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Autore: Hiromi    15/11/2011    6 recensioni
"Tesoro, è finita l'era dell'anti-innocenza: qui le persone girano come trottole ventiquattr'ore al giorno per lavorare, studiare, e per fare sesso - hai capito bene: Sesso! - Cupido è volato via dal condominio sdegnato e il principe azzurro per la disperazione è diventato gay!"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Mao, Mariam
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Do not trust, so I cannot love
(can't no man be trusted)
And I would not dare to open up
Tell me what do they see when they look at me
Do they see my many personalities

 

Split Personality – Pink

 

*******************

 

 Se vi era una cosa che detestava, era aspettare. Se si parlava di aspettare qualcuno che ritardava apposta, allora la cosa la mandava in bestia.

 

Voleva bene a suo fratello, gliene aveva sempre voluto, ma quando accadevano cose del genere lo avrebbe volentieri preso a calci. Non esisteva che le desse appuntamento perché ‘doveva assolutamente parlarle’ e dopo venti minuti lei era ancora lì ad aspettare i suoi comodi. Aveva sempre sostenuto che il ritardo fosse una cafonata ogni oltre misura. Che diavolo ci voleva ad organizzarsi e arrivare per tempo?

 

“Dalla tua faccia suppongo tu stia pensando a quaranta modi diversi per farmi fuori.”

 

“Cento, in realtà.”

 

Il ragazzo ghignò, portandosi davanti a lei in modo che lo vedesse bene. “Rilassati Mary. Da vecchia ti verranno le rughe, lo sai?”

 

“Non chiamarmi così, Jesse.” Borbottò, incupendosi.

 

Lui fece un sorrisone. “Oh, è vero, devo chiamarti Mari, pardon.” Al viso rigido di lei mise le mani avanti, capendo di aver esagerato. “Era una battuta, relax.”

 

La mora sospirò lentamente, ricordandosi di quanto, una volta cresciuto, il fratello avesse mostrato un carattere spigliato e scanzonato, tutto il contrario di quand’era piccolo. “Allora, cosa c’è di così urgente?”

 

“Il tuo compleanno.”

 

Per poco Mariam non cadde all’indietro; fissò il fratello sbuffando, seccata. “Che è tra un sacco di tempo?”

 

“Solo due settimane, in realtà.” Si difese quello. “E poi non sei sempre tu a dire che bisogna organizzarsi per tempo? Noi della squadra volevamo farti un regalo-”

 

“Niente regali, odio il mio compleanno.”

 

“Odi anche un biglietto della prima dell’Olandese Volante al Metropolitan Opera?” vedendo la faccia di lei cambiare, sogghignò. “E’ un peccato, sai? L’opera di Wagner che desideravi tanto vedere… Rappresentato nel teatro più grande del mondo…” cinguettò prendendola in giro.

 

Mariam arrossì, incrociando le braccia. “Ho capito, ho capito.” Borbottò. “Beh… Grazie.” Sussurrò, facendo una smorfia.

 

“Ovviamente ne abbiamo presi due. Sai che detesto l’opera, ma dato che ultimamente per parlare un po’ con te uno deve fingere la catastrofe…”

 

A quelle parole un senso di colpa ogni oltre misura le artigliò le viscere, facendola arrossire: sapeva che, dato il periodo particolare che stava passando, aveva allontanato tutti eccetto le sue amiche, e sapeva anche quanto probabilmente tutto quello stesse spaesando il fratello, abituato ad averla sempre accanto. “I-Io… Sono contenta che tu venga.”

 

Capendo quanto quelle parole suonassero da scuse, Jesse decise di non pungolarla ulteriormente. “Beh, allora sono contento che ti piaccia il regalo. Se non fosse stato per Max non avremmo saputo che diavolo regalarti.”

Un nome, solo un nome che bastò a farla irrigidire ogni oltre misura. Non disse niente, ma i suoi lineamenti contratti parlavano per lei.

“Devi parlargli, lo sai.”

 

Inarcò freddamente un sopracciglio, mostrandosi sostenuta e rigida. “Credevo lo odiassi.”

 

Il ragazzo scrollò le spalle con noncuranza, assumendo un’aria pensosa. “Penso solo che la mia sorellona sia troppo bella per lui.” Al suo viso scettico scoppiò a ridere. “Ehi, è vero! E poi, se lo vuoi sapere, una chiacchierata tra uomini è stato quello che ci è voluto per capire tutto.”

 

“Buon per te. Io adesso vado, ricordati la clava, uomo.”

 

Sbuffò sonoramente, facendosi lanciare un’occhiataccia dalla sorella. “Ti dico solo di ascoltarlo. Poi potrai mandarlo a quel paese, ucciderlo, fare quello che vuoi. Ma sfuggire ogni volta non è la soluzione.”

 

“Perché dovrei farlo?” sibilò, gli occhi ridotti a due fessure.

 

“Perché vi amate ancora e non è finita tra voi. Nonostante i tuoi dubbi e il tuo astio, lo sai pure tu.”

 

 

 

 

 

Tra i suoi numerosi hobbies c’era senza dubbio il farsi bella: adorava truccarsi, specchiarsi, esaminarsi allo specchio e notare quello che non andava per poi essere più sensuale.

Vedere la sua immagine riflessa allo specchio, rifinirsi le sopracciglia, passare il fondotinta e disegnare il contorno delle sue labbra piene con un gloss era un must. Ombretto, eyeliner, mascara… Tutto quello che ci voleva.

 

Nella vita le era capitato di tutto; vivendo in una famiglia dalle tradizioni circensi non aveva pregiudizi ed era stata abituata a vedere il mondo nella sua totalità. Da quando poi aveva iniziato a fare la blader insieme a suo fratello, i suoi orizzonti si erano allargati ancor di più, facendole conoscere nazioni, gente, tradizioni, modi di vivere.

Ma non avrebbe mai immaginato che si sarebbe ridotta ad arricciarsi l’intera massa di capelli per una stupida litigata su un menage a trois.

 

 

Quando realizzò l’ultimo boccolo staccò la presa dell’arricciacapelli, mettendolo a raffreddare e stando attenta a porlo in un punto strategico in cui Freddie non potesse arrivare, dopodiché prese ad osservarsi: aveva sempre avuto bei capelli ramati come suo fratello; certo, erano spesso stati bistrattati, tinti ed acconciati nelle maniere più improbabili, ma avevano resistito.

