4.
Inverno
A
causa del maltempo che si era abbattuto sulle coste orientali
dell'Europa il
transito dal Corno d'oro di Istanbul al Pireo, che sarebbe dovuto
durare poco
più di ventiquattro ore, si era invece trasformato in un interminabile
e
monotono sballottamento da destra a sinistra: una dura prova, tanto
per lo
stomaco quanto per i nervi.
La
pioggia
veniva giù dal cielo plumbeo incessante e violenta, con un ticchettio
martellante che aveva finito per entrargli nel cervello.
Dato
che
l'imbarcazione era sprovvista di cabine, aveva passato le notti
precedenti
sdraiato sul pavimento della stiva, pressato tra i corpi degli altri
passeggeri
e disturbato di continuo da rumori e movimenti improvvisi di questo o
di
quello.
Durante
il
dì non andava meglio; infatti, ammesso che riuscisse a ritagliarsi un
angolino leggermente più isolato, la confusione prodotta dal
sovraffollamento
dei locali coperti gli rendeva comunque impossibile trovare la
concentrazione
sufficiente per meditare.
«Da
dove
vieni, creatura?» gli chiese un marinaio – l’ennesimo impiccione.
Non
era
che l'ultimo di una lunga serie di personaggi, tutti egualmente
incuriositi
dalla sua evidente tenera età e dal suo aspetto assai singolare.
Non
capitava
spesso di imbattersi in un bambino dalle fattezze così eteree; ai
lunghi capelli dorati si accompagnavano degli occhi di un pervinca
mirabile –
che raramente teneva aperti, quasi fosse cieco – e un'aria tanto
trascendente
da farlo rassomigliare a un imperscrutabile santo in miniatura.
Pareva
essere
sceso in terra da chissà quale distanza siderale.
«Dall'India,
signore»
rispose lui in un greco stentato, al limite della cortesia.
«Dall'India,
hai detto? Strano, pari tutto
fuorché asiatico. Dove sei diretto?»
«Non
sono
affari che vi possano riguardare in alcun modo, signore».
«Moccioso
impertinente!
Nessuno ti ha insegnato il rispetto per quelli più anziani di
te?!»
Che
impudenza:
parlare di rispetto a lui, uno dei futuri uomini più potenti del
mondo!
Anzi,
forse
il più potente in assoluto – Shaka di Virgo, l'Illuminato.
«Shaka!
Ecco
dov’eri finito!»
Il
giovane
attendente incaricato di scortarlo fino al Grande Tempio li raggiunse,
affannato.
«Suppongo
che
tu sia un parente di questo piccolo maleducato» lo squadrò il marinaio
con
un'occhiata di disapprovazione.
«No,
signore,
sono il suo tutore. Lo sto accompagnando ad Atene per una gita
culturale».
«Ah,
così
è questa la copertura. Perché non sono stato informato anch’io?»
«Vogliate
perdonarlo,
se è stato sgarbato. Sapete, veniamo da lontano, è da molto che
siamo in viaggio. Il ragazzino non ci è abituato, sarà sicuramente
irritato e affaticato».
«D'accordo,
d'accordo.
Cerca di tenere a freno la lingua, d'ora in poi, marmocchio: è un
consiglio da chi ne sa più di te» si accomiatò burbero l'uomo,
dirigendosi
verso la sala macchine.
L'attendente
aspettò
che si fosse allontanato a sufficienza, per poi rivolgersi al bambino
con tono basso ma severo: «Nobile Shaka, mi fareste la cortesia di non
sparire
continuamente? Vi ho detto un'infinità di volte che dovete restarmi
accanto.
Non si sa mai cosa può accadere, ed è di vitale importanza che Voi
raggiungiate
il Santuario sano e salvo».
La
sua
inesperienza era palesemente tradita dal nervosismo che ne impregnava
i
modi di fare, e questo infastidiva oltremodo Shaka: non accettava che
gli
fossero rivolti rimproveri, specialmente da uno che non poteva
permetterselo.
«Sono
capace
di badare a me stesso» fu l'unica replica, che fece senza nemmeno
prendere la briga di girarsi.
«Sì,
sì»
rispose l'altro, accondiscendente «Comunque, fate come vi ho detto –
almeno
per il resto del viaggio. Non dovrebbe mancare molto».
«Me
l'auguro».
