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Autore: aki_penn    17/11/2011    9 recensioni
Mentre il condominio Chupa Cabras si prepara ad affrontare l'estate più calda degli ultimi quindici anni, i suoi inquilini più giovani dovranno imparare a sopravvivere a loro stessi. Tra portinaie pettegole, padri apprensivi, furti di ventilatori e agognate quanto temute prime volte, l'estate di Soul Eater.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Death the Kid, Liz Thompson, Patty Thompson, Tsubaki | Coppie: Black*Star/Tsubaki, Soul/Maka
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Trentotto scalini'
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Trentotto scalini

Capitolo Tredicesimo

Il rapimento di Wilma Ventola

 

Tsubaki stampò un bacio sulle labbra di Black*Star. Maka era arrabbiata e si era chiusa in casa a bere tea bollente e leggere libri di poesie, dove non c’era nessun assassino da smascherare. Soul si stava godendo il film sugli zombie che davano sul secondo canale e probabilmente trangugiava ghiaccioli all’anice.

“Se non la smetti ti verrà una congestione, oppure ti toccherà stare sul gabinetto una settimana!” diceva sua madre , inascoltata, mentre lavava i piatti. Sarebbe stato bello se si fossero potuti permettere almeno una lavastoviglie.

Liz, Patty e Kid erano tornati al tiro a segno della fiera paesana e il professor Excalibur ripassava il suo discorso per il suo prossimo spettacolo teatrale. Lo conosceva già perfettamente, ma amava sentire il suono della sua voce. Free stava, come al solito, annegando chissà quale pianta.

Tsubaki invece si era fatta convincere a scendere le scale del Chupa Cabras con una scusa (“Mamma, vado a fare due chiacchiere con Maka”), sperando che i suoi non scoprissero mai l’inganno, ed era entrata nella tenda da campeggio che Black*Star aveva picchettato appena fuori dalla recinzione sul retro.

La cosa carina del Chupa Cabras stava nel fatto che la recinzione fosse fatta per tre quarti composta da una muratura alta tre metri, così, da fuori, non si poteva vedere cosa stava succedendo in giardino, e viceversa, com’era utile in quel caso.

“Black*Star, e se qualcuno viene da questa parte?” domandò Tsubaki tra un bacio e l’altro, mentre lui, ignorando le sue lamentele, cercava di toglierle la maglietta.

“Perché qualcuno dovrebbe venire qui? Gli unici che si arrampicano sugli alberi siamo io e Soul. Io sono qui e Soul non ha nessun motivo per venire sotto quest’albero” fece lui, piuttosto disinteressato mordicchiandole il collo. Tsubaki era visibilmente insoddisfatta e ancora piuttosto preoccupata.

“Ma perché ti sei messo vicino ai bidoni, così se qualcuno deve buttare la spazzatura ci vede per forza!” piagnucolò.

“Allora spengo la luce. Saremo invisibili” dichiarò senza troppe cerimonie, rimettendosi subito a baciarla senza lasciarle il tempo di lamentarsi ancora.

“Mhhm, Black*Star” cercò di dire, ancora piuttosto contrariata dalla trovata del ragazzo. Non fece in tempo a dire altro che si sentì un terrificante rumore di zip.

Tsubaki si staccò a forza dalle labbra di Black*Star e, quest’ultimo, aprì faticosamente un occhio con aria omicida.

Medusa, con il viso in ombra e i capelli color paglia illuminati dalla luce del lampione, se ne stava in ginocchio davanti alla tenda aperta e li guardava.

Black*Star rimase immobile, con una mano sul seno di Tsubaki e l’altra sulla sua vita, interdetto, per la prima volta nella sua vita. Tsubaki fissava la nuova venuta, con aria terrorizzata.

“Buonasera ragazzi” salutò con voce melliflua. Sembrava tanto un serpente che prima striscia piano, per poi azzannarti all’improvviso.

Tsubaki si sbarazzò, con un gesto brusco, delle mani del ragazzo, che ancora le stavano addosso.

