The
Sublime.
Il
sentore d’incenso aleggiava nell’aria, il fumo
rendeva difficile la visuale, il
respiro ostacolato da quel profumo stranamente inebriante.
La
luce delle candele veniva riflessa sulle sculture di ferro battuto,
sulle teste
tosate e
lucide dei monaci.
In
particolare un gong splendente
pareva
catturare completamente quella luce, il metallo che si tingeva di mille
sfumature, quasi a raccogliere dentro di sé il fuoco della
forgia da cui era
nato.
Accanto
al gong, stava una piccola statua di un drago. Per quanto fosse
insignificante per dimensioni,
rispetto al resto delle sculture presenti, a un occhio attento avrebbe
rivelato
più meraviglie di quanto fosse credibile.
Ogni
scaglia pareva avere il colore dei carboni ardenti, viva come la brace,
fuoco
indomabile e caldo, mentre gli occhi dello stesso erano più
cupi e neri della notte
più oscura, tanto
profondi, tanto senza
fondo, tanto imperscrutabili da essere… sublimi.
Assurdo
legare un concetto romantico - il sublime, appunto - a un tempio dal
sapore
orientale, con la cenere dell’incenso che cadeva sul
pavimento di legno lucido
come neve che si adagia sulla roccia. Ma era una definizione talmente
adatta
per gli occhi del drago, da rendere possibile quell’assurdo
accostamento di idee.
Veniva
sempre a guardare quel drago, quando aveva bisogno di pace.
Ma
era poi pace quella che trovava?
Era
pace l’ annichilirsi completamente guardando quei pozzi senza
fondo, che non
condannavano, non approvavano, non
giudicavano, ma semplicemente osservavano?
Era
pace quel guardare senza distorsioni ottiche nella propria anima e
mettere a
nudo tutti quei pensieri che - in genere - cercava di celare persino a
se
stessa?
Non
era del tutto liberatorio, contemplare
il
drago.
La
riempiva sempre di un senso di libertà, ma anche di
un’inquietudine di fondo,
da cui si faceva trasportare. Era come precipitare, conscia del
pericolo, ma al
contempo eccitata dalla caduta.
Era
come guardare l’orizzonte senza poter vedere ciò
che era troppo lontano.
Era
come perdersi in un cielo stellato, perdersi nei misteri di quella
volta senza
fine, come gli occhi dell’animale mitologico.
Sublime.
Non
erano troppo da lei, quei pensieri. Era più la tipica donna
da “agisci e poi
pensa”. O - almeno - era quello che tutti dicevano.
Ma
- forse - era proprio quella la funzione del drago. Tirare fuori quel
segmento
di sé che nessuno- statua a parte - conosceva.
Chinò
il capo.
Avvicinò
una mano alle squame iridescenti della creatura inanimata, mentre una
sensazione di calore si diffondeva dalle punte delle dita al solo
sfiorare quel
metallo.
Un
monaco le si avvicinò, facendo ondeggiare un piccolo rosario
buddhista. La
donna sorrise gentilmente, mentre osservava la tunica giallo ocra dai
bordi
rosso mattone.
-
Anko-sempai, sempre alla ricerca del drago?
- Chiese lui, gentilmente, con l’accenno di un sorriso fin
troppo consapevole.
La
donna giunse i palmi, accennando un inchino, stranamente calma. - Aye. -
L’uomo
rise, senza alcuna malizia. - Ti si addice poco
l’atteggiamento sottomesso. -
La
donna si scoprì una spalla, lasciando intravvedere un
tatuaggio nero. - Sono
stata sottomessa troppe volte, sensei. Ho dovuto imparare a non esserlo
più.
- Commentò.
Fu
strano il modo in cui pronunciò la parola sensei.
Lo fece con rispetto, non con disgusto. E - solo qualche mese prima -
non
avrebbe mai potuto chiamare un altro uomo
sensei senza che l’acido della bile
le
corrodesse la gola.
Lui
continuò a sorridere, anche se gli occhi gli si accesero di
una sorta di
tenerezza nel guardare quella donna ferita. - Anko, perché
il drago? -
La
ragazza lo fissò di tralice, gli occhi color caramello
carichi di sfida. Poi,
però, soffocò l’impulso di rispondere
in modo sgarbato, trasse un respiro e
decise di essere onesta. - Gli occhi. Neri, senza fondo. Mi inquietano
eppure
non riesco a staccarmici. - senza accorgersene passò una
mano sul dorso della
statua. Un brivido la scosse, un brivido che aveva un qualcosa di
sensuale.
Continuò a carezzare quelle squame calde al tatto, mentre
inconsapevolmente le
si accelerava il respiro e l’eccitazione le cresceva dentro.
