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Autore: Gea_Kristh    18/11/2011    5 recensioni
In un ipotetico cinque-anni-circa-dopo-Hades, con tutti i Cavalieri risorti (perché altrimenti non sarebbe divertente), Helene, Cavaliere d'Argento della Croce del Sud, racconta delle sue tragicomiche (dis)avventure al Grande Tempio... Povera cara, non è colpa sua se la sfiga non ha occhi che per lei!
Dal primo capitolo:
Aphrodite scoppia a ridere, ed io mi sento andare a fuoco le guance. Cerco di lanciargli un’occhiataccia, ma so già che sarà del tutto inutile.
– Detto tra noi, tesoro, il Cavaliere dell’Ariete è proprio un bel bocconcino, sai? Non mi dispiacerebbe mica dargli una bella strapazz… –
– STOP! –
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccomi qui, ancora, per il terzo capitolo! Nulla da dire, se non che ringrazio tantissimo chi mi segue, ed in particolar modo coloro che hanno recensito il secondo capitolo. Grazie, davvero.
Un solo appunto, prima di lasciarvi alla lettura. Ho notato che, giustamente, qualcuno ha avuto dubbi sulla nazionalità di Helene, a causa del nome. Ebbene, sappiate che è Svedese (per questo, durante l'addestramento, fu affidata ad Aphrodite... Una semplice questione linguistica! XD) ed il suo nome è letto esattamente come è scritto, con tanto di "e" finale.

Buona lettura a tutti quanti,
Gea

Disclaimer: Saint Seiya e i suoi personaggi appartengono a Masami Kurumada; Helene e Edet, invece, sono assolutamente miei.

La Tragicomica

Capitolo 3 - Distanze


– Tesoro, non pensi che sia l’ora di alzarti da questo letto? –

Che carino che è, il mio maestro. Si preoccupa…

– Sono due giorni che sei piantata qui, cominci a darmi sui nervi. –

Ah, ecco, ti pareva.

Io sbuffo, ma mi metto a sedere. Perché non capisce la mia disperazione?! La mia vita è finita! FI-NI-TA!

Lui mi porge un bicchiere d’acqua, con quell’espressione che non so se amare o disprezzare con tutta me stessa. Perché deve essere sempre così perfetto? Mica è giusto. Noi poveri comuni mortali, quando ci svegliamo, mica siamo freschi come rose. Ma nooo…! Aphrodite è sempre perfettamente pettinato-truccato-riposato. Da quando ho quattro anni l’avessi MAI visto con le occhiaie. No, dico, vi rendete conto?

E sì, lo so che sono invidiosa, non serve mica che me lo diciate, cari lettori. Vorrei vedere voi, al mio posto! Guardate che lo so, che anche voi sareste gelosi marci di lui.

Io, quando mi alzo dal letto – come adesso – ho tutti i capelli per aria, manco fossi uno spaventapasseri; e a cercare di domare i miei ricci, la maggior parte delle volte, combino un emerito pasticcio; e vogliamo parlare delle sopraccitate occhiaie? Meglio di no, fidatevi. Sul mio colorito, poi…

Il sunto di tutto questo è che questa mattina faccio schifo. Mi butto sotto la doccia, così magari mi sveglio, ma tanto lo so che è tutto inutile. Qualsiasi cosa io guardi, qua attorno, mi viene in mente lui.

Ecco, ora mi sta venendo da piangere. Perché, poi, dico io? Ho sopportato l’addestramento da Cavaliere d’Argento, ho conquistato l’armatura, ho partecipato in decine di missioni… Tutto senza versare neanche mezza lacrima. Ed ora sto così.

Quando esco dalla doccia l’aria è carica di vapore, e lo specchio del bagno, che ne prende un’intera parete, è appannato. Mi ci accosto, e passo una mano sulla sua superficie per osservare il mio riflesso.