“Buonasera Signorina Medusa” salutò la ragazza, in reggiseno e con la voce rotta. Deglutì a disagio, rendendosi conto solo in quel momento che non aveva idea se Medusa fosse una signora o una signorina. Aveva Crona, ma non c’era traccia di un ipotetico marito/padre. Ma di certo quelli non erano problemi importanti in quel frangente.

“Tsubaki, i tuoi lo sanno che sei qui?” domandò con voce melliflua e un sorriso che, in quella penombra, sembrava spaventoso.

La ragazza deglutì e scosse lentamente la testa. Medusa annuì con aria accomodante “Allora, forse, non è meglio se torni a casa?”

Tsubaki deglutì di nuovo e annuì afferrando in fretta la maglietta che Black*Star le aveva tolto. Gattonò veloce fino all’uscita e Medusa si scostò da una parte per metterle il passaggio, non fece in tempo a fare o dire niente che Black*Star era già sbucato fuori all’inseguimento della ragazza che, rivestendosi, correva verso il cancello d’ingresso del giardino del Chupa Cabras.

“Ehi, Tsubaki!” urlò senza farsi tanti problemi. Tsubaki si fermò, di botto, e si mise un dito sulle labbra in un chiaro invito a fare silenzio.

Aveva gli occhi lucidi e un’espressione contrita. “Non mi seguire” piagnucolò, prima di voltargli di nuovo le spalle e scappare oltre il cancello. Il cane lupo abbaiò un po’ dalla sua cuccia.

Black*Star rimase qualche secondo a guardare la figura delicata di Tsubaki andarsene di corsa e venire ingoiata dalla porta del Chuba Cabras. La luce del vano scala era accesa, come sempre, e dalla portineria veniva un chiacchiericcio piuttosto alto. Probabilmente Liza e Arisa avevano di nuovo dato fondo alle scorte di grappa.

Si morsicò il labbro, piuttosto arrabbiato, la serata non doveva andare così. Proprio no, era la seconda volta che Tsubaki gli scappava in quel modo e, quella volta, sembrava perfino sul punto di piangere. Se andava avanti così avrebbe veramente finito per pensare di non piacerle. E lui mica poteva non piacerle! Per la miseria, lui sarebbe diventato il Re del mondo!

Corse via, passando davanti a Medusa, ancora inginocchiata davanti alla tenda, ignorandola bellamente e facendo il giro della recinzione in muratura.

Medusa si voltò per seguire quella corrente d’aria improvvisa che le aveva scompigliato la pettinatura, ma fece solo in tempo a vedere la gamba di Black*Star sparire dietro l’angolo.

“Perché ti diverti a terrorizzare i ragazzini?” domandò una figura controluce appoggiata a un albero.

Medusa alzò gli occhi su Stein che, qualche metro più in là, la guardava con disapprovazione.

“Perché terrorizzare? Cercavo di fare solo il meglio per loro. I signori Nakatsukasa non sarebbero contenti di sapere che loro figlia si imbosca dentro una tenda insieme a uno scalmanato. E se arrivasse qualcuno? Lo faccio solo per il loro bene” spiegò Medusa con l’aria di chi era stata fraintesa.

“Oh, sì. Come sei magnanima” commentò lui, sarcastico, avvicinandosi di qualche passo a dove stava inginocchiata la donna, sbuffando fumo.

Medusa fece un sorrisetto malizioso, prima di piegarsi in avanti e gattonare dentro la tenda. Stein si avvicinò a passo lento per poi inginocchiarsi a sua volta per terra a guardare dentro. Non c’era nessuna torcia a far luce, ma il chiarore dei lampioni poco distanti gli permisero di distinguere la figura di Medusa, che si stagliava, scura, sul verde mela della tenda.

“Dovresti fumare lontano da qui. La tenda è fatta di nylon, se va a fuoco è un problema” fece lei ridanciana, seduta all’interno, con le gambe tese.