Fissò quegli
occhi, e per la prima volta quei pozzi neri, che non giudicavano mai,
risposero
a quello sguardo, con un bagliore lucente e potente come un tuono.
Trattenne
il fiato, quasi spaventata. Ma non interruppe il contatto. Non poteva,
non
voleva. Si voltò verso il monaco che la fissava con aria
placida e tranquilla.
-
A quanto pare, Anko- chan, sei pronta. -
-
Pronta per cosa? -
Il
monaco sorrise, malizioso. - Per incontrare il drago. -
[Sibilò.
Il
drago cinese
cominciò a muoversi.
Avvolse
con la
sua calda anima la curiosità umana.
Aprì
la bocca.
I
denti terribili e
giallastri scintillarono.
Aprì
la bocca e
si preparò al pasto.]
Per
incontrare il drago.
E
in un secondo il mondo sparì.
C’erano
solo quegli occhi neri e senza fondo.
Solo
l’ignoto.
Solo
quel fuoco caldo ma che lasciava una sorta di gelo profondo.
Non
c’era più Chen, il bonzo.
Non
c’era nemmeno più il legno del tempio.
Quello
che restava era il drago.
Ma
non era più una statua.
Il
Drago, il Drago era quella presenza che la stava avvolgendo, tra i
carboni e l’incenso.
Il
Drago era quel dolore terribile, la sensazione che ogni osso del
proprio corpo
fosse stritolato.
Il
Drago era il groppo alla gola.
Il
Drago era l’eccitazione.
[Cambiò.
Il
drago cinese
perse la sua forma.
Avvolse
col
proprio corpo umano la carne femminile.
Aprì
la bocca.
I denti bianchissimi e
perfetti scintillarono.
Aprì
la bocca e
si preparò al banchetto.]
E
delle labbra la baciarono.
E
lei rispose a quel bacio, senza sapere che cosa stesse succedendo,
senza sapere
nulla se non che…
Se
non che quel bacio le stava scaldando il cuore.
Se
non che le mani che le sfioravano i seni, che le stracciavano la
toga…
Erano
il Drago.
E
la lingua dell’essere le carezzò la carne, come se
la stesse assaporando, prima
di morderla.
Sentiva
il pericolo.
Ma
l’adrenalina del salto nel vuoto era troppa per essere sedata.
I
denti della creatura si serrarono attorno ai suoi capezzoli, con
dolcezza.
Succhiò.
E
il latte uscì, anche se razionalmente non vi era latte che
potesse uscirne.
Il
Drago la prese.
Con
la lingua, infida traditrice.
Con
le dita lunghe e tanto abili.
Affondò,
entrò, esplorò.
E
- all’apice del piacere - la penetrò quasi con
furore.
Anko
urlò, serrò le gambe attorno alla vita del
compagno, spinse con tutto il
bacino, per farsi prendere, ancora.
Lo
ribaltò, gli finì sopra.
Fece
ondeggiare il bacino.
Lo
amò.
Ne
volle il seme.
Perché
il Drago voleva ciò.
Ma
Anko lo voleva ancora di più.
E
si ritrovò nuda, accaldata, sdraiata su un futon
morbidissimo.
Le
candele attorno ad esso quasi consumate, la cera che colava sul legno
lucidissimo.
L’odore
d’incenso nelle narici.
[Amò.
Il
drago cinese
cominciò a trasformarsi.
Avvolse
con l’anima
umana la sovraumana creatura.
Aprì
la bocca.
La
lingua passò
sui denti bianchi.
Aprì
la bocca e
si preparò a fuggire.]
E,
con la coda dell’occhio, lo vide.
Lo
vide solo un secondo prima che si trasformasse, che sparisse.
E
-
in quel secondo - vide due occhi di colore diverso, uno scintillio
argentato.
E
seppe.
Ma
non volle credere.
Si
rivestì con abiti nuovi, lucenti.
Non
nascose il tatuaggio, perché quel marchio
d’infamia era stato trasformato dal
bacio del Drago.
Accese
una bacchetta d’incenso, la pose in un turibolo a forma di
drago dorato.
Si
chinò, di fronte al bonzo Chen.
E
li bonzo la fece alzare, la strinse, la fece sedere.
-
Hai incontrato il drago. -
-
Sì.
-
-
Hai amato il drago. -
-
Sì. -
-
Hai conosciuto il drago. -
-
Sì.-
-
Cos’è il drago, Anko-chan? - Chiese allora con
dolcezza.
-
Il Drago… - dovette ammettere di non saperlo.