Era passata dal periodo rosa a quello blu – come Picasso! – al periodo verde, fino a quando non se li era tinti metà biondi e metà castani (“Una vera porcata!” aveva commentato Hilary a suo tempo) poi aveva conosciuto Javier, e le aveva detto che stava bene esattamente com’era: capelli rosso mogano ed efelidi sulle gote.

 

Per non parlare di qualcuno che, in quanto a capelli era proprio infuocato, peccato non si potesse dire lo stesso del suo carattere.

 

Si voltò con la lacca a mezz’aria quando sentì dei passi sul pianerottolo e un rumore di chiavi. Freddie alzò il musetto di scatto e corse verso tutt’altra direzione, abbaiando; lei mollò lì l’occorrente sapendo bene chi fosse visto che il cucciolo faceva così, e quando aprì la porta facendo capolino con la testa, mettere le mani sui fianchi le venne spontaneo.

“¡Hola chica!”

 

La giapponese si voltò verso di lei, ma non appena il cucciolo le zompettò addosso, reclamando la sua dose di attenzioni, non poté far altro che sorridere. “Mao è dentro, per caso?”

 

La domanda la stranì. “¿Porqué?”

 

La castana sorrise per tutta risposta, passandosi una mano tra i capelli con gesto stanco. “Vieni tu da me, così posso fumare una sigaretta.” Rispose, conducendo Freddie dentro. Julia inarcò le sopracciglia, decidendo di rimandare di qualche secondo le domande, e di entrare un istante nel suo appartamento giusto il tempo per prendere la copia delle sue chiavi.

“Ti stanno bene i capelli così arricciati.” Quando entrò nell’altro appartamento, Hilary aveva già aperto le finestre, preso posacenere e sigaretta.

 

Creo qué la cosa qué-” si morse le labbra, sforzandosi di pensare correttamente a dei sinonimi nella lingua inglese. “Credo che il tuo slogan sugli uomini non sia falso.” Disse qualche secondo dopo, sedendosi accanto a lei sul divanetto.

 

Hilary si accese una sigaretta, fissando l’amica con sguardo curioso. “Intendi il mio dire sempre che i maschi sono idioti?”

 

“Sì. Tu tienes… Hai ragione.” Si corresse.

 

La giapponese accavallò le gambe. “Cambiando argomento un attimo, come mai tutto questo inglese? Se ti è complicato parliamo direttamente spagnolo, non ci sono problemi, lo sai.”

 

Julia scosse energicamente la testa. “No, no. Parlo troppo en esp-” si morse la lingua. “…In spagnolo. Sono io qué devo imparare el ingles, e non le persone a dover imparare la mia lingua.”

 

Hilary annuì, assolutamente sorpresa, chiedendosi che cosa e soprattutto chi ci fosse dietro il cambiamento della sua amica, ma pensò che comunque si sarebbe scoperto. “Senti, non è che Mao ti ha mandato un sms o qualcosa del genere?”

 

L’altra aggrottò le sopracciglia. “No, nada. Qual é il problema?”

 

“Guarda lascia perdere: ho litigato con lei e con Kai. È stata una giornata di merda.”

 

La madrilena si accigliò. “Come fate ad aver litigato, tu e Mao? Da quando uscite con quei due fighi non siete più unite?”

 

Mentre pensava, Hilary fissò lo sguardo su Freddie che si era addormentato sulla poltrona e Julia ne approfittò per alzarsi e prendere qualcosa da bere nel frigo. “Credo di avere esagerato io. La provocavo sul fatto che Kurt non è la soluzione ideale per dimenticare Rei.”

 

“Le hai detto questo? ¡Estas loca, chica! Magari non è l’amore della sua vita, ma è sicuramente un punto di partenza!”

 

La bruna sorseggiò l’aperitivo e quando rivide nella sua testa la cinese e il suo nuovo flirt non poté impedirsi una smorfia. “E’ così cretino…”

 

“Mica se lo deve sposare!”

 

“Okay, ho torto, va bene?” sbottò, allargando le braccia. “Vedrò di quanto prima.” Commentò, con una smorfia. “Ma non mi piace che mi abbia detto che non va come vivo: io sono fiera di aver fatto tutto questo sesso prima di morire!” Julia scoppiò a ridere, schiacciandole il cinque.

 

“Oggi me sono vista con quel chico.” Cambiò discorso, scrollando le spalle. “Ma abbiamo litigato e creo qué non lo vedrò più.”

 

“Ecco perché sei riccia.” Aggrottò le sopracciglia, pensando subito al misterioso ragazzo di cui l’amica aveva preso a parlare da un discreto periodo a quella parte senza mai rivelarne l’identità.

 

Julia roteò gli occhi. “Menage a trois! Con un’altra donna!” la giapponese rise. Che stronzo: un’altra chica , ma un altro chico no. Gli ho sbraitato ‘vete a tomar por el culo’ e l’ho buttato fuori di casa.”

 

Hilary sgranò gli occhi. “Gli hai augurato di fare il passivo durante un rapporto anale?” quando l’amica annuì, evidentemente fiera di se stessa, lei scoppiò a ridere, ed in breve risero entrambe dimenticandosi per un attimo dei loro problemi.

“Almeno non ti hanno augurato di diventare lesbica.” Alla faccia sorpresa dell’altra, annuì. “Kai mi ha detto che se non mi vanno bene gli uomini posso sempre provare con le donne.”

 

Julia spalancò occhi e bocca, quasi sdegnata. “¡Hijo de...!” si bloccò mangiandosi l’insulto, fulminata da un’idea. Osservò la sua amica come se la vedesse la prima volta, dopodiché le rivolse uno sguardo malizioso. “Che ne diresti di prenderlo alla lettera?”

 

 

 

 

 

Quando si era presentato all’appuntamento, non aveva detto molte parole. Le aveva sorriso, dato l’altro casco della sua Harley Davison e detto – a mo’ di promessa – di prepararsi per una serata che non avrebbe dimenticato.

 

In quel momento, dopo l’hot dog condiviso, le risate e gli scherzi – incredibile come uno all’apparenza così dark si fosse poi rivelato una delle persone più logorroiche che avesse mai conosciuto – stavano andando in questo famigerato posto che lui voleva farle vedere.

 

 

Oltre le vetrine, oltre i negozi di ogni genere e tipo, le ville, il lusso che caratterizzava quel quartiere di Manhattan di cui tante volte aveva tanto sentito parlare, vi erano, nascoste in vicoli bui tutto un giro che lei non avrebbe mai immaginato.

Una trentina di persone di ogni altezza e razza stavano interagendo tra loro, chi annoiato, chi con una discussione, chi con un sorriso ironico sulle labbra.