Seguo con l’indice, sul piano freddo dello specchio, i miei lineamenti angolari; ho sempre pensato di essere una ragazza piuttosto nella media: non sono brutta, ma neanche bellissima. Una via di mezzo, insomma. Sono carina, con la mia bocca un po’ imbronciata, la pelle chiara, gli occhi grandi. I miei capelli, bagnati, sembrano più scuri e più lisci di quanto non siano effettivamente; ho sempre in qualche modo odiato la mia cascata di boccoli color mogano: non sono affatto brutti, quando vogliono stare a posto, ma se vivi con Aphrodite… L’ho già detto, no? Lui è quella persona che mi ricorda, con la sua sola presenza, che la perfezione esiste – e che io non ci sono neanche lontanamente vicina.

Sento l’aria, calda per il vapore, soffocarmi, ed è una sensazione simile a quella che mi attanaglia da due giorni.

Ho rivisto Mu solo in un’occasione, dopo quella sera: era di passaggio qui, nella Dodicesima. Indovinate un po’? Manco mi ha guardata in faccia. E’ stato allora che mi sono buttata sul letto, per riemergerne solo questa mattina – colpa del mio maestro, altrimenti vi assicuro che me ne starei ancora stravaccata lì.

Io lo so, che non dovrei starci male. Davvero. Ma come faccio?

No, ho bisogno di cambiare aria, per un po’. Di andarmene da questo posto.

Mi rivesto in fretta, mi pettino i capelli ancora bagnati e li tampono con un asciugamano. Indosso la maschera, e sono pronta ad uscire dalla mia camera.

Aphrodite è impegnato in una conversazione con Deathmask che, quando mi vede, mi rivolge un fischio ammirato – lo ammetto, mi fa piacere, anche se lui continua ad essere una persona insopportabile; dai, concedetemelo, la mia autostima in questo momento è pari a zero!

Io li saluto entrambi con un gesto della mano, ed esco dalla Casa dei Pesci. Salgo a due a due i gradini che mi separano dalla Tredicesima, e quando, finalmente, entro, ad accogliermi è il sorriso gentile di Atena.

Io mi inchino, notando l’assenza del Grande Sacerdote.

– Mia signora, mi scuso per essermi presentata a voi senza invito, ma avrei una richiesta da farvi, se possibile. –

– Dimmi, Helene, – mi sprona a continuare lei, sempre gentile.

– Io… Vorrei essere mandata in missione, se non è troppo ardire chiederlo. –

Il silenzio di lei mi spinge a sollevare gli occhi da terra, e la vedo pensierosa. – Il Cavaliere del Cancro, – comincia, – si recherà in Italia, tra tre giorni, per una missione che gli ho affidato proprio pochi minuti fa. Vorresti accompagnarlo, Cavaliere della Croce del Sud? –

Ma perché proprio Deathmask? E certo che sono proprio sfigata, eh! Comunque al proverbiale caval donato non si guarda in bocca, per cui annuisco. – Sarà un onore, – riesco a biascicare, sapendo di mentire spudoratamente. Ma che onore e onore! Se non fosse per l’impellente bisogno di cambiare aria non ci andrei manco morta, in missione con quello!

– Puoi andare, allora. Il Cavaliere del Cancro ti spiegherà i dettagli della missione. –

– Vi ringrazio, mia signora, – con queste parole mi congedo.

Riscendendo le scale verso la Dodicesima pondero la situazione. In fondo, poteva essermi andata peggio. Deathmask… È da quando ho dodici anni che cerca di portarmi a letto – lo so, che insistenza! – ed è un uomo altamente insopportabile, ma almeno riuscirà a non farmi pensare ad un certo Cavaliere dell’Ariete.

Il mio maestro mi accoglie con uno sguardo comprensivo nella sua dimora.

– Tra tre giorni parto, – gli dico solamente, e lo vedo allargare le braccia, in un invito ad abbracciarlo; lo faccio, perché il profumo di rose selvatiche della sua pelle ha il potere di calmarmi, e lui mi stringe a sé.

– Vedrai che si sistemerà, cara. –

Io annuisco, senza guardarlo in faccia, perché in realtà non ci credo affatto.

– Devo andare a parlare con il Cavaliere del Cancro, – gli dico, separandomi dal suo abbraccio. Lui mi rivolge uno sguardo curioso. – La missione, – specifico.

