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Autore: ErisElly    20/11/2011    0 recensioni
Questa storia è nata dopo aver visto "Il viaggio del veliero". Vi siete mai chiesti se la storia fosse andata diversamente, se non fosse la fine ma un altro capitolo? Bhè io sì.
Ho sognato molto una nuova storia, un nuovo modo di far andare le cose, qualcosa di diverso dalla trama originale. Quindi se avete voglia di leggere qualcosa di nuovo, io sono qui apposta. Un avviso: La storia inizia un anno dopo che i quattro Pevensie sono ritornati in Ighilterra. Anche se la storia procede sui passi del film, ci saranno anche dei colpi di scena presi dai libri. Ah un' ultima cosa, ve l'ho detto che ci sarà un nuovo personaggio? Leggete, recensite e DIVERTITEVI.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peter Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano ormai le undici passate, quando decisi di buttare dall'altra parte della stanza il libro di latino. Avevo rimandato più e più volte l'inizio dei compiti, quindi era normale che alle undici di sera ancora non avevo finito la moltitudine di compiti assegnati a scuola. Pazienza, avrei fatto come facevo sempre: avrei studiato domani sul treno per andare a scuola, cercando non so come di ricordarmi tutte le particolarità della seconda declinazione. Latino era una delle materie più noiose mai conosciute, piena di regole seguite dalle loro rispettive eccezioni, tutte le desinenze, i casi etc etc... 
Mi strofinai gli occhi arrossati per la stanchezza e vidi le lancette della sveglia sul comodino: le undici e mezza. Un lamento mi uscii pensando che il giorno dopo mi sarei dovuto svegliare alle 6:00 per andare in stazione e iniziare un altro traumatico giorno di scuola, tra cui la tanto temuta versione di latino. Ma di dormire non ne avevo proprio voglia, così mi alzai e andai alla finestra. Da dove mi trovavo potevo vedere la strada trafficata anche di notte, il Grand Hotel, Central Park  e un pezzo di New York. I turisti, o almeno quei pochi che in quei tempi avevano il tempo da andare in vacanza, stavano seduti sulle sedie posizionate in mezzo al viale dell'hotel. Le macchine passavano grigie e noiose una dopo l'altra. Il cielo era coperto e si sentiva uno sgradevole odore di smog.
All'inizio la prospettiva di trasferirci per un breve periodo tutti a New York, mi era sembrata fantastica, pensavo che cambiare aria mi avrebbe fatto bene, visitare nuove città, entrare in contatto con quel fantastico e immenso paese... Peccato che non avevo calcolato la guerra. Ormai la guerra andava avanti da due anni, senza fermate o miglioramenti, solo peggioramenti casomai. Fu così che quattro mesi fa mia madre decise di spedirmi insieme ai miei fratelli a New York, dai miei zii, dove l'aria era più calma e noi avremmo potuto tranquillamente seguire i nostri studi. 
Molto tempo prima, quando ero ancora un ragazzino volevo finire gli studi a Londra, fare il collegge ad Oxford e poi arruolarmi nell'esercito come mio padre. Da piccolo mi raccontava spesso storie di comuni soldati, che partivano lasciando tutto, per andare a servire la loro patria diventando eroi. Ne conosceva tantissime e ogni sera me ne raccontava una diversa; la mia preferta era quella del suo amico James. Era giovane, quando andando alla sua prima battaglia reale, conobbe James. Stavano pattugliando la zona, quando James mise un piede su una mina, saltando in aria. Mio padre gli aveva fatto compagnia dall'arrivo dei dottori, fino all'ultima parola del discorso funebre. Mi diceva sempre che non erano amici stretti, ma in quelle ore si era creato un forte legame.
Resprai profondamente l'aria fredda della notte, dalla finestra della mia stanza.
L'odore di polvere e vecchie cose mi riempì il naso. La mia stanza non era proprio una camera da letto, ma era in origine una specie di soffitta. Decisi di trasferirmi lassù per vari motivi: La stanza dove dovevamo stare io e Ed era già abbastanza stretta per un solo letto, figuriamoci per due; secondo mi piaceva stare in santa pace. Non che Ed era uno che rompesse, solo che avevo bisogno di spazio.
Dopotutto però non era male come stanza: un letto singolo, un armadio, un comodino e una scrivania con una vecchia sedia. Aveva un solo difetto, dalla finestra entravano tutti i rumori della strada, passanti, musica, clacson, ruggiti...
