Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 8/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key sì
This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.
Love’s
Way – SHINee
-
«Tuo
padre mi ha contattato. Vuole che tu torni
in America e che studi per diventare avvocato. Io sono
d’accordo»
Questo
non era quello che mi aspettavo.
La
guardai, spalancando gli occhi. Si era sentita con mio
padre? Da quando? E perché?
«Sei
venuta qui solo per… costringermi?»
chiesi sbalordita.
«Non
saresti mai venuta se avessi cercato di
convincerti solo a parole» disse semplicemente.
«Da
quanto?»
«Cosa?»
«Da
quanto tu e quello vi divertite a giocare
con me? Da quanto avete deciso di
ingannarmi in questo modo, eh?» sibilai stringendo il
bicchiere d’acqua che
avevo in mano.
«Tutta
questa storia della Corea, del trasferimento...
non capisci che ti stai rovinando la vita? Non andrai mai da nessuna
parte se
rimani qui! Tu tornerai in America e diventerai una manager come tuo
padre,
siamo chiari?!»
«Cos-
Ma chi cazzo sei tu per giudicare quello che
faccio! Io resterò in Corea! Tu… tu sei venuta
qui solo per… hai fatto tutta la
carina solo per convincermi!»
«Giusto,
chi sono?! Di certo non tua madre! Sono
contenta di essermi liberata di te!
Io non ti ho mai voluto, sia chiaro! Hai sempre cercato di rovinarmi la
vita!»
Era
contenta di essersi liberata di me.
Era
contenta di non avermi per figlia.
Non
mi voleva.
La
sua voce rimbombava nella mia mente, mentre
abbassavo gli occhi. Quindi tutto quello che aveva fatto in quelle due
settimane era... falso. Lei non mi voleva bene, non me ne aveva mai
voluto.
Mi
odia.
«Scommetto
che tu ti sia divertita a giocare alla mamma
premurosa e gentile, eh?» sbottai buttando a terra il
bicchiere. I pezzi di
vetro si sparsero per tutta la stanza, mentre io e mia madre, in piedi
l’una di
fianco all’altra, ci guardavano furenti.
«Si,
è stato abbastanza divertente, in effetti. Ma ora
il gioco è finito»
«E
io che ci era pure cascata, ti avevo creduto... Dio,
che stupida! Avrei dovuto capirlo!» urlai avviandomi verso la
porta. Mia madre
mi afferrò il polso, stringendo.
«Lasciami!»
«No!»
la sentii urlare prima che la sua mano
schiaffeggiò forte la mia guancia. Rimasi immobile, cercando
di capire cosa
fosse successo.
«Vai
a fanculo» sibilai liberandomi dalla sua stretta e
scappando via.
Correvo
da almeno dieci minuti tra quelle strade.
Sentivo le lacrime scendere velocemente dagli occhi, ma non ci facevo
caso:
volevo solo scappare via.
Mi
aveva tradita. Io mi ero fidata di lei, avevo
addirittura pensato di poter riallacciare i rapporti e vivere come una
normale
famiglia e invece era tutta una farsa.
Mia
madre in verità mi odiava e mi aveva ricontattato
solamente per riportarmi in America.
Ed
io, come una stupida, ci ero cascata. Avrei dovuto
pensarci due volte prima riparlare con quella donna, prima di... fidarmi e affezionarmi a lei. Ero
davvero un’idiota, un’incapace.
Mi
fermai di scatto davanti ad una torre che conoscevo
bene. Seoul Tower. C’ero stata due giorni prima con lei.
Senza pensare a nulla
entrai, precipitandomi nell’ascensore.
Ultimo
piano.
Quando
uscii sulla terrazza, una ventata d’aria sferzò
violentemente
il mio viso, scompigliandomi i capelli. Ero andata lì con
l’intento di prendere
una boccata d’aria, ma come fossi ipnotizzata, mi avvicinai
al parapetto,
guardando giù. Le strade, le persone, le macchine... tutto
era così piccolo,
così insignificante.
Un
salto e avrei potuto farla finita.
“Sono
contenta di essermi liberata di te! Mi rovinasti
la vita quando nascesti!”
