill si fermò davanti al freezer con gli occhi rilucenti di una brillantezza malvagia. Niente lo avrebbe fermato. Spalancò il coperchio e cominciò sistematicamente a togliere i pacchi di surgelati che lo separavano dall’agognato premio.
“Ah, lo sapevo!” Esclamò infine, trionfante, con ancora una scatola di piselli in mano. “Sapevo che quella stronza me lo aveva nascosto!”
Afferrò vittorioso la grossa vaschetta di gelato sollevandola con entrambe le mani. Intorno a lui un cimitero di verdure e crostacei che cominciavano già ad essere aggrediti dalla temperatura dell’ambiente. Ributtò dentro completamente a caso quel che aveva tolto e tornò in cucina.
Aprì il cassetto degli utensili e prese una grossa spatola da servizio, decidendo che avrebbe mangiato il gelato con quella.
“Alla faccia di tutte le donne stronze di cui sono circondato!” Proclamò marziale, prima di tornarsene sul divano.

Meno di un’ora dopo il gelato era quasi finito e Bill piangeva a dirotto davanti ad un film romantico e triste a livelli diabetici che andava sul megaschermo. Il telefono squillò e lui rispose tirando su col naso, non guardò il display: stava cercando la scatola dei kleenex.
“Pronto.” Mormorò liquido.
“Bill, stai piangendo?” Domandò una nota voce preoccupata.
“Michael!” Esclamò il cantante. “Oddio, quanto mi manchi!” Aggiunse melodrammatico.
“Mi manchi anche tu, dolcezza, ma non c’è bisogno di piangere!” Replicò allegramente l’artista.
“È colpa di questo film di merda!” Sberciò Bill, gettando via la scatola vuota dei fazzoletti. “Ed ho litigato con Tom…” Sussurrò poi.
“Bill…” Soffiò Michael, con tono di rimprovero.
“Lo so! Lo so, ti avevo promesso che non ci avrei litigato!” Squittì l’altro. “Ma è stata colpa sua, mi ha provocato, ha detto cose orrende su me e te e mi ha fatto incazzare tantissimo!”
“Lui sta male, Bill.” Replicò calmo il pittore.
“Anche io!” Ribatté subito lui. “Te l’avevo detto che finiva così.” Aggiunse piagnucolante.
“Sei testone, però.” Lo rimproverò ancora Michael.
“È una serata di merda, ormai! Ho litigato anche con Natalie e con il frigorifero!” Dichiarò arreso Bill, ma sempre con la sua verve.
“Con il frigorifero?” Chiese perplesso Michael, con una certa ilarità nella voce.
“Quella stronza di Eve mi aveva nascosto il gelato, ho dovuto scavare nel freezer!” Rispose il cantante. Il pittore scoppiò a ridere. “Cosa c’è di divertente?” Fece Bill con tono offeso.
“Tu non ti rendi conto di quanto sei buffo!” Esclamò Michael.
“Non c’è proprio niente da ridere, è una tragedia!” Affermò indignato l’altro. “E tu sei a centinaia di chilometri con tua moglie!”
“Non sarai geloso?” Domandò l’artista con maliziosa curiosità.
“Io?!” Ribatté immediato il cantante. “Scommetto che lei non ti ha mai fatto quello che ti faccio io…” Aggiunse sensuale.
“Non puoi saperlo.” Gli ricordò Michael, con tono ilare.
“Non voglio!” Esclamò Bill, facendolo ridere. “Cambiamo argomento…” Propose poi. “Deve sei? Sei solo?” Chiese morbido.
“Sì, sono in camera mia, ho appena fatto la doccia…” Rispose l’altro.
“Ahhh…” Soggiunse interessato Bill. “E cosa hai addosso?”
“L’accappatoio… Perché?”
“Adoro gli accappatoi degli alberghi, sono lascivi.” Affermò il cantante, ignorando la domanda. “Specie se la pelle sotto è ancora umida e calda…”
Il tono con cui pronunciò le ultime parole avrebbe potuto squagliare tutti gli iceberg della Groenlandia. Michael sentì il calore avvampargli il viso e anche parti più basse…
“Vorrei essere lì, salire sopra di te e cominciare ad aprirti piano l’accappatoio…” Continuò Bill, con voce roca e suadente.
“Voglio sperare che tu non abbia addosso niente.” Lo incentivò Michael, cui cominciava a piacere il gioco. Lui ridacchiò pestifero.
“Forse… O forse sono completamente vestito, magari di pelle, per farti soffrire di più.” Infierì il cantante, con lussuriosa cattiveria.
“Sei crudele!” Proclamò il pittore, con una risatina liquida.
“E tu, come sei?” Gli domandò l’altro in un soffio sensuale.
“Eccitato.”
“E’ proprio quello che volevo.” Dichiarò soddisfatto Bill. “Vediamo di finire questa serata meglio di come è cominciata…”

