Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: IlMalee    19/11/2011    3 recensioni
veri Sabbat fanno irruzione nel covo di un anziano... che non è molto contento di ricevere visite! Doveva essere un lavoretto facile e invece...
Genere: Azione, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'uomo correva senza voltarsi.
Evitava accuratamente le zone illuminate dalla luna, e balzava velocissimo immergendosi nelle penombre e nei fasci di buio proiettati dagli alberi.
Era uno strano spettacolo, l'abbigliamento dell'uomo non si addiceva certo ad una corsa rocambolesca come quella: giacca nera, camicia grigia, pantaloni eleganti e mocassini, ormai ricoperti di erba e fango.
Ad un certo punto  Gian Galeazzo si fermò di colpo, voltandosi a scrutare minaccioso il buio dietro di sè. Non vi era nessuno dietro di lui.
"Ora basta, fatti vedere."
Dopo che ebbe pronunciato quelle parole in tono autoritario, dalle ombre comparve un altro uomo. Era vestito di nero, con addosso un giubbotto antiproiettile e una spada sguainata in mano. Un occhio era bianco, cieco probabilmente.
"Sapevo che saresti arrivato, prima o poi."
Ettore avanzò con calma e si fermò a  circa due metri da Gian Galeazzo. Entrambi rimasero in silenzio a guardarsi negli occhi per qualche secondo. Sul volto del paladino era dipinta un'espressione impassibile, mentre l'ex cardinale di Milano sorrideva divertito. Fu Gian Galeazzo a rompere il silenzio:
"Immagino tu sia qui per uccidermi."
"Immagini bene, sporco Giuda."
"Che parole grosse per un ragazzino. E' questo il modo di rivolgersi al tuo vecchio maestro? A colui che ti ha creato?"
"Non mi servono le parole." Ettore accarezzò il filo della sua spada.
"Fai attenzione però, giovane Ettore. Potresti scoprire che il tuo maestro ha ancora qualcosa da insegnarti." mentre pronunciava quelle parole, il corpo di Gian Galeazzo mutò. Le ombre attorno a lui si mossero ad avvolgerlo come se fossero vive, poi andarono a coprire interamente il suo volto, trasformandolo in un teschio nero senza fattezze. Dal torace e dall'addome spuntarono quattro tentacoli, grossi filamenti neri che si muovevano minacciosi nell'aria.
Ettore si lanciò all'attacco. Aveva mirato alla gola con un affondo a mezz'aria, ma Gian Galeazzo si era abbassato e lo aveva colpito al petto con i suoi filamenti ombrosi, sferzandolo e facendolo cadere a terra.
Mentre il suo infante si rialzava aveva sollevato le braccia al cielo e dall'ombra proiettata dall'albero dietro di lui erano spuntati altri cinque tentacoli scurissimi.
Ora quei tentacoli erano andati ad avvolgere Ettore stritolandolo in una morsa d'ombra. Il paladino era sollevato a mezz'aria dalle tenebre avvinghiate al suo corpo.
"Hai visto?"
"Non così!"
Ettore aveva urlato dimenandosi, poi Gian Galeazzo era stato costretto a scansarsi.
Altri tentacoli erano comparsi dalle ombre attorno a lui, e avevano tentato di avvolgere l'ex cardinale.
Il paladino con un urlo disumano si divincolò dalle ombre che lo stringevano, facendone a pezzi qualcuna con la sua spada.
Quelle ombre ora erano solide e, mentre la lama le trapassava, esplodevano dissolvendosi in un fumo nero e denso.
Quando i due combattenti tornarono a debita distanza, i tentacoli di ciascuno si mossero a difesa del proprio padrone, come in agguato, in attesa che l'altro facesse la sua mossa.
Chiunque avesse assistito a quelle scene di certo avrebbe creduto di essere precipitato in un incubo.