Gli
abitanti
del piccolo villaggio sulle rive del Gange dove era nato e cresciuto
solevano riservargli tutti gli onori che convenivano al suo status; da
quando
si era messo in viaggio, invece, nessuno l’aveva trattato in maniera
diversa da
un infante qualunque. Persino l'unico che conosceva la sua condizione
non lo
prendeva sul serio, nonostante gli desse del “Voi”: era terribilmente
frustrante – quasi quanto il perenne chiacchiericcio che risuonava in
ogni
angolo di quella bagnarola, da cui non era possibile trovare requie.
Che
fossero
monaci o semplici contadini, le persone con le quali aveva sempre
avuto
a che fare era persone sagge e composte; non poteva credere che, al di
fuori
del suo paese natale, esistesse tanta malacreanza.
«Terra
in
vista! Terra in vista! Prepararsi ad attraccare!»
Le
grida
dell'equipaggio infusero nuova allegria fra i passeggeri stanchi i
quali,
dopo aver chiassosamente raccolto i loro averi, si affrettarono ad
accalcarsi
sul ponte.
Se
non
altro, aveva smesso di piovere.
Shaka
e
il suo compagno si fecero largo tra la folla, riuscendo a conquistarsi
uno
spazio sul parapetto.
Virgo,
in
punta di piedi, si aggrappò alla ringhiera e osservò il paesaggio
circostante; davanti a lui si estendeva un enorme mosaico di cantieri
navali,
moli, navi in procinto di partire o arrivare e persone indaffarate
dedite a
camminare su e giù per la via.
Ne
rimase
affascinato e turbato insieme: non aveva mai assistito a un tale
fermento di attività – quando si erano imbarcati al Corno d'oro era
notte
fonda, e lui era troppo intontito dalla lunga traversata in aereo per
notare
alcunché.
Oltre,
non
riusciva a vedere nulla: una strana sostanza densa e lattiginosa
pareva
aver inghiottito l’intero orizzonte.
«Che
cos'è
quello spesso strato bianco là in fondo? Sembra fumo d'incenso» chiese
all'attendente, incuriosito.
«Intendete
quella
cosa laggiù? È solo un banco di nebbia» rispose quello distrattamente,
troppo occupato a cercare un varco per passare più agevolmente.
«Banco
di
nebbia... che vorrà mai dire?»
Non
ci
fu tempo per ulteriori chiarimenti; il giovane lo prese per mano e,
fra
spintoni e imprecazioni varie, riuscì a trascinarlo fino al molo
relativamente
in fretta.
Una
volta
a terra, il senso di nausea che aveva attanagliato Shaka per tutto il
tragitto parve paradossalmente aumentare – forse per l'acuirsi
dell'odore di
mare e di pesce marcio che a tratti gli riempiva le narici.
Mentre
la
ressa si diradava, rabbrividì: non aveva fatto caso a quanto fosse
freddo.
Si
strinse
dunque nella sua tunica di tela, cercando di ripararsi dall'aria umida
e pungente che gli si stava insinuando nelle ossa, ma non ne trasse
alcun
giovamento.
Gli
avevano
detto che l'inverno greco era molto più rigido di quello della parte
di
India da dove veniva, e tuttavia mai si sarebbe aspettato una così
grande
differenza.
Stava
appunto
ingegnandosi nel tentare di riscaldarsi, quando notò una figura
apparire dalla foschia e camminare nella loro direzione.
«Ben
arrivato,
nobile Saga» salutò con un inchino leggero l'attendente, rivolgendosi
al nuovo venuto «Vi presento Shaka di Virgo, della cui incolumità sono
responsabile».
«”Nobile
Saga”,
ha detto: deve essere un mio parigrado».
Una
volta
entrata nel suo raggio d’azione, l’aura viva e brillante dello
sconosciuto aveva catturato l’attenzione di Shaka in maniera
repentina.
«Piacere,
Shaka»
disse il ragazzo, piegandosi sulle ginocchia per tendergli la mano «Io
sono Saga, cavaliere d'oro dei Gemelli».
Lieto
di
avere finalmente a che fare con qualcuno che ritenesse alla propria
altezza,
Virgo non sottrasse la sua manina bianca alla presa vigorosa di
Gemini; nel
momento in cui si toccarono, egli sentì un cosmo dorato
incredibilmente solido
e forte entrare in contatto col proprio – una sorta di benvenuto
privato ed
esclusivo, rivolto solamente a lui.