******

Michael era finalmente tornato a Los Angeles. Appena sceso dall’aereo aveva chiamato Bill e meno di un’ora dopo sarebbero stati insieme; nessun ritorno avrebbe potuto essere migliore.
Infilò con la macchina il vialetto che conduceva a casa sua, era già sera ma non ancora buio. Il cancello era aperto ma lui rallentò lo stesso; ricordava che il dispositivo elettrico per l’apertura e la telecamera avrebbero dovuto essere installati mentre lui mancava. Non era stupito di trovare aperto, del resto non ci sarebbe stato modo di avere il telecomando prima di tornare, però era del tutto certo che Anne gli avesse detto che avrebbe trovato la telecamera montata, ma non ne vedeva traccia.
Afferrò il cellulare e richiamò il numero della propria manager, mentre andava a parcheggiare sotto la tettoia. Il lampione ad ombrello era già acceso.
“Dimmi, tesoro!” Rispose allegra Anne.
“Annie, mi sbaglio o dovevano montare la telecamera del cancello ieri?” Le chiese sbrigativo Michael; aveva fretta di andare a prepararsi per Bill.
“Sì, perché, non lo hanno fatto?” Rispose la donna.
“A quanto pare no.” Replicò lui, mentre cercava le chiavi di casa nella sua grande borsa.
“Senti, qui a casa non ho il numero del direttore dei lavori, ma domattina appena arrivo in ufficio lo chiamo subito.” Affermò Anne. “Per stasera stai tranquillo, basta che chiudi il cancello a mano.”
“Beh… Non posso farlo, aspetto Bill.” Ribatté Michael, titubante ma chiaramente felice.
“Ohhh… Allora lascia aperto e divertiti!” Esclamò subito lei.
“Va bene, ma domattina fammi sapere.”
“Ok, chiamo subito e poi t’informo.” Gli assicurò la donna. “Ah… Mi fa piacere che non sei da solo.” Aggiunse dolcemente.
“Sei un tesoro, ti amo.” Le rispose il pittore.
“Ti amo anch’io, a domani!” Lo salutò Anne, dall’altro capo del telefono.
Chiusa la telefonata, Michael era ormai nell’ingresso, davanti alla porta di vetri colorati. Posò il borsone a terra ed aprì. Una volta dentro ripose il cellulare in tasca, accese le luci e si diresse verso la cucina.
Arrivato a metà strada, però, qualcosa attirò la sua attenzione. Deviò il percorso, avvicinandosi al ritratto di Bill. Aveva lavorato al dipinto prima di partire ed era abbastanza avanti col lavoro. Non vedeva l’ora di finirlo e regalarlo al cantante.
La grande tela era posizionata alla sua sinistra. La raggiunse e si fermò davanti, con un’espressione sorpresa e incredula. All’altezza del viso di Bill la tela era rotta e squarciata in più punti ed il tessuto ciondolava sfilacciato.
Michael, con un sospiro triste, allungò la mano e cercò di sollevare il lembo su cui era dipinto uno degli occhi. Dio, ma che diavolo era successo?
“Il tuo piccolo Bill ha avuto una brutta serata.” Affermò una voce alle sue spalle. Michael si girò di scatto, trovandosi davanti un volto ben conosciuto.
“Johnathan… Che diavolo ci fai qui?” Domandò sconvolto.