 

Mao si mosse verso Kurt chiedendo spiegazioni, e di colpo non lo vide più.

Fissò spaurita tutte quella gente: non era mai stata in un ambiente tale. Non capiva perché l’avesse portata lì-

 

“Ehi.” Una ragazza di colore la stava fissando con una smorfia. “Kurt ha detto che devo prendermi cura di te.” Fece, indicando con un cenno del capo il ragazzo, che in pochi secondi si era recato parecchi metri più in là. “Io sono Brianna.”

 

Mao aggrottò le sopracciglia. “Cosa..? Ma io e lui avevamo un appuntamento.” sbottò, non capendo se quello fosse il suo modo di scaricarla. “Perché mai dovresti prenderti cura di me?”

 

La ragazza di colore la fissò divertita, ponendo le braccia conserte. “Kurt non delega mai le sue faccende agli altri.” con un cenno le fece capire di seguirla. “Ho capito perché ti ha portata qui.”

 

“Io no.” Mao si ritrovò in mezzo ad un’altra decina di ragazze; bianche, nere o orientali che fossero, avevano tutte la stessa mise: una tuta da ginnastica.

 

“E’ una dolcezza, ma non si fa mettere i piedi in testa, la tipa.” Brianna la indicò, divertita, alle altre. “Ecco perché è arrivata al terzo appuntamento con Kurt.”

 

Una ragazza rossa con le efelidi sul viso si guardò intorno. “Sono andati, eh?”

 

Mao aggrottò la fronte. “Dove? A far cosa?”

 

Tutte la fissarono quasi con dolcezza, come fosse una bimba, e dopo secondi infiniti di assoluto silenzio fu Brianna a risponderle. “Kurt aveva un conto in sospeso con un tipo; sono andati a pareggiarlo. Se non lo pareggiano se lo contenderanno qui.”

 

L’orientale sgranò gli occhi. “A suon di botte?”

 

Una mora con gli occhi azzurri sorrise. “A suon di musica.”

 

 

 

 

 

L’assenza di Mao si notava ampiamente quella sera; come ogni Giovedì, ci si preparava al weekend, e il locale cominciava ad essere gremito non come nei tre giorni fatidici, ma quasi. Per ovviare all’assenza della cinese, le tre cameriere dovettero lavorare meglio e in maniera più efficiente del solito, e lei stessa decise che si sarebbe rimboccata le maniche, smistando cocktail e shakerando liquori alla velocità della luce.

 

Quella sera stranamente non c’era nessuno che conoscesse – in termini di clienti – ed era una cosa abbastanza insolita, visto che ogni volta Hilary e le altre venivano per prendere almeno una birra e per farle compagnia.

 

“Ciao.”

Alzò lo sguardo e fece un cenno di saluto alla chitarrista delle Cloth Dolls, che conosceva poco. Trisha era la ragazza alta e magra, con i capelli corti neri tenuti su dal gel; si faceva notare per quella cinquina di orecchini ad orecchio e due piercing visibili: al mento e al sopracciglio destro.

 

Finì di preparare dei cocktail che pose su due vassoi diversi e quando arrivò Mitzy con altre tre ordinazioni, se le mise tutte davanti, per organizzarsi. “Cosa desideri?” chiese alla ragazza, cercando di fare mente locale e di vedere che liquori avrebbe dovuto usare.

 

“Un lemon soda e un margarita.” Mariam annuì, segnandoseli mentalmente. “Oh, non mettermeli nei bicchieri di vetro, li porto fuori.” Quando glieli porse, la ragazza la ringraziò con un occhiolino e andò disperdendosi nella folla.

 

La serata procedette bene ed in fretta: le due di notte arrivarono immediatamente e, come ogni giorno feriale, il locale si svuotò, fatta eccezione per tre o quattro tavoli; il ritmo comunque a quell’ora era solitamente molto più calmo e rilassato.

“Ehi Mari, grande serata.” Le ammiccò una sua collega. “Hai lavorato come una matta.” Lei non replicò, ma sorrise; era vero, aveva lavorato in maniera quasi stacanovista ed esagerata, ma alla fine tutte insieme, come una squadra, ce l’avevano fatta ad ovviare all’assenza di Mao.

 

Lavò i bicchieri sentendo l’incessante e tranquillizzante scroscio dell’acqua riversarlesi sulle mani; passò la spugna sul bordo dei bicchieri in maniera precisa e lineare, fermandosi soltanto quando avvertì un profumo che conosceva bene arrivarle alle narici.

 

Fresie…

 

Alzò lo sguardo e si sentì improvvisamente immessa in un vortice di sensazioni: in un tunnel in cui amore, astio, rancore, speranza e mancanza si mescolavano tra loro fino a divenire parte integrante di un unico sentimento, Mariam si perse quando incrociò due occhi inconfondibili. E deglutì a vuoto non appena si accorse che i fiori erano azzurri.

 

 

“Non ci capisco niente.”

 

La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Chissà come mai, l’avevo capito.” Replicò, passeggiando per il negozio di fiori, interessata in particolare ad un vaso di ortensie azzurre che annusò, estasiata.

 

Il biondo assunse un’espressione comicissima. “Io credevo che alle ragazze piacessero le rose rosse e che quando tu gliele regalassi loro le avrebbero lasciate marcire. Non è questo il destino dei fiori?”

 

Si voltò a fulminarlo con lo sguardo. “Se le trascuri, certo che sì.” Il tono di voce le si fece piccato. “Hanno bisogno di cura, attenzione, di essere messi al posto giusto, di tanta acqua quanto basta… Sono esseri viventi!” all’espressione divertita di lui si spazientì. “Che c’è?”

 

“Sei carina quanto ti innervosisci.”

 

Quel commento seppe farla arrossire come solo lui ne aveva il potere. “Ma smettila.”

 

Parve divertito di questa sua improvvisa timidezza, perché all’improvviso le si avvicinò, prendendo a giocherellare con una ciocca di suoi capelli e facendola irrigidire e divenire paonazza. “Quali sono i tuoi fiori preferiti?”

 

“Le fresie.” Rispose subito lei, veleggiando verso un vasetto poco lontano e mostrandogliele. “Ma impazzisco anche per le ortensie blu. ”

 

Lui parve deluso. “Niente rose?”

 

Mariam inarcò le sopracciglia. “Sono così scontate..!” fu a questo commento che lui scoppiò a ridere.

 

 

E, esattamente un anno dopo, eccolo lì: un fascio di fresie blu in una mano, il suo cuore nell’altra, e quel sorriso, il suo dannatissimo sorriso per il quale avrebbe fatto follie.