Cosa? Ruggiti? Non era possibile, ma ero sicuro che quello che avevo appena udito fosse un ruggito. Ok, stavo impazzendo; non ci sono leoni a New York, soprattutto nel mezzo della notte. No, ero sicuro che era solo la stanchezza che mi giocava brutti scherzi, dopotutto era da qualche tempo che non riuscivo a dormire tanto bene, e poi lo stress della scuola... Sì doveva per forza essere così, non c'erano alternative.
Fu così che mi misi il pigiama e andai a dormire.
Quella notte feci dei sogni molto strani: Una bellissima bambina dalla pelle candida, occhi di ghiaccio e lunghi capelli biondi, che con una bacchetta di legno stava spingendo un leone dentro una gabbia. Il leone si dimenava e cercava di uscire, ma era troppo debole; chiamava qualcuno, lo pregava di venire in suo aiuto. Dopo di che la scena scomparve e mi ritrovai su una spiaggia con un castello di vetro. Decisi di entrare e sentii una musica soave venire da una delle torri, così decisi di scoprire quale strumento potesse fare un suono tanto bello. Ma quando raggiunsi la porta che portava all'interno della stanza, da dove veniva la melodia, essa si trasformò in un clangore metallico; aprii la porta e vidi una spada e uno scettro che combattevano come se fossero tenuti da persone invisibili. Ogni volta che lo scettro colpiva la spada il leone si lamentava e vicerversa.
Mi risvegliai in un bagno di sudore. La sveglia accanto a me segnava le 5:30, così decisi di alzarmi e iniziare a prepararmi. Presi la divisa, lo zaino e scesi piano le scale; dormivano ancora tutti così in punta di piedi mi diressi verso il bagno e con cautela aprii l'acqua calda della doccia. Una volta sotto il getto dell'acqua mi sentii meglio, come se l'acqua avesse la capacià di portare via con sè anche tutti i problemi.
Finita la doccia e una volta vestito, mi diressi verso la cucina dove mia zia stava preparando la colazione e mio zio in pigiama stava leggendo il quotidiano.
<<Buongiorno.>> Dissi, in risposta mi arrivò solo un borbottare da zio. Con loro dopo un pò ti abituavi. C'erano o non c'erano era la stessa indentica cosa, parlare con loro era come parlare con un muro, stesse soddisfazioni. Mia zia Alberta, sorella di mia madre aveva accettato con il marito, che no venissimo da loro, solo perchè mia madre le aveva ricordato che aveva una specie di debito in sospeso con lei. Ma nonostante tutto loro cercavano di ignorarci, per quanto gli era possibile e di continuare la loro normalissima vita, senza marmocchi che potessero disturbare il delicato equilibrio della casa.
Mi sedetti al tavolo e mi versai una tazza di caffè bollente per aiutarmi a combattere l'insonnia. Dopo un pò arrivarono anche Susan, Edmund e Lucy; anche loro augurarono un buongiorno, ma solo io gli risposi.
Due ore dopo, verso le 7:00 stavamo in stazione aspettando il treno che faceva il suo solito ritardo. 
<< Ho sonno, ho fatto un sogno strano stanotte. >> Disse Lucy pensierosa.
Ah, sapessi il mio! pensai.
<< Che hai sognato tu? >> Le chiese Ed corrucciato.
<< Ho sognato che stavo passeggiando in mezzo ad un bosco e che i fiori mi parlavano e mi chiedevano di salvarli, perchè qualcuno li voleva strappare tutti. Non è strano? 
>>Disse Lucy.
<< Anche io! Cioè non  lo stesso ma anche io ho fatto un sogno simile! Wow che figata, pensavo di essere l'unico ad aver fatto nottata. >> Gli rispose Ed un pò più tranquillo di com'era prima.
<< Tranquillo Ed, non sei l'unico e nemmeno te Lu. >>
<< Oh ti prego Peter! Non dirmi che hai fatto anche te un sogno simile! >> Esclamò la piccola Lucy.
<< Secondo me, erano i peperoni che abbiamo mangiato ieri sera. Sono certa che c'è una soluzione logica a questi sogni e poi sono solo sogni no? Ho letto da qualche parte che di solito può capitare che dei fratelli facciano dei sogni simili; è del tutto normale. >> Disse Susan con un tono scocciato.
<< Oh sì infatti, sono sicuro che sono stati di sicuro i peperoni, insomma lo sanno tutti delle magiche proprietà della verdura mangiata di sera. Che vuoi che sia! >> Le rispose a tono Ed con voce sarcastica, Io e Lucy non potemmo fare a meno di ridacchiare, così ci beccammo un occhiataccia da parte di Susan.
