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Autore: _camus_    18/11/2011    6 recensioni
Ogni stagione è legata all'altra, incontri e addii formano il cerchio, il sacro centro è la nostra armatura, dove tutto cambia, tutto è eguale.
[Marion Zimmer Bradley]

Un ricordo a stagione; uno per personaggio.
Memorie incancellabili fissate per sempre dallo scorrere ciclico di Primavera, Estate, Autunno e Inverno – comprese le mezze stagioni.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Aries Mu, Gemini Saga, Scorpion Milo, Virgo Shaka
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Inverno

 


La nave viaggiava incerta tra le onde scure e arrabbiate del Mar Egeo ormai da giorni.

A causa del maltempo che si era abbattuto sulle coste orientali dell'Europa il transito dal Corno d'oro di Istanbul al Pireo, che sarebbe dovuto durare poco più di ventiquattro ore, si era invece trasformato in un interminabile e monotono sballottamento da destra a sinistra: una dura prova, tanto per lo stomaco quanto per i nervi.

La pioggia veniva giù dal cielo plumbeo incessante e violenta, con un ticchettio martellante che aveva finito per entrargli nel cervello.

Dato che l'imbarcazione era sprovvista di cabine, aveva passato le notti precedenti sdraiato sul pavimento della stiva, pressato tra i corpi degli altri passeggeri e disturbato di continuo da rumori e movimenti improvvisi di questo o di quello.

Durante il dì non andava meglio; infatti, ammesso che riuscisse a ritagliarsi un angolino leggermente più isolato, la confusione prodotta dal sovraffollamento dei locali coperti gli rendeva comunque impossibile trovare la concentrazione sufficiente per meditare.

«Da dove vieni, creatura?» gli chiese un marinaio – l’ennesimo impiccione.

Non era che l'ultimo di una lunga serie di personaggi, tutti egualmente incuriositi dalla sua evidente tenera età e dal suo aspetto assai singolare.

Non capitava spesso di imbattersi in un bambino dalle fattezze così eteree; ai lunghi capelli dorati si accompagnavano degli occhi di un pervinca mirabile – che raramente teneva aperti, quasi fosse cieco – e un'aria tanto trascendente da farlo rassomigliare a un imperscrutabile santo in miniatura.

Pareva essere sceso in terra da chissà quale distanza siderale.

«Dall'India, signore» rispose lui in un greco stentato, al limite della cortesia.

 «Dall'India, hai detto? Strano, pari tutto fuorché asiatico. Dove sei diretto?»

«Non sono affari che vi possano riguardare in alcun modo, signore».

«Moccioso impertinente! Nessuno ti ha insegnato il rispetto per quelli più anziani di te?!»

Che impudenza: parlare di rispetto a lui, uno dei futuri uomini più potenti del mondo!

Anzi, forse il più potente in assoluto – Shaka di Virgo, l'Illuminato.

«Shaka! Ecco dov’eri finito!»

Il giovane attendente incaricato di scortarlo fino al Grande Tempio li raggiunse, affannato.

«Suppongo che tu sia un parente di questo piccolo maleducato» lo squadrò il marinaio con un'occhiata di disapprovazione.

«No, signore, sono il suo tutore. Lo sto accompagnando ad Atene per una gita culturale».

«Ah, così è questa la copertura. Perché non sono stato informato anch’io?»

«Vogliate perdonarlo, se è stato sgarbato. Sapete, veniamo da lontano, è da molto che siamo in viaggio. Il ragazzino non ci è abituato, sarà sicuramente irritato e affaticato».

«D'accordo, d'accordo. Cerca di tenere a freno la lingua, d'ora in poi, marmocchio: è un consiglio da chi ne sa più di te» si accomiatò burbero l'uomo, dirigendosi verso la sala macchine.

L'attendente aspettò che si fosse allontanato a sufficienza, per poi rivolgersi al bambino con tono basso ma severo: «Nobile Shaka, mi fareste la cortesia di non sparire continuamente? Vi ho detto un'infinità di volte che dovete restarmi accanto. Non si sa mai cosa può accadere, ed è di vitale importanza che Voi raggiungiate il Santuario sano e salvo».

