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Autore: IWontFade    15/11/2011    1 recensioni
Questo è il prologo di quella che è la mia prima vera fanfiction. Quando nello stesso istante una normale ragazza italiana scopre di non essere così normale e un incredibile uomo americano scopre che si, è davvero incredibile, qualcosa di strano può accadere e stravolgere due interi universi.
Io non conosco assolutamente i protagonisti e non so come si comporterebbero in situazione assurde e improababili come queste, ma far galoppare la fantasia è forse una delle qualità migliori che ho e mi piace vivere, morire, sanguinare per lei, nella mente, negli ochhi la posso vedere , è la fantasia.
Di questo parla la storia. Di pura fantasia.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sinceramente pensavo a qualcosa di diverso. Il meet and greet mi aveva completamente delusa, mi sentivo frustrata e insignificante. Proprio mentre pensavo a questo uscendo dall’arena, un uomo dal viso familiare mi corse dietro. All’inizio non capii che stava chiamando proprio me, ma quando mi poggiò la mano sulla spalla realizzai che doveva parlarmi. E dalla sua espressione sembrava anche qualcosa di piuttosto importante. Iniziò a biascicare qualche parola in italiano, con un accento talmente pesante che non capivo neanche dove finiva una parola e iniziava l’altra. Cercai di trovare un modo gentile per dirgli che capivo l’inglese ma mi uscì una banale frase da elementari, detta forse con un tono troppo severo. Il mio cervello era totalmente altrove in quel momento. Fece una faccia rilassata e iniziò a parlarmi. Faticavo anche a seguire il discorso il quel modo ma almeno le parole principali le captai. Mentre continuavo a pensare all’inutilità del momento sentii : ”Mr Leto would like you to meet him in his tour bus”. Mi si accesero gli occhi e solo in quell’istante iniziai ad ascoltare seriamente il discorso. Diceva che forse avrei dovuto aspettare un po’ ma quando sarebbe uscito mi avrebbe fatto salire sul bus per una chiacchierata a quattrocchi. Mi tornò l’entusiasmo. Ringrazia mille volte quell’uomo, che in quel momento avrei volentieri baciato, e aspettai.

L’attesa mi sembrò infinita così ad un certo punto decisi di pensare alle domande a cui tenevo veramente, che avrei posto ai miei idoli di lì a poco. Mi vennero in mente milioni di richieste, dalle più assurde e banali come “Tomo, sai parlare croato?” oppure “Jared, quando hai imparato a recitare?”. Mi sentivo alquanto ridicola, impegnavo tutte le mie conoscenze di inglese per non essere ripetitiva e parlare in modo fluido, nonostante sapessi che mi avrebbe invaso il vuoto più totale davanti a loro. A volte anche con tutte le previsioni e preparazioni non si riesce a immaginare l’emozione del momento che quasi sempre distrugge ogni pianificazione. A mente lucida era facile parlare, veniva anche abbastanza spontaneo.
Non sapevo cosa mi attendeva.
Dietro di me altri quattro o cinque ragazzi sembravano aspettare la stessa cosa che attendevo io, ma mi rifiutai di credere che ero ancora una delle tante. È sempre stato un mio difetto fissarmi sulle illusioni, credendole reali.
Dopo un po’ che aspettavo la sensibilità dei miei arti lentamente cominciava a scemare e iniziai a diventare irrequieta. Non ce la facevo più avevo bisogno di sapere cosa sarebbe successo, i miei film mentali ormai avevano vinto oscar su oscar ed erano anche diventati storici. Dovetti trattenermi per non iniziare a pensare di andare a cercarli, o peggio ancora, di tornare a casa.

Per fortuna quel momento non durò molto perché pochi secondi dopo i Mars uscivano dal retro dell’arena. Fu una strana scena, la fredda notte invernale scesa troppo presto era sulle nostre teste pesante, ma noi non ci curavamo del gelo, non facevamo caso al buio che ci impediva anche di vederci i piedi. Eravamo come distratti e confortati dal fatto di essere così vicini ai nostri idoli. E pensare a quello che di lì a poco avremmo vissuto ci rendeva euforici, o almeno così mi sentivo io.
Mi allontanai dal muro al quale mi ero appoggiata e i tolsi le cuffie, a malincuore interrompendo Alibi. Non volevo essere distratta dalla musica mentre potevo parlare direttamente con gli autori.
Jared ci salutò con calore, stonando con tutto il contorno, un grande sorriso gli riempiva il viso e si poteva vedere anche da lontano la sua allegria contagiosa. Shannon era di fianco a lui, con le braccia incrociate e piccole e regolari nuvolette di condensa che gli uscivano dal naso. Tomo era poco più indietro con le mani nelle tasche dei pantaloni, saltellando un po’ per riscaldarsi. Istintivamente tutti ci eravamo avvicinati ed ascoltavamo la calda e rassicurante voce di Jared.
Mi accorsi per la prima volta di quanto fosse strano che due uomini come Shannon e Tomo dovessero sempre essere messi dietro a Jared. Certo, lui era magnifico, ma pensai che non era giusto. In fondo loro erano insieme, eternamente legati, e da soli probabilmente non sarebbero stati altrettanto grandi. Interdipendenza, era quello a cui pensavo.
In particolare Shan mi si mostrò sotto una luce tutta nuova. Letteralmente, non pensavo che lo avrei mai guardato di notte tutto coperto tra felpe, giacche, sciarpe e guanti sotto la fioca luce gialla di un lampione. Mi venne voglia di fotografarlo e lo feci, di soppiatto. È tuttora una delle foto che amo di più.