L’altro fece un paio di passi di lato, mettendosi quasi davanti al pittore, poi si grattò il mento e tornò a fronteggiarlo. Sembrava del tutto tranquillo.
“Negli ultimi quattro giorni ho vissuto qui.” Dichiarò, come se fosse normale, allargando le braccia. “Il tuo letto è sempre molto comodo.” Aggiunse, stavolta fissando Michael negli occhi.
Il pittore sentì il proprio cuore accelerare i battiti ed il respiro farsi più difficoltoso. La freddezza del suo interlocutore lo stava allarmando.
Johnathan, nel frattempo, si era avvicinato al quadro e anche a lui, ma la sua attenzione sembrava rivolta al dipinto. Osservava attento il danno.
“Non credi che stia meglio così?” Domandò quindi, prima di tornare a guardare Michael. “Il suo viso è troppo perfetto…”
“Johnathan, ti… ti sei stabilito qui?” Chiese Michael, dopo aver deglutito.
“Oh, sì.” Annuì l’altro, cominciando a camminare piano, praticamente intorno all’artista. “Del resto, ho praticamente vissuto qui per due anni.”
“Come hai fatto a…”
“Oh, quanto sei ingenuo!” Esclamò il ragazzo, interrompendolo, poi lo trapassò con uno sguardo di ghiaccio. “Ti avevo detto che avrei potuto avere una copia delle chiavi, avresti dovuto cambiare le serrature, Mickey caro.” Michael, sempre più intimorito, fece un passo indietro, urtando il tavolino dei colori. “È stato anche piuttosto facile convincere gli operai che non c’era la tua autorizzazione al montaggio della telecamera e dell’allarme, del resto… so tutto di te.”
“Si può sapere che cosa vuoi da me?” Si decise a chiedere infine l’artista, mentre continuava a fissare attento ogni mossa di Johnathan.
“Non voglio niente da te, Michael.” Rispose tranquillissimo l’altro. “Io voglio te.”
“Pensavo di essere stato chiaro, ma a quanto pare…” Tentò il pittore, sempre controllando la situazione.
“Tu non hai capito niente, Michael!” Sbottò Johnathan. “Io ti amo! Amo te e la tua arte, comprendo la tua anima!” Continuò toccandosi con forza il petto. “Ti ho dedicato due anni della mia vita! Ti ho aiutato, ti sono stato vicino, ti ho servito, ti ho dato letteralmente il culo!” La sua veemenza andava aumentando, poi prese un altro lembo del quadro e lo strappò fin quasi alla base. “Ed è bastato che arrivasse il piccolo Bill, con i suoi occhioni ed il suo sederino sculettante e tu… Tu mi hai buttato via, Michael!”
“Io sono stato sincero fin da subito con te, non ho mai approfittato…”
“Stai zitto!” Gli ordinò lui, puntandogli contro il dito. “Cosa ha lui più di me? È anche tedesco, Michael, e tu sei ebreo.”
“Johnathan, per favore…” Provò ancora una volta il pittore.
Michael era abbastanza intelligente e ne aveva passate abbastanza, da capire che la situazione si stava facendo preoccupante. Farlo ragionare sembrava fuori discussione; forse, se fosse riuscito ad allontanarsi abbastanza, avrebbe potuto chiamare qualcuno.
“No, Michael! Noi siamo fatti per stare insieme.” Riprese Johnathan, con atteggiamento sempre più minaccioso. “Lui non è nessuno, Mickey. Nient’altro che una faccetta carina da mettere sopra un disco, una macchinetta per fare soldi, il pupazzo di una casa discografica, non sa nemmeno cantare… Lui non sa che cosa sia l’arte come la viviamo noi due…”
“Johnathan, ti giuro che hai tutta la mia gratitudine per quello che hai fatto per me.” Michael riuscì finalmente ad intervenire. “Ma non ti ho mai detto che ti amavo, non ti ho mai promesso niente, chiesto niente, non avevo idea che tu potessi reagire in questo modo…”
“E se lo avessi saputo, cosa avresti fatto?” L’interrogò l’altro, con lo sguardo duro di una maestra cattiva, però non aspettò la risposta e tornò a guardare il quadro. “Due anni insieme e non mi hai mai fatto un ritratto, nemmeno uno schizzo, mentre lui si merita questo… Cos’è, gratitudine per un sesso fantastico, ce l’ha così speciale?”
“Bill è… una persona meravigliosa…” Mormorò Michael.
Johnathan si girò verso di lui con uno sguardo glaciale, poi tirò fuori dalla tasca qualcosa che si rivelò essere un coltello a serramanico. Gli occhi di Michael si sgranarono ed il cuore gli esplose in petto. Il pericolo, ora, era reale.
“Risposta sbagliata, Michael.” Sibilò il suo interlocutore.
“Non fare sciocchezze, Johnathan.” Lo supplicò il pittore, con gli occhi sul coltello. “In questo momento non stai bene.” Aggiunse, facendo qualche passo indietro, mentre cercava di prendere il telefono dalla tasca. “Forse è meglio se ne parliamo con calma, domani… Ci vediamo, pranziamo insieme…” Continuò, premendo il tasto di sblocco del cellulare. “Non mi sembri nelle condizioni di ragionarci con lucidità e potresti pentirti…”
“Che stai facendo, Michael?” Chiese però lui, ignorando il suo discorso. “Stai provando a chiamare la polizia? Eh?” Il pittore non abbassò gli occhi sul telefono, ma le mani gli tremavano. “Dammi quel cellulare.”
Michael strinse la presa e decise per l’unica via che gli sembrava giusta: scappare. Diede le spalle a Johnathan e corse verso l’uscita.
Il ragazzo, con un grido, lo inseguì. Michael non fece in tempo ad aprire la porta a vetri: un colpo ce lo spinse contro, spaccando alcuni frammenti colorati. Quella non era più solo una discussione.