Tutte le ombre attorno a Ettore e Gian Galeazzo  si agitavano inquiete, distorcendosi e spostandosi di zona in zona, cosicché a volte si creavano chiazze  di oscurità dove invece avrebbe dovuto esserci luce,  con effetti ottici e giochi di luce impossibili secondo le normali leggi delle fisica. Ogni volta che uno dei due si muoveva, una porzione dell'oscurità circostante si muoveva  ad avvolgerlo, come un muro.
I tentacoli ora spuntavano ovunque vi fosse una penombra o un'ombra sul terreno, e si muovevano sferzando l'aria. A volte invece di tentare di attaccare il nemico, si colpivano e si stritolavano tra di loro, con suoni terribili, per poi esplodere in nubi di fumo nero.
In mezzo a tutto quel caos, i due combattenti lottavano ancora. Ettore tentava di colpire Gian Galeazzo con la spada, mirando sempre al petto o alla gola, mentre il suo sire era costretto a schivare e  poi contrattaccare con i tentacoli che spuntavano dal suo corpo. Entrambi ogni tanto dovevano separarsi e scansare all'ultimo minuto gli assalti delle tenebre attorno a loro.
Ad un certo punto Ettore mirò alle protuberanze scure sul petto di Gian Galeazzo tranciandole di netto, in uno sbuffo di fumo nero.
Il suo sire non cacciò nemmeno un urlo, ma fece un enorme salto indietro, atterrando tra le ombre.
"Basta così!"
I tentacoli erano scomparsi, e l'oscurità attorno a Gian Galeazzo tornò immobile.
Ettore fece altrettanto, pure continuando a rimanere in guardia con la spada in mano.
"Volevo solo farti una domanda, prima di darti la morte ultima."
"Un'ultima richiesta? Te la concedo, in fondo sei un mio allievo."
"Perché lo hai fatto?"
Gian Galeazzo tacque, poi dopo qualche istante rispose.
"Se mi fai questa domanda, evidentemente non hai appreso a pieno ciò che ti ho insegnato."
L'ex maestro scoppiò in una risata gelida, poi a poco a poco cominciò a sprofondare nel terreno. Attorno a lui si era creata una pozza di buio liquido ed ora lui si stava immergendo in quella massa oscura.
Ettore strinse la spada e si mise in guardia. Sul volto aveva dipinta un'espressione a metà tra il furioso e lo spaventato.
La voce di Gian Galeazzo risuonò attorno al paladino, come se provenisse da ogni angolo.
"Avanti, mostrami davvero chi sei. Mostrami l'allievo che io stesso ho forgiato."
Ettore sobbalzò.
La voce ora proveniva da dietro di lui.
Fece a malapena in tempo a gettarsi di lato,  Gian Galeazzo era rispuntato alle sua spalle emergendo dalla sua stessa ombra a fauci spalancate. Gli aveva graffiato la gamba con le  unghie.
"Attaccare alle spalle? E' la tua specialità, dopotutto."
"Mi giudichi male, Ettore."
Gian Galeazzo si rialzò in piedi. Ora scrutava serio il volto del suo infante.
"Pensi che io sia un vigliacco, non è così? Credi davvero che io abbia regnato per secoli su queste terre semplicemente scappando e nascondendomi? Ti sbagli di grosso, ragazzino. Ed ora te lo dimostrerò."
L'ex vescovo si strappò di dosso la giacca rivelando un petto pieno di cicatrici. Poi si concentrò, le vene del collo e della testa stavano per scoppiare.
"Ti consiglio di farmi davvero vedere ciò che sei, mostrami la tua anima. Altrimenti verrai divorato e basta."
Il corpo di Gian Galeazzo aveva ricominciato a mutare, la pelle diventava sempre più scura, mano a mano che le ombre la avvolgevano.
Ettore sorridendo gettò la spada a terra.