Il
bonzo le passò una mano per i capelli violetti, con
dolcezza, come se stesse
parlando ad una bimba confusa.
-
Il
drago è un essere umano, Anko-chan. -
E
lei seppe.
Ma,
ancora, non volle credere.
Quando
nasce un
amore non è mai troppo tardi
scende come un bagliore da una stella che guardi
e di stelle nel cuore ce ne sono miliardi
quando nasce un amore, un amore.
Quando
uscì dal tempio era già calata la notte, senza
che se ne fosse resa
concretamente conto. I
vestiti nuovi,
quelli di seta lasciati dal Drago, emanavano il sentore
dell’incenso,
proprio come il
tempio.
Camminava,
Anko, senza nemmeno controllare i propri passi, mentre quella
straordinaria
emozione le riempiva l’anima, mentre si sentiva piena, piena
da scoppiare. Ma
quella pienezza la rendeva felice, senza pensieri coerenti.
Camminava,
Anko, a piedi nudi, e sotto la pianta dei piedi assaporava ogni minima
imperfezione del terreno, senza sentire dolore.
Faceva
freddo, il fiato si condensava quasi in una nuvoletta, ma lei non
pareva
notarlo.
Era
calda, calda dentro.
Alzò
gli occhi verso la volta celeste, beandosi della vista delle stelle, di
quella
volta che finiva sempre per inquietarla.
Sublime.
La
riempiva di terrore, eppure l’affascinava così
tanto.
Abbassò
gli occhi, tornando alla realtà.
Portò
una mano al petto, accarezzandosi i seni, desiderando che il Drago
fosse lì. Ma
la donna era troppo disillusa per sperare che quel piacere sarebbe
tornato.
Magari aveva solo immaginato tutto.
No.
Ricordava
con troppa precisione ogni sensazione provata.
Continuò
a camminare, mentre quel caldo dentro si raffreddava a poco a poco,
mentre le
parole di Chen le tornavano alla mente.
Il
drago è un essere umano. Stupido
stronzo.
Non era vero, l’aveva voluta prendere per il culo, ecco tutto.
Poi
sorrise amara, non sarebbe stata la prima volta.
Alzò
il capo di colpo, resasi conto di essere arrivata
alla lapide degli eroi.
Inclinò
il capo a sinistra e scorse una figura davanti a quella lapide, una
bottiglia
in mano.
Si
avvicinò, quasi curiosa, conoscendo già dentro di
sé il visitatore.
La
creatura si voltò, la trapassò con quello sguardo
bicromatico che la fece
sussultare. E qualcosa di quel calore quasi sparito si riaccese in
corpo.
Ma
poi lui abbassò lo sguardo, stappò la bottiglia,
ne bevve un sorso. E lei notò
una goccia di alcol passare per le labbra carnose, per la pelle del
volto, per
la barba leggermente incolta.
Non
aveva la maschera…
Fece
per distogliere lo sguardo, ma poi notò l’intensa
malinconia che permeava
quell’uomo, quel sentimento così forte in un uomo
che lei aveva sempre
considerato di ghiaccio.
Gli
andò accanto, senza una parola. Lui le porse la bottiglia
quasi vuota, lei ne
bevve un goccio.
Nello
sfiorare la sua pelle candida, un brivido la percorse, un brivido tanto
simile
a quello provato con il Drago.
Ma
non c’era il Drago nei pensieri di Anko.
Nei
pensieri di Anko c’era solo la solitudine di
quell’uomo, che aveva trovato
messo a nudo sotto una luna piena, che non gli lasciava la
possibilità di
nascondersi.
- Non pensavo che qualcuno
mi avrebbe visto. - Sussurrò,
quasi parlando a se stesso.
La
donna scosse il capo, mentre un sorriso triste le affiorava in volto. -
Posso
andarmene e fare finta di nulla, se vuoi, Hatake. -
L’albino
la fissò sorpreso. Lei fece per andarsene ma improvvisamente
lui la afferrò per
un braccio, trattenendola. - No. - Trasse un respiro profondo. - Non te
ne
andare. -
Stettero,
in silenzio, a fissare quella lapide, bevendo da una bottiglia ormai
vuota,
finché il cielo si schiarì, finché la
malinconia dell’uomo si trasformò in una
sorta di sentimento dolceamaro.
Fissò
Anko in volto, per poi accorgersi che - per tutta la notte - erano
rimasti mano
nella mano, senza scollarsi, riscaldandosi a poco a poco
l’animo a vicenda.
Un
brivido lo percorse, un brivido che aveva qualcosa di sessuale,
qualcosa di un
calore mai provato prima, un calore ceduto e mai più
ritrovato.
