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Autore: bravesoul    18/11/2011    1 recensioni
Il sentore d’incenso aleggiava nell’aria, il fumo rendeva difficile la visuale, il respiro ostacolato da quel profumo stranamente inebriante. [...]
- A quanto pare, Anko- chan, sei pronta. -
- Pronta per cosa? -
Il monaco sorrise, malizioso. - Per incontrare il drago. -
E in un secondo il mondo sparì.
C’erano solo quegli occhi neri e senza fondo.
Solo l’ignoto.
Solo quel fuoco caldo ma che lasciava una sorta di gelo profondo.
Non c’era più Chen, il bonzo.
Non c’era nemmeno più il legno del tempio.
Quello che restava era il drago.
Fic 3 classificata al contest "Music in life" by ellacowgirl.
Genere: Dark, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anko Mitarashi, Kakashi Hatake
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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The Sublime.

 

Il sentore d’incenso aleggiava nell’aria, il fumo rendeva difficile la visuale, il respiro ostacolato da quel profumo stranamente inebriante.

La luce delle candele veniva riflessa sulle sculture di ferro battuto, sulle  teste tosate e lucide dei monaci.

In particolare un gong  splendente pareva catturare completamente quella luce, il metallo che si tingeva di mille sfumature, quasi a raccogliere dentro di sé il fuoco della forgia da cui era nato.

Accanto al gong, stava una piccola statua di un drago. Per quanto fosse insignificante per dimensioni, rispetto al resto delle sculture presenti, a un occhio attento avrebbe rivelato più meraviglie di quanto fosse credibile.

Ogni scaglia pareva avere il colore dei carboni ardenti, viva come la brace, fuoco indomabile e caldo, mentre gli occhi dello stesso erano più cupi e neri della notte più oscura,  tanto profondi, tanto senza fondo, tanto imperscrutabili da essere… sublimi.

Assurdo legare un concetto romantico - il sublime, appunto - a un tempio dal sapore orientale, con la cenere dell’incenso che cadeva sul pavimento di legno lucido come neve che si adagia sulla roccia. Ma era una definizione talmente adatta per gli occhi del drago, da rendere possibile quell’assurdo accostamento di idee.

Veniva sempre a guardare quel drago, quando aveva bisogno di pace.

Ma era poi pace quella che trovava?

Era pace l’ annichilirsi completamente guardando quei pozzi senza fondo, che non condannavano, non approvavano, non  giudicavano, ma semplicemente osservavano?

Era pace quel guardare senza distorsioni ottiche nella propria anima e mettere a nudo tutti quei pensieri che - in genere - cercava di celare persino a se stessa?

Non era del tutto liberatorio, contemplare il drago.

La riempiva sempre di un senso di libertà, ma anche di un’inquietudine di fondo, da cui si faceva trasportare. Era come precipitare, conscia del pericolo, ma al contempo eccitata dalla caduta.

Era come guardare l’orizzonte senza poter vedere ciò che era troppo lontano.

Era come perdersi in un cielo stellato, perdersi nei misteri di quella volta senza fine, come gli occhi dell’animale mitologico.

Sublime.

Non erano troppo da lei, quei pensieri. Era più la tipica donna da “agisci e poi pensa”. O - almeno - era quello che tutti dicevano.

Ma - forse - era proprio quella la funzione del drago. Tirare fuori quel segmento di sé che nessuno- statua a parte - conosceva.

Chinò il capo.

Avvicinò una mano alle squame iridescenti della creatura inanimata, mentre una sensazione di calore si diffondeva dalle punte delle dita al solo sfiorare quel metallo.

Un monaco le si avvicinò, facendo ondeggiare un piccolo rosario buddhista. La donna sorrise gentilmente, mentre osservava la tunica giallo ocra dai bordi rosso mattone.

- Anko-sempai, sempre alla ricerca del drago? - Chiese lui, gentilmente, con l’accenno di un sorriso fin troppo consapevole.

La donna giunse i palmi, accennando un inchino, stranamente calma. - Aye. -

L’uomo rise, senza alcuna malizia. - Ti si addice poco l’atteggiamento sottomesso. -

La donna si scoprì una spalla, lasciando intravvedere un tatuaggio nero. - Sono stata sottomessa troppe volte, sensei. Ho dovuto imparare a non esserlo più. -  Commentò.

Fu strano il modo in cui pronunciò la parola sensei. Lo fece con rispetto, non con disgusto. E - solo qualche mese prima - non avrebbe mai potuto chiamare un altro uomo sensei senza che l’acido della bile  le corrodesse la gola.