La sua inesperienza era palesemente tradita dal nervosismo che ne impregnava i modi di fare, e questo infastidiva oltremodo Shaka: non accettava che gli fossero rivolti rimproveri, specialmente da uno che non poteva permetterselo.

«Sono capace di badare a me stesso» fu l'unica replica, che fece senza nemmeno prendere la briga di girarsi.

«Sì, sì» rispose l'altro, accondiscendente «Comunque, fate come vi ho detto – almeno per il resto del viaggio. Non dovrebbe mancare molto».

«Me l'auguro».

Gli abitanti del piccolo villaggio sulle rive del Gange dove era nato e cresciuto solevano riservargli tutti gli onori che convenivano al suo status; da quando si era messo in viaggio, invece, nessuno l’aveva trattato in maniera diversa da un infante qualunque. Persino l'unico che conosceva la sua condizione non lo prendeva sul serio, nonostante gli desse del “Voi”: era terribilmente frustrante – quasi quanto il perenne chiacchiericcio che risuonava in ogni angolo di quella bagnarola, da cui non era possibile trovare requie.

Che fossero monaci o semplici contadini, le persone con le quali aveva sempre avuto a che fare era persone sagge e composte; non poteva credere che, al di fuori del suo paese natale, esistesse tanta malacreanza.

«Terra in vista! Terra in vista! Prepararsi ad attraccare!»

Le grida dell'equipaggio infusero nuova allegria fra i passeggeri stanchi i quali, dopo aver chiassosamente raccolto i loro averi, si affrettarono ad accalcarsi sul ponte.

Se non altro, aveva smesso di piovere.

Shaka e il suo compagno si fecero largo tra la folla, riuscendo a conquistarsi uno spazio sul parapetto.

Virgo, in punta di piedi, si aggrappò alla ringhiera e osservò il paesaggio circostante; davanti a lui si estendeva un enorme mosaico di cantieri navali, moli, navi in procinto di partire o arrivare e persone indaffarate dedite a camminare su e giù per la via.

Ne rimase affascinato e turbato insieme: non aveva mai assistito a un tale fermento di attività – quando si erano imbarcati al Corno d'oro era notte fonda, e lui era troppo intontito dalla lunga traversata in aereo per notare alcunché.

Oltre, non riusciva a vedere nulla: una strana sostanza densa e lattiginosa pareva aver inghiottito l’intero orizzonte.

«Che cos'è quello spesso strato bianco là in fondo? Sembra fumo d'incenso» chiese all'attendente, incuriosito.

«Intendete quella cosa laggiù? È solo un banco di nebbia» rispose quello distrattamente, troppo occupato a cercare un varco per passare più agevolmente.

«Banco di nebbia... che vorrà mai dire?»

Non ci fu tempo per ulteriori chiarimenti; il giovane lo prese per mano e, fra spintoni e imprecazioni varie, riuscì a trascinarlo fino al molo relativamente in fretta.

Una volta a terra, il senso di nausea che aveva attanagliato Shaka per tutto il tragitto parve paradossalmente aumentare – forse per l'acuirsi dell'odore di mare e di pesce marcio che a tratti gli riempiva le narici.

Mentre la ressa si diradava, rabbrividì: non aveva fatto caso a quanto fosse freddo.

Si strinse dunque nella sua tunica di tela, cercando di ripararsi dall'aria umida e pungente che gli si stava insinuando nelle ossa, ma non ne trasse alcun giovamento.

Gli avevano detto che l'inverno greco era molto più rigido di quello della parte di India da dove veniva, e tuttavia mai si sarebbe aspettato una così grande differenza.

Stava appunto ingegnandosi nel tentare di riscaldarsi, quando notò una figura apparire dalla foschia e camminare nella loro direzione.

«Ben arrivato, nobile Saga» salutò con un inchino leggero l'attendente, rivolgendosi al nuovo venuto «Vi presento Shaka di Virgo, della cui incolumità sono responsabile».

«”Nobile Saga”, ha detto: deve essere un mio parigrado».

Una volta entrata nel suo raggio d’azione, l’aura viva e brillante dello sconosciuto aveva catturato l’attenzione di Shaka in maniera repentina.

«Piacere, Shaka» disse il ragazzo, piegandosi sulle ginocchia per tendergli la mano «Io sono Saga, cavaliere d'oro dei Gemelli».