– Ah, sì, me lo stava accennando prima, il caro Deathy. –

Io scoppio a ridere a quel soprannome ridicolo. Lo utilizzerei anche io, se avessi istinti suicidi. Aphrodite pare essere l’unico a potersi vantare di chiamarlo così, abitualmente, e ad avere ancora la testa attaccata al collo.

Saluto il mio maestro e mi appresto a scendere alla Quarta Casa.

Sarebbe tutto perfetto, se non per la vista di Marin e Aiolia che tubano come piccioni. Ecco, quella me la sarei volentieri risparmiata.

Sospiro pesantemente, uscendo dalla Quinta Casa, e mi dirigo svelta giù per le scale.

L’androne della Casa del Cancro è vuoto, se non per l’armatura d’oro, immobile e splendente su di un piedistallo. Di Deathmask, neanche l’ombra.

Mi affaccio nelle sue stanze private, cercandolo con lo sguardo, ma pare non trovarsi nemmeno nel salotto. Busso sulla porta, in modo che mi senta, ed entro – non senza un po’ di timore.

Ero già stata qui, un paio di volte, con il mio maestro. L’arredamento è moderno e lineare, con un divano di pelle nero, un tavolinetto di vetro e due poltrone. Se non sapessi per certo che è stato Aphrodite a sceglierlo, ne rimarrei colpita.

Finalmente, il Cavaliere del Cancro mi degna della sua presenza, arrivando dal corridoio che porta alle camere da letto.

– Vengo in missione con te, – gli annuncio, senza convenevoli.

Lui mi fissa senza comprendere, per  un attimo, poi si passa una mano tra i capelli.

– Basta che non rompi i coglioni, – dice, mentre si butta sul divano. Che finezza.

Io scuoto la testa, e mi vado a sedere su una poltrona lì affianco.

– Allora? – Domando, al suo silenzio.

Lo vedo passarsi di nuovo una mano tra i capelli, e mi viene da pensare che, tutto sommato, non è mica brutto, il tipo. Peccato che sia completamente odioso, eh?

– Nei pressi di Roma ci sono stati degli omicidi. Pare che un gruppo di esaltati si diverta a fare sacrifici a Marte. –

Io annuisco.

– All’alba al porto, tra tre giorni, – mi dà appuntamento, ed io mi ritrovo ad annuire ancora, alzandomi in piedi. Sto per uscire dal salotto, quando la sua voce mi blocca.

– Eri più divertente quando non ti piangevi addosso. –

Mi volto verso di lui, ed il suo sorriso mi stupisce. Sto per ribattere, ma a che pro? Ha ragione.

– Ci vediamo tra tre giorni, – dico solo, e so che la mia voce non è così ferma come vorrei.

 

 

 

 

Ora che il mare è sotto di me e che il vento mi scompiglia prepotentemente i capelli, finalmente torno a respirare. L’aria sa di sale e di umidità, e mi inonda di un senso di libertà che non provavo da giorni.

Chiudo gli occhi, inspirando a pieni polmoni; la maschera mi disturba, ma toglierla sarebbe troppo rischioso. Sento lo sguardo infuocato di Deathmask fisso su di me, ma non ho nessuna intenzione di voltarmi.

Ho voglia di gridare, di ridere, di ballare. Sono felice, perché riesco a non pensare.

Ma si sa, il tempo vola quando si è contenti.

A neanche un mese dalla mia partenza sono di nuovo qui, su questa nave, questa volta di ritorno. Ecco già che vedo stagliarsi all’orizzonte il porto di Atene, e sento il mio cuore riempirsi di angoscia.

Contro ogni aspettativa sono stata bene; Deathmask non mi ha rotto le scatole – non troppo, almeno – e abbiamo risolto la situazione degli esaltati religiosi senza troppa fatica. A dire il vero ci avremmo messo molto meno, non fosse stato per l’attesa, necessaria, che colpissero ancora.

Sbarazzarci di quei quattro idioti è stata una passeggiata; ho impiegato quasi più energie a cercare di tenere il Cavaliere del Cancro fuori dalle mie lenzuola, sul serio.

La missione è stata un successo e, soprattutto, ho evitato di pensare al mio amore non corrisposto il più possibile – riuscendoci, per la maggior parte. Non lo ammetterò mai ad alta voce, ma, se sono riuscita nell’impresa, è stato anche grazie a quel caprone di Deathmask.