La
donna fissò Kakashi negli occhi neri come
l’inchiostro. Per accorgersi che
quegli occhi erano pozzi senza fondo, voragini meravigliose e allo
stesso tempo
inebrianti. Occhi che non giudicavano, che non approvavano, ma
semplicemente
osservavano.
Gli
occhi del Drago.
[
Si svegliò.
L’essere
umano
cominciò a svanire.
Aprì
le labbra.
I
denti
bianchi e affilati
scintillarono.
Aprì
le labbra e
si preparò al volo.]
E
senza sentimenti, senza pensieri razionali, senza rimorsi, si trovarono
a
baciare le labbra altrui.
Labbra
di colleghi da tempo conosciuti, ma mai davvero scoperti.
E
le mani che carezzavano i seni, che stracciavano la tunica, parvero ad
Anko le
mani del Drago.
Senza
esitazione, si strinse a quella creatura e ne strappò i
vestiti.
Perché
era quella l’unica cosa che volesse.
Ritrovare
il calore, donare
calore a quell’essere tanto
gelido.
E
Kakashi si trovò a ricambiare quel bacio, senza saperne
l’esatta ragione.
Come,
senza un’esatta ragione, le aveva chiesto di restare.
Forse
per il calore, forse perché sembrava semplicemente la cosa
giusta da fare.
Perché
voleva qual corpo, perché qualcosa dentro di sé
già conosceva quel corpo.
E
poi non seppe
più nulla.
Seppe
solo di volerla prendere, di volerla amare.
Non
che le cose fossero un sinonimo.
Aveva
avuto tante donne, amate poche.
E
tutto il dolore che portava dentro, i rimpianti, i rimorsi, i pensieri,
il non
riuscire mai a voltare pagina, si sciolsero come neve al sole.
E
mentre Anko lo amava, mentre Kakashi la prendeva in ogni modo che
conoscesse,
il calore li avvolse.
E
quei corpi nudi si unirono in un equilibrio perfetto,
un’estasi mai conosciuta
ma tanto voluta.
Hatake
perse il suo nome.
Non
fu più Kakashi Hatake.
Niente
ricordi.
Fu
semplicemente il Drago.
E
Anko si perse in quegli occhi senza fondo.
[
Si assopì.
L’essere
umano
cominciò a riapparire.
Aprì
le labbra.
Passò
la lingua
sui senti bianchi e perfetti.
Aprì
le labbra e
si preparò a parlare.]
E
si ritrovò nuda, piena,
sul letto dell’uomo.
Il
sole penetrava dalla finestra lasciata leggermente aperta, il vento
sibilava.
Si
girò su un fianco, lo fissò, addormentato.
Fissò
quel volto bellissimo e sempre nascosto, fissò quella
cicatrice tanto vecchia.
Passò
dolcemente una mano sull’occhio ferito,
lo sentì muoversi leggermente.
Poggiò
il capo sul torace dell’uomo e si addormentò,
mentre lui le carezzava
dolcemente i capelli.
E
il sole riscaldò quella scintilla nata sotto il bagliore
delle stelle.
Quella scintilla che avrebbe imparato a chiamare [amore.]
***
Ed
è come un
bambino che ha bisogno di cure
devi stargli vicino devi dargli calore
preparargli il cammino il terreno migliore
Il
terreno era scivoloso.
Pioveva.
E
faceva freddo.
Mosse
con cautela i massi, mentre scendeva da un pendio particolarmente
scivoloso,
tentando di non cadere.
Lo
zaino pesava.
E
i muscoli sembravano urlare in protesta a quella marcia forzata.
Maledetta
vecchia Hokage.
Che
ci andasse lei in missione, maledizione.
Inciampò
urtando una radice,
si aspettò di volare
faccia in giù nel fango, e sporcarsi più di
quanto già non fosse.
Invece
delle braccia forti la trattennero, impedendole di cadere.
Si
voltò e scorse il volto stanco di Kakashi, illuminato da un
sorriso tirato.
-
Sta’ attenta. -
Lei
indugiò un secondo nelle braccia di lui, poi lo spinse via.
- Ce la faccio da
sola, Hatake. - Rispose
seccata.
Lui
le concesse un sorrisetto ironico.
Le
venne voglia di prenderlo a pugni, di togliergli da sotto la maschera
blu quel
sorrisetto del cazzo. Di spaccagli la faccia fino a farlo sanguinare ed
implorare pietà.
Ma,
naturalmente, non lo fece.
Era
solo preoccupato per lei, e lo sapeva.
Sapeva.
Ma
le dava fastidio che l’unico modo per mostrarlo fosse quello,
alla fine.