"Molto bene, maestro." Anche Ettore ora era concentrato e aveva chinato il volto a terra. Mano a mano che i secondi passavano, il corpo di Ettore si faceva via via più scuro e diafano. Poi entrambi i combattenti furono avvolti da una coltre di oscurità totale, e quando ne riemersero erano totalmente trasfigurati.
Gian Galeazzo ora si era dissolto e al posto suo si trovava uno scheletro, nero come l'ebano, avvolto da un fuoco di colore nero. Sopra il teschio vi era una corona. Ettore invece era diventato un'armatura ricoperta ombre, diafana, trasparente come uno spettro.
Le due figure si scagliarono una addosso all'altra e caddero a terra avvinghiate, impegnate in una lotta furiosa.
Poi improvvisamente entrambi tornarono alle forme originarie.
Ettore era a terra con il volto pallido e sanguinante. Gian Galeazzo lo stringeva al collo, perforandogli la gola con le unghie.
"M-maledetto…"
L'ex vescovo sorrise trionfante.
"Hai visto? Hai perso. E tutto questo per cosa?"
"I-il Sabbat ti ucciderà."
"Io non credo."
"Vedrai…"
"Prima che io mi riprenda ciò che mi appartiene di diritto, voglio rispondere a una tua domanda."
"C-cosa…"
"Mi piacerebbe sai", sussurrò Gian Galeazzo all'orecchio del suo infante " mi piacerebbe dirti che ho tradito perché ero stanco degli ideali del Sabbat, perché dopo secoli ho visto che si trattava di idee obsolete e ridicole, perché la setta ormai si è corrotta e i giovani non comprendono più nemmeno cosa significhi l'espressione "spada di Caino". Ma non è così. la verità…"
Gian Galeazzo strinse a sé il suo infante, costringendolo a fissarlo negli occhi.
"La verità è che non ho alcuna ragione in particolare per cui lo ho fatto. La verità è che un vero figlio di Caino, così come Caino stesso, non ha alcun bisogno di giustificare le sue azioni, né davanti a Dio, né davanti agli altri."
Ettore non poteva muoversi, ma i suoi occhi scintillavano di rabbia e disgusto per quel cainita.
"L-lurido…Figlio di…"
"Piccolo ragazzo mio… Questo è l'ultimo insegnamento, che evidentemente non sono riuscito a darti del tutto: vivi per te stesso, e per nessun altro. Non piegarti dinanzi a nessuno, nemmeno davanti a Dio. Figurarsi davanti a una patetica setta."
"Infame."
"Abbastanza, te lo concedo. Ora, se mi vuoi scusare, mi riprendo ciò che mi appartiene. Dopotutto è il mio sangue, quello che scorre dentro le tue vene."
Gian Galeazzo si chinò su di Ettore e azzannò il collo robusto del paladino.
Ettore strabuzzò gli occhi, poi urlò di dolore. Dai suoi occhi cominciarono a sgorgare delle lacrime di sangue. Non passarono molti secondi, che il corpo del paladino si sbriciolò in finissima cenere tra le braccia di Gian Galeazzo. A terra rimasero soltanto i vestiti e il giubbotto antiproiettile.
L'anziano si rialzò, fissando il cielo con gli occhi spalancati, la bocca  e il torace sporchi di sangue.
Poi si guardò attorno. Aveva un'espressione scocciata.
"Perché non vieni fuori anche tu, ora?"
Da un albero balzò con un tonfo una figura.
Era un altro uomo, terribilmente deforme e sfigurato in volto come un lebbroso.Stringeva in mano una spada enorme.
"Dunque è vero che i topi come voi non fanno altro che strisciare e spiare."
"Uh,uh, puoi risparmiati le tue stupide sentenze da nobile viziato del cazzo. Con me non attaccano."
"Da quanto tempo sei lì?"
"Abbastanza da riuscire a sentire il tuo discorso. Davvero toccante, sul serio. Hai un fazzoletto?"
"Facciamola breve, pezzente. Cosa vuoi da me?"