– Pronta a tornare alla vita vera? – Mi chiede l’oggetto dei miei pensieri, al mio fianco. Io sospiro ed annuisco.

Lo sbarco è rapido e, assieme, ripercorriamo la strada che ci divide dal Grande Tempio. Il nodo che sento stringermi la bocca dello stomaco aumenta con ogni passo.

Prendo un profondo respiro quando vedo, sulla distanza, il profilo del Santuario.

Non lo voglio rivedere. Me ne rendo conto solo ora, ma davvero vorrei non doverlo vedere mai più – okay, forse mai mai mai più no. Lui mi rincoglionisce, riesce a farmi dimenticare tutto quello che sono; so che, se lo vedessi di nuovo, riuscirei a perdonargli persino l’avermi strappato il cuore dal petto. E sì, lo so che non è veramente colpa sua, se non ricambia i miei sentimenti, ma fatemi crogiolare un po’, insomma.

Sento la mano calda di Deathmask sulla spalla, e questo mi rassicura. Non diteglielo però, okay?

Mi accorgo di essermi fermata, e riprendo a camminare, deglutendo a vuoto.

Quando entriamo nella Prima Casa, so che lui è lì, di fronte a noi, ma io non sollevo lo sguardo dal pavimento. Lo sento dire qualcosa al Cavaliere al mio fianco, ma non lo ascolto.

Dio però se è bello il suono della sua voce… Avevo quasi dimenticato quanto potesse essere caldo e profondo.

La scalata delle dodici Case procede senza particolari intoppi, una volta superata la Prima. Arriviamo nella Tredicesima, dove ascolto Deathmask fare rapporto. Già immagino la bella doccia che mi farò una volta uscita da qui…

Quando sto per andarmene, però, la voce del Grande Sacerdote mi blocca. Porca paletta.

– Helene, è sorto un problema con Edet, – mi dice, nel suo tono gentile, la mia Dea. Io, improvvisamente, mi metto in allerta. Un milione di domande mi frulla nel cervello; cosa è successo al mio piccolo tesorino?

– Pare che quel bambino non voglia ascoltare nessuno. Si è chiuso in sé stesso, e parla solo per chiedere di te. –

Okay, questa non me l’aspettavo. Povero Edet…

– Vorrei affidarlo a te, Helene, – continua, ancora, Atena.

Io annuisco, entusiasta. Quando mi è mancato quel fagottino!

– Potete andare, Cavaliere. Troverete il bambino nelle cure del Cavaliere dell’Aquila, – mi congeda il Grande Sacerdote. Io non me lo faccio ripetere due volte ed esco da lì.

Una volta fuori respiro a pieni polmoni. La vita non fa così schifo, in fondo.

– Helene. –

Okay, mi rimangio tutto. La vita fa decisamente cagare.

– Cavaliere, – rispondo al saluto, cercando di non guardarlo.

Per un attimo, solo un attimo, ho incontrato il suo sguardo. Non l’avessi mai fatto, dannazione; ora ho lo stomaco che sta cercando di fare i salti mortali… Speravo davvero che un misero mese di lontananza potesse aiutarmi? Come sono patetica…

– Helene, io volevo parlarti. Ti prego, non evitarmi. –

Ceeeeerto. Come no. Non la vedi, dolce Mu, la scritta MASOCHISTA che ho stampata in fronte? No?

– Non preoccupatevi, Cavaliere, – riesco a dirgli, dopo aver preso un bel respiro.

Dovete sapere che, in momenti come questi, la maschera è una vera benedizione. Riesco persino ad apparire distaccata. Io. Distaccata. Non so se mi spiego.

– Nulla è cambiato rispetto a qualche mese fa, – aggiungo. Tiè.

Lo vedo annuire, con la coda dell’occhio.

E sì, lo so anche io che lui sa perfettamente che lo voglio evitare. Lo so, davvero. Ma che posso fare?

Quando lui si volta per andarsene, io finalmente mi concedo di osservarlo.

Sì, è bello come al solito. Sì, i miei ormoni impazziscono ancora alla sua sola vista. No, non ho smesso minimamente di amarlo.

Cavoletti fritti.


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