Le
dava fastidio non potere stare con lui in pubblico, e che
l’unico momento in
cui lui le mostrasse il benché minimo interesse fosse in
camera da letto. E
quando uscivano da soli.
Ma
naturalmente in posti sconosciuti al
resto del mondo, per non rischiare che qualcuno li vedesse assieme.
Lo
conosceva da troppo tempo per ignorare i sentimenti da lui provati.
E
conosceva troppo bene se stessa per negare…
Grandiosa
scopata, grandioso sentimento.
Grandiosa
emozione nel vederlo, nel parlargli, nel litigarci, nelle sue mani sul
proprio
corpo, nei suoi occhi di due colori diversi, nell’amore
fatto al tempio,
nell’incenso, nel suo respiro…
Scosse
il capo.
Si
allontanò, quasi senza guardarlo.
Lui
stette ad osservarla, perplesso.
Era
troppo stanco per correrle dietro.
Troppo
stanco per capire cosa avesse.
Troppo
dolorante per le ferite ricevute, più gravi di quello che
facesse credere.
Troppo
intimidito dalla portata del sentimento provato per assecondarlo.
Perché
quello era lui.
Uno
dei migliori ninja al mondo, che si faceva spaventare come un ragazzino
dai
sentimenti.
Perché
amare era rischiare.
Perché
gli riusciva molto meglio fare l’indifferente, che esporsi.
Ma
quello che provava per lei, quello che aveva provato per lei nel
tempio,
lo stava mandando in confusione. Non lo sapeva
gestire. Avrebbe voluto darle molto di più, avrebbe voluto
essere molto di più
che qualcosa di clandestino.
Ma
Kakashi Hatake non sapeva come fare.
Perché
quella era la prima volta da tanto, troppo tempo, che amasse davvero.
-
Forse dovresti solo chiederle di uscire. - Una voce sardonica lo fece
sussultare.
Un
Sasuke Uchiha, estremamente compiaciuto seppur stanco, gli si
affiancò con un
ghigno furbesco sul volto pallido.
Kakashi
gli rivolse uno sguardo obliquo, maledicendo la sagacia del ragazzo.
-
Andiamo, è
ovvio che abbiate una storia. -
Sasuke si ficcò le mani nei
pantaloni neri e fradici. - E, per la cronaca, è altrettanto
ovvio che lei per te sia qualcosa di
più
delle solite che ti porti a casa. -
Hatake
trovò quel discordo leggermente irritante. Innanzitutto non
era nell’ordine
naturale delle cose che un diciottenne gli facesse la predica, con
quella
sfumatura di divertita superiorità. “Qualcosa
di più delle solite che ti porti a casa”.
Poi
non che il ragazzino fosse esattamente un emblema di castità.
Tuttavia
doveva ammettere che Uchiha aveva ragione, e, se possibile, la cosa
riusciva ad
irritarlo ancora di più.
Gli
rivolse un sorriso vuoto sotto la maschera, accelerò
moderatamente il passo,
poi si voltò, un lampo negli occhi.
Fece
un cenno ad Anko, in
modo che i tre si
disponessero a triangolo.
Estrassero
i kunai, consci di dover stare attenti, di dover ancora lottare,
sebbene il
villaggio fosse tanto vicino e loro tanto stanchi e ammaccati.
E
i nemici piombarono su di loro. Un'unica missione: ucciderli, prima che
rivelassero le preziose informazioni ricevute all’Hokage.
E
fu sangue, fu dolore.
Kakashi
tirò su il coprifronte, Sasuke attivò lo
sharingan, Anko si preparò a lottare.
L’acciaio
sull’ acciaio, l’acciaio nella carne, potendo
contare solo sulle proprie forze
e quelle stremate dei compagni di team.
[Morse.
Il
drago cinese
cominciò a lottare.
Aprì
le fauci.
I
denti gialli e
sporchi di sangue si serrarono.
Aprì
le fauci e
si preparò al massacro.]
Parò
una stoccata, Hatake.
Uccise
l’avversario senza scrupoli, era in gioco la vita delle
persone a cui teneva di
più al mondo.
Schivò
un colpo, copiò una tecnica, il sangue lo
impregnò, mentre la pioggia lavava
tutto.
Le
costole già incrinate fremettero mentre eseguiva un
movimento particolarmente
complicato.
Uccise
qualcun altro, una lama lo ferì al braccio.
Vide
lei in difficoltà,
trovò il caldo,
trovò l’energia in sé, si
lanciò verso di lei,
appena prima che un mortale fendente la
colpisse.
Decapitò
il nemico, con una furia che non avrebbe mai creduto propria.
Il
Drago.