Il
bambino
ricambiò cautamente la cortesia, prendendo a studiare il suo
interlocutore.
Il
volto
di Saga, incorniciato da una cascata di capelli biondi più scuri dei
suoi, era di una virile e statuaria bellezza precoce; poteva avere al
massimo
dieci anni più di lui, ma non gli era rimasto alcun tratto infantile.
Anzi,
i
suoi lineamenti erano duri e mascolini come quelli di un uomo già
fatto;
soltanto gli occhi blu, scuri e vivaci, brillavano di una luce
ridente.
«Bene,
Erastos,
penso che tu abbia terminato il tuo compito. Da qui in avanti,
scorterò io Virgo fino alla sua Casa».
«Ne
siete
sicuro, signore?» chiese quello, dubbioso.
«Certamente».
«Allora,
arrivederci
a entrambi».
«Speriamo
di
no».
I
tre, dunque, si divisero: Erastos prese la strada parallela al molo,
Saga e
Shaka una delle tante che si addentravano all'interno del Pireo.
«Non
preoccuparti:
da qui al Santuario il percorso è breve. Sarai stanco, immagino»
disse Gemini, trascorso qualche minuto.
«No,
nient'affatto».
Bugia
bella
e buona: erano giorni che non mangiava e non dormiva come si deve,
senza
contare che soffriva un freddo tremendo.
Ma
non
aveva nessuna intenzione di mostrarsi debole dinanzi al suo
accompagnatore
che, al contrario di lui, pareva il ritratto del vigore.
Nell'attraversare
una
via dove lo strano fenomeno atmosferico che aveva notato sulla nave
era più
fitto, Shaka iniziò a tremare visibilmente.
A
scapito dei suoi sforzi di non darlo a intendere, il cavaliere se ne
rese conto
quasi subito.
«Cielo,
ma
tu stai tremando! In che razza di modo ti sei vestito?! Tieni, prendi
questo» esclamò, togliendosi il maglione di lana che indossava «Ti
terrà caldo
fino a che non arriveremo a destinazione».
«Grazie,
ma
non ne ho bisogno. Sto benissimo» dichiarò risoluto il ragazzino,
rifiutando
ostinatamente l'indumento che quello gli porgeva e maledicendo il suo
scarso
autocontrollo.
Perché
tutti
si mostravano tanto smaniosi di aiutarlo? Risultava così indifeso agli
occhi altrui?
L'uomo
più
vicino agli Dèi indifeso, che idea assurda.
«Va
bene,
come vuoi» ripiegò Saga, lanciandogli un'occhiata divertita che lui,
però, interpretò come un segno di scherno.
Non
senza
un certo impegno, ingoiò i commenti pungenti che gli erano saliti alla
gola: sarebbe stato disdicevole discutere con un cavaliere suo pari
appena
arrivato.
In
ogni
caso, comunque, nessuno gli avrebbe mai dato ragione, poiché era un
bambino.
Odiava
doverlo
ammettere – soprattutto perché non si sentiva assolutamente tale –, ma
così stavano le cose.
Continuarono
a
camminare in silenzio per un po’, finché non si ritrovarono appena
fuori dal
centro, lungo una via isolata e sgombra da abitazioni.
Shaka
non
riusciva a vedere al di là del suo naso, tanto quel dannato
"fumo" era denso; il gelo ormai gli faceva battere i denti senza
ritegno.
All'improvviso,
Gemini
si arrestò a studiarlo pensoso, come se stesse cercando le parole
giuste
per dirgli qualcosa.
Poi,
sospirando,
si piegò quel tanto che bastava per averlo faccia a faccia e disse:
«Shaka di Virgo, ascoltami: io so cosa ti trattiene dall'accettare le
mie
gentilezze – e non solo le mie. É l'orgoglio, vero? Temi che la tua
superiorità
venga, come dire, sottovalutata a causa dei pochi anni che possiedi.
Ti
assicuro
che al Grande Tempio ciò non accadrà; anzi, ti verranno riconosciuti
tutti i meriti a cui aspiri, e dovrai far fronte a doveri talmente
onerosi per
la tua giovane età che rimpiangerai di aver desiderato di essere
trattato da
adulto prima del tempo.