“Io faccio quello che mi pare” rispose sardonico lui, ma spese la cicca per terra ed entrò.

“Hai mai dormito in una tenda?” domandò Medusa mentre si sistemava da una parte, in modo da far sedere comodamente anche lui.

“Dormito, direi di no. L’ultima volta che ci avrei dovuto dormire avevo dodici anni e facevo gli scout. Ho passato tutta la notte a organizzare uno scherzo per Spirit. Ne è valsa la pena” spiegò, poi bussò il pugno sul pavimento della canadese “Quella volta però avevamo il materasso” aggiunse. Medusa ghignò.

 

§

 

Tsubaki fece le scale alla velocità della luce, rischiando di investire Liz che si metteva lo smalto, seduta su un gradino perché a Kid dava fastidio vedere  tutti quei cosmetici in confusione.

“Tutto okay, Tsubaki?” domandò voltandosi, ma l’amica era già sfrecciata verso il quarto piano, l’aveva superato ed era arrivata al quinto, dove abitava. Cercò freneticamente le chiavi in tasca e aprì la porta spingendo.

“Ciao tesoro, sei tornata?” chiese la signora Nakatsukasa, intenta a lavare i piatti. Era incredibile come i genitori facessero sempre domande dalle risposte fin troppo ovvie.

“Sì. Vado in camera mia” disse velocemente, senza fermarsi neanche un attimo in salotto, dove suo padre guardava il telegiornale.

“Tutto a posto, Tsubaki? Maka e Spirit stanno bene?” chiese lui distogliendo l’attenzione da un giornalista in collegamento da New York.

La ragazza, che aveva già messo un piede in camera sua, tornò indietro, giusto tanto da far spuntare la testa da dietro l’angolo. “Tutto a posto, sì” fece un sorriso un po’ tirato e poi ripeté, sbattendosi dietro la porta “Sono in camera mia.”

Si lasciò cadere per terra al buio. Tsubaki non aveva avuto molto a che fare con Medusa, non sembrava fosse tipo da impicciarsi degli affari altrui, come facevano Liza e Arisa, ma gli adulti sono strani. Come faceva a sapere che non sarebbe andata a spifferare tutto ai suoi e magari anche al signor Mifune? Sarebbe successo un bel casino.

Non conosceva bene Medusa, ma a volte i grandi finivano per cercare di fare la cosa giusta, la cosa che loro consideravano giusta, in quel caso parlare di ciò che aveva visto non sarebbe stato giusto per niente. Appoggiò la fronte alle ginocchia piegate e le sarebbe venuto anche da piangere se la sua attenzione non fosse stata catturata da un picchiettio contro il vetro. Alzò la testa e vide Black*Star in ginocchio sul cornicione con la faccia schiacciata contro il vetro.

“Black…” urlò, per poi coprirsi la bocca per non urlare. Corse ad aprire l’infisso.

“Che diamine fai qui?” chiese concitata, cercando di tenere un tono di voce abbastanza basso da non essere sentita. Da fuori si udì dire “Tutto a posto, Tsubaki?”

“Sì, mamma. Ho solo sbattuto l’alluce contro lo spigolo del comò” urlò di rimando la ragazza, visibilmente terrorizzata.

“Va bene. Stai attenta allora”

“Certo” continuò lei andando a chiudere la porta della sua camera a chiave, con un balzo felino.

Si voltò di nuovo verso il ragazzo che le era piombato in casa da un momento all’altro.

“Che cosa stavi cercando di fare? Siamo al quinto piano!” disse con una voce che era un incrocio tra un sussurro, un piagnucolio e una sgridata. Black*Star alzò le spalle, come non capendo quale fosse il problema.

“Mi sono arrampicato per la grondaia” spiegò.

“E…e se si staccava? Le grondaie non sono fatte per arrampicarsi” piagnucolò ancora, lei.

Black*Star alzò di nuovo le spalle, per nulla preoccupato, e si mise le mani in tasca.