Sentì
il sangue dell’uomo sui denti, li leccò vorace,
godendone.
Eppure
non perse l’umanità, non perse la
lucidità.
E
lei vide quella luce selvaggia negli occhi del jonin, il cuore le
batté più
velocemente, mentre lo vedeva massacrare un altro nemico, mentre ne
massacrava
ella stessa un altro.
Lo
vide godere intrinsecamente della caccia.
E
seppe.
Ma,
questa volta, cominciò a credere.
[
Si acquietò.
Il
drago cinese
cominciò a ritirarsi.
Aprì
le fauci.
La
lingua passò sui
denti chiazzati di sangue.
Aprì
le fauci e
si preparò al rischio.]
-
Non avevo bisogno di te. - Gli disse piccata, mentre gli puliva alla
meglio le
ferite, per fermare l’emorragia, almeno per il tempo
necessario per arrivare al
villaggio.
Lui
la fissò, stanco.
-
Smettila. -
La
donna rimase di sasso a quel tono irritato.
-
Smettila. - Ripeté lui.
Inclinò
la testa a sinistra e le prese il mento. - Ti porto a cena. -
Anko
sorrise, prima di potersi fermare.
Premette
le mani sulla ferita al braccio, facendolo sussultare.
Kakashi
la fissò in cagnesco, per poi
sorriderle.
La
donna ridacchiò di gusto, mentre il calore la invadeva.
Aveva
intenzione di alimentare, quel calore benefico.
Avrebbe
dovuto lottare per scioglierlo, lo sapeva. Ma non era donna da
arrendersi, lei
era sopravvissuta a ben altro che la cocciutaggine di un uomo troppo
riservato.
Avrebbe
difeso quel sentimento che le cresceva dentro, con le unghie e con i
denti.
Proprio
come lui aveva fatto poco prima.
Avrebbe
trasformato quel terreno arido in un campo rigoglioso.
Lo
avrebbe fatto, nonostante sarebbe stata la cosa più
difficile da fare.
Come?
Dando
tutta se stessa.
Ti
fa bene, ti
piace questa voglia di dare
***
E'
un emozione
nella gola da quando nasce a quando vola
che cosa c'è di più celeste di un cielo che ha
vinto mille tempeste
che cosa c'è se adesso sento queste cose per te
Mitarashi
tirò fuori la torta dal forno.
Non
era donna da mettersi in cucina a preparare il cibo per
l’uomo tornato dal
lavoro, ma non aveva resistito alla tentazione.
Un
profumo delizioso si diffuse nell’aria, di pere e marsala,
amaretti e
cioccolato.
Sciolse
la glassa al cioccolato già pronta contenuta in una bustina,
la sparse sulla
superficie della torta, poi tritò degli amaretti e ne
ricoprì la glassa ancora
fumante.
Sentendolo
rientrare in casa, accese una bacchetta di incenso e la
inserì in un turibolo a
forma di drago cinese, lo stesso della
prima volta che si era unita al Drago.
Faceva
una discreta figura in quella casa.
Sorrise.
Da
quando… da quella notte sorrideva sempre più
spesso.
Estrasse
una bottiglia di vino da un armadietto e ne bevve un goccio.
Lui
entrò in cucina, con un sorriso di scusa sul volto.
Anko
soffocò un’imprecazione, vedendolo con un braccio
al collo e i vestiti troppo
corti di Sasuke.
-
Sei un cazzone. Mi avevi promesso che saresti stato attento. -
Lui
annuì, poi prese un coltello e si accinse a tagliare una
fetta di torta.
La
donna ritrasse la torta.
-
Non la toccare. Non tentare di cambiare argomento. Ti sei fatto male di
nuovo. -
Kakashi
si accasciò stancamente su una sedia, dolorante in ogni
centimetro del corpo,
il braccio che lo uccideva. - E’ stata una dura missione.
Possiamo parlarne
dopo? -
Anko
gli si avvicinò. - No. Perché parlarne
dopo significa non parlarne mai. - Sbatté la
bottiglia sul tavolo.
Hatake
si voltò, fissando lo sguardo sul parquet.
-
Perché te la prendi tanto?- Sussurrò, prima che
potesse fermare quel sibilo.
Che
lei udì benissimo.
Lo
fissò carica d’ira, sbatté un pugno sul
tavolo.
Perché…
Si
fermò in tempo.
Gli
voltò le spalle e se ne andò.
-
Mangiala finché é calda. E strozzati. -
Lui
rimase a fissarne la ritirata, chiedendosi cosa le fosse preso.
Ad
ogni modo tagliò una fetta di torta, si accorse che era
davvero squisita, e
decise di affogare i dubbi e il dolore nel
Porto che la sua donna gli aveva lasciato sul tavolo.