Dopo poco entrammo nel bus e mi stupii di quante cose potessero entrare in un mezzo di trasporto. Mi resi conto che era come se fossi a casa loro, lì la loro vita era completamente insediata in ogni angolo. Era forse il meglio che potessi desiderare. Mi guardavo intorno e osservavo ogni particolare, con il desiderio di portarmi a casa tutto.

Ci fecero sedere, già mi ero rassegnata al fatto di non essere sola con loro, visto che almeno quattro o cinque ragazzi erano saliti con me sul bus. Ero molto felice di essere lì, ma non del tutto. Una parte di me voleva arrabbiarsi perché era stata illusa, ma l’altra parte voleva solo godersi quell’occasione unica. Gli altri fan si erano subito mostrati simpatici e sciolti, attaccando una conversazione che in pochissimo tempo aveva coinvolto tutti. Io presi quello che da fin troppo tempo era il mio ruolo, pura presenza con scarsa partecipazione.
Quella prima parte della serata fu di certo divertente, risi moltissimo alle freddure e alle battute di Jared, che ovviamente era al centro dell’attenzione.
Confermai la mia celebre teoria del “parla, Jared, parla, che tanto nessuno ti ascolta” perché in poco tempo piccoli gruppetti si erano formati anche intorno agli altri due componenti e chi stava con Jared era semplicemente perso nei suoi occhi, credo che tutti ne conoscano gli effetti.

Mi trovai in mezzo, tra gruppo Tomo e gruppo Shannon e, visto che nel primo parlavano in croato, optai per inglobarmi nel secondo. Mi rintanai in un posticino di fortuna giusto di fianco ai magnetici occhi verdi del protagonista. Eravamo stretti, il posto non era molto e non mi dispiaceva affatto. I due ragazzi che erano seduti con noi a quello stretto tavolino subito colsero l’occasione per bombardare il povero Shannon di domande tecniche, erano anche loro batteristi in carriera, nati dalla sua ispirazione. Mi piaceva vederli parlare con quell’entusiasmo e quell’enfasi che solo chi ha una profonda passione conosce. Sapevo che in quel gruppo c’entravo ben poco, ma mi sarei sentita sicuramente peggio tra le ragazzine adoranti Jared o tra i croati puzzolenti (di certo però Il Croato non puzzava XP).

In poco tempo però i gruppetti si unirono di nuovo perché Jared aveva avuto una specie di illuminazione e non la smetteva più di raccontare aneddoti divertenti e barzellette. Proprio in quel momento sentii una voce profonda ma leggera di fianco al mio orecchio sinistro.

- Non ti ho sentita parlare neanche una volta stasera. Mi sarebbe piaciuto ascoltarti un po’.

Mi si fermò il cuore ma mi venne da ridere. Era semplicemente assurdo.

- Sarà che forse non c’è stata occasione di parlare stasera.

Anche lui sorrise, non potevo vederlo, ma non so come mi accorgevo lo stesso di ciò che faceva.

- Questa si che è buona. Ti si leggeva una specie di sottotitolo ogni volta che c’era un microsecondo di silenzio, prima che qualcuno facesse altre domande.

Tutti scoppiarono a ridere, chissà cosa aveva detto Jared (ecco ribadita la teoria del “parla Jared parla..” ). Sorrisi anch’io, forse solo per non fare brutta figura e mi girai. Anche lui sorrideva e vidi che iniziava a squadrare il mio viso in ogni particolare, quasi come io facevo con il suo. Era molto meglio di come appariva di solito. Non che di solito fosse brutto. Sorrise ancora, forse solo per spezzare quel leggero imbarazzo che entrambi iniziavamo a provare senza motivo.

- Allora, ci segui da molto?

- Moltissimo, non riesco neanche a ricordare com’era la vita senza di voi. E non lo dico perché sono di fronte a te, è vero. Credo che ormai anche il mio dna sappia le vostre canzoni a memoria.

- Lo sapevo che sarebbe valsa la pena.