Lui continuò a sorridere, anche se gli occhi gli si accesero di una sorta di tenerezza nel guardare quella donna ferita. - Anko, perché il drago? -

La ragazza lo fissò di tralice, gli occhi color caramello carichi di sfida. Poi, però, soffocò l’impulso di rispondere in modo sgarbato, trasse un respiro e decise di essere onesta. - Gli occhi. Neri, senza fondo. Mi inquietano eppure non riesco a staccarmici. - senza accorgersene passò una mano sul dorso della statua. Un brivido la scosse, un brivido che aveva un qualcosa di sensuale. Continuò a carezzare quelle squame calde al tatto, mentre inconsapevolmente le si accelerava il respiro e l’eccitazione le cresceva dentro. Fissò quegli occhi, e per la prima volta quei pozzi neri, che non giudicavano mai, risposero a quello sguardo, con un bagliore lucente e potente come un tuono.

Trattenne il fiato, quasi spaventata. Ma non interruppe il contatto. Non poteva, non voleva. Si voltò verso il monaco che la fissava con aria placida e tranquilla.

- A quanto pare, Anko- chan, sei pronta. -

- Pronta per cosa? -

Il monaco sorrise, malizioso. - Per incontrare il drago. -

 

[Sibilò.

Il drago cinese cominciò a muoversi.

Avvolse con la sua calda anima la curiosità umana.

Aprì la bocca.

I denti  terribili e giallastri scintillarono.

Aprì la bocca e si preparò al pasto.]

Per incontrare il drago.

E in un secondo il mondo sparì.

C’erano solo quegli occhi neri e senza fondo.

Solo l’ignoto.

Solo quel fuoco caldo ma che lasciava una sorta di gelo profondo.

Non c’era più Chen, il bonzo.

Non c’era nemmeno più il legno del tempio.

Quello che restava era il drago.

Ma non era più una statua.

Il Drago, il Drago era quella presenza che la stava avvolgendo, tra i carboni e l’incenso.

Il Drago era quel dolore terribile, la sensazione che ogni osso del proprio corpo fosse stritolato.

Il Drago era il groppo alla gola.

Il Drago era l’eccitazione.

[Cambiò.

Il drago cinese perse la sua forma.

Avvolse col proprio corpo umano la carne femminile.

Aprì la bocca.

 I denti bianchissimi e perfetti scintillarono.

Aprì la bocca e si preparò al banchetto.]

E delle labbra la baciarono.

E lei rispose a quel bacio, senza sapere che cosa stesse succedendo, senza sapere nulla se non che…

Se non che quel bacio le stava scaldando il cuore.

Se non che le mani che le sfioravano i seni, che le stracciavano la toga…

Erano il Drago.

E la lingua dell’essere le carezzò la carne, come se la stesse assaporando, prima di morderla.

Sentiva il pericolo.

Ma l’adrenalina del salto nel vuoto era troppa per essere sedata.

I denti della creatura si serrarono attorno ai suoi capezzoli, con dolcezza.

Succhiò.

E il latte uscì, anche se razionalmente non vi era latte che potesse uscirne.

Il Drago la prese.

Con la lingua, infida traditrice.

Con le dita lunghe e tanto abili.

Affondò, entrò, esplorò.

E - all’apice del piacere - la penetrò quasi con furore.

Anko urlò, serrò le gambe attorno alla vita del compagno, spinse con tutto il bacino, per farsi prendere, ancora.

Lo ribaltò, gli finì sopra.

Fece ondeggiare il bacino.

Lo amò.

Ne volle il seme.

Perché il Drago voleva ciò.

Ma Anko lo voleva ancora di più.

E si ritrovò nuda, accaldata, sdraiata su un futon morbidissimo.

Le candele attorno ad esso quasi consumate, la cera che colava sul legno lucidissimo.

L’odore d’incenso nelle narici.

[Amò.

Il drago cinese cominciò a trasformarsi.

Avvolse con l’anima umana la sovraumana creatura.

Aprì la bocca.

La lingua passò sui denti bianchi.

Aprì la bocca e si preparò a fuggire.]

E, con la coda dell’occhio, lo vide.

Lo vide solo un secondo prima che si trasformasse, che sparisse.

E - in quel secondo - vide due occhi di colore diverso, uno scintillio argentato.

E seppe.

Ma non volle credere.

 

Si rivestì con abiti nuovi, lucenti.

Non nascose il tatuaggio, perché quel marchio d’infamia era stato trasformato dal bacio del Drago.