Mi
sedetti sul parapetto tremando. Non avrei dovuto
fidarmi di lei.
«Sarai
contenta ora...» sussurrai silenziosamente.
«Che
cazzo combini?! Erin!» mi girai lentamente verso
chi aveva parlato. Onew correva verso di me, con
l’espressione più spaventata
che avessi mai visto.
«Oh,
ciao» mormorai, ormai fuori di me, tornando a
guardare il vuoto sotto di me.
«Erin,
scendi! Ora!» lo ignorai. «Erin, per favore,
guardami! Non fare cazzate!»
«A
lei... Farebbe piacere» dissi senza ascoltarlo.
«No!
Erin, guardami! Per favore! Io...» mi girai verso
di lui quando sentii un singhiozzo mal trattenuto. I suoi occhi erano
lucidi,
le sue guance bagnate. Mi guardava spaventato, le braccia tese verso di
me.
«Per favore, non lo fare. Pensa a Jihyun, pensa a me! Proprio non t’interessa?
Tutto si può sistemare se scendi. Ci
sarò io per te, però per favore, non lo fare,
qualunque sia il motivo. Per
favore, per favore... Io non... Sei importante per me!»
“Già,
Jihyun. a lei proprio non avevo pensato.
Probabilmente si arrabbierà, visto che non l’ho
ancora accompagnata ad un
concerto degli SHINee. E ho lasciato la porta aperta… E
Onew... nemmeno a lui
avevo pensato. Sta piangendo, sembra spaventato. Fa male vederlo
così... forse
dovrei consolarlo.”
In
un attimo, non so come, mi ritrovai tra le sue
braccia, che mi stringevano troppo forte. Non dissi nulla, anche se
faceva
male. Andava bene così. Lo sentivo piangere sommessamente,
mentre io avvolsi le
mie braccia attorno alla sua schiena, stringendo a mia volta. Senza
rendermene
conto iniziai a piangere, singhiozzando senza ritegno.
Seduta
sul sedile della sua macchina, guardavo passare
davanti ai miei occhi le luci della città, in silenzio.
Ero
stanca.
Non
ricordavo che piangere fosse così stancante, ed io
di lacrime ne avevo versate tante in quei minuti. La mia mente
continuava a
riportarmi alla mente quei momenti, quasi a farmi capire fino in fondo
cosa
stavo per fare nemmeno un’ora fa. Al pensiero, un lungo e
scomodo brivido
oltrepassò la mia schiena, facendomi tremare.
Non
so cosa mi era preso.
Non
volevo saltare veramente, ora che ci pensavo, ma in
quel momento… guardando giù tutto mi era sembrato giusto. Era stato come risvegliarmi da
una trance quando Onew mi
aveva preso tra le sue braccia.
Improvvisamente
riconobbi la strada vicino a casa mia e
tremai ancora, più a lungo. Non volevo tornare lì.
«Onew...
Dov-»
«Prendiamo
i tuoi vestiti e andiamo a casa tua. Finché Jihyun
non torna tu stai da me» dichiarò atono fermandosi
davanti casa.
«S-Sali
tu» dissi «Al posto mio»
«No,
ti accompagno» mi precedette, entrando velocemente
in ascensore, poi si appoggiò a una delle pareti, chiudendo
gli occhi. Sembrava
si trattenesse dal picchiare qualcosa o qualcuno. Era arrabbiato con
me? Non
feci in tempo a pensarci: appena uscimmo dalle porte
dell’ascensore, mi
ritrovai davanti mia madre, valigie in mano e cappotto addosso.
«Che
ci fai qui? Già di ritorno dalla tua corsetta?»
aprii la bocca ma nessun suono ne volle sapere di uscire. Lei
continuò. «Me ne
vado. Dal momento che non vuoi venire, e visto che ho perso tempo
stando per
due settimana in questo buco, preferisco tornare nella mia villa a LA.
Te la
vedrai con tuo padre, da sola. E questo chi è? Il tuo
fidanzatino? Sei andata a
consolarti da lui?»
«Lui
è-»
«Un
suo caro amico.
Piacere signora. Ora, con il suo permesso, noi dovremmo
passare» mia madre fece
un passo in avanti verso di lui, squadrandolo furiosa. Lui era
impassibile, non
riuscivo a capire da dove prendesse tutta quella sicurezza.