"Anche chiamarmi pezzente è fuori luogo, te lo assicuro. Comunque sia, io sono qui solo perché pretendo le tue scuse."
"Cosa?"
"Esatto, le tue scuse. Scuse per aver mandato i tuoi scagnozzi nel mio rifugio, senza nemmeno chiedermi il permesso."
"Non so di cosa parli."
"Io dico invece di sì. Progettavi questo colpo da un bel po' di tempo, non è vero mister Visconti? E sapevi bene che tra i Primogeniti io non sarei stato di certo un entusiasta fautore della tua elezione."
"Sei pazzo."
"Oh, questo è più che certo, amico mio. Ma ciò non cambia assolutamente nulla. Sono qui per sentire le tue scuse e, se non le avrò, mi porterò un braccio o due a casa stasera."
"Sei un illuso se speri di avere le mie scuse. Vedi di chiedere perdono o sarò costretto a rimuoverti il titolo di Primogenito. Sai chi hai davanti vero?"
"Ooh, non serve usare quel tono con me, principe. Non ho mai leccato il culo al tuo predecessore, e non vedo perché lo dovrei fare con te. A dirti la verità, speravo dicessi qualcosa del genere." Bruno afferrò saldamente la spada a due mani, sogghignando. "Ecco, ora ti presento la mia amica, Si chiama Bernarda."
Si era lanciato velocissimo all'attacco mirando al busto, e Gian Galeazzo aveva appena fatto in tempo a scansare il colpo gettandosi di lato rotolando. Era riuscito però ad afferrare la spada di Ettore.
"Ooh, adesso siamo pari!" ridendo, Bruno aveva nuovamente sollevato la spada in aria facendola sibilare, per poi farla ricadere sulla testa di Gian Galeazzo. Lui fu costretto ad alzare la lama in parata, ma quella si spezzò a mezz'aria cozzando contro lo spadone di Bruno.
Trattenne a stento un urlo. Il bastardo gli aveva ferito una gamba e parte del ventre. Il sangue cominciò a scorrere, macchiandogli i vestiti.
Non fece in tempo a fare alcunché,  Bruno aveva preso a bersagliarlo con una tempesta di colpi, era velocissimo, molto più veloce di Ettore.
Dopo aver schivato un colpo diretto alla gamba, Gian Galeazzo sbottò:
"Al diavolo!"
Con un gesto delle mani, l'oscurità avvolse prima lui poi Bruno calando in mezzo a loro come una nebbia nera. Ora entrambi i combattenti erano avvolti dal buio più totale, chiunque li avesse osservati dall'esterno non avrebbe visto nulla, l'intero spiazzo erboso era totalmente privo di luce stretto in una morsa di pura notte.
Nel buio, risuonò la voce di Bruno:
"Davvero divertenti, i tuoi trucchetti!!"
Poi vi furono dei colpi, il suono della carne squarciata, e le tenebre si dissolsero.
I due erano entrambi a terra. Bruno si teneva la spalla, aveva la lama spezzata e l'elsa della spada di Ettore conficcata sopra il braccio destro. Gian Galeazzo invece non riusciva bene a rialzarsi in piedi, la sua gamba sinistra era quasi del tutto mozzata e sprizzava sangue ovunque.
"Crepa, miserabile…"
Gian Galeazzo aveva sollevato la mano in direzione del Nosferatu, e i tentacoli erano spuntati da un'ombra vicino a lui. Stavano per avvinghiare il suo avversario.
"Ah, non così in fretta!"
Bruno aveva spiccato un balzo, schivando la presa delle ombre, e le aveva colpite tutte in un sol fendente, facendole esplodere in una nebbiolina nera.
Poi aveva puntato la lama verso Gian Galeazzo:
"Ora tocca a te!"
Furioso, l'ex cardinale si rialzò in piedi, la ferita ormai gli si era rimarginata del tutto.