Bill non era esattamente di buon umore, mentre percorreva la strada che lo avrebbe portato da Michael. Prima di uscire aveva di nuovo discusso con Tom e quindi non vedeva l’ora di passare la serata con il pittore, senza pensieri.
Parcheggiò la macchina accanto alla sua; il giardino era buio, non fosse stato per il lampione ad ombrello. Bill raggiunse l’entrata quasi saltellando.
Fece per suonare il campanello, ma si accorse che la porta di metallo era leggermente scostata. Sorrise tra se, forse Michael lo aspettava.
Entrò e si accorse subito che oltre la porta a vetri non c’erano luci accese. Non amava particolarmente le sorprese, ma la cosa poteva diventare stimolante. Alzò il sopracciglio maliziosamente e superò il passaggio. Solo il riflesso azzurrino della luna attraverso il lucernario rischiarava il grande spazio di fronte a lui.
Appena entrato calpestò qualcosa che scricchiolò sotto la suola della sua scarpa. Era un pezzo di vetro. Vetro verde caduto dall’intelaiatura della porta. Bill lo fissò perplesso.
“Michael.” Chiamò allora, nessuna risposta. “Andiamo, Michael, non mi piacciono le sorprese!” Insisté, facendo qualche passo dentro lo studio e calpestando altro vetro.
Bill si guardò intorno preoccupato, poi si ricordò che gli interruttori della luce erano sulla parete alla destra della porta. Si avvicinò fiducioso ma quando alzò le alette nessuna luce si accese. Riprovò un paio di volte, ma non successe niente. Sospirò scoraggiato.
“Michael!” Chiamò ancora. “Non mi sto divertendo per niente!” La sua voce suonava stridula.
Si avviò lungo il corridoio tra le grandi tele, accorgendosi ben presto di uno strano disordine, diverso dal solito caos creativo di Michael. Ma fu quando si trovò davanti il suo ritratto strappato che Bill rimase pietrificato. Era chiaro, ormai, che fosse successo qualcosa. Si guardò di nuovo intorno, smarrito. Dov’era Michael?
“Michael, rispondimi! Sto cominciando ad avere paura!” Esclamò con tono tremante.
“Credo che dovresti.” Gli rispose una voce.
Bill si voltò velocemente e spalancò gli occhi. Qualche metro davanti a se vide Johnathan, lo sguardo gelido, la maglietta sporca di… Oddio, sembrava sangue!
“Ciao, Bill.” Mormorò il ragazzo, con espressione impassibile. La sua freddezza, però, nascondeva una minaccia che Bill aveva intuito immediatamente.
Il cantante aveva imparato presto a riconoscere il pericolo, a sfidarlo, a combattere. Non perse la calma, sapeva bene che per sopravvivere bisogna lottare. Senza perdere tempo afferrò con tutta la forza la grande tela che aveva di fianco e la fece cadere addosso a Johnathan, che, colto di sorpresa, crollò a terra travolgendo alcuni cavalletti ed il tavolino coi colori.
Bill corse via. Doveva trovare Michael, chiamare la polizia, scappare…
Si rifugiò in cucina, dove il tavolo e le sedie erano rovesciati; si appoggiò al muro di cubi di vetro, quando sentì movimento nella stanza affianco. Alzò gli occhi, per guardarsi intorno, alla ricerca di Michael, ma non c’era nessuna traccia, tranne l’impronta scura di una mano sul muro bianco che portava alle scale. Dio… Dio… era sangue… era sicuramente sangue…