Accese una bacchetta d’incenso, la pose in un turibolo a forma di drago dorato.

Si chinò, di fronte al bonzo Chen.

E li bonzo la fece alzare, la strinse, la fece sedere.

- Hai incontrato il drago. -

- Sì. -

- Hai amato il drago. -

- Sì. -

- Hai conosciuto il drago. -

- Sì.-

- Cos’è il drago, Anko-chan? - Chiese allora con dolcezza.

- Il Drago… - dovette ammettere di non saperlo.

Il bonzo le passò una mano per i capelli violetti, con dolcezza, come se stesse parlando ad una bimba confusa.

- Il drago è un essere umano, Anko-chan. -

E lei seppe.

Ma, ancora, non volle credere.

 

Quando nasce un amore non è mai troppo tardi
scende come un bagliore da una stella che guardi
e di stelle nel cuore ce ne sono miliardi
quando nasce un amore, un amore.

 

Quando uscì dal tempio era già calata la notte, senza che se ne fosse resa concretamente conto.  I vestiti nuovi, quelli di seta lasciati dal Drago, emanavano il sentore dell’incenso, proprio  come il tempio.

Camminava, Anko, senza nemmeno controllare i propri passi, mentre quella straordinaria emozione le riempiva l’anima, mentre si sentiva piena, piena da scoppiare. Ma quella pienezza la rendeva felice, senza pensieri coerenti.

Camminava, Anko, a piedi nudi, e sotto la pianta dei piedi assaporava ogni minima imperfezione del terreno, senza sentire dolore.

Faceva freddo, il fiato si condensava quasi in una nuvoletta, ma lei non pareva notarlo.

Era calda, calda dentro.

Alzò gli occhi verso la volta celeste, beandosi della vista delle stelle, di quella volta che finiva sempre per inquietarla.

Sublime.

La riempiva di terrore, eppure l’affascinava così tanto.

Abbassò gli occhi, tornando alla realtà.

Portò una mano al petto, accarezzandosi i seni, desiderando che il Drago fosse lì. Ma la donna era troppo disillusa per sperare che quel piacere sarebbe tornato. Magari aveva solo immaginato tutto.

No.

Ricordava con troppa precisione ogni sensazione provata.

Continuò a camminare, mentre quel caldo dentro si raffreddava a poco a poco, mentre le parole di Chen le tornavano alla mente.

Il drago è un essere umano. Stupido stronzo. Non era vero, l’aveva voluta prendere per il culo, ecco tutto.

Poi sorrise amara, non sarebbe stata la prima volta.

Alzò il capo di colpo, resasi conto di essere arrivata  alla lapide degli eroi.

Inclinò il capo a sinistra e scorse una figura davanti a quella lapide, una bottiglia in mano.

Si avvicinò, quasi curiosa, conoscendo già dentro di sé il visitatore.

La creatura si voltò, la trapassò con quello sguardo bicromatico che la fece sussultare. E qualcosa di quel calore quasi sparito si riaccese in corpo.

Ma poi lui abbassò lo sguardo, stappò la bottiglia, ne bevve un sorso. E lei notò una goccia di alcol passare per le labbra carnose, per la pelle del volto, per la barba leggermente incolta.

Non aveva la maschera…

Fece per distogliere lo sguardo, ma poi notò l’intensa malinconia che permeava quell’uomo, quel sentimento così forte in un uomo che lei aveva sempre considerato di ghiaccio.

Gli andò accanto, senza una parola. Lui le porse la bottiglia quasi vuota, lei ne bevve un goccio.

Nello sfiorare la sua pelle candida, un brivido la percorse, un brivido tanto simile a quello provato con il Drago.

Ma non c’era il Drago nei pensieri di Anko.

Nei pensieri di Anko c’era solo la solitudine di quell’uomo, che aveva trovato messo a nudo sotto una luna piena, che non gli lasciava la possibilità di nascondersi.

-  Non pensavo che qualcuno mi avrebbe visto. - Sussurrò, quasi parlando a se stesso.

La donna scosse il capo, mentre un sorriso triste le affiorava in volto. - Posso andarmene e fare finta di nulla, se vuoi, Hatake. -

L’albino la fissò sorpreso. Lei fece per andarsene ma improvvisamente lui la afferrò per un braccio, trattenendola. - No. - Trasse un respiro profondo. - Non te ne andare. -

Stettero, in silenzio, a fissare quella lapide, bevendo da una bottiglia ormai vuota, finché il cielo si schiarì, finché la malinconia dell’uomo si trasformò in una sorta di sentimento dolceamaro.