Lieto di avere finalmente a che fare con qualcuno che ritenesse alla propria altezza, Virgo non sottrasse la sua manina bianca alla presa vigorosa di Gemini; nel momento in cui si toccarono, egli sentì un cosmo dorato incredibilmente solido e forte entrare in contatto col proprio – una sorta di benvenuto privato ed esclusivo, rivolto solamente a lui.

Il bambino ricambiò cautamente la cortesia, prendendo a studiare il suo interlocutore.

Il volto di Saga, incorniciato da una cascata di capelli biondi più scuri dei suoi, era di una virile e statuaria bellezza precoce; poteva avere al massimo dieci anni più di lui, ma non gli era rimasto alcun tratto infantile.

Anzi, i suoi lineamenti erano duri e mascolini come quelli di un uomo già fatto; soltanto gli occhi blu, scuri e vivaci, brillavano di una luce ridente.

«Bene, Erastos, penso che tu abbia terminato il tuo compito. Da qui in avanti, scorterò io Virgo fino alla sua Casa».

«Ne siete sicuro, signore?» chiese quello, dubbioso.

«Certamente».

«Allora, arrivederci a entrambi».

«Speriamo di no».

I tre, dunque, si divisero: Erastos prese la strada parallela al molo, Saga e Shaka una delle tante che si addentravano all'interno del Pireo.

«Non preoccuparti: da qui al Santuario il percorso è breve. Sarai stanco, immagino» disse Gemini, trascorso qualche minuto.

«No, nient'affatto».

Bugia bella e buona: erano giorni che non mangiava e non dormiva come si deve, senza contare che soffriva un freddo tremendo.

Ma non aveva nessuna intenzione di mostrarsi debole dinanzi al suo accompagnatore che, al contrario di lui, pareva il ritratto del vigore.

Nell'attraversare una via dove lo strano fenomeno atmosferico che aveva notato sulla nave era più fitto, Shaka iniziò a tremare visibilmente.

A scapito dei suoi sforzi di non darlo a intendere, il cavaliere se ne rese conto quasi subito.

«Cielo, ma tu stai tremando! In che razza di modo ti sei vestito?! Tieni, prendi questo» esclamò, togliendosi il maglione di lana che indossava «Ti terrà caldo fino a che non arriveremo a destinazione».

«Grazie, ma non ne ho bisogno. Sto benissimo» dichiarò risoluto il ragazzino, rifiutando ostinatamente l'indumento che quello gli porgeva e maledicendo il suo scarso autocontrollo.

Perché tutti si mostravano tanto smaniosi di aiutarlo? Risultava così indifeso agli occhi altrui?

L'uomo più vicino agli Dèi indifeso, che idea assurda.

«Va bene, come vuoi» ripiegò Saga, lanciandogli un'occhiata divertita che lui, però, interpretò come un segno di scherno.

Non senza un certo impegno, ingoiò i commenti pungenti che gli erano saliti alla gola: sarebbe stato disdicevole discutere con un cavaliere suo pari appena arrivato.

In ogni caso, comunque, nessuno gli avrebbe mai dato ragione, poiché era un bambino.

Odiava doverlo ammettere – soprattutto perché non si sentiva assolutamente tale –, ma così stavano le cose.

Continuarono a camminare in silenzio per un po’, finché non si ritrovarono appena fuori dal centro, lungo una via isolata e sgombra da abitazioni.

Shaka non riusciva a vedere al di là del suo naso, tanto quel dannato "fumo" era denso; il gelo ormai gli faceva battere i denti senza ritegno.

All'improvviso, Gemini si arrestò a studiarlo pensoso, come se stesse cercando le parole giuste per dirgli qualcosa.

Poi, sospirando, si piegò quel tanto che bastava per averlo faccia a faccia e disse: «Shaka di Virgo, ascoltami: io so cosa ti trattiene dall'accettare le mie gentilezze – e non solo le mie. É l'orgoglio, vero? Temi che la tua superiorità venga, come dire, sottovalutata a causa dei pochi anni che possiedi.

Ti assicuro che al Grande Tempio ciò non accadrà; anzi, ti verranno riconosciuti tutti i meriti a cui aspiri, e dovrai far fronte a doveri talmente onerosi per la tua giovane età che rimpiangerai di aver desiderato di essere trattato da adulto prima del tempo.