“Piccolo Bill, dove sei?” Chiamava nel frattempo la voce inquietante di Johnathan. “Ti nascondi da bravo coniglio, vero?”
Bill respirava profondamente, il cuore impazzito di paura e preoccupazione per la sorte di Michael, la testa appoggiata contro il vetro freddo della parete.
“Vieni fuori, Bill, tanto ti trovo…” Minacciò ancora il suo inseguitore, mentre entrava in cucina.
Bill lo vide bene, grazie alla luce proveniente dalla finestra che stava proprio davanti alla porta. Abbassò gli occhi e individuò il bricco di vetro della caffettiera, gli bastava allungare un braccio per prenderlo. Lo fece. Non aspettò che Johnathan si voltasse e lo vedesse: si lanciò contro di lui e lo colpì alla base del collo.
L’avversario, però, non crollò come lui aveva pensato. La scena sarebbe stata comica, senza tutto quel sangue, il coltello e le minacce.
Ci fu un attimo al rallentatore. John alzò gli occhi su di lui, lo fissò freddamente. Bill esitò un secondo, poi si scansò di lato e scattò verso le scale. L’altro gli fu subito dietro.
“Michael!” Chiamò disperatamente il cantante.
“Vieni qui, piccolo bastardo!” Urlò John, acchiappandolo per una gamba; poi gli sferrò un fendente col coltello al fianco sinistro.
Bill gridò e cadde, imprecando in tedesco. Si girò tenendosi la ferita, che bruciava come il fuoco.
“Ti diverti a farmi perdere tempo, eh?” Fece Johnathan, mentre lo sovrastava, in piedi col coltello in mano. “Dì la verità, non è divertente come quando giochi con Mickey all’ufficiale nazista che fotte lo schiavetto ebreo, vero?” Affermò poi, con un sorriso crudele.
Fick dich.” Sibilò Bill fissandolo negli occhi con espressione di sfida.
“Gli piace quando dai ordini in quella tua lingua di merda?” Continuò Johnathan, sempre più minaccioso. “O preferisce quando gli dai il culo?”
“Stronzo.” Sputò il ragazzo, senza abbassare gli occhi. Se fosse morto stanotte, l’avrebbe fatto senza chinare la testa.
“Abbastanza.” Replicò lui con un ghigno crudele. “Quindi adesso penso a te.” Aggiunse, mentre alzava la mano in cui teneva il coltello.
“Bill!” Gridò però una voce, poi qualcosa o qualcuno travolse Johnathan, togliendoglielo di sopra.
Bill si sollevò e seguì con gli occhi Michael e Johnathan che lottavano sulle scale. Il pittore sembrava avere la peggio, probabilmente era ferito.
Il cantante si alzò, nonostante il dolore e, quando fu in piedi, si accorse che non era poi così terribile. E doveva aiutare Michael.
“Lascialo stare!” Esclamò, gettandosi sui due.
Un colpo, però, lo prese alla tempia, gettandolo contro la ringhiera delle scale. Sbatté la testa sul corrimano e crollò di lato. La sua coscienza svanì sotto un velo nero.

CONTINUA

Note:
magari non ve ne frega niente e perdo solo tempo, ma alle canzoni che uso ci tengo e quindi, ecco a voi al solita traduzione:
A volte mi sento così fragile che vorrei solo esplodere
Esplodere e fare a pezzi quest'intera città
Prendere un coltello e tagliare questo dolore dal mio cuore
Trovare qualcuno che abbia voglia di cominciare qualcosa

Naturalmente non me ne viene niente e la canzone appartiene solo al genio di Bruce Springsteen.
   
 
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