Fissò Anko in volto, per poi accorgersi che - per tutta la notte - erano rimasti mano nella mano, senza scollarsi, riscaldandosi a poco a poco l’animo a vicenda.

Un brivido lo percorse, un brivido che aveva qualcosa di sessuale, qualcosa di un calore mai provato prima, un calore ceduto e mai più ritrovato.

La donna fissò Kakashi negli occhi neri come l’inchiostro. Per accorgersi che quegli occhi erano pozzi senza fondo, voragini meravigliose e allo stesso tempo inebrianti. Occhi che non giudicavano, che non approvavano, ma semplicemente osservavano.

Gli occhi del Drago.

[ Si svegliò.

L’essere umano cominciò a svanire.

Aprì le labbra.

I denti bianchi  e affilati scintillarono.

Aprì le labbra e si preparò al volo.]

E senza sentimenti, senza pensieri razionali, senza rimorsi, si trovarono a baciare le labbra altrui.

Labbra di colleghi da tempo conosciuti, ma mai davvero scoperti.

E le mani che carezzavano i seni, che stracciavano la tunica, parvero ad Anko le mani del Drago.

Senza esitazione, si strinse a quella creatura e ne strappò i vestiti.

Perché era quella l’unica cosa che volesse.

Ritrovare il calore, donare calore a quell’essere tanto gelido.

E Kakashi si trovò a ricambiare quel bacio, senza saperne l’esatta ragione.

Come, senza un’esatta ragione, le aveva chiesto di restare.

Forse per il calore, forse perché sembrava semplicemente la cosa giusta da fare.

Perché voleva qual corpo, perché qualcosa dentro di sé già conosceva quel corpo.

E poi non  seppe più nulla.

Seppe solo di volerla prendere, di volerla amare.

Non che le cose fossero un sinonimo.

Aveva avuto tante donne, amate poche.

E tutto il dolore che portava dentro, i rimpianti, i rimorsi, i pensieri, il non riuscire mai a voltare pagina, si sciolsero come neve al sole.

E mentre Anko lo amava, mentre Kakashi la prendeva in ogni modo che conoscesse, il calore li avvolse.

E quei corpi nudi si unirono in un equilibrio perfetto, un’estasi mai conosciuta ma tanto voluta.

Hatake perse il suo nome.

Non fu più Kakashi Hatake.

Niente ricordi.

Fu semplicemente il Drago.

E Anko si perse in quegli occhi senza fondo.

[ Si assopì.

L’essere umano cominciò a riapparire.

Aprì le labbra.

Passò la lingua sui senti bianchi e perfetti.

Aprì le labbra e si preparò a parlare.]

E si ritrovò nuda, piena, sul letto dell’uomo.

Il sole penetrava dalla finestra lasciata leggermente aperta, il vento sibilava.

Si girò su un fianco, lo fissò, addormentato.

Fissò quel volto bellissimo e sempre nascosto, fissò quella cicatrice tanto vecchia.

Passò dolcemente una mano sull’occhio ferito, lo sentì muoversi leggermente.

Poggiò il capo sul torace dell’uomo e si addormentò, mentre lui le carezzava dolcemente i capelli.

E il sole riscaldò quella scintilla nata sotto il bagliore delle stelle.
Quella scintilla che avrebbe imparato a chiamare [amore.]

 

***

Ed è come un bambino che ha bisogno di cure
devi stargli vicino devi dargli calore
preparargli il cammino il terreno migliore

Il terreno era scivoloso.

Pioveva.

E faceva freddo.

Mosse con cautela i massi, mentre scendeva da un pendio particolarmente scivoloso, tentando di non cadere.

Lo zaino pesava.

E i muscoli sembravano urlare in protesta a quella marcia forzata.

Maledetta vecchia Hokage.

Che ci andasse lei in missione, maledizione.

Inciampò  urtando una radice, si aspettò di volare faccia in giù nel fango, e sporcarsi più di quanto già non fosse.

Invece delle braccia forti la trattennero, impedendole di cadere.

Si voltò e scorse il volto stanco di Kakashi, illuminato da un sorriso tirato.

- Sta’ attenta. -

Lei indugiò un secondo nelle braccia di lui, poi lo spinse via. - Ce la faccio da sola, Hatake. -  Rispose seccata.

Lui le concesse un sorrisetto ironico.