Davvero
ottimo.
[
Tentennò.
Il
drago cinese
cominciò ad esitare.
Aprì
la bocca.
I
denti sporchi
di vino scintillarono.
Aprì
la bocca e
si preparò alla prova.]
Il
sentore d’incenso pervase le sue narici.
Toccò
le squame del drago, cercando quel brivido sessuale.
Ma
nessuno le rispose.
Gli
occhi del drago rimasero spenti, non più imperscrutabili,
non più senz’anima.
Nessun
Sublime.
Quel
drago non sembrava altro che una normalissima statua neanche troppo
particolare.
La
fissò, sconvolta.
Eppure
lei... lei aveva fatto l’amore con il Drago.
Non
poteva aver immaginato tutto.
Non
era possibile…
Strinse
le mani attorno al Drago, i
cui speroni
della criniera le ferivano le mani.
Ma
neanche quel dolore bruciante poté provocare quel brivido
che cercava, quell’interazione.
Il
monaco Chen le si avvicinò, si sedette accanto a lei.
-
Anko-sempai, ancora alla ricerca
del
drago? - Le si rivolse con il solito sorriso semplice.
Lei
scosse il capo, vuota. - Sensei, non c’è
più nulla… dov’è il Drago? -
Lui
rise di gusto.
-
Chen, dannazione! Dov’è il fottuto Drago?-
sbottò lei.
La
fissò, sorpreso da quello scatto, poi le sorrise
bonariamente. - Il fottuto drago,
Anko-chan, è proprio qui.
- E puntò la statua.
-
No, Chen! Non c’è nulla. E’ solo una
stupida statua. -
Il
bonzo le passò una mano tra i capelli viola. - Piccola,
è sempre stata una
stupida statua. -
Anko
lo fissò interdetta.
-
Il Drago, Anko, il Drago non è che un essere umano. Il Drago
è sempre stato con
te. - Poi la osservò meglio, le sfiorò
l’addome piatto e una luce gioiosa gli
illuminò il volto. - Anzi, a giudicare, direi che il Drago
ora è dentro di te. -
E
lei seppe.
Ma,
per la prima volta, credette.
[
Scomparve.
Il
drago cinese
cominciò a sciogliersi.
Aprì
la bocca.
I
denti forti
scintillarono.
Aprì
la bocca e
si preparò al premio.]
Kakashi
la trovò sulla porta di casa, bagnata fradicia per la
pioggia, con un qualcosa in mano.
La
squadrò per un secondo, fece per parlare, per scusarsi, per
ammettere la
propria fallacità.
Per
ammettere di aver bisogno di lei.
Per
quanto strano gli sembrasse l’ammettere qualcosa del genere.
Perché
non era tipo, lui.
Ma
non ebbe il tempo
per fare nulla.
Lei
lo baciò con passione, si strinse al suo corpo sodo, si
strinse al suo braccio
rotto, facendogli scappare un gemito.
Lui
la strinse.
Anko
gli si appese al collo, mentre lui la sorreggeva con il braccio sano.
Si
sedettero sul divano, sempre baciandosi.
Kakashi
aprì gli occhi, trovandosi sdraiato tra i cuscini, Mitarashi
seduta sul proprio
bacino.
-
Vuoi sapere perché me la prendo tanto? -
E'
l'universo
che si svela quante parole in una sola
-
Perché io…ti amo. -
Lui
la baciò dolcemente. - Ti amo anche io, lo sai… -
Lei
gli diede un buffetto sulla guancia, poi lo spinse via con dolcezza. -
Fammi
finire. -
Hatake
la fissò perplesso.
-
Perché io
ti amo, Kakashi Hatake, e
perché… -
...Si...tu...
Strinse
quel qualcosa che aveva sin da
prima
in mano, lo guardò con intensità.
L’acqua
gocciolava sul petto dell’albino, per il pavimento, su quel qualcosa.
Si
fece forza.
-
Kakashi… io
sono incinta. -
Hatake
la fissò interdetto per qualche secondo.
Poi
quelle labbra bellissime si piegarono in un ancor più bel
sorriso, la strinse.
Spalancò
ambedue gli occhi, illuminati del bagliore che tanto disperatamente
Anko aveva
cercato nel drago.
Aveva
paura.
La
possibilità di un figlio lo spaventava da morire. Ma al
contempo… era l’emozione
più grande che avesse mai provato.
Era
il mare in tempesta.
Era
l’inquietudine di fondo.
Era
volare, senza la sicurezza di non precipitare.
Sublime.