Preferì mettere via le cose frangibili ed asciugarsi le mani, onde evitare qualche incidente.

 

“Ciao.” La salutò con un tono di voce fermo e sicuro, che stupì la diretta interessata. “Stavolta mi sono presentato in un orario decente. Potresti assentarti qualche minuto?”

 

Il discorso del fratello aveva senza dubbio contribuito a farla riflettere un bel po’, ed era curiosa di conoscere la sua campana, quella versione che aveva acquietato persino la rabbia che Jesse aveva nei suoi confronti.

Sospirò, voltandosi verso un ragazzo che stava passando il panno sul bancone. “Se mi cercate sono fuori un attimo.” Non era da lei dire cose del genere, e la frase lasciò il collega di lavoro perplesso e basito, tanto che non poté che annuire.

 

 

Fuori dal locale c’era un po’ di freschino; l’irlandese prese la sua giacca e approfittò del fatto di essere all’aperto per accendersi una sigaretta, incurante del suo sguardo di disapprovazione. “Volevi parlare, parla.” Fece, piatta. “Ma io ho poco tempo.”

 

Max non poté che sospirare a lungo e profondamente. “Mi merito tutto questo, e so bene che fino a quando tu non deciderai che basterà me la farai pagare ancora. Ma è arrivato il tempo di chiarire. Non sopporto più di avere la parte del traditore. Se mi si deve accusare di qualcosa, almeno che sia di qualcosa di vero.”

 

Mariam strinse la sigaretta tra le due dita, serrando le labbra. “Il bello è che neghi tutto anche dopo che ti ho visto baciare quella-”

 

“Alt.” Trovandosi le dita di lui sulle labbra, non poté che tacere. Erano mesi che non si trovavano ad una distanza così ravvicinata. Il suo profumo inconfondibile le dava alla testa e le faceva venire voglia di gettargli le braccia al collo e baciarlo.

Ma si costrinse a dominarsi, fissando un punto oltre a lui e ritrovando il senno e la sua fredda logica, dopodiché Max le prese le mani, facendole afferrare il mazzo di fiori.

“E’ lei che ha baciato me, non il contrario, e questo te l’ho ripetuto un sacco di volte.”

 

“Certo, così come le altre si ritrovavano per caso abbracciate a te!”

 

Lui sorrise. “Devo partire dall’inizio, non me ne volere, ma è necessario.” Lì lo sguardo di lei si fece attento. “Io sono il più grande idiota del mondo. E questa è soltanto una premessa; ricordatela, perché ti servirà.” Gli occhi verdi di lei si strinsero come a dire di non aver capito nulla, ma lui sospirò, scrollando le spalle.

“Quando ci siamo incontrati, l’anno scorso, non avrei mai creduto che avremmo mai potuto fare coppia fissa. Tu sei così bella, siamo così diversi… Due mondi a parte.”

 

La sua frase le fece abbassare lo sguardo. “Già.”

 

“I primi mesi furono bellissimi, vero? Ma poi sopraggiunse la mia idiozia. A giocare con il fuoco si resta scottati, e io… Diciamo che ci ho giocato troppo.”

 

Si ritrovò a stringere gli occhi, fissandolo senza perdersi la minima sillaba. “Spiegati.”

 

“Le fans con me si sono sempre mostrate gentili, ma io non ci avevo mai dato peso… Insomma, sono tutte uguali! Non appena insieme notai che la cosa ti infastidiva e, credimi, vedere una come te gelosa di me è… Impensabile! Quindi iniziai a provocarti un po’; all’inizio era per ridere, per sentire il tuo brontolio dedicato a me. Peccato che non abbia tenuto presente la cosiddetta frase: il gioco è bello quando dura poco.”

 

Anche se con la testa per aria, si sforzò di restare lucida fino all’ultimo. “E la bionda?”

 

Lui fece una smorfia. “Ma chi, quella che hai visto prima di andartene? Una cretina che non riuscivo a staccarmi di dosso. Voleva foto, autografo e di testa sua ci aveva messo anche un bacio. E sei arrivata tu in quel preciso istante…”

 

Sembrava troppo assurdo per essere vero. Una cosa assolutamente idiota ma al contempo assolutamente da Max. Doveva credergli?

Lo fissò negli occhi, perdendosi in quel mare ceruleo e restando senza fiato: le sue iridi erano trasparenti, pulite, genuine, e le stava sorridendo fiducioso, come aveva sempre fatto.

 

“Tutto questo potrà anche essere vero, ma questi mesi hanno minato la fiducia e i sentimenti che avevo per te.”

 

“Li ricostruiremo.” Il suo tono era sicuro, sincero, incoraggiante. “Sarà difficile, ma non impossibile. Tutto dipende da se lo vuoi.”

 

La ragazza serrò le labbra. “Sono confusa.” Scosse la testa e la sola cosa che le parve sensato fare fu girare sui tacchi ed entrare nuovamente nel locale.

Portandosi le fresie, però.

 

 

 

 

 

“Dimmi che non l’ho fatto veramente.”

Stretta al suo accompagnatore, si sentì la testa sulle nuvole e un’adrenalina in corpo che fino a quell’istante aveva provato quando combatteva a beyblade o quando era stata con Raùl.

 

Lui inchiodò con il motore, posteggiando e rivolgendole un sorriso. “Se vuoi non te lo dico, ma… L’hai fatto.” Vedendo come la ragazza si prese la testa tra le mani e sorrise non poté fare a meno di slacciarle il casco per darle un piccolo bacio a fior di labbra. “Andiamo, Bunny Lee.”

 

Mao si riscosse, capendo che l’aveva apostrofata come la prima b-girl degli Stati Uniti. Non avrebbe mai pensato che vedendo gli altri ballare quella danza bellissima che a tratti metteva soggezione, Brianna l’avrebbe presa per mano e le avrebbe insegnato qualche passo.

Complice la sua agilità e anche la sua memoria, si era ritrovata senza nemmeno rendersene conto ad avere gli occhi di tutti puntati addosso, e presto Kurt si era unito a lei. Avevano ballato fino a quando non era finita la musica, poi tutti erano scoppiati in applausi, e lei si era sentita il cuore esplodere dall’adrenalina.

 

Più tardi lui le aveva spiegato che quello che avevano ballato era puro hip hop e che lui e i suoi compagni erano dei breakers; qualcosa di più complicato dacché la breakdance comprendeva anche lo stile hip-hop ma ne denotava altri.