Le venne voglia di prenderlo a pugni, di togliergli da sotto la maschera blu quel sorrisetto del cazzo. Di spaccagli la faccia fino a farlo sanguinare ed implorare pietà.

Ma, naturalmente, non lo fece.

Era solo preoccupato per lei, e lo sapeva.

Sapeva.

Ma le dava fastidio che l’unico modo per mostrarlo fosse quello, alla fine.

Le dava fastidio non potere stare con lui in pubblico, e che l’unico momento in cui lui le mostrasse il benché minimo interesse fosse in camera da letto. E quando uscivano da soli.

Ma naturalmente in posti sconosciuti al resto del mondo, per non rischiare che qualcuno li vedesse assieme.

Lo conosceva da troppo tempo per ignorare i sentimenti da lui provati.

E conosceva troppo bene se stessa per negare…

Grandiosa scopata, grandioso sentimento.

Grandiosa emozione nel vederlo, nel parlargli, nel litigarci, nelle sue mani sul proprio corpo, nei suoi occhi di due colori diversi, nell’amore fatto al tempio, nell’incenso, nel suo respiro…

Scosse il capo.

Si allontanò, quasi senza guardarlo.

Lui stette ad osservarla, perplesso.

Era troppo stanco per correrle dietro.

Troppo stanco per capire cosa avesse.

Troppo dolorante per le ferite ricevute, più gravi di quello che facesse credere.

Troppo intimidito dalla portata del sentimento provato per assecondarlo.

Perché quello era lui.

Uno dei migliori ninja al mondo, che si faceva spaventare come un ragazzino dai sentimenti.

Perché amare era rischiare.

Perché gli riusciva molto meglio fare l’indifferente, che esporsi.

Ma quello che provava per lei, quello che aveva provato per lei nel tempio, lo stava mandando in confusione. Non lo sapeva gestire. Avrebbe voluto darle molto di più, avrebbe voluto essere molto di più che qualcosa di clandestino.

Ma Kakashi Hatake non sapeva come fare.

Perché quella era la prima volta da tanto, troppo tempo, che amasse davvero.

- Forse dovresti solo chiederle di uscire. - Una voce sardonica lo fece sussultare.

Un Sasuke Uchiha, estremamente compiaciuto seppur stanco, gli si affiancò con un ghigno furbesco sul volto pallido.

Kakashi gli rivolse uno sguardo obliquo, maledicendo la sagacia del ragazzo.

- Andiamo,  è ovvio che abbiate una storia. - Sasuke si ficcò le mani nei pantaloni neri e fradici. - E, per la cronaca, è altrettanto ovvio che lei per te sia qualcosa di più delle solite che ti porti a casa. -

Hatake trovò quel discordo leggermente irritante. Innanzitutto non era nell’ordine naturale delle cose che un diciottenne gli facesse la predica, con quella sfumatura di divertita superiorità. “Qualcosa di più delle solite che ti porti a casa”.

Poi non che il ragazzino fosse esattamente un emblema di castità.

Tuttavia doveva ammettere che Uchiha aveva ragione, e, se possibile, la cosa riusciva ad irritarlo ancora di più.

Gli rivolse un sorriso vuoto sotto la maschera, accelerò moderatamente il passo, poi si voltò, un lampo negli occhi.

Fece un cenno ad Anko,  in modo che i tre si disponessero a triangolo.

Estrassero i kunai, consci di dover stare attenti, di dover ancora lottare, sebbene il villaggio fosse tanto vicino e loro tanto stanchi e ammaccati.

E i nemici piombarono su di loro. Un'unica missione: ucciderli, prima che rivelassero le preziose informazioni ricevute all’Hokage.

E fu sangue, fu dolore.

Kakashi tirò su il coprifronte, Sasuke attivò lo sharingan, Anko si preparò a lottare.

L’acciaio sull’ acciaio, l’acciaio nella carne, potendo contare solo sulle proprie forze e quelle stremate dei compagni di team.

[Morse.

Il drago cinese cominciò a lottare.

Aprì le fauci.

I denti gialli e sporchi di sangue si serrarono.

Aprì le fauci e si preparò al massacro.]

Parò una stoccata, Hatake.

Uccise l’avversario senza scrupoli, era in gioco la vita delle persone a cui teneva di più al mondo.

Schivò un colpo, copiò una tecnica, il sangue lo impregnò, mentre la pioggia lavava tutto.

Le costole già incrinate fremettero mentre eseguiva un movimento particolarmente complicato.

Uccise qualcun altro, una lama lo ferì al braccio.