<< Voi fate come vi pare, io vi dico che ho ragione. >> Rispose lei orgogliosa e testarda.
<< Su forza è arrvato il treno. >> Disse Lu, evitando una lite di prima mattina tra Susan ed Edmund, il quale si stava già preparando a risponderle.
Una volta sul treno ci sedemmo e non parlammo più, se non per salutarci, quando una volta arrvati dovevamo scendere per andare a scuola.
La mattinata passò abbastanza velocemente, tranne che per la verifica di latino, ero sicuro di aver preso quattro.
Quando uscii da scuola delle grandi nuvole grigie scuro, minacciavano pioggia, così accorgendomi di non avere un ombrello dietro m incamminai di buon passo verso casa. A quell'ora le strade era deserte: chi stava mangiando nel suo bell'ufficio, chi era rimasto a casa, chi per paura dell'imminente temporale si stava riparando nei bar. Mi strinsi il giacchetto e lanciai un rapido sguardo al cielo; dovevo sbrigarmi o mi sare inzuppato tutto. Pensai a Susan, Edmund e Lucy che ormai stavano gà al sicuro dentro casa, che fortuna dover uscire un'ora prima di me!  Il lato positivo della situazione è che anche se mi fossi bagnato, una volta giunto a casa, non dovevo sentire gli strilli di mia zia, che mi urlava contro di avergli insudiciato la casa.
Mia zia Christie, era casalinga, ma quel giorno era stata invitata a pranzo da Agatha, una sua vecchia amica con cui adorava scambiare pettegolezzi. Mia zia con il suo lungo collo, la mascella cavallina e due piccoli occhi marroni liquidi era una tra le persone più pettegole di tutta New York. Lei amava raccontare episodi di altre persone al primo che gli si presentava davanti, per poi la sera disprezzare con mio zio, davanti la tv, la vita scandalosa dei vicini. Amava la pulizia e ogni cosa dentro casa sua doveva essere brillante e lucida. Mai un granello di polvere aveva osato posarsi sulla ssua argenteria, che custodiva gelosamente, ma in bella vista, dentro la vetrina del salotto. Mio zio Arold, a differenza di sua moglie, assomigliava molto di più ad un vecchio tricheco grasso. Il collo era inesistente, i capelli biondi erano incollati sulla testa da uno strato generoso di gelatina, gli occhi neri erano enormi e i sopraccigli erano costantemente corrucciati. Lavorava presso una ditta di televisori e ed amava, la sera discutere del suo lavoro con mia zia.
Ecco perchè io e i miei fratelli cercavamo sempre di allontanarci da loro.
Intanto ero arrivato davanti l'entrata di Central Park, dove una bambina vestita da regina, con un lungo vestito bianco e una corona in testa, stava giocando con il suo cane. Lei prendeva lo scettro e glielo puntava contro, in risposta il cane abbaiava ma indiettreggiava. Sorrisi tra me e me, che strano... Possibile che una bambina piccola, era stata lasciata da sola a giocare a Central Park? Mi avvicinai per chederle dove stavano i suoi genitori, ma appena varcai l'entrata, la bambina scomparve. Cioè, non si era dileguata nel nulla, ma era come se appena entrato dentro al parco, mi chiesi se quella bambina era davvero esistita. Mi venne il dubbio, che magari me l'ero solo sognata, per questo non mi meravigliai quando non trovai nessuno.
Appena tornato a casa, mi levai il giacchetto e lo appesi all'attaccapanni. La casa era stranamente slenziosa... Andai in cucina e presi un panino che era stato lasciato da qualcuno sul tavolo. Mentre lo mangiavo mi chiesi dove stavano tutti gli altri.
Improvvisamente sentii dei passi frettoloso drigersi verso di me, non feci in tempo a girarmi per vedere chi era che mi senti tirato dalla camicia, mentre una voce squillante urlava << Preso! >> Mi girai e vidi Lucy che ancora mi teneva la camcia, appena vide che ero io la sua vittima mi lasciò e disse: << Oh, sei te, scusa >>
<< Ma ti pare? Ma che è successo dove sono gli altri? >> Le domandai curioso, lei alzò le spalle e mi rispose: << E' questo il bello! Che li devo trovare! >> 
<< Credo di non capire >> le dissi. << Allora, stiamo giocando a nascondino! >> mi rispose.