Avrai così pochi pari e così tanti sottoposti che arriverai a sentirti solo, nella tua perfezione e sapienza.

Tuttavia, ecco una delle rare cose che ancora hai da imparare – e sarò io ad insegnartela, anche se, come te, spesso pecco di troppa superbia –: non trascurare il tuo lato umano. Mai. Senza di esso non avremmo scopo alcuno, solo quello di uccidere. Te ne accorgerai ben presto».

Un velo di tristezza incupì i suoi begli occhi, ma solo per un fugace attimo; un momento dopo, infatti, riprese a parlare con fare appena più scherzoso: «Tutti abbiamo bisogno di nutrirci, riposarci, ripararci dal freddo: anche noi cavalieri. Perciò, ti assicuro che non c’è nulla di disonorevole nell’accettare il mio golf» concluse, offrendoglielo di nuovo.

Shaka tentennò, infine lo prese e se lo sistemò sulle spalle – se l’avesse infilato, gli sarebbe andato troppo lungo.

Al contatto con la lana morbida e calda, la pelle intirizzita ricevette immediato sollievo.

«Grazie» bisbigliò allora, intimidito.

«Di nulla, collega».

«Saga, posso… chiederti una cosa?» domandò poi, stranamente grato per quella confidenza schietta che il ragazzo aveva dimostrato nei suoi confronti.

«Dimmi pure».

«Che cos'è questo fumo denso attraverso cui stiamo camminando? L'attendente mi ha detto che si chiama “nebbia”, ma non mi ha spiegato cosa significhi».

Il maggiore scoppiò a ridere: «La nebbia è un fenomeno meteorologico per il quale una nube si forma a contatto con il suolo. In pratica, è costituita da particelle di vapore acqueo cristallizzato ed è per questo che, quando cala, l'aria si fa così umida e fredda. Non dirmi che non l'avevi mai vista!»

Il piccolo scosse la testa.

«Beato te! Ci dovrai fare l'abitudine: trovandoci in prossimità del mare, si manifesta piuttosto di frequente. Temo che accompagnerà gran parte dei tuoi inverni, qui in Grecia».

A quel punto, se fosse stata una giornata tersa, Shaka avrebbe visto dipanarsi innanzi a lui i maestosi contorni del Santuario.

 

*

 

É finita, Saga: lo sappiamo tutti.

Lo sa Atena, che ti sta esortando a colpirla; lo sanno questi giovani di Bronzo, venuti dal Giappone a mostrare la verità proprio a noi – noi, custodi immeritevoli che avremmo dovuto proteggere il luogo più sacro, invece di infangarlo col sangue.

Lo so io, e lo sai anche tu.

Chi l'avrebbe mai detto che, sotto la maschera del crudele Arles, si celasse lo stesso nobile cavaliere da cui tanti anni fa mi feci consigliare per la prima e ultima volta.

Abbiamo peccato di superbia entrambi – ancora.

Arrenditi, Saga: arrenditi e pentiti.

Dirada la nebbia che si è condensata nei tuoi capelli fino a renderli grigi, nei tuoi occhi, nel tuo cosmo – nella tua anima.

Espelli il demone che ti possiede, libera il tuo lato umano.

Grazie all’aiuto della Fenice, io l'ho fatto – e mi sono salvato.

Per te servirà un aiuto più grande, quello più potente; quello che la Dèa ti sta offrendo.

Accettalo, e sarai salvo anche tu.


 

 

.



Note dell’autore

Eccoci arrivati all’Inverno!

Mentre la parte centrale del capitolo è rappresentata dal ricordo dell’arrivo di Shaka al Santuario, il frammento conclusivo ha invece luogo nei momenti immediatamente antecedenti la morte di Saga.

Con riguardo ai dettagli più “tecnici” – come l’ubicazione del Grande Tempio o i mezzi di trasporto utilizzati dai suoi accoliti –, preciso che la mia ricostruzione è puramente ipotetica e arbitraria.

Come di certo avrete capito, infine, il “Corno d'oro” è il principale porto di Istanbul.

PS: perdonate la scarsa serietà dell'immagine, quando l'ho vista non ho saputo resistere!

 

   
 
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