«Senti
ragazzino, fai poco l’arrogante con me, ok? Il
mio compagno è un avvocato»
«Oh,
davvero?»
esclamò mettendosi le mani in tasca «Io conosco
più o meno una trentina di
avvocati e lavoro per una delle agenzie più importanti della
Corea. Oh, per non
parlare poi del fatto che sono conosciuto in tutta l’Asia.
Non penso sia
opportuno mettersi contro di me, sappiamo tutti e due che come
finirà. Ora, con
permesso... Buona serata signora, le auguro un buon rientro a casa sua.
E
avverta il suo ex marito di non importunare più Erin.
Andiamo»
Il
suo discorso era stato... wow.
Non
avevo mai, e ripeto mai, visto Onew
parlare in quel modo. Persino mia madre era rimasta
senza fiato. Io lo seguii, sbalordita, aprendo la porta.
«Quello
era...»
«Scusami.
Quella donna mi irritava... Presto, prendi le
tue cose»
«...Il
discorso più convincente che abbia mai sentito
da te»
proseguii voltandomi verso di lui «Onew,
hai guadagnato qualche punto»
aggiunsi poco dopo. Speravo di sentirlo ridacchiare come aveva sempre
fatto, ma
ciò non accadde. Rimase seduto sul divano, accennando ad un
debole sorriso che
sparì dopo qualche attimo. Decisi di passarci sopra e corsi
in camera mia. Da dove
ne riemersi dieci minuti dopo, con lo stretto necessario pacchettato in
un
borsone.
«...Sono
pronta» sussurrai.
«Bene»
si alzò, osservando la mia borsa «Un po’
poco
per quello che dovrai starci. Vabbè, torneremo
domani» poi mi diede le spalle,
avviandosi verso la porta.
«Onew!»
lo fermai «Ti... ho fatto arrabbiare?»
«Cos-
perché me lo chiedi?»
«Sembri
in procinto di picchiare qualcuno e non sorridi
da quasi un’ora» mormorai semplicemente. Lui si
avvicinò a me, prendendo la mia
borsa dalle mie mani.
«No.
E’ solo che... continuo a rivederti sul quel
parapetto e, credimi, non è una bella immagine. Mi hai fatto
preoccupare da
morire, Erin»
Lo
guardai, in silenzio. Ora sorrideva, ma il suo viso
era stanco e preoccupato, ed io non avevo la più pallida
idea di cosa fare.
Avrei dovuto... abbracciarlo? Magari consolarlo? Era colpa mia se si
sentiva
così, ma non avevo mai consolato una persona in vita mia.
«Io...»
«Non
ti preoccupare, ora andiamo» annuii, seguendolo
fuori. E ancora una volta non ero riuscita a farmi perdonare o a
calmarlo.
Questa
cosa iniziava a darmi i nervi.
«Ci
saranno anche gli altri, uhm... dentro?» chiesi
mentre apriva la porta.
«Sì,
ma non ti preoccupare, saranno felici di averti
qui. Entra, su» feci come mi aveva detto, ritrovandomi dentro
l’appartamento
dov’ero stata qualche settimana prima. Tutto era come lo
ricordavo e,
stranamente, mi sentivo al sicuro. Come a
casa.
«Jinki
hyung, sei tu?» sentimmo urlare dalla cucina.
Altre voci stavano ridacchiando in salotto, con la tv accesa.
«Sì,
e abbiamo un’ospite!»
«Così
Jinki è il tuo nome...» sussurrai girandomi verso
di lui. Stupita, realizzai il fatto che, per tutto quel tempo, non
avevo fatto
altro che chiamarlo con il suo falso nome.
«Sì,
ma preferisco che tu mi chiami Onew. Jinki non mi
piace» rispose appoggiando la mia borsa a terra e togliendosi
il giubbotto.
«A
me sì» ammisi. Nel frattempo sentimmo dei passi
affrettati venire verso di noi. Alzai lo sguardo, ritrovandomi davanti
Kibum, quello
strano, e il più piccolino. Kibum aveva addosso una tuta e
aveva in mano una
tazza da dove proveniva un profumo invitante, mentre il piccolino
–che non
aveva più i capelli lunghi come i miei!– era in
pigiama. Entrambi mi fissavano,
stupiti.