 

Con la testa piena di informazioni, Mao non pensò nemmeno a chiedergli dove la stesse portando. Quando arrivarono davanti una porta lui le strizzò l’occhiolino e la affidò ad un ragazzo di media altezza con la cresta rossa.

Dall’interno di quel locale vi era un chiasso non indifferente: che diavolo stava accadendo?

 

 

 

 

 

Hilary scosse la testa, decisa, prendendo la penna e modificando la correzione di Julia. “Se aggiungi questa frase poi non ci sta nella nota e salta tutto.” Spiegò, accavallando le gambe. “Kas, puoi darmi la base un’altra volta?”

 

La bionda annuì e, con il suo fedele piano attaccò a suonare le note della nuova canzone; la giapponese prese a cantare e Julia osservò meticolosamente il tutto, quasi dovesse carpire segreti oscuri e mai detti.

“Uno stacco strumentale ci vuole. Por el gran pezzo.”

 

Hilary annuì. “Ma ci sarà comunque. La base ce l’abbiamo, dobbiamo solo lavorare sulla prima strofa che non mi convince granché.” Si rivolse a Kassie, che le ascoltava in silenzio. “Hai mandato un sms a Trisha? Ci serve lei per ultimare questa in poco tempo. Quella ragazza è un juke-box quando si tratta di comporre canzoni.”

 

Kassie annuì. “Gliel’ho inviato mezz’ora fa, e ha risposto che stava arrivando; stasera era uscita chissà dove.”

 

La giapponese sospirò. “Allora mi sorbirò una filippica su quanto io sia stronza e assolutamente priva di buon senso nel chiamarla quando non avevamo le prove. Ma me lo merito.”

 

La saracinesca del garage si alzò di scatto, facendo sobbalzare le ragazze, e una figuretta esile entrò, spavalda e sicura di sé. “Te lo meriti sì, brutta stacanovista di merda.”

 

“Grazie Trish, anch’io ti amo.” Ribatté pigramente la bruna.

“Qui c’è il testo, l’arrangiamento è completo, le parole pure, tranne quelle della prima-” s’interruppe sentendo in strada una suoneria di un cellulare talmente particolare da essere unica. Aggrottò le sopracciglia, alzando la saracinesca verso l’alto e cacciò un’esclamazione di sorpresa quando si vide davanti il suo migliore amico.

“Ma tu che ci fai qui?” esclamò, abbracciandolo.

 

Takao ricambiò il sorriso e scrollò le spalle. “Ma niente, sono uscito un po’ per prendere una boccata d’aria, sono passato da casa tua ma non c’era nessuno, e quindi sono venuto a vedere se fossi in tempo di prove.”

 

Quando rientrarono nel garage, trovarono le ragazze alle prese con delle birre ghiacciate mentre Kassie stava sussurrando alla nuova arrivata qualcosa circa la canzone e i piani della batterista e della cantante.

“Io e Julia abbiamo in mente un qualcosa di esplosivo per l’esibizione di domani.” Spiegò Hilary. “Abbiamo una canzone nuova, ma dobbiamo perfezionarla.”

 

“A proposito dell’esibizione di domani.” Il tono di Trisha era polemico. “Tu e tu.” fece, indicando Hilary e Julia. “Vi siete fumate il cervello.”

 

“Sei contraria?” la domanda di Kassie le fece fare un sospiro.

 

“No, ma non abbiamo bisogno di queste stronzate per attirare il pubblico.”

 

La bruna incrociò le braccia al petto. “Infatti non è per il pubblico.”

 

Takao aggrottò la fronte, reclamando la sua parte di attenzioni. “Non ci sto capendo niente.”

 

Hilary lo fissò, dopodiché si rivolse alle amiche. “Avete bisogno di me o posso assentarmi una mezz’ora?” quando Julia le fece un cenno come a voler scacciare una mosca, lei rise ed uscì dal garage accompagnata da Takao, che la fissava, curioso.

Raccontargli ogni cosa avvenuta in quel periodo fu naturale, così come lo fu farsi abbracciare da lui e sentirsi improvvisamente a casa. Lui era unico, era speciale, e insieme potevano averne passate di tutti i colori, o lei poteva essere brava a scuola e perfezionista quanto voleva… Era in quel frangente che si sentiva piccolina e fragile.

 

“Sarà interessante.” Commentò infine Takao, sorridendole. “E anche strano, se vuoi.”

 

“Beh, tu ci sarai.”

 

Lui annuì come fosse ovvio. “Sempre.”

 

Hilary gli sorrise, appoggiando poi la testa sulla sua spalla e sentendosi per un attimo in pace con se stessa e il mondo. “Non è strano il fatto che sappiamo tutto l’uno dell’altra? Ci siamo visti crescere, siamo insieme dall’asilo e siamo ancora qui.”

 

Non poté vedere la sua espressione, ma poté sentire un breve sospiro. “Perché è questa la differenza tra buoni e migliori amici. I buoni amici conoscono le tue storie migliori; i migliori amici le hanno vissute con te.” Qui la ragazza si alzò sulle punte per scoccargli un bacio sulla guancia; in quel momento sì che si sentiva più leggera.

 

 

 

 

 

Scese dalla Harley Davidson che erano le sei del mattino; si sentiva stanca, spossata, ma ancora con una grande energia dentro. Se pensava a tutto quello che aveva fatto quella notte, le veniva da ridere, eppure era vero. Nella sua vita non si sarebbe mai immaginata di partecipare in prima persona ad un ballo hip-hop, o di andare ad un concerto heavy metal senza che le orecchie le saltassero, eppure ce l’aveva fatta.

 

“Sono arrivata.” Sussurrò, fissando il ragazzo ed alzando la visiera del casco.

 

“Lo so.” Spense il motore e mise il cavalletto per dare stabilità al mezzo, dopodiché scavalcò il sellino per scendere. “Occhio che la prossima volta ti faccio fare bungee jumping.”

 

Mao scoppiò a ridere e mise le mani sui fianchi, fissandolo divertita per poi scuotere la testa. “I miei poveri nervi.”

 

“Coraggio nonnina, la tua pressione andrà benissimo.” Mentre lui le toglieva il casco, sentì le sue labbra forti sulle sue; si lasciò andare, alzandosi sulle punte, e gli passò le braccia attorno in un gesto naturale, che spesso aveva fatto quella notte.

 

“Come hai fatto tutto il tempo a stare con questo giaccone di pelle?” notò, improvvisamente. Lui parve turbato, quasi non sapesse cosa dire. “Anche durante il concerto lo avevi… Ma con le luci non c’era caldo?”