“Mi scocciava che mi avessi piantato laggiù, insieme a quella tipa bionda” brontolò lui. Tsubaki deglutì, stringendo i pugni “Quella tipa bionda abita al Chupa Cabras e conosce i miei genitori e conosce il signor Mifune. Cosa succederebbe se il signor Mifune sapesse che giri da queste parti?” chiese agitata.

“Sai cosa me ne frega di quello” sbuffò il ragazzo, alzando gli occhi e fissando un angolo del soffitto con aria fintamente indifferente, per poi tornare a osservare Tsubaki, con aria un po’ circospetta.

Lei sembrava ancora piuttosto angosciata. Black*Star fece una smorfia, poi allungò il braccio e appoggiò la mano sulla nuca di Tsubaki, strascinandola verso di sé e sbattendo le labbra sulle sue, con violenza.

Lei aprì la bocca, le veniva da piangere. Voleva che lui la baciasse, ma non riusciva a non pensare al fatto che erano in camera sua, con suo padre che guardava la televisione in salotto e Medusa li aveva visti in un momento piuttosto intimo.

Gli circondò il collo con le braccia e finì per mettersi a piangere davvero mentre gli mordeva il labbro inferiore.

Sentì le sue mani scivolare sotto la maglietta, si disse che non poteva farsi svestire per l’ennesima volta, ma comunque non lo fermò perché fu lui a staccarsi da lei, costringendola ad aprire gli occhi.

“Che c’è?” piagnucolò lei. Se ne rendeva conto, era tutta la sera che piagnucolava.

“Fa un gran caldo” sbottò infastidito. Tsubaki annuì “È normale, qui non siamo in riva al mare come a casa tua”.

Black*Star grugnì “Non hai un condizionatore, una ventola, un frigorifero, un ventilatore…?”

“Abbiamo solo il frigo ed è in cucina, in compagnia di mia madre”

Black*Star stava già avviandosi a passò di marcia verso l’uscio, quando lei lo trattenne per la manica. “Non ti azzardare” disse arcigna. Lui si immobilizzò, non l’aveva mai vista con quella faccia. Deglutì “Va bene”

Si guardarono per qualche secondo, nella penombra, in silenzio.

“Quindi non c’è niente. Neanche un ventaglio?” continuò Black*Star, che non si era ancora arreso all’evidenza che in quel posto avrebbe sofferto un caldo immane.

Tsubaki scosse la testa “L’anno scorso il signor Albarn aveva comprato un ventilatore, ma si è rotto subito. Anzi, diciamo che è stato il professor Stein a romperlo per fare uno dei suoi esperimenti, però il papà di Maka non l’ha mai saputo. Credo che l’unico a possedere un ventilatore, al momento, sia proprio il signor Mifune” spiegò tranquillamente, ignara di cosa sarebbe successo a quel punto.

Black*Star si guardò in giro e sbatté le palpebre qualche volta, poi esordì “Va bene. Lo vado a prendere in prestito”

“Ehh?” l’esclamazione di Tsubaki fu, ancora una volta, troppo forte, ma fortunatamente anche il volume della televisione era alto. Alto abbastanza da impedire al signor Nakatsukasa di udire la propria figlia.

Non fece in tempo a fermarlo, anche il lembo di stoffa che era riuscita ad afferrare scivolò via dalla sua presa come un fil di vento, quando Black*Star salì in piedi sul davanzale.

In un batter d’occhio acchiappò la grondaia di lamiera e si mise a scalarla.

“Black*Star!” chiamò isterica Tsubaki, vedendolo salire. Lui si fermò solo per un attimo per guardarla dall’alto e mostrarle il pollice in segno di vittoria rimanendo, conseguentemente, appeso con una mano sola. Tsubaki soffocò un altro grido terrorizzato e lui scivolò come uno scoiattolo fin dentro casa del signor Mifune.

Tsubaki, con una mano sulla bocca, si ritirò di nuovo dentro la stanza. Cosa aveva fatto male per avere a che fare con un tipo così?