<< Lu, non per fare il guastafeste, ma lo sai che se spostiamo anchge di un solo grado un oggetto, zia se ne accorgerà e ci farà stare senza mangiare per una settimana? >>
<< Sta tranquillo, lo sappiamo bene e per questo che stiamo attenti a dove
passiamo. >> Mi rispose con una semplicità unica.
<< Allora che fai?  Mi aiuti? >> Mi domandò.
<< Certo! >> 
Ci dirigemmo entrambi verso il piano superiore, io presi i scalini che portavano alla soffitta, lei iniziò a vagare per la camere. Salii i scalini che portavano alla soffitta vera  e propia. Quella era l'unica parte sporca della casa, per il semplice fatto, che non ci veniva mai nessuno e mia zia aveva paura degli insetti. Ma la maniglia della porta era pulita, in netto contrasto con la porta impolverata, sorrisi qualcuno stava là dentro. Aprii cautamente la porta ed entrai per la prima volta là dentro.
L'ambiente era ampio, buio e con il soffitto basso da cui pendaveno ragnatele. Il parquet impolverato, lascava intravedere delle piccole macchie pulite. Mi guardai intorno: C'era un vecchio letto a baldacchino rosicchiato dalle tarme, tende e tessuti vecchi erano accasciati quà e là; gli scatoli, che ricoprivano la maggior parte dello spazio, traboccavano di oggetti. Il vecchio armadio della nonna Orchidea, stava n fondo alla parete ed era socchiuso. Edmund sapeva che mai, per nessuna ragione al mondo, bisognava chiudere un armadio, quando ci stavi dentro. Aprii le ante ma non c'era nessuno. Mi guardai meglio intorno, cercando di abituare la vista a quell'ombra  e scorsi una vecchia cassapanca, la spalancai e ci trovai Edmund.
<< Meno male! Ma come mi è venuto in mente di nascondermi quì? >> Disse mentre tossiva. << Ah, io non lo so, ma ero scuro che eri te, perchè qui Susan non ci sarebbe entrata manco morta. >> Gli risposi. Mentre lui continuava a tossire lo sguardo mi si posò su un quadro appeso.
Aveva la cornice in oro, lo presi e con la manica gli levai la polvere che si era depositata sulla tela. Anche se i colori erano un pò sbiaditi si poteva scorgere una spiaggia, con un castello in cima ad una costiera. Il castello aveva l'aria familiare ma non riuscivo a ricordare dove l'avessi visto. Intanto ci avevano raggiunto anche Susan e Luci.
<< Blhea! Che orrore questo posto! >> Si lamentò Susan.
<< Io credo sia misterioso, ma che cos'è quello che hai in mano Peter? >> Disse Lucy. << E' un quadro non lo vedi? >> Fece con una vocina sarcastica Ed.
<< Ma và! >> Le fece eco la piccola. << Ragazzi smettetela, non trovate anche voi che questo quadro ha un' aria famigliare? >> Dissi, ripristinando l'ordine.
<< Sì! Sembra il castello di Cair Pravel! >> 
<< Su Lucy non dire sciocchezze, non ci assomiglia per niente! Mettilo via Peter e scendiamo immediatamente! >> Ordinò Susan.
Ma all'improvviso le onde del mare, presero vita. Iniziarono a sbattere dolcemente sulla spiaggia, si poteva udire il verso dei gabbiani e l'odore della salsedine.
<< Ma che cavo...>> Susan non riuscì a finire la frase perchè un onda più grossa delle altre fuoriscì dal quadro e ci bagnò. Come incorraggiate da quella, anche le altre onde uscirono e in poco tempo la stanza fu quasi immera completamente.
<< Teniamoci la mano! Ora! >> Strillò Edmund, con l'acqua quasi arrivata alla bocca. Ci tenemmo per mano e ci sentimmo risucchiati da un vortice.
 
Ad un certo punto sentii una botta sulla schiena e una gran luce. Perfetto ecco mamma che mi sveglia. Visto era un sogno, solo uno strano sogno.
Qualcuno mi prese un braccio e me lo tirò. Uffa ecco adesso mi alzo. Chissà che tempo fa?
Una botta, anzi uno schiaffo in faccia. Ok adesso mi alzo.
<<Peter sveglia! Apri gli occhi! Svegliati!>>
Ma perchè zia doveva gridare di prima mattina? Ma la voce non era come quella della zia era più giovanile, euforica, familiare.
Lucy. Non era un sogno o forse si.