«C’è
stato... qualche contrattempo. Per un po’ resterà
qui da noi, ok? Solo qualche settimana» esordì
Jinki avvicinandosi a me.
«Oh,
nessun problema! Può dormire nella stanza del
manager, visto che se n’è andato!» Kibum
si avvicinò a me, appoggiando la tazza
su un tavolino per poi prendermi le mani tra le sue. Un po’ a
disagio, rimasi
immobile. Ma da dove prendeva tutta l’energia, questo qui?
Era l’una di notte!
«Erin, giusto?»
«ehm...
sì»
«Io
sono Kibum!»
«Io
sono Taemin! Sei più grande di me, vero? Posso
chiamarti noona?»
«Io...»
«Ragazzi,
lasciatela in pace! E’ stanca» ridacchiò
Onew. «Andiamo, Erin? Ti faccio vedere la stanza»
lo seguii su per le scale in
silenzio, mentre dietro di noi i due ragazzi stavano bisbigliando tra
di loro.
«Ok,
la mia stanza la ricordi, no? E’ quella di fianco
a questa»
«Sì»
«Erin?»
«Sì?»
«Sei
sicura che...»
«Cosa?»
«Che
tu voglia dormire da sola? Non hai... paura?»
«No.
Jinki, non ti preoccupare»
«Ok...
io vado»
«Jinki?»
«Sì?»
«...Grazie»
Mi
sorrise, poi sparì come un fantasma dietro alla
porta. Io mi stesi sul letto. Probabilmente ora era in salotto a
spiegare tutto
ai ragazzi e domani tutti avrebbero saputo che avevo tentato di... Al
solo
pensiero tremai, impaurita per quello che avrei potuto fare. Ora stavo
bene, ma
nelle ore precedenti tutto era accaduto come se quella che si muoveva
non fossi
io, come se qualcun altro stesse manovrando la mia mente e il mio
corpo.
Il
fatto che mia mamma avesse architettato tutto
insieme a mio padre ora non mi scioccava più di tanto. Mi
ero lasciata
trasportare dalle emozioni per quelle due settimane, era tutta colpa
mia se era
successo tutto quello.
«Ora
basta, meglio dormire» mi lavai, mi misi il
pigiama e mi rifugiai sotto le coperte, cercando di prendere sonno.
Correvo,
ansimavo. Dove diavolo
ero?
Continuai ad avanzare, finché non mi ritrovai in un posto
familiare. Realizzai
poco dopo che quella era la terrazza dove avevo cercato di buttarmi
giù. Dovevo
allontanarmi, dovev-
Due
paia di mani mi tenevano ferma,
immobile.
«Perché
non finisci quello che hai
cominciato, Erin?» sentii Onew sussurrare malignamente.
«Potevi
anche andartene, ormai non
interessi più a nessuno»
“Dovresti
buttarti giù, Erin”
“Erin, vattene
da casa mia”
“Buttati
giù”
“Credi
davvero di essere importante?”
“Smorfiosa”
-
Note
dell’autore.
Com’è
che era? Aggiorno domani? LOL
So
a cosa state probabilmente pensando… Perché
l’autrice
ha deciso di infilare un tentato suicido dal nulla? La risposta
è che… Non lo
so! XD Non ho la più pallida idea di quello che stavo
pensando in quel momento,
ma ho deciso comunque di lasciare così, anche
perché non avrei saputo come
sviluppare tutta la storia altrimenti…
Spero
che vi sia comunque piaciuto!
Chihiro02:
Grazie di nuovo! Ho un debole per le povere ragazze con mille
disavventure, se
non si è notato! XD
Chrome_th:
Queste
madri devono smettere di rovinare i sogni alle ragazze LOL (??)
Too
fast to live:
Ti capisco n___n Sì, ha 18 anni!
_Eli
Minho_:
I suoi genitori li odio pure io che li ho scritti
(??). Mi sa che a quanto stronzaggine (ma esiste questa parola,
almeno?) ho
fatto un buon lavoro! XD