Il signor Mifune abitava al sesto piano, quindi, d’estate, quando accompagnava la figlia agli autoscontri, alla festa di paese, non si curava di chiudere le finestre. Quale ladro si sarebbe arrampicato fino all’ultimo piano di un condominio del genere?

Probabilmente un ladro di ventilatori.

Tsubaki stava ancora rimuginando sull’infausta situazione quando Black*Star atterrò di nuovo sul suo pavimento, producendo un gran rumore di ferraglia.

“Ecco il super uomo!” esultò. Tsubaki sussultò trattenendo l’ennesimo urlo. Tutta questa accortezza, però, non bastò a tenere lontani i guai.

“Tsubaki, tutto okay? È caduto qualche cosa?” chiesero dalla cucina. La ragazza sbiancò, sentendo i passi avvicinarsi alla sua stanza. Si guardò in giro terrorizzata, cercando una soluzione. Finì per aprire l’armadio e stiparci a forza sia Black*Star che il ventilatore del signor Mifune. Quasi si stupì che l’intero ego di Black*Star ci entrasse nell’armadio, anche se con un po’ di riluttanza.

Sentì sua madre forzare la porta, cercando di aprirla.

“Tsubaki? Perché ti sei chiusa dentro?” chiese la donna, da fuori, con voce un po’ più stridula del solito. Sua figlia era ancora intenta a spingere l’anta del mobile col ginocchio, con un balzo accese la luce e girò la chiave per aprire la porta. “Scusa mamma, volevo cambiarmi d’abito per andare a letto” mentì con la miglior faccia-da-bugia che possedesse, non aveva mai detto tante frottole come da quando stava con Black*Star.

“Tutto a posto? Hai un’aria un po’ sofferente. Sei sicura che da Maka sia andato tutto bene? Avete litigato?” chiese premurosa sua madre. La ragazza scosse la testa “Figurati” e le propinò un sorriso tiratissimo.

“Va bene, se hai bisogno, io e tuo padre, stiamo guardando un documentario sui panda, in salotto”.

La ragazza annuì e richiuse a chiave la porta, prima di correre di nuovo all’armadio e aprirlo. Il mobile vomitò un ragazzo dai capelli azzurri, un gigantesco ventilatore, vari vestiti con tanto di gruccia e un paio di sandali, che colpirono in testa Black*Star.

“Ti prego, vai a casa” implorò la ragazza, con l’aria di chi sta per avere una crisi di nervi. “Ma sono appena arrivato!” cercò di ribattere lui, evidentemente scocciato. Tsubaki gli indicò la finestra, con un sorrisetto piuttosto tirato, che avrebbe dovuto essere accomodante.

Il ragazzo grugnì “E va bene” e se ne andò calandosi nuovamente giù per la grondaia, convinto che Tsubaki lo odiasse. Doveva fare assolutamente qualche cosa, sembrava proprio che Tsubaki fosse arrabbiata con lui, in quel periodo.

 

§

 

A Spirit non capitava spesso di dover fare il bucato, ma quel giorno Maka si era offerta per distribuire i volantini che pubblicizzavano la gita condominiale al mare, così si era ritrovato in giardino a stendere.

A essere sinceri, la prima mezz’ora l’aveva passata a farsi rincorrere dal cane lupo che il signor Free si era dimenticato di legare al palo, il successivo quarto d’ora l’aveva passato,invece, a osservare Blair che si spalmava la crema solare, seduta sulla fontana dei pesci rossi, così era riuscito a mettersi al lavoro che le lenzuola si erano già mezze asciugate, dentro la catinella.

Due fili più indietro, anche Stein stava attaccando con delle mollette un suo camice appena lavato. Viveva da solo, quindi provvedeva a tutte le faccende di casa autonomamente.

Spirit lo guardò, mentre rischiava di sporcare tutto con la cenere della sigaretta che stava fumando.

“Mi hanno detto che hai avuto modo di aiutare la graziosa dottoressa Medusa a montare il letto svedese” esordì Spirit con una nota d’invidia.