 

Ritrovando la sua proverbiale sicurezza la fissò, sogghignante. “Stai cercando di spogliarmi?”

 

Roteò gli occhi, cercando di sciogliersi dall’abbraccio. “Devo andare.”

 

“Che cattiva.” Per tutta risposta la baciò, mordendole apposta il labbro inferiore e facendola ridere, come spesso aveva fatto in quelle ore passate insieme.

 

 

 

Verso il suo piano, fu l’abbaiare di Freddie che la fece scoppiare nuovamente ma ridere: quel cucciolino era adorabile, riconosceva sempre tutte e quattro.

Stava per prendere le chiavi del suo appartamento quando la porta della casa di fronte si spalancò, rivelando una giapponese in pigiama e pantofole e un Freddie che, non appena la vide, le zompettò addosso, facendole le feste.

 

Buongiorno.” Probabilmente era questo che disse Hilary, tra uno sbadiglio e l’altro. “Sei tornata ora?”

 

L’orientale annuì. “Sì.” Non sapendo cos’altro dire fissò il cucciolo, che pareva disperatamente aver bisogno di andare a fare pipì. “Se mi dai il guinzaglio lo porto io fuori; tanto sono sveglia.”

 

Hilary sbatté stancamente gli occhi, entrando in casa e porgendole subito dopo l’affarino rosso che Mao collegò al collare del cucciolo. “Prima che tu vada… Volevo chiederti scusa per ieri.” Scrollò le spalle, appoggiandosi allo stipite della porta evitandosi di cadere. “Talvolta sono orribile, lo so. E’ che per le persone che amo vorrei il meglio, ma mi rendo conto che non sono io a dover sindacare per loro. Scusa.”

 

Tutta la rabbia che aveva covato in quelle ore si dissolse in un sorriso; non poté far altro che abbracciare l’amica, stringendola forte, e baciarle la guancia.“Ti voglio bene.” Soffiò.

 

“Anch’io, lo sai.” La bruna si ravviò i capelli con fare stanco, scrollando le spalle. “Va beh, andate a fare questa passeggiatina e poi tornate, che tu mi devi raccontare della tua notte brava. Ci conto!”

 

 

 

 

 

Trisha si morse le labbra, cercando di catturare il beat della canzone in modo che fare l’assolo con la chitarra non le venisse troppo difficile. Quella sera avevano l’esibizione all’Avalon e avrebbero presentato una nuova canzone – la prima dopo l’apertura del torneo – il che era rischioso ma doveroso insieme.

Kassie era accanto a lei e provava con il piano gli accordi, accertandosi che le note fossero azzeccate; Hilary la seguiva passo passo con la voce per far sì che la modulazione del suo timbro fosse corretto. 

Aspettavano la batterista, in modo da mettersi a suonare per almeno un’ora e prepararsi per quella sera.

 

“Prova ad alzare di più il timbro su questa nota.” Le suggerì Trisha, smettendo di avere a che fare con la chitarra. “Secondo me rende di più.”

 

Hilary annuì e, quando Kassie partì con il piano, seguito il consiglio della mora, si rese conto di come fosse vero, in effetti. “Okay, direi che è perfetta.” Sospirò, contenta.

 

La saracinesca si alzò ed abbassò in modo veloce e rumoroso tanto da farle sobbalzare, fissarsi dubbiose fu automatico. Julia Fernandéz era finalmente arrivata, ed aveva un’aria che definire furibonda sarebbe stato riduttivo.

Con i capelli mossi – che in quel frangente parevano più mossi dal demonio – la pelle a chiazze rosse, il respiro corto ed affannato, le ragazze non seppero cosa dirle se non allungarle un pouf dove si potesse sedere.

 

“¡Yo soy oficialmente lesbiana!” ringhiò, accavallando le gambe e stappandosi una bottiglia di birra.

 

Le ragazze si fissarono, confuse. “Okay…” provò Kassie, accondiscendente.

 

Es mas bonito ser lesbiana que eterosexual.” Fece, dopo il primo sorso di birra. “Yo no-”

 

Trisha si rivolse a Hilary. “Che cos’è che ha detto?”

 

La bruna sospirò. “Che è molto meglio essere lesbica che eterosessuale.”

 

“Ah, non sono d’accordo, a me scopare con un uomo mancherebbe.” La battuta stemperò la situazione e fece ridere tutte, Julia inclusa.

 

Chicas, no teneis idea.* I maschi sono così diversi da noi ragazze… Mentre noi rimuginiamo sul perché una cosa sia finita, loro sono già passati alla prossima.” Ringhiò, piena di rabbia.

 

“Non me lo dire: hai visto il tuo ex scopamico con un’altra.” Le sopracciglia di Hilary si inarcarono tanto da finirle tra i capelli.

 

 El gilipollas.”*¹ Sibilò, come rivolta a qualcuno che la potesse udire. Batté le mani, per poi alzarsi. “Su, chicas, stasera dobbiamo spaccare.”

 

 

 

* “Ragazze, non ne avete idea.”

*¹. “Quel coglione.”

 

 

 

L’Avalon si era preparato in grande al weekend: buttafuori, fila per accedere al suo interno, folla assurda faceva parte del tutto, ma il bello di quel locale era che fosse talmente particolare che non si poteva definire se non un incrocio tra un pub e una discoteca, specie nel weekend.

 

Dopo aver saputo come fare e come organizzarsi, i Neoborg nel weekend solevano prenotare un privee tutto per loro. Mischiarsi con la folla non era proprio nelle loro corde ma sentire musica non commerciale e bere qualche cocktail sì, quindi quel posto andava grandemente a genio a tutti i componenti della squadra.

 

Quando si presentarono di fronte alla fila, i due energumeni che facevano da buttafuori li riconobbero come clienti abituali e li fecero entrare immediatamente, aprendo loro il passaggio.

Come ogni Venerdì alle undici e mezza, l’Avalon stava iniziando a gremirsi di gente; per lo più vi erano i tipici americani tutti palestrati, abbronzati e sorridenti che ci provavano con bionde ammiccanti, poi vi erano le coppiette e i gruppi di amici. Infine, individuarono quasi tutte le squadre che partecipavano al torneo mondiale di quell’anno, ma il bello del privee era quello: nessun fan rompipalle poteva permettersi di avvicinarsi. Era come essere protetti da una bolla invisibile.

 

“Salve ragazzi.” Mao li salutò con un sorriso cordiale, taccuino e penna in mano e menù nell’altra, ma sapeva che non sarebbe servito; non per loro. “Avete già deciso?”

 

“Una birra scura.”

 

“Una vodka liscia.”