Aprii gli occhi ma venni accecato da una luce abbagliante. Ma che diavolo era?
Mi tirai su coprendomi gli occhi con un braccio e sentii che non stavo nel mio letto. Ma al mare. Non erano lenzuola era sabbia. Levai il braccio e misi a fuoco il panorama. Una ragazza e un ragazzo erano sdraiati vicino a me mentre Lucy stava gridando anche a loro.
Fu così che realizzai che non era stato un sogno, il quadro ci aveva davvero portati a Narnia! Mi toccai i vestiti ma erano asciutti.
Quando la mia vista si sistemò riuscii a constatare che stavo effettivamente al mare e che vicino a me c'erano Lucy, Susan e Edmund che mi guardavano sbalorditi e dall'altra parte un giovane a cavallo.
<< Peter tutto bene? Serve una mano? >> disse Caspian.
Caspian? Ma stavo sognando allora che ci facevamo io e Susan a Narnia?
Mi alzai e vidi che Susan guardava incredula Caspian, mentre Ed e Lucy lo stavano salutando.
<< Caspian? >> chiesi.
<< Sì proprio io... Peter tutto bene? >> chiese preoccuapato.
<< Sì almeno credo >> chiesi. Ormai ero vigile e soprattutto sveglio.
Non era un sogno allora! Io stavo a Narnia. Non importava perchè nè come, anche se più tardi realizzai che se stavo lì un motivo c'era.
<< Benvenuti sulla spiaggia che da sul mare, sotto la scogliera di Cair Parvel. >> Annunciò giocondo, come se ritrovare delle persone che erano praticamente sbucate dal nulla, con un' aria sconvolta e tutti sconvolti era del tutto normale.
<< Fantastico! Ma che ci facciamo noi a Narnia? >> chiesi. 
Aslan l'ultima volta era stato chiaro: Nè io nè Susan saremo tornati, per questo ci aveva fatto scegliere che fare, ed io con Susan avevamo deciso di tornare a Londra per poterci occupare di Edmund e di Lucy. 
Aslan non è uno che si rimangia le sue parole, quindi tutto questo non aveva un senso.
<< Forse non sono la persona migliore a dirvelo >> rispose Il govane Re diventando improvvisamente serio.
<< E allora chi? >> Per la prima volta da quando eravamo stati scaraventati su quella spiaggia Susan apriva bocca. La guardai e notai che anche se era stata lei a formulare la domanda, non stava guardando Caspian, ma era girata verso il mare, come a scrutarne con lo sguardo le sue profondità. Per Susan doveva essere dura essere lì. A New York, per un anno non aveva fatto altro che cercare di dimenticare il giovane, ed ora il suo muro era crollato. Fu così che decisi di tenere d'occhio d'ora in poi Caspian. Non ne seguiva mai niente di buono quando mia sorella perde il controllo della situazione, e si lascia trasportare dai sentimenti. Aveva già sofferto abbastanza a New York, non poteva soffrire anche qui. Lei ormai lo aveva, adesso stava a Caspian non fare mosse troppo azzardate, perchè se così accadesse Thelmar si sarebbe ritrovata a eleggere un nuovo re.
<< Andiamo a Thelmar e Aslan vi dirà tutto >> rispose il giovane. Notai che anche lui non la stava guardando ma per rispondere si era voltato verso Lucy, come se avesse capito che a formulare la domanda era stata lei e non Susan. Ovviamente sapeva che non era stata lei, ma voleva stare al gioco di Susan. Bene, molto bene. Continua così Caspian e noi due non dovremmo avere problemi.
<< Ma un momento l'ultima volta che ce ne siamo andati e siamo ritornati, a Narnia erano passati secoli! Quanto tempo è passato questa volta? Non mi sembri invecchiato di molto... >> disse Edmund.
Vero. L'ultima volta che eravamo tornati avevamo scoperto che a Narnia erano passati 1300 anni, come mai questa volta anche se siamo sempre stati lontani per un anno erano passati solo qualche mese o al massimo solo pochi anni?
Caspian sorrise: << Sono passati solamente 2 anni, da quando ci avete dovuto lasciare. >>
Perfetto aveva detto "dovuto lasciare" e non "avete lasciato". Non incolpava noi di averlo abbandonato, o meglio non accusava Susan di averlo lasciato. Caspian non mi era mai stato simpatico, ma se continuava così avrei potuto anche cambiare idea e ricredermi, ma doveva stare attento a non fare un singolo passo falso.