Il professore abbassò lo sguardo su di lui e i suoi occhiali mandarono un riflesso che impedì al signor Albarn di guardarlo negli occhi.

“Sì, più o meno” rispose strascicato, come se la cosa non lo riguardasse.

“Non starai mica cercando di conquistare il suo cuore?” domandò ancora l’uomo, senza arrendersi all’evidenza che Stein non era in alcun modo interessato al discorso.

Il dottore lo guardò di nuovo, prima di dire, cristallino “Credo che l’unico cuore che potrebbe interessare a quella donna sarebbe uno da vendere al mercato nero degli organi. Chissà quanto vale un cuore…” continuò come parlando tra sé. Ci mancava solo che si desse al contrabbando di organi. Spirit sembrò infastidito oltre che piuttosto intimorito.

“Non dovresti parlare così di una creatura delicata come la dottoressa Medusa. Non mi dirai che non hai neanche mai provato a rubarle un bacio!” brontolò ancora Spirit, sempre più indispettito, un po’ perché Stein liquidava la bellezza della signorina Gordon, un po’ perché, a quanto pareva, aveva avuto molte più occasioni di lui di rimanere solo in sua compagnia.

Stein scosse la testa “No” rispose sinceramente per poi aggiungere andandosene “però abbiamo fatto sesso tre volte”. In quel momento sentì un po’ la mancanza di mettere le rane nel sacco a pelo di Spirit, come quando avevano dodici anni e andavano in campeggio insieme agli scout. Sì, era proprio divertente, avrebbe dovuto organizzare uno scherzo simile.

 

§

 

Qualche piano più su, Maka, saliva lentamente le scale, era un tipo atletico, ma quel giorno faceva così caldo che le sembrava di avere dei macigni al posto del suo solito paio di gambe. Tsubaki, accanto a lei, sembrava più ansiosa e sudata che mai, oltre ad essere piuttosto pallida.

“È tutto okay?” domandò mentre, giunti al quarto piano, infilavano il volantino pubblicitario della gita condominiale sotto la porta di Exalibur. Kid, che le aveva notate tempo prima, si era premurato di scrivere la data sbagliata sull’invito.

Tsubaki annuì con l’aria di chi stava dicendo una bugia.

“ ‘giorno” salutarono distrattamente, dall’alto della rampa di scale. Sia Maka che Tsubaki alzarono la testa, per vedere Soul che scendeva trotterellando, con le mani in tasca.

Le salutò entrambe, Maka seria e Tsubaki con un sorriso affaticatissimo disegnato in volto. Lui guardava solo la prima, però.

“Che è ‘sta roba?” domandò, prendendo un volantino. “Sotto la tua porta non l’abbiamo ancora messo” si giustificò la ragazza più alta.

“È una gita condominiale alla stazione balneare di Baba Yaga” spiegò Maka, scrupolosa.

Soul sbuffò “Ma è un posto da sfigati, ci saranno solo dei vecchi”. Si beccò un gran scappellotto “E allora non venire, signor sono-troppo-figo-per-voi!” ribatté la sua interlocutrice, mettendo il broncio. Tsubaki fece un risolino imbarazzato. 

Fu più o meno in quel momento che, dalla stessa rampa dalla quale era apparso Soul, spuntò Mifune, che teneva in braccio Angela.

“Buongiorno”

Il battibecco che si era appena acceso terminò per far spazio ai convenevoli.

“Come stanno i tuoi genitori, Tsubaki?” chiese poi l’uomo. Non era certo un chiacchierone ma i signori Nakatsukasa erano persone di prim’ordine e ci teneva a essere gentile anche con loro figlia. Soul e Maka furono messi in disparte, come uno sfondo.

La ragazza sentì qualche cosa di caldo sfiorarle la mano. Si voltò verso l’amico per guardarlo, lui la stava fissando, serio.

“Vieni un attimo giù? Finisci dopo di distribuire i volantini. Se vuoi poi ti aiuto anche” propose.