 

“Anche per me.”

 

Kai scrollò le spalle. “Per me niente.”

 

Mao appuntò tutto, ormai abituata sia alla loro decisione e prontezza, sia alle loro scelte. “Arrivano subito.”

 

Boris fissò Kai con aria leggermente sarcastica. “Da quand’è che non prendi niente?”

 

Lui gli riservò un’occhiata inteneritrice. “Da quand’è che non ti fai i cazzi tuoi?”

 

Sergey diede man forte al compagno di squadra. “E dai, magari Kai ha deciso di sperimentare la condizione dell’astemio. In fondo si devono sempre provare nuovi orizzonti, vero?”

 

Il russo dagli occhi viola decise di non replicare, chiudendosi in un ostinato mutismo, che fu solo interrotto da un commento di Boris. “Potevi anche fare a meno di prenderti la tua vodka.” Fece, rivolto a Yuri. “Devo ricordartelo io che ti è dannosa?”

 

Il rosso spalancò i suoi occhi su di lui, freddandolo con lo sguardo. “No.” Sillabò. “Ma mi pare avessimo chiarito che ci penso io.”

 

Non era una novità che all’interno della squadra ci fossero apprensioni da parte di Sergey e Boris per Kai e Yuri, che erano i due componenti più testardi e cocciuti: quando si mettevano in testa di perseguire un obbiettivo lo facevano, anche a scapito di loro stessi.

 

“Ecco qua.” Mao tornò pochi istanti dopo con i tre drink, che dispose velocemente sul tavolo. “Buon proseguimento.”

 

La vodka venne trangugiata in un istante, e fu incredibile come quel liquido di un colore così simile all’acqua, ma così denso e quasi cremoso, bruciasse e rendesse calda la gola di chi lo beveva. Dopo un solo bicchiere Yuri non poteva dire di essere né ubriaco, né brillo né altro; il suo limite di sopportazione era molto più in là, eppure ciò che avvenne progressivamente fu strano. Strano come le sensazioni che gli provocarono.

 

Le luci si spensero di colpo, e ciò fece presagire a tutti che lo spettacolo fosse iniziato o che, comunque, dovesse iniziare. Invece non si accesero per parecchio tempo, tra gli strilli e le urla derivanti dalle persone. Poi fu una luce fioca ad accendersi, che illuminò il soffitto del locale per poi andare di colpo verso il basso e sparire, inghiottita dal vuoto. Ebbe il potere di far zittire tutti.

 

Dei rumori di tacchi si avvicinarono verso il piccolo palco, scatenando delle piccole urla, dopodiché dei piccoli colpi di tosse uscirono dalle casse collegate al microfono, e iniziò l’assolo di chitarra.

Le luci si accesero improvvisamente, rivelando l’intero gruppo delle Cloth Dolls già pronto per esibirsi, tra le urla di benvenuto del pubblico.

 

Somebody mixed my medicine. Yeah, somebody mixed my medicine.C’erano soltanto Hilary e Trisha all’inizio, con un coinvolgimento tutto d’un pezzo di voce gutturale e chitarra elettrica.

Il pubblico capì subito che si trattava di una nuova canzone, perché rimase a fissarle, ipnotizzato, per poi esplodere quando Kassie e Trisha si gettarono nella mischia, con piano e batteria.

 

You hurt where you sleep
And you sleep where you lie
Now you're in deep and
now you're gonna cry
You got a woman to the left
and a boy to the right
Start to sweat so hold me tight

 

“Qualcuno le ha fatte incazzare, recentemente?” il tono di Boris era ironico, ma Yuri e Kai non poterono fare a meno di non rispondere e di fissarsi sulla scena, per evitare di essere colti in flagrante.

 

La canzone procedette coinvolgente ed attraente per il pubblico, con una cantante che ancheggiava sensuale come non l’avevano mai vista: con un semplice vestitino blu che le ricadeva largo sul corpo snello e i capelli ondulati e lunghi come lo erano di solito, era forse più bella quella sera che le altre volte in cui si era presentata ancora più precisa e di tutto punto.

Era come se flirtasse con il pubblico, come se li provocasse e poi li lasciasse andare, ecco perché loro la amavano e non ne potevano fare a meno.

 

La canzone procedette dopo il ritornello e, a sorpresa, Julia smise di suonare la batteria per affiancare Hilary e cantare nuovamente la strofa.

La madrilena non cantava male, ma la bruna era senza dubbio più brava, e la aiutava con la voce, reggendo le sue note. Si muovevano danzando in maniera sensuale e a tratti lasciva; qualcosa stava accadendo. Il problema era scoprire cosa.

 

“You got a woman to the left
and a boy to the right
Start to sweat so hold me tight”

 

Quando le due esclamarono insieme la parola tight, si sarebbe potuto pensare di tutto, tranne che si abbracciassero strette e si baciassero voracemente, come due amanti scatenate e vogliose tra le urla del pubblico, a metà sorpreso e a metà messo in agitazione da quella novità che nessuno si era aspettato.

 

 

Scombussolato.

Era così che si sentiva Yuri: frastornato, sconvolto, ma anche un filino eccitato. Maledettissima spagnola, e così era quella la vendetta che aveva meditato dopo il loro diverbio? Cosa voleva dirgli? Se vuoi me con un’altra donna la avrai… Ma a distanza? Gli avrebbe fatto vedere lui chi era Yuri Ivanov!

 

“Uhm… Kai, mi sa che ti conviene prenderla, quella birra.”

 

All’intervento di Boris, dapprima pensò che poteva grandemente starsene zitto e muto, dopodiché, fissando quella dannata ragazza strusciarsi contro la Fernandez, pensò che forse non aveva tutti i torti. Imprecando in tutte le lingue da lui conosciute, uscì dal privee, andando verso il bancone.

Altro che birra: lì ci voleva tutta una botte.

 

 

 

 

 

“Che facce!”

Hilary e Julia stavano ancora ridendo quando si diressero verso il privee che l’Avalon aveva messo a loro disposizione. La serata era stata meravigliosa: il pubblico aveva dato segno di apprezzare le loro canzoni, e nessuno si era grandemente scioccato per il loro bacetto – nessun bigotto, per lo meno.

 

Mitch venne verso di loro con un sorriso di resa e le mani in aria. “Se mi aveste chiesto il permesso non ve lo avrei mai dato, ma devo dire che come spettacolo ha avuto il suo perché.”

 

A Kassie trillò il cellulare, e non fece in tempo a rispondere che le staccarono la chiamata. “Ragazze, io devo andare, mi aspettano fuori. Ci vediamo domani.”