<< Ok, ma ora portaci da Aslan, starà aspettando >> disse Susan sempre fissando il mare.
<< Giusto se volete seguirmi a piedi non ci sono problemi, altrimenti posso far mandare a prendere una carrozza. >> Rispose  Caspian elegante e gentle, tipica risposta da manuale.
<< No tranquillo, ce la facciamo anche a piedi. >> Risposi, non mi andava di continuare ad aspettare su quella spiaggia, e poi volevo delle risposte e subito. E Aslan era l'unico che poteva darmele.
<< Allora è meglio incamminarci subito. >> Convenne il giovane Re.
Così partimmo Caspian ed io in prima fila, seguiva Edmund e infine Susan e Lucy che camminavano per mano.
Mentre camminavamo Caspian fece una cosa che non avrei mai immagginato che un perfetto gentiluomo come lui potesse fare. Stava lì lì per scoppiare a ridere. Contrariato stavo già per ribattere che non era la situazione ideale per ridere ma lui mi anticipò.
<< Scusate non volevo essere fuori luogo o maleducato, ma non ho potuto fare a meno di notare il modo in cui vestiti. >> Rispose mortificato ma sincero.
<< E' la nostra divisa scolastica, è così che nel nostro mondo bisogna vestirsi. >> Dissi notando le mie scarpe di cuoio marrone, i miei pantaloni azzurri polvere, la camicia ormai rovinata dalla caduta e il mio maglioncino blu.
<< Già scusate ancora. >> 
Dopo quel breve dialogo silenzio. Camminavamo in perfetto silenzio. Era uno di quei silenzi che mettono ansia e alla fine ti fanno perdere la pazienza. Così cercai velocemente un'idea non troppo ridicola per iniziare un discorso decente.
<< Cos'è cambiato a Narnia? >> Domandai a Caspian, infatti era una domanda che mi stava a cuore.
<< Bhè dopo che siete partiti per un pò è ragnata la pace, poi però i giganti delle montagne si sono ribbellati così li abbiamo dovuto respingere su per le montagne. Abbiamo aperto una via di commercio con le Isole Solitarie e avevamo in proggetto di riportare all'antico splendore Cair Paravel. >>
<< Wow avete avuto da fare! >> Continuò Edmund.
<< In effetti sì. Ma nulla di grave fino a... >> Caspian lasciò la frase incompleta.
<< Fino a... >> Cercai di mandarlo avanti.
Fece un lungo sospiro e iniziò a raccontantare:
<< Fino a tre mesi fà, quando un contadino è arrivato di corsa a Thelmar, sostenendo di aver visto un orso polare. Naturalente è da molto che non ci sono orsi polari a Narnia, così insieme a tre soldati sono andato in cerca di questo animale. E effettivamente l'orso c'era. Da quel momento in poi sono successe strane cose: marinai che si perdono in mare, di cui ritroviamo solo pezzi delle navi con cui erano partiti; gli alberi non danzano più, il clima si sta facendo sempre più freddo anche se stiamo solamente a settembre, le donne hanno paura ad avventurarsi nei boschi, i bambini non giocano più per le vie. Di notte regna il più totale silenzio. 
Fu così che poco più di due settimane fà si presentò a Thelmar Aslan, dicendo che questa situazione non era niente di buono e di contattare anche altri paesi, per sapere se stava succedendo anche a loro. 
Solo un paese ha risposto al mio messaggio: La terra di Ilinea. Una terra lontana che si trova oltre le isole Solitarie, una terra dove a lungo è vissuta l'armonia tra magia e uomini. Così una settimana fà è venuta a Thelmar la regina Elizabeth. Nella sua terra, come a Narnia qualcosa non va. I bambini vengono rapiti, i ghiacciai non si sciolgono e ormai inizia a nevicare ogni giorno, attacchi di orsi polari e altre cose terribili. 
Fu così che Aslan ci espose i suoi dubbi e decise di riconvocarvi. A tutti. >> Disse Caspian grave; notai che il suo tono era nostalgico, a anche serioso di chi deve raccontare una stiria terribile. E quella lo era.
Anzi peggio: Non era una storia, era la realtà.
Cos' era successo? Chi c'era dietro a quelle aggressioni? Perchè Aslan in prima persona si era scomodato a venire subito e a radunarci tutti? Perchè non solo a Narnia ma anche in altri Paesi? 
Le domande che mi ribollivano in testa erano tante, troppe. Potevo solo aspettare di arrivare a Thelmar per poter parlare con Aslan a quattro occhi.
 
 
  
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