Maka annuì e lasciò che lui la prendesse per mano e la conducesse per le scale. Rimasero in silenzio per tutto il tragitto e quando furono finalmente al piano terra Maka per poco non tirò dritto inciampandosi per uscire. Soul invece voltò di nuovo “No, di qua” disse, senza dare ulteriori spiegazioni. Maka si lasciò condurre nelle cantine, il ragazzo accese la luce con un pugno e scese quasi di corsa gli ultimi gradini, sempre trascinandosi dietro lei, che stava al passo.

“La mia cantina è di qua” illustrò Soul, in tono piatto, quando la folle discesa si fu esaurita e si trovarono nel sotterraneo. Si sentiva che erano sotto terra, faceva molto più fresco.

Quel difficile intrigo di cunicoli e cantine aveva messo più volte in difficoltà sia Crona che la signorina Marje.

Il ragazzo tirò fuori una chiave dalla tasca e aprì la porta in legno del suo scantinato “Entra” disse senza degnarsi di dare ulteriori chiarimenti.

L’amica eseguì, guardandosi in giro circospetta, era una normale cantina, di un normale condominio. Pompe per biciclette, libri impolverati, un paio di sci, qualche coperta ricoperta di nylon. Soul si affrettò a chiudere di nuovo a chiave, quando furono entrati e poi si voltò verso di lei.

Maka lo guardò con aria interrogativa, finché non se lo ritrovò appiccicato addosso. Gli appoggiò le mani sul petto per allontanarlo, facendo cadete tutti i volantini per terra ma, un secondo dopo, gli stava stringendo la maglietta con enfasi. Soul la sollevò, quasi involontariamente di qualche centimetro, per poi posarla di nuovo a terra, mentre lei si sentiva schiacciare tra il suo petto e il muro gelido e umido del sotterraneo.

La lingua di Soul era calda nella sua bocca, con le mani le accarezzava i fianchi. Maka gli circondò il collo con le braccia, sospirando. Quasi si vergognava di quanto le piacesse quel contatto, di come le piacesse il calore di Soul che le stava addosso, di quanto le piacesse le lui la toccasse e le leccasse il collo. Si allontanarono solo per respirare, entrambi con le lebbra umide e gonfie. Maka lo fissò sentendosi il mento bagnato di saliva e il bassoventre in fiamme. Soul deglutì “Pomiciare in una cantina è molto poco cool. Abbiamo anche pestato i tuoi volantini” fece a bassa voce, tenendosi a pochi centimetri dal viso di lei. Maka annuì, pulendosi la bocca col dorso della mano “Già”.

“Torniamo su?” chiese imbarazzato. Era stata un’idea davvero idiota, quella di portarla lì. Solo perché aveva voglia di baciarla, trascinarla in cantina in quel modo era stata davvero una cosa stupida. Le aveva infilato la lingua in bocca e le mani sotto la maglietta e quando si era calmato le aveva detto Beh, adesso sono a posto, puoi andare. Era un po’ come se l’avesse usata e basta, sentiva tutto il sangue andargli alle guance, imporporandole. Lei si sarebbe arrabbiata, anche se gli aveva dato ragione, sapeva che si sarebbe arrabbiata da morire. La verità era che, da quando si erano baciati al cinema, non faceva altro che pensare a lei, a come sarebbe stato vederla nuda, e non dalla finestra, di nascosto come gli era successo mentre spiava Blair.

Cercò di non guardarla mentre risaliva le scale, ma sentiva gli occhi di lei puntati sulle scapole, come due lame.

“Soul” lo chiamò. Il ragazzo si irrigidì e si voltò, sudando freddo. Cosa aveva intenzione di fare, l’avrebbe picchiato, o peggio, gli avrebbe tirato una grana infinita e si sarebbe rifiutata di farsi baciare per mesi, o addirittura per sempre?

Oltre ogni aspettativa Maka sembrava tranquillissima, solo, piuttosto seria, gli porgeva un libro dalla copertina marrone, che aveva probabilmente estratto dalla propria borsa.