 

Trisha annuì, guardandosi intorno per poi focalizzarsi in un determinato punto. “Vado anch’io.” Disse, svelta. “Se ci sono novità, chiamatemi.”

 

Julia fece per dire qualcosa, dopodiché inarcò le sopracciglia. “Mitch, querido, me sa che dobbiamo andare.” Allo sguardo interrogativo dell’uomo lei fece un sorriso. “Si sta avvicinando a tutta velocità un tipo che vuol parlare con Hilary.”

 

I due fuoriuscirono da quella zona del locale, lasciandola sbigottita a domandarsi che diavolo stessero pensando tutti, quando qualcuno di molto più rumoroso – almeno dal passo – entrò, senza preoccuparsi di disturbare o altro.

“Hai seguito il mio consiglio.”

 

La voce tagliente di Kai era senza dubbio fuori luogo per Hilary in quel frangente, specie dopo una giornata come quella. “Sì, bisogna sempre dar fiducia alle persone.”

 

“Lo avessi scoperto prima magari avresti smesso prima di avercela con gli uomini.”

 

Lei roteò gli occhi. “Oh, non credo smetterò mai di avercela con loro.”

 

Lui inarcò freddamente un sopracciglio. “Non ti facevo infantile.”

 

“Non ti facevo ficcanaso.” Si alzò dal divanetto: in piedi non riusciva nemmeno a raggiungere il mento di Kai, ma il suo sguardo riusciva a sostenere perfettamente quello del moscovita. “Qual è il problema, esattamente?”

 

La fissò negli occhi, non distogliendo lo sguardo nemmeno per un attimo. “Credimi: se una persona che reputavi intelligente si mettesse a parlar male delle donne, anche tu avresti un problema.”

 

La bruna sbuffò, mordendosi le labbra. “E’ un discorso che faccio in generale, riferendomi a coloro che ho conosciuto! Non parlo né di te né di Takao né delle poche persone che si salvano! Non devi sentirti messo nel mezzo.”

 

“Ieri non lo ero?”

 

Lì perse le staffe: marciò verso di lui, fissandolo negli occhi e rivelando tutta la sua rabbia. “Vorrei dirti una cosa.” Ringhiò. “Ma forse vaffanculo potrebbe essere troppo gentile.” Poi uscì da lì, andando a disperdersi nella folla.

 

 

 

 

 

Un kir royal e un gizz fizz dopo, Julia si stava godendo i ritmi dell’Avalon, ridendo e scherzando tra gli European Dreamz e gli All Starz. L’avevano vista dirigersi verso il bancone e subito l’avevano chiamata, invitandola a sedersi tra loro. Le avevano fatto tantissimi complimenti e anche rivolto qualche battuta per il bacio saffico, ma poi la conversazione si era spostata su altri argomenti. Tra loro c’erano anche Mathilda e Raùl e lei si era scoperto contentissima di vedere il fratello mano nella mano con la dolce europea.

 

“Che ore sono?” chiese Emily, stiracchiandosi. “Meno male che domani non abbiamo incontri e che sono rimandati a Lunedì, altrimenti con il cavolo che ci alzavamo!”

 

“Le tre e mezza.” Mathilda osservò il suo orologio da polso. “Io sono un po’ stanchina.”

 

“Ti accompagno.” Si offrì subito Raùl.

 

Julia si alzò dal divanetto. “Io mi prendo un lemon soda, qualcuno mi fa compagnia?”

 

“Dacci un taglio, Ju. Sei al terzo.” La ammonì Emily, fissandola di sbieco.

 

“Solo questo.” Assicurò la spagnola, dirigendosi verso il bancone; il collega di Mariam, Al, non era male, ed era pure bravo come barista. Magari avrebbe pure potuto farci un pensierino.

Mentre osservava i suoi occhi azzurri slavati e i suoi capelli castani, si costrinse a dirsi che forse avrebbe pure potuto provarci…

 

Fernandéz.” Bastò solo quella parola per farle saltare lo stomaco e, quando si girò seppe solo serrare le labbra. Ma durò un istante. Il suo atteggiamento spavaldo fuoriuscì quando si ricordò tutti i suoi precedenti e cosa l’aveva portata per essere lì.

 

Incrociò le braccia al petto, fissandolo decisa. “Hola Ivanov, ¿que tal?”* il tono era piatto, ma nei suoi occhi verdi c’era tutto il tono provocatorio di una persona che sapeva di star punzecchiando l’altra.

 

Yuri inarcò brevemente le sopracciglia. “Non so cosa diavolo tu abbia detto, ma sappi solo una cosa.” Le si avvicinò pericolosamente, e sembrò di assistere alla sfida tra fuoco e ghiaccio.

Ma se il fuoco scioglieva notoriamente anche il ghiaccio più resistente, che ne era di quello proveniente da veri e propri iceberg?

Nessuno dei due diede cenno di voler distogliere l’uno lo sguardo dall’altra e se Yuri si avvicinò, Julia non arretrò minimamente di un solo passo, restando a fissarlo negli occhi, pur sentendo il cuore martellarle nelle orecchie.

“Hai osato sfidarmi, e sarai punita.” Il suo sussurro le accarezzò sensualmente l’orecchio, il collo, la spalla. Rabbrividì.

 

“Ah, sì?” inarcando le sopracciglia, si impuntò ad ostentare quell’espressione menefreghista che ormai aveva fatto sua.

 

Sulle labbra di lui si affacciò un sorriso voluttuoso, quasi lascivo. “Assolutamente.”

 

Ricambiò il sorriso. “Credo di voler scontare la pena ora. Sono sempre stata una che si prende le proprie responsabilità.”

Insieme si diressero verso l’uscita del pub, non pensando a niente, non curandosi nemmeno di salutare gli amici, entrambi l’uno a debita distanza dall’altra per evitare di essere visti.

 

 

 

 

* “Ciao Ivanov, come stai?”

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

 

Scusate il ritardo, ma ultimamente l’università sta prendendo il sopravvento, e mi trovo impelagata in un grande mare magnum. (Tradotto da mio linguaggio aulico: nella merda fino al collo)

Qui accadono tantissime cose, talmente numerose da non poter essere discinte l’una dall’altra, è tutto un miscuglio di un pandemonio assurdo.

Vedremo se con Rocket Queen si potrà cominciare a discernere qualcosa.

Un bacione a tutti!

 

Hiromi

 

P.S.= Questa è stata la settimana dei ricordi; RMA, i missing moments, IPC, Tanga party… Che nostalgia! T___T

   
 
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