Nonostante
la paura, un brivido lo attraversò, lo lasciò
estasiato e confuso da quel misto
di emozioni.
E
seppe esattamente cosa dire e cosa fare.
La
abbracciò, la baciò con dolcezza.
- E’…
fantastico. -
Perché
quell’amore ormai l’aveva rapito, drogato,
assuefatto.
E
non restava che cedervi.
E
non restava che diventare umano e dimenticare il gelido Drago.
Perché
Il Drago, non era che la parte repressa di Kakashi.
La
parte che Anko aveva sedotto e da cui era stata sedotta.
La
parte di cui non c’era più bisogno,
perché c’era ben altro per cui lottare.
E
Anko si lasciò andare, si lasciò amare dolcemente.
Perché
dentro di sé era piena.
Perché
voleva un futuro per sé e per quello uomo, ma soprattutto
per la creatura che
portava in grembo.
Per
quella creatura arrivata all’improvviso, inconsciamente
cercata per riparare al
dolore di una vita.
Quella
vita per cui avrebbe lottato sino alla morte.
Contro
la morte.
Amore
mio
immenso e puro ci penso io a farti avere un futuro
amore che sta già chiedendo strada tutta per sè
farò di te la mia estensione farò di te il tempo
della ragione
farò di più farò le cose che vuoi fare
anche tu.
Sì…tu.
E
rimase stesa ad ascoltare il battito dell’uomo che amava e
del bambino che
doveva ancora nascere ma che già amava teneramente.
E
chiuse gli occhi, in pace con se stessa per la prima volta.
Sublime.
Quando
nasce,
quando nasce un amore.
E
- nel buio del tempio - gli occhi neri del drago
rilucettero.
Gli
occhi che non condannavano, non approvavano, non
giudicavano, ma semplicemente osservavano.
Rilucettero
illuminando l’intero santuario.
E
la statua prese fuoco.
L’intero
tempio prese fuoco, un
incendio bellissimo e tremendo.
E
un drago passò in cielo, usando il suo ultimo
potere.
Regalando
la magia di quel sentimento difficile e
problematico.
Chiamato
amore.
Un
sentimento nato e germogliato in quegli esseri
difficili e tormentati.
Caldo
e freddo.
Il
drago si dissolse nel cielo stellato.
Felice.
Il
monaco Chen non fu mai trovato.
Ma
non morì mai.
Rinacque
ad ogni bacio dato, ad ogni carezza, ad
ogni pianto.
…Quando nasce, quando nasce un amore…
BravesoulGrammatica e Sintassi: 14/15
Forma e Stile: 14/15
Caratterizzazione protagonista: 10/10
Caratterizzazione pers. aggiunto: 5/5
IC: 5/5
Originalità: 5/5
Attinenza alla canzone: 7/10
Gradimento personale: 5/5
Totale: 65/70
Giudizio scritto:
La storia è davvero molto bella e ben articolata, sotto tutti i punti di vista!
Hai sicuramente dato un taglio assolutamente originale alla storia, credo di non aver mai letto nulla che potesse paragonare un uomo (o meglio il suo spirito, il suo animo più nascosto) ad un drago nel modo qua si mistico in cui lo hai fatto tu, per cui davvero ti faccio i miei più sinceri complimenti per questo che, a parer mio, non è assolutamente un delirio (magari ne avessi così anch’io!).
Non ho trovato errori di tipo grammaticale o lessicale (i congiuntivi sono la loro posto, non sai che sospiro di sollievo che ho tirato, ti ringrazio!) e questo mette in evidenza il fatto che tu sia una scrittrice molto attenta: solo qualch e piccola imprecisione, ma assolutamente niente di rilevante.
Lo stile a volte è un po’ troppo spezzato dai punti fermi, ma questo fa sicuramente emergere nel migliore dei modi il carattere duro e deciso di Anko, ed è forse proprio per questo che ti ho dato il massimo dell’IC!
“Quando nasce un amore” è la mia canzone preferita (sì, non ti è andata propriamente bene con la canzone xD) e devo dire che tu ne hai dato un’interpretazione assolutamente originale e la cosa mi è piaciuta davvero molto: hai fatto sicuramente emergere la parte più “intima” (in tutti i sensi) delle parole e questo ti ah dato il massimo punteggio nelle altre valutazioni.
Soltanto l’attinenza alla canzone è un pochetto penalizzata per il semplice fatto che, sia melodia che parole, siano in realtà molto dolci e tu hai dato un taglio più “duro” alla storia, sia per quanto riguarda gli avvenimenti che i comportamenti dei personaggi, ma questo non significa che non mi sia piaciuto, anzi!
Davvero un’ottima storia, complimenti ^^