Avrai
così
pochi pari e così tanti sottoposti che arriverai a sentirti solo,
nella
tua perfezione e sapienza.
Tuttavia,
ecco
una delle rare cose che ancora hai da imparare – e sarò io ad
insegnartela, anche se, come te, spesso pecco di troppa superbia –:
non
trascurare il tuo lato umano. Mai. Senza di esso non avremmo
scopo
alcuno, solo quello di uccidere. Te ne accorgerai ben presto».
Un
velo
di tristezza incupì i suoi begli occhi, ma solo per un fugace attimo;
un
momento dopo, infatti, riprese a parlare con fare appena più
scherzoso: «Tutti
abbiamo bisogno di nutrirci, riposarci, ripararci dal freddo: anche
noi
cavalieri. Perciò, ti assicuro che non c’è nulla di disonorevole
nell’accettare
il mio golf» concluse, offrendoglielo di nuovo.
Shaka
tentennò,
infine lo prese e se lo sistemò sulle spalle – se l’avesse infilato,
gli sarebbe andato troppo lungo.
Al
contatto
con la lana morbida e calda, la pelle intirizzita ricevette immediato
sollievo.
«Grazie»
bisbigliò
allora, intimidito.
«Di
nulla,
collega».
«Saga,
posso…
chiederti una cosa?» domandò poi, stranamente grato per quella
confidenza schietta che il ragazzo aveva dimostrato nei suoi
confronti.
«Dimmi
pure».
«Che
cos'è
questo fumo denso attraverso cui stiamo camminando? L'attendente mi ha
detto che si chiama “nebbia”, ma non mi ha spiegato cosa significhi».
Il
maggiore
scoppiò a ridere: «La nebbia è un fenomeno meteorologico per il quale
una nube si forma a contatto con il suolo. In pratica, è costituita da
particelle di vapore acqueo cristallizzato ed è per questo che, quando
cala,
l'aria si fa così umida e fredda. Non dirmi che non l'avevi mai
vista!»
Il
piccolo
scosse la testa.
«Beato
te!
Ci dovrai fare l'abitudine: trovandoci in prossimità del mare, si
manifesta
piuttosto di frequente. Temo che accompagnerà gran parte dei tuoi
inverni, qui
in Grecia».
A
quel punto, se fosse stata una giornata tersa, Shaka avrebbe visto
dipanarsi innanzi
a lui i maestosi contorni del Santuario.
*
É
finita, Saga: lo sappiamo tutti.
Lo
sa
Atena, che ti sta esortando a colpirla; lo sanno questi giovani di
Bronzo,
venuti dal Giappone a mostrare la verità proprio a noi – noi, custodi
immeritevoli che avremmo dovuto proteggere il luogo più sacro, invece
di
infangarlo col sangue.
Lo
so
io, e lo sai anche tu.
Chi
l'avrebbe
mai detto che, sotto la maschera del crudele Arles, si celasse lo
stesso nobile cavaliere da cui tanti anni fa mi feci consigliare per
la prima e
ultima volta.
Abbiamo
peccato
di superbia entrambi – ancora.
Arrenditi,
Saga:
arrenditi e pentiti.
Dirada
la
nebbia che si è condensata nei tuoi capelli fino a renderli grigi, nei
tuoi
occhi, nel tuo cosmo – nella tua anima.
Espelli
il
demone che ti possiede, libera il tuo lato umano.
Grazie
all’aiuto
della Fenice, io l'ho fatto – e mi sono salvato.
Per
te
servirà un aiuto più grande, quello più potente; quello che la Dèa ti
sta
offrendo.
Accettalo, e sarai salvo anche tu.
Note
dell’autore
Mentre
la parte centrale del capitolo è
rappresentata dal ricordo dell’arrivo di Shaka al Santuario, il
frammento
conclusivo ha invece luogo nei momenti immediatamente antecedenti la
morte di
Saga.
Con
riguardo ai dettagli più “tecnici” –
come l’ubicazione del Grande Tempio o i mezzi di trasporto utilizzati
dai suoi
accoliti –, preciso che la mia ricostruzione è puramente ipotetica e
arbitraria.
Come di certo avrete capito, infine, il “Corno d'oro” è il principale porto di Istanbul.
PS:
perdonate la scarsa serietà dell'immagine, quando l'ho vista non ho
saputo resistere!