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Autore: Natalja_Aljona    17/11/2011    3 recensioni
Guerra del Peloponneso.
Paura del cielo e paura di morire, onore da vendere e regalare una vita.
Uomini straordinari, uomini di tutti i giorni.
Soldati, eroi.
Una storia che a volte fa male e a volte tende una mano, la loro.
Loro che, in un modo o nell'altro, il coraggio di rialzarsi lo devono trovare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Caelum

Il nome del cielo


Ed era la Guerra del Peloponneso, quella.

Se la sarebbero ricordati, il mare solcato dalle navi, il cielo dal fuoco, la terra dal sangue.

Se la sarebbero ricordati, compagni a cui era bastato stringere una mano un attimo prima di sorridere allo schianto per avvertire uno squarcio di cielo sotto la pelle, il nome del cielo sibilare e stridere come il metallo dell’usbergo e capire, pur consapevoli di non poterlo ammettere, che l’amicizia, anche quella d’un secondo, valeva più di quella guerra.

Se la sarebbero ricordati, i generali, geni implacabili delle più sottili strategie militari, che forse non ce l’avevano, un vero motivo per mandare avanti le falangi, ma il senso dell’onore era più forte.

Onore ormai estraneo alle chimere d’una vita, onore i cui battiti si contavan sulle dita, onore da morirci per poi chiedersi “che senso aveva?” e non trovare una risposta in tempo ma trovarla nella polvere, lancia rotta negli occhi del sogno, negli occhi del cielo.

Ci provava, Lisandro di Sparta, a sfiorare la vittoria.

Bello, bello di un eroismo quasi tremante, bello nell’eternamente vano sogno di rasentare lo splendore degl’illustri gagliardi d’Omero, bello nell’averla già dentro, la vittoria, tanto forte da gridare ai compagni che quell’alba di Nozio, scritta col sangue e con l’oro colato, la verde Sparta dell’infanzia, la grande Sparta degli eroi, la sua Sparta l’avrebbe ricordata.

Andava incontro ad Antioco, Lisandro di Sparta, ma negli occhi aveva Alcibiade, Alcibiade tanto impavido da sfidar la memoria di Pericle nell’aspetto ma non nel valore, non abbastanza.

Alcibiade che aveva respirato l’aria di Socrate, nel cuore di polvere e carta dell’Agorà, e là aveva rubato stelle di filosofia.

Alcibiade che aveva avuto in sorte d’essere un grand’uomo, ma quella volta non sarebbe stato all’altezza delle aspettative, Alcibiade prossimo al rientrare nella Capitale traditore di fiducia bruciata.

Alcibiade nipote dell’ormai rimpianto tiranno d’Atene, Alcibiade discendente d’Aiace.

Alcibiade che incantava con le parole, Alcibiade a cui non sarebbero bastate le parole per incantare Sparta.

E chissà se li avrebbe avuti in gloria il cielo, lo spregiudicato Alcibiade e l’ardente Lisandro.

Chissà se quegli uomini, gli uomini della Guerra del Peloponneso, avrebbero avuto il coraggio, avrebbero trovato il modo di leggere in quell’attimo di voragine tra la lama e la ferita e di ripetere il nome del cielo.

Che la gloria, che l’onore non contavano più niente di fronte a un pugno di nuvole bianche e un azzurro da perderci il fiato ed il cuore l’avrebbero imparato forse solo in quel momento.

Il coraggio di cadere per la Patria l’avevano avuto, ma chissà se l’avevano vissuta abbastanza, abbastanza da lacerare le nuvole e consumare l’azzurro con gli occhi, la paura di morire.



Note


"Andava incontro ad Antioco, Lisandro di Sparta, ma negli occhi aveva Alcibiade": Nella Battaglia di Nozio gli Ateniesi erano guidati da Antioco, subalterno di Alcibiade, che non fece più ritorno in Patria, ma Lisandro brama sconfiggere Alcibiade.

"Alcibiade discendente d'Aiace": Si diceva che Clinia, il padre di Alcibiade, fosse un discendente di Eurisace, figlio di Aiace. Aiace è forse l'eroe omerico greco che più amo, e parlerò anche di questa "illustre discendenza", nei prossimi capitoli.

Allora.

Sapere da dove cominciare è sempre utile, in questi casi, ed io non ne ho assolutamente idea.

Però… E’ da quando avevo undici anni che sogno di scrivere una storia del genere, io.

Adesso ne ho quattordici, e non lo so, forse di tempo ne è passato abbastanza, forse no, ma Dio se l’ho sognata, questa Guerra del Peloponneso.

Pericle è stato l’eroe dei miei undici anni, e questa scena è un frammento della Battaglia di Nozio del 407 a. C., Pericle non c’è già più, questa sconfitta Pericle non avrebbe voluto vederla.

E’ che amo tutto di quel periodo, davvero.

I personaggi, la storia, la Grecia.

E Atene… Atene io l’ho vista, l’ho vista e non è più la stessa, ma l’Atene d’un tempo ce l’avevo nel cuore, e forse è bastato, è bastato almeno un po’.

E forse più d’Atene amerò sempre un po’ di più Sparta, ma diciamo che l’intera Grecia è qualcosa di straordinario ed eccezionale, qualcosa di grande, fin troppo.

Caelum, cielo, il nome del cielo… Rappresenta tante cose, in questa storia, il cielo.

La paura di morire, innanzitutto.

Che io l’ammirerò sempre, l’immenso senso dell’onore di questi soldati, degli opliti, degli Spartani più che di ogni altro, ma stavolta volevo scavar l’anima di questi uomini a modo loro straordinari, e… mi auguro di essere stata all’altezza della caratterizzazione storica , davvero, perché a questa storia tengo tanto, tantissimo.

A voi la parola, adesso.

Grazie in anticipo,

Martina

  
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