Vide lei in difficoltà, trovò il caldo, trovò l’energia in sé, si lanciò verso di lei, appena prima che un mortale fendente la colpisse.

Decapitò il nemico, con una furia che non avrebbe mai creduto propria.

Il Drago.

Sentì il sangue dell’uomo sui denti, li leccò vorace, godendone.

Eppure non perse l’umanità, non perse la lucidità.

E lei vide quella luce selvaggia negli occhi del jonin, il cuore le batté più velocemente, mentre lo vedeva massacrare un altro nemico, mentre ne massacrava ella stessa un altro.

Lo vide godere intrinsecamente della caccia.

E seppe.

Ma, questa volta, cominciò a credere.

[ Si acquietò.

Il drago cinese cominciò a ritirarsi.

Aprì le fauci.

La lingua passò sui denti chiazzati di sangue.

Aprì le fauci e si preparò al rischio.]

- Non avevo bisogno di te. - Gli disse piccata, mentre gli puliva alla meglio le ferite, per fermare l’emorragia, almeno per il tempo necessario per arrivare al villaggio.

Lui la fissò, stanco.

- Smettila. -

La donna rimase di sasso a quel tono irritato.

- Smettila. - Ripeté lui.

Inclinò la testa a sinistra e le prese il mento. - Ti porto a cena. -

Anko sorrise, prima di potersi fermare.

Premette le mani sulla ferita al braccio, facendolo sussultare.

Kakashi la fissò in cagnesco, per poi sorriderle.

La donna ridacchiò di gusto, mentre il calore la invadeva.

Aveva intenzione di alimentare, quel calore benefico.

Avrebbe dovuto lottare per scioglierlo, lo sapeva. Ma non era donna da arrendersi, lei era sopravvissuta a ben altro che la cocciutaggine di un uomo troppo riservato.

Avrebbe difeso quel sentimento che le cresceva dentro, con le unghie e con i denti.

Proprio come lui aveva fatto poco prima.

Avrebbe trasformato quel terreno arido in un campo rigoglioso.

Lo avrebbe fatto, nonostante sarebbe stata la cosa più difficile da fare.

Come?

Dando tutta se stessa.

 

Ti fa bene, ti piace questa voglia di dare

 

***

E' un emozione nella gola da quando nasce a quando vola
che cosa c'è di più celeste di un cielo che ha vinto mille tempeste
che cosa c'è se adesso sento queste cose per te



Mitarashi tirò fuori la torta dal forno.

Non era donna da mettersi in cucina a preparare il cibo per l’uomo tornato dal lavoro, ma non aveva resistito alla tentazione.

Un profumo delizioso si diffuse nell’aria, di pere e marsala, amaretti e cioccolato.

Sciolse la glassa al cioccolato già pronta contenuta in una bustina, la sparse sulla superficie della torta, poi tritò degli amaretti e ne ricoprì la glassa ancora fumante.

Sentendolo rientrare in casa, accese una bacchetta di incenso e la inserì in un turibolo  a forma di drago cinese, lo stesso della prima volta che si era unita al Drago.

Faceva una discreta figura in quella casa.

Sorrise.

Da quando… da quella notte sorrideva sempre più spesso.

Estrasse una bottiglia di vino da un armadietto e ne bevve un goccio.

Lui entrò in cucina, con un sorriso di scusa sul volto.

Anko soffocò un’imprecazione, vedendolo con un braccio al collo e i vestiti troppo corti di Sasuke.

- Sei un cazzone. Mi avevi promesso che saresti stato attento. -

Lui annuì, poi prese un coltello e si accinse a tagliare una fetta di torta.

La donna ritrasse la torta.

- Non la toccare. Non tentare di cambiare argomento. Ti sei fatto male di nuovo. -

Kakashi si accasciò stancamente su una sedia, dolorante in ogni centimetro del corpo, il braccio che lo uccideva. - E’ stata una dura missione. Possiamo parlarne dopo? -

Anko gli si avvicinò. - No. Perché parlarne dopo significa non parlarne mai. - Sbatté la bottiglia sul tavolo.

Hatake si voltò, fissando lo sguardo sul parquet.

- Perché te la prendi tanto?- Sussurrò, prima che potesse fermare quel sibilo.

Che lei udì benissimo.

Lo fissò carica d’ira, sbatté un pugno sul tavolo.

Perché…

Si fermò in tempo.

Gli voltò le spalle e se ne andò.

- Mangiala finché é calda. E strozzati. -

Lui rimase a fissarne la ritirata, chiedendosi cosa le fosse preso.