Richiamò ancora le ombre per stritolarlo, e stavolta Bruno non fece in tempo a scansarsi. Ma le ombre si strinsero attorno alla sua figura inutilmente, non appena lo toccarono Bruno scomparve senza lasciare alcuna traccia. Avevano colpito solo l'aria.
"Patetico..." al suo fianco vide ricomparire l'anziano, poi sentì un dolore lancinante al petto. Lo aveva trafitto vicino alle costole.
Fece un salto avvolgendosi dell'oscurità circostante, atterrando nel buio. Continuava a sanguinare pesantemente.
"Non pensavo ci saresti cascato, sul serio. Non eri tu il principe degli inganni?"
Gian Galeazzo lo fissava con occhi folli. Riusciva a malapena a controllarsi.
Si concentrò, mentre Bruno lo fissava con aria interrogativa.
Sentì le ombre scorrergli sulla pelle e penetrare in lui. Il suo corpo stava mutando, e al suo posto compariva lo scheletro d'ebano avvolto dalle fiamme di tenebra.
Un improvviso boato assordante lo stordì e lo spazzò a terra. Gian Galeazzo urlò dal dolore.
Aveva ripreso le sembianze originali, ora si dimenava a terra con la pelle del petto e delle braccia squarciata e bruciata, i suoi vestiti avevano preso fuoco e in parte si erano fusi con la  carne ustionata.
"Fa male, non è vero?"
Bruno avanzava lentamente verso di lui, sorridendo. Aveva qualcosa in mano. Sembrava una sfera metallica.
"Si chiamano bombe. Sai, gli umani le hanno inventate da un bel po' di tempo."
Mollò un calcio sonoro in faccia  a Gian Galeazzo sollevandolo di mezzo metro da terra.
Il Lasombra stramazzò al suolo, impotente, sputando sangue e parte dei denti.
"B-b…Bastardo. Figlio di una lurida cagna…"
"Queste le ho inventate io appositamente, da usare contro gli altri Fratelli. Si chiamano "ti brucio il culo, Lasombra di merda". Ti piace come nome?"
Gli mollò un altro calcio, poi lo trafisse al petto con la spada.
Gian Galeazzo sputò altro sangue, e strinse la lama tentando di liberarsi, ma era troppo tardi.
Lo aveva inchiodato al terreno.
"Ti…Ti ucciderò."
"Certo, certo. Comunque, prima di ridurti a un moncherino, volevo rivelarti un segreto: le tue scuse in realtà non mi interessavano molto."
"C-cosa?"
"Massì, La verità è che sono andato a trovare una tua vecchia amica. Anzi, ex amica oserei dire, dato che ora ti vuole morto, o meglio vivo, nelle sue grinfie. Te la ricordi? Si chiama Angela Voinescu. Una vera bellezza, detto tra noi.
L'ho trovata in salute. Un po' incazzata, a dir la verità."
"V-Voinescu?"
"Sì, insomma quella vecchia mattacchiona! Vedi, ha messo una bella taglia sulla tua testa, ed io sinceramente non volevo perdermi quest'occasione. Pensa: ha detto che se ti porto da lei mi nominerà subito vescovo! Non è uno sballo?"
Bruno tirò fuori dalla tasca dell'impermeabile un paletto di legno acuminato.
"Non prendertela, in fondo te lo sei meritato. Mi ha detto di dirti che entrerai a far parte della sua collezione privata, qualsiasi cosa voglia dire. Certo non vorrei essere nei tuoi panni quando userà su di te tutte le maestrie della sua "arte".
"L-lurido... carogna. Quindi hai tradito la Camarilla?"
"Senti chi parla! Di certo tu non puoi venire a farmi la predica."
"Hardestadt e gli altri ti saranno addosso. Morirete tutti."