“Cos’è?” domandò lui.

“Dieci persone su un’isola disabitata, un serial killer ha deciso di ucciderli tutti, uno per uno, l’assassino è tra di loro. Chi è il colpevole?” snocciolò la ragazza, guardandolo fisso negli occhi.

Soul sbatté le palpebre qualche volta “E che ne so, mica l’ho letto!” sbottò infine. Maka glielo lanciò e lui lo prese al volo, per un pelo.

“Ne ho due copie, leggilo, chi indovina per primo il colpevole vince” proferì, superandolo nella risalita delle scale.

“Ma che…ma che cacchio dici?” sbottò lui, preso alla sprovvista. Che razza di assurdità venivano in mente a quella scema?

 

§

 

Nello stesso momento, al quarto piano, il signor Mifune si stava informando sugli spostamenti di Masamune.

“Allora tuo fratello non torna a casa per le vacanze estive, eh?” chiese. Tsubaki scosse la testa “Pare proprio di no” spiegò con un sorriso.

“Ah, senti, Tsubaki. Lo dico a te perché mi sembri una ragazza giudiziosa. Sta notte qualcuno si è introdotto in casa nostra e ha rubato il nostro ventilatore. Ne sai qualche cosa?” domandò. Tsubaki sbiancò, mentre Angela aggiungeva “Wilma Ventola! Il nostro ventilatore si chiama così, fa un gran caldo senza di lei”

“Oh…no…non ne so proprio nulla. Avete qualche sospetto?” mentì spudoratamente, per poi informarsi, facendo un po’ di scena.

Mifune sospirò “So esattamente di chi si tratta. Black*Star mi ha imbrattato il muro della cucina per firmarsi. Volevo solo sapere se avevi idea di come poteva aver fatto ad entrare, la porta non è stata forzata”

Tsubaki sbiancò ancora di più. Quel cretino si era firmato. Aveva rubato il ventilatore al signor Mifune e poi si era firmato.

“Va bene. Se per caso lo incontrassi me lo potresti far sapere? Quel ragazzo ha proprio bisogno di una lavata di capo!” fece serio, prima di avviarsi giù per le scale.

“Buona giornata, Tsubaki. Saluta i tuoi genitori”

La ragazza ricambiò il saluto con la mano, prima di lasciarsi cadere a terra in ginocchio, sul pavimento del pianerottolo. Quello era proprio un guaio, dato che Wilma Ventola era proprio nascosta nel suo armadio.

 

 

 

 

 

 

Aki_Penn parla a vanvera:

Mi devo scusare. Sono davvero in un ritardo tremendo, ma purtroppo lo studio, in questo periodo, mi ha creato non pochi problemi. Comunque, nel bene o nel male, eccomi qui.

In teoria, il capitolo doveva essere più lungo, ma ci tenevo ad aggiornare perché non lo facevo davvero da tanto e poi sono lo stesso più di sei pagine! Tra l’altro, dato che casa mia somiglia tanto a un lazzaretto in questi giorni, avevo paura di venire contagiata dalle febbri e di non riuscire a postare nulla ancora per diversi giorni, quindi ho preferito pubblicare questo.

Avevo detto che mi sarebbe piaciuto parlare un po’ di tutti in tutti i capitoli, come si può notare non ci sono riuscita, qui infatti appaiono quasi solo Black*Star e Tsubaki. Cercate di perdonarmi.

Se state pensando: è impossibile arrampicarsi per una grondaia con in braccio un ventilatore ricordatevi che per Black*Star nulla è impossibile. ù.ù

Il libro di cui parlano Maka e Soul è Dieci piccoli indiani, nel caso non lo abbiate letto, non ho in programma di spoilerare il finale, non temete. ^.^

Spero che il capitolo non faccia troppo schifo e spero anche di poter aggiornare in fretta. Grazie mille come al solito per tutto il sostegno che mi date! Grazie grazie grazie!

 

Aki_Penn

   
 
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