Ad ogni modo tagliò una fetta di torta, si accorse che era davvero squisita,  e decise di affogare i dubbi e il dolore nel Porto che la sua donna gli aveva lasciato sul tavolo.

Davvero ottimo.

[ Tentennò.

Il drago cinese cominciò ad esitare.

Aprì la bocca.

I denti sporchi di vino scintillarono.

Aprì la bocca e si preparò alla prova.]

Il sentore d’incenso pervase le sue narici.

Toccò le squame del drago, cercando quel brivido sessuale.

Ma nessuno le rispose.

Gli occhi del drago rimasero spenti, non più imperscrutabili, non più senz’anima.

Nessun Sublime.

Quel drago non sembrava altro che una normalissima statua neanche troppo particolare.

La fissò, sconvolta.

Eppure lei... lei aveva fatto l’amore con il Drago.

Non poteva aver immaginato tutto.

Non era possibile…

Strinse le mani attorno al Drago,  i cui speroni della criniera le ferivano le mani.

Ma neanche quel dolore bruciante poté provocare quel brivido che cercava, quell’interazione.

Il monaco Chen le si avvicinò, si sedette accanto a lei.

- Anko-sempai, ancora alla ricerca del drago? - Le si rivolse con il solito sorriso semplice.

Lei scosse il capo, vuota. - Sensei, non c’è più nulla… dov’è il Drago? -

Lui rise di gusto.

- Chen, dannazione! Dov’è il fottuto Drago?- sbottò lei.

La fissò, sorpreso da quello scatto, poi le sorrise bonariamente. - Il fottuto drago, Anko-chan, è proprio qui. - E puntò la statua.

- No, Chen! Non c’è nulla. E’ solo una stupida statua. -

Il bonzo le passò una mano tra i capelli viola. - Piccola, è sempre stata una stupida statua. -

Anko lo fissò interdetta.

- Il Drago, Anko, il Drago non è che un essere umano. Il Drago è sempre stato con te. - Poi la osservò meglio, le sfiorò l’addome piatto e una luce gioiosa gli illuminò il volto. - Anzi, a giudicare, direi che il Drago ora è dentro di te. -

E lei seppe.

Ma, per la prima volta, credette.

[ Scomparve.

Il drago cinese cominciò a sciogliersi.

Aprì la bocca.

I denti forti scintillarono.

Aprì la bocca e si preparò al premio.]

Kakashi la trovò sulla porta di casa, bagnata fradicia per la pioggia, con un qualcosa in mano.

La squadrò per un secondo, fece per parlare, per scusarsi, per ammettere la propria fallacità.

Per ammettere di aver bisogno di lei.

Per quanto strano gli sembrasse l’ammettere qualcosa del genere.

Perché non era tipo, lui.

Ma non  ebbe il tempo per fare nulla.

Lei lo baciò con passione, si strinse al suo corpo sodo, si strinse al suo braccio rotto, facendogli scappare un gemito.

Lui la strinse.

Anko gli si appese al collo, mentre lui la sorreggeva con il braccio sano.

Si sedettero sul divano, sempre baciandosi.

Kakashi aprì gli occhi, trovandosi sdraiato tra i cuscini, Mitarashi seduta sul proprio bacino.

- Vuoi sapere perché me la prendo tanto? -

E' l'universo che si svela quante parole in una sola

- Perché io…ti amo. -

Lui la baciò dolcemente. - Ti amo anche io, lo sai… -

Lei gli diede un buffetto sulla guancia, poi lo spinse via con dolcezza. - Fammi finire. -

Hatake la fissò perplesso.

- Perché  io ti amo, Kakashi Hatake, e perché… -

...Si...tu...

Strinse quel qualcosa che aveva sin da prima in mano, lo guardò con intensità.

L’acqua gocciolava sul petto dell’albino, per il pavimento, su quel qualcosa.

Si fece forza.

 

- Kakashi… io sono incinta. -

Hatake la fissò interdetto per qualche secondo.

Poi quelle labbra bellissime si piegarono in un ancor più bel sorriso, la strinse.

Spalancò ambedue gli occhi, illuminati del bagliore che tanto disperatamente Anko aveva cercato nel drago.

Aveva paura.

La possibilità di un figlio lo spaventava da morire. Ma al contempo… era l’emozione più grande che avesse mai provato.

Era il mare in tempesta.

Era l’inquietudine di fondo.

Era volare, senza la sicurezza di non precipitare.

Sublime.

Nonostante la paura, un brivido lo attraversò, lo lasciò estasiato e confuso da quel misto di emozioni.