Lo guardai stranita e lui abbassò un attimo gli occhi. Le spesse ciglia si mossero per poco, nascondendo e poi rivelando di nuovo le profonde pupille, come le onde del mare coprono e scoprono di continuo gli immensi tesori celati negli abissi.

- Cosa?

- Sentirti parlare, ascoltarti. Lo sapevo che nascondevi qualcosa di grande. Comunque non ci credo che sono nel tuo dna.

- Ah, davvero? Guarda qui.

Alzai le maniche della felpa che mi coprivano metà delle mani e rivolsi i miei palmi verso di lui. Il palmo sinistro in particolare. Lì infatti si potevano vedere senza sforzo milioni di piegoline, che tutti abbiamo, intrecciate in complicate forme, quasi tutte uguali.

- Guarda qui. Gli dissi  – Guarda, tutte queste righe nelle persone normali sono confusionarie, insensate. Qui invece… beh lo puoi vedere tu stesso. Solo triangoli tagliati da piccole linee. Solo triadi. Siete dentro di me.

Si grattò la testa con le sopracciglia aggrottate e inclinò leggermente il capo verso sinistra. Sembrava incredulo, come se stesse assistendo ad un evento soprannaturale.

- Ok, ok. Ci ama proprio.

Ritornammo in silenzio. Sentii che qualcuno parlava di noi, o almeno nominava Shannon che si era isolato. Lui cercò di giustificarsi sorridendo e indicandomi, come si fa tra bambini per scaricare la colpa su qualcuno.

- E’ colpa sua! Non fa altro che farmi domande! Sapete come posso arrivare a essere un’ ossessione, no? Beh qui ci sono riuscito alla grande gente!

Ci fu una risata generale, e risi anch’io. Ero contenta che non avesse detto a tutti delle mie strane mani, io non l’avevo detto mai a nessuno e non so come lui si era accorto che volevo fosse un nostro piccolo segreto. Ritornammo alla nostra minuscola porzione di intimità. 

- Allora, cosa mi racconti de bello?

- Non dovresti essere tu quello che parla qui?

- Che parlo a fare? Tu sai già tutto de me. Scommetto anche che sai già le risposte a tutte le domande che hai in testa. Ma lo so che sentirle dire da me, da me in carne e ossa fa un effetto diverso. Stasera vorrei che parlassi tu, ti prometto che ci sarà altro tempo per la mia voce.

- Ok. Ehm… beh, non saprei proprio da dove iniziare. Che vuoi sapere di me?

- Tipo il tuo film preferito, il tuo cibo preferito, il colore che odi di più indossare, la prima cosa che ti viene in mente se ti dico procione…

- Va bene. Ehm allora, il mio film preferito… non ce l’ho perché adoro tutti i film che ha fatto tuo fratello, non per sminuirti. Il mio cibo preferito è certamente la pizza, il colore che odio di più è il giallo perché mi fa sentire un’ape più delle volte con problemi di peso e…com’era l’ultima?

- Procione. Procione, procione e procione. A che pensi?

- Beh direi assolutamente ciccione. Magari Carlone. Carlone, il procione ciccione. Come ti sembra?

- Ahah buono direi. A me viene in mente saponetta. Non ho idea del perché, è un collegamento inconscio o roba simile. Ed è terribile perché la cosa succede anche al contario. Pensa ogni mattina, lavarsi la faccia con il sapone e non poter fare a meno di pensare ad un enorme procione assassino! È terribile.

Avevo una mano davanti alla bocca, per coprire la risata che ormai non trattenevo più, facendo finta di essere comprensiva rispetto al suo problema, facendo finta di non aver mai pensato a un procione assassino con tanto di saponetta.

Mi guardò con sguardo stupito. Sembrava ammirasse il mio non voler ridere di lui. Dopo poco scoppiò a ridacchiare.

- Ehi, puoi ridere anche tu, non mi offendo mica per la storia del procione!

Esplosi anch’io. Mi venivano le lacrime agli occhi a pensare che il più grande batterista da un bel po’ di tempo aveva paura dei procioni. Mi venivano le lacrime agli occhi a pensare che lo aveva detto proprio a me.

- E’ strano, mi mette una certa carica questa parola, come bisbiglio. Prova a ripeterla più volte. È elettrizzante.

Shan mi guardò male, fece spallucce fregandosene del resto e si mise a ripetere. Bisbiglio bisbiglio procione bisbiglio procione procione bisbiglio. Era tremendamente demenziale ma mi accorsi che era davvero divertente, non come quelle cose che poi anche pensandoci non fanno effetto, ma realmente indimenticabili.
Andai avanti a lungo a parlare con lui, passammo insieme lontani da chiunque tutto il resto della serata. E fu stupendo. Venne da chiedermi se mai avevo anche lontanamente immaginato che le persone, che le anime o i cuori, potessero essere così aperti e liberi e mi accorsi che avevo perso una parte grandissima di vita. 

  
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