"Ooh, questo è tutto da vedere. Quei vecchi babbioni non sospettano nulla, sono troppo occupati a metterselo in quel posto a vicenda. E poi, detto tra noi…"
Il volto terribile e deforme di Bruno si avvicinò a quello di Gian Galeazzo
"La verità è che sarei passato più che volentieri al Sabbat già anni fa, ma la cosa che mi dava più fastidio era quella di dover servire sotto feccia come te. Ed ora, piuttosto che riconoscerti come Principe di MIlano e sapere di stare ubbidendo agli ordini di un pezzo di merda, preferisco passare dall'altra parte."
Bruno sorrise, mostrando i canini.
"Gloria al Sabbat, amico mio."
Sollevò il paletto di legno.
Ma Gian Galeazzo vide che qualcosa  aveva spinto via il Nosferatu.
Udì degli spari, poi si accorse che un uomo, sbucato dal nulla, stava colpendo Bruno con una pistola. Era un ragazzo, avrà avuto massimo trent'anni. Era vestito con i resti stracciati di un impermeabile e una tuta da ginnastica mezza bruciacchiata.
"Ahí! Brucia da morire, bastardo!"
Bruno si era coperto il volto con le mani, evidentemente il giovane aveva mirato alla testa.
Poi l'uomo si chinò su di lui:
"Non si preoccupi, signore, la proteggo io!"
"Ma sei rincoglionito?"
Bruno aveva provato ad avvicinarsi ma il ragazzo aveva ripreso a sparare mirando agli occhi.
Gian Galeazzo si rialzò. Stentava a credere a ciò che vedeva.
Il ragazzo avanzava mentre sparava, e ad un certo punto aveva tirato fuori un pezzo di legno affilato.
"Indietro, lurido mostro!"
Sorrise, la scena era quasi patetica. Poi scoppiò a ridere.
"Ma tu guarda un po'..."
Il ragazzo smise di sparare e si girò a guardare Gian Galeazzo.
Anche Bruno smise di coprirsi il volto. Aveva un'espressione furiosa, le vene sul collo gli stavano per scoppiare.
"Che cazzo hai da ridere? Ora ammazzerò te e pure questo idiota che si è messo in mezzo!" Sollevò l'enorme spada in procinto di attaccare. Una voce lo bloccò, alle sue spalle.
"Ti consiglio di non farlo, Bruno."
Tutti si voltarono in direzione della voce. Era la voce fiera e autoritaria di Riccardo.
"Tu qui?"
Dal buio, spuntò la figura di un uomo in impermeabile e giacca, imbrattato di sangue. Zoppicava e andava avanti appoggiandosi ad una spada sottile, con l'elsa decorata da una testa di cane.
"Ho sentito tutto, non hai bisogno di spiegare nulla. Hai attentato alla vita del Principe, e lo sai cosa prevede la legge in questi casi."
"Uh, il generalino è venuto in soccorso del suo amato padroncino? Quanto ti pagano, per leccare le scarpe a questo stronzo?"
"Nessuno mi paga per ciò che faccio, lo sai bene."
"Ceerto, come no. Risparmiati le stronzate. Cosa vorresti fare, fermarmi?"
"Hai solo due scelte, messer Borgia. Consegnarti di tua spontanea volontà alla Camarilla e subire un regolare processo, o morire qui, per mano mia."
"Ugh…"
Bruno era rimasto immobile, fissando ora Riccardo, ora Gian Galeazzo.
Forse erano troppi anche per lui.
"Esiste anche una terza opzione."
"E sarebbe?"
Bruno aveva abbassato la spada, chiudendo gli occhi per un attimo.
All'improvviso dalle ombre spuntarono dei ratti, prima cinque, poi dieci e poi venti.
Erano veloci e cominciarono a mordere le gambe di tutti i presenti, Gian Galeazzo compreso.
Quando riuscirono a liberarsene Bruno era scomparso.
Riccardo sorrise, mentre infilzava un ratto fuggitivo.
"Quel bastardo…"
Il ragazzo  cadde al suolo, stringendo ancora la pistola fumante e il paletto.
"Uffff…."