E seppe esattamente cosa dire e cosa fare.

La abbracciò, la baciò con dolcezza.

-  E’… fantastico. -

Perché quell’amore ormai l’aveva rapito, drogato, assuefatto.

E non restava che cedervi.

E non restava che diventare umano e dimenticare il gelido Drago.

Perché Il Drago, non era che la parte repressa di Kakashi.

La parte che Anko aveva sedotto e da cui era stata sedotta.

La parte di cui non c’era più bisogno, perché c’era ben altro per cui lottare.

E Anko si lasciò andare, si lasciò amare dolcemente.

Perché dentro di sé era piena.

Perché voleva un futuro per sé e per quello uomo, ma soprattutto per la creatura che portava in grembo.

Per quella creatura arrivata all’improvviso, inconsciamente cercata per riparare al dolore di una vita.

Quella vita per cui avrebbe lottato sino alla morte.

Contro la morte.

Amore mio immenso e puro ci penso io a farti avere un futuro
amore che sta già chiedendo strada tutta per sè
farò di te la mia estensione farò di te il tempo della ragione
farò di più farò le cose che vuoi fare anche tu.
Sì…tu.

E rimase stesa ad ascoltare il battito dell’uomo che amava e del bambino che doveva ancora nascere ma che già amava teneramente.

E chiuse gli occhi, in pace con se stessa per la prima volta.

Sublime.

Quando nasce, quando nasce un amore.

E - nel buio del tempio - gli occhi neri del drago rilucettero.

Gli occhi che non condannavano, non approvavano, non giudicavano, ma semplicemente osservavano.

Rilucettero illuminando l’intero santuario.

E la statua prese fuoco.

L’intero tempio prese fuoco, un incendio bellissimo e tremendo.

E un drago passò in cielo, usando il suo ultimo potere.

Regalando la magia di quel sentimento difficile e problematico.

Chiamato amore.

Un sentimento nato e germogliato in quegli esseri difficili e tormentati.

Caldo e freddo.

Il drago si dissolse nel cielo stellato.

Felice.

Il monaco Chen non fu mai trovato.

Ma non morì mai.

Rinacque ad ogni bacio dato, ad ogni carezza, ad ogni pianto.

 

…Quando nasce, quando nasce un amore…

xx

Bravesoul
Grammatica e Sintassi: 14/15
Forma e Stile: 14/15
Caratterizzazione protagonista: 10/10
Caratterizzazione pers. aggiunto: 5/5
IC: 5/5
Originalità: 5/5
Attinenza alla canzone: 7/10
Gradimento personale: 5/5
Totale: 65/70

Giudizio scritto:
La storia è davvero molto bella e ben articolata, sotto tutti i punti di vista!
Hai sicuramente dato un taglio
nn
assolutamente originale alla storia, credo di non aver mai letto nulla che potesse paragonare un uomo (o meglio il suo spirito, il suo animo più nascosto) ad un drago nel modo qua
si mistico in cui lo hai fatto tu, per cui davvero ti faccio i miei più sinceri complimenti per questo che, a parer mio, non è assolutamente un delirio (magari ne avessi così anch’io!).
Non ho trovato errori di tipo grammaticale o lessicale (i congiuntivi sono la loro posto, non sai che sospiro di sollievo che ho tirato, ti ringrazio!) e questo mette in evidenza il fatto che tu sia una scrittrice molto attenta: solo qualch
e piccola imprecisione, ma assolutamente niente di rilevante.
Lo stile a volte è un po’ troppo spezzato dai punti fermi, ma questo fa sicuramente emergere nel migliore dei modi il carattere duro e deciso di Anko, ed è forse proprio per questo che ti ho dato il massimo dell’IC!
“Quando nasce un amore” è la mia canzone preferita (sì, non ti è andata propriamente bene con la canzone xD) e devo dire che tu ne hai dato un’interpretazione assolutamente originale e la cosa mi è piaciuta davvero molto: hai fatto sicuramente emergere la parte più “intima” (in tutti i sensi) delle parole e questo ti ah dato il massimo punteggio nelle altre valutazioni.
Soltanto l’attinenza alla canzone è un pochetto penalizzata per il semplice fatto che, sia melodia che parole, siano in realtà molto dolci e tu hai dato un taglio più “duro” alla storia, sia per quanto riguarda gli avvenimenti che i comportamenti dei personaggi, ma questo non significa che non mi sia piaciuto, anzi!
Davvero un’ottima storia, complimenti ^^

 

  
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