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Autore: xNewYorker__    18/11/2011    0 recensioni
Broken Bones 2. Che altro?
Quando si è sicuri di qualcosa, non si va più alla ricerca della verità, ci si abitua, si va avanti. Ma se in realtà non si fosse mai stati veramente convinti? Se si iniziasse a cercare la verità, si troverebbero le risposte?
Tre anni dopo continuava a sentire che qualcosa dentro le mancava
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Non passava giorno in cui non rimpiangesse quegli occhi azzurri che piangevano una morte finta.
Semi crossover Bones-Castle.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Seeley Booth, Temperance Brennan
Note: AU, Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Broken Bones'
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Si trascinò con quelle poche forze che aveva per alzarsi dal letto.
Anche quella mattina si sarebbe alzato con una scarsissima voglia di vivere, sarebbe andato a correre, sarebbe tornato a casa, avrebbe mangiato.
Da solo. Così come faceva da tre anni.
Avrebbe guardato la televisione, avrebbe controllato in quel modo il lavoro dell’FBI.
Oppure avrebbe guardato la videocassetta di un telegiornale di tre anni prima.
Magari avrebbe semplicemente letto il giornale. O non avrebbe fatto nulla di tutto ciò: sarebbe tornato a dormire.
Si manteneva ormai solamente con poca forza di volontà e dell’aria.
Dell’aria proveniente dalle finestre aperte del suo appartamento in Canada.
Dell’aria che aveva ottenuto scappando dalla sua vita.
Perché era scappato, poi? Perché aveva voluto lasciare tutti i suoi amici nel dolore?
E perché, soprattutto, aveva voluto lasciare la sua Bones nel dolore?
Sapeva che l’avrebbero superato. Ne era sicuro, convinto.
Credeva che sarebbe stato solo un peso.
Lui, ormai così deluso dalla vita, non aveva quasi più uno scopo per continuare a fare il suo lavoro.
Aveva salvato milioni di vite, ma non quella del figlio. Si era documentato, però.
Sapeva benissimo che l’equipe di Bones aveva risolto quel caso. Non avrebbe mai smesso di ringraziarli.
E dentro di sé era grato. Non sarebbe mai tornato, però.
Mentre si dirigeva in soggiorno, tentava di dare una risposta ad uno dei suoi dubbi maggiori: perché aveva telefonato alla dottoressa Brennan il giorno prima?
Non aveva alcuna intenzione di tornare, ed era sicuro che lei si ricordasse, che non l’avesse dimenticato, che sarebbe impazzita per cercarlo.
Di certo sarebbe impazzita.
Aveva chiamato da un prepagato: non avrebbe mai potuto rintracciarlo in una maniera relativamente semplice.
Eppure, la sua vita era cambiata da quando non vedeva più il cielo azzurro dei suoi occhi quotidianamente.
Gli mancava davvero.
Era una cosa che non aveva praticamente mai sentito, tranne quella volta in cui era partito per la guerra per un intero anno.
E adesso ne erano passati tre.
Chissà come l’avrebbe presa, Bones, se fosse tornato.
Sarebbe stata una scena alla “Hey Bones! Sono io, Booth. Sai cosa? Ti ho preso in giro per tre anni, sto benissimo! Non ho rimediato neppure una bruciatura in quell’ospedale, sono solo scappato perché avevo paura di deluderti. Ma l’ho fatto comunque, quindi! Ah, ti va di prendere una birra con me?”.
No, non poteva andare così.
Gliela avrebbe tirata in testa, piuttosto, la birra.
E sarebbe andata parecchio male.
Come poteva perdonarlo? Neanche lui, al suo posto, l’avrebbe perdonata.
E lei avrebbe capito.
Così come stava capendo lui, avrebbe capito.
Come avrebbe potuto sconfiggere le sue paure, allora?
Come sarebbe potuto tornare facendo finta che non fosse successo nulla?
Avrebbe potuto davvero fare finta di niente?
Probabilmente no, ma se non ci avesse almeno provato non avrebbe potuto dirlo con sicurezza.
Doveva almeno provare a comprare un dannato biglietto aereo per Washington.
 
In silenzio, alla sua scrivania, la dottoressa non voleva spiccicare parola.
Era troppo presa dai suoi ragionamenti, dai suoi film mentali, per parlare con qualcuno. Angela le stava di fronte, e la osservava fin troppo preoccupata.
«Tesoro…cos’hai? Sei strana da stamattina…» , «Mi sorprende che Daisy non abbia ancora cantato con tutto il Jeffersonian» , «Sembrava scossa. Non ha detto niente. So che può essere sorprendente»
Emise una risata sommessa. Non aveva quasi il coraggio di ridere più forte, per rispetto nei confronti dell’amica, che continuava imperterrita a non volere parlare.
«Scusa…avanti, puoi dirmelo…sai com’è, non ci sono segreti tra noi, giusto?» , «Giusto…ma preferisco essere sicura, che farneticare e dare false speranze» , «A proposito di cosa?» , «Non mi convincerai a parlare rigirando la frittata, Angela!» , «Va bene…era più facile quando c’era Booth, a convincerti» , «N…non…» Angela fece per andarsene, ma si bloccò al sentirla rispondere. «Cosa c’è?» , «Niente, va’ pure per la tua strada»
Se ne andò, sbattendo la porta.
Non che fosse arrabbiata, solo voleva conoscere il motivo per il quale la sua amica era così tormentata.
Con lei, anche una come la dottoressa Brennan sembrava diventare improvvisamente capace di confidarsi.
Ma questa volta non sembrava esserci forma di farla parlare. Così decise che avrebbe lasciato che riflettesse.
Se avesse voluto dirle qualcosa in futuro, avrebbe saputo dove trovarla, come sempre.
 
L’aria che si respirava al Jeffersonian era satura di segreti e di verità non svelate.
Sembrava che la dottoressa fosse stata tenuta nella bambagia per evitare che continuasse a soffrire.
La verità era che non aveva mai smesso. Non avrebbe potuto smettere.
Da quando aveva sentito di nuovo quella voce, sentiva un dolore percorrerle quello che chiamava solo “organo involontario”.
Non credeva potesse farle male anche non essendo prossima all’infarto.
Non riusciva davvero a spiegarsi il perché di quella fitta, e non aveva un rimedio medico per curarla.
Avrebbe dovuto cercare Booth, come qualsiasi amica avrebbe fatto.
Il pensiero che se ne fosse andato non la sfiorava neppure. Le sembrava un gesto ipocrita, stupido e forse addirittura cattivo.
E Booth non era cattivo, lei ne era consapevole. Non poteva essere cattivo, neanche dopo la perdita di Parker.
Talvolta il sorriso di quel bambino sulla sua scrivania le ricordava quello di Booth.
Erano così simili, e iniziavano a mancarle entrambi.
Perché le mancavano entrambi, poi?
Non era praticamente mai riuscita ad avere un vero rapporto con Parker, che era palesemente più legato ad Hannah.
O almeno così appariva ai suoi occhi. E ai suoi occhi la situazione è sempre stata distorta da una sofferenza generale che appesantiva le cose.
Osservava le foto e le passavano per la mente tutti quei momenti come diapositive ineliminabili.
Non sapeva quanto avrebbe retto senza ritrovare Booth al più presto.
Infondo, era sempre stata sicura di poterlo ritrovare.
   
 
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