L'unico che  non si era mosso era Gian Galeazzo. Continuava a scrutare il giovane, pensieroso.
"State bene, eccellenza?"
"Sì, ho solo qualche graffio."
"Vi vedo scosso, signore."
"Tu dici, generale?" Gian Galeazzo aveva fissato con sguardo gelido Riccardo, che per tutta risposta aveva abbassato la testa.
"Mi scusi, eccellenza. Ci sarebbe una macchina pronta ad attendervi su una strada poco distante da qui. Questa zona è stata compromessa, non sappiamo se vi sono altri sabbatici in giro."
"Ora andremo, c'è tempo. Prima devo fare una cosa."
"Eccellenza, con tutto rispetto…"
"Dammi la tua spada, generale."
Riccardo rimase a fissarlo per un attimo, poi gliela porse.
Gian Galeazzo si avvicinò al giovane ancora a terra.
Quello appena lo vide si rialzò e tentò di mettersi sull'attenti.
"Agli ordini, signore!"
"Sei stato bravo, poco fa, ragazzo. Come ti chiami?"
"I-i-io signore? Volevo dire, eccellenza!"
"Qual'è il tuo nome?"
"Mi chiamo N-nicola , Nicola Manfrin, vostra eccellenza."
"Molto bene. Inginocchiati"
Nicola non sapeva cosa fare, ma quel tipo imbrattato di sangue e mezzo ferito gli dava i brividi. Ubbidì.
"Ora, Nicola, ti dirò una cosa che non ho mai detto ad alcun mortale, in più di seicento anni."
"Mi dica, e-e-eccellenza."
"Tu" Gian Galeazzo pesò bene le parole, e lo fissò con severità, " tu mi hai salvato, stanotte. Ti devo la vita. Anche se sei un misero mortale, il tuo coraggio ha fatto sì che quel topo non mi consegnasse ai suoi nuovi padroni. E Gian Galeazzo non è tipo da dimenticare questi gesti."
"G-g-grazie, eccellenza, non… non so cosa dire…"
"Non serve che tu dica altro. Ma fai parola con qualcuno di ciò che ti ho detto, e morirai. Moriranno tutti i tuoi amici, gli amanti, i familiari e i tuoi conoscenti. Non lo ripeterò un'altra volta, quindi tieni bene a mente le parole che ti ho detto."
"C-certo, non lo dirò a nessuno."
"Ora, china il capo."
Nicola abbassò la testa e sentì la lama fredda poggiare sul suo collo.
"Io, Gian Galeazzo Visconti, Signore e Principe di Milano e dei suoi domini, ti nomino ufficialmente supervisore della mia guardia personale e capo supremo della  servitù e dei ghoul da me approvati. "
"Uh, io…Io… La ringrazio, signore, ma non so se sarò all'altezza…"
"Ora alzati."
Gian Galeazzo si tagliò uno dei polsi con la spada, poi porse la ferita a Nicola.
"Bevi."
Dentro di sé Nicola pensò "Ancora?" ma poi si chinò e bevve. La sensazione di stordimento e di vigore era centinaia di volte molto più potente rispetto a quella di Cecilia, e difatti si ritrovò in ginocchio a barcollare come un ubriaco dopo un solo sorso.
"Molto bene. Gioisci  piccolo uomo. Perché ora sei il vivente più potente di Milano. Sei mio servo, e porti le mie volontà,  nessuno oserà sfidare il tuo titolo fintanto che mi sarai fedele."
Tutto quello che Nicola fu in grado di dire, mentre arrancava, fu un "Eh?". poi cadde e qualcuno lo sostenne. Era Riccardo.
"Su, avanti figliolo!"
Lo fecero sedere in una macchina, doveva essere un macchinone nero da veri signori. Oltre alla loro ce n'erano altre, assieme a un sacco di gente armata.
Riccardo si sedette davanti a lui e la macchina si mise in moto.
"In che senso il vivente più potente di Milano?"
 






  
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