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Autore: valentinamiky    20/11/2011    5 recensioni
4^Classificata al "Cluedocontest" indetto da Tifa Lockheart90
Dal cap.1 "Arthur alzò gli occhi al cielo: possibile che il padre non avesse il minimo senso dell’umorismo?
-Stavo scherzando, ovviamente. Merlin è il figlio di Hunith-[...]
Uther lo guardò torvo.
-E tu come fai a conoscerlo?-
Arthur chiuse gli occhi, sperando pur sapendo di illudersi, che il padre non scatenasse un uragano dopo la sua semplice e schietta risposta.
-Viviamo insieme-"
Dal Cap.4 "-Arthur! No...no, vi prego! Sono innocente! Arthur, diglielo, ti prego! Non ho fatto niente, sono innocente!- Merlin continuò a urlare in preda alla frustrazione, disperato, voltandosi per quanto gli fosse consentito dalla morsa dei due agenti che lo stavano trascinando lontano, verso un loculo freddo e buio.
Aveva paura. [...]
Paura che, alla fine, anche l’ispettore lo abbandonasse al suo triste destino.
Fu proprio Arthur a riportarlo alla realtà: lo aveva afferrato per una spalla, rallentando così il percorso degli agenti. Lo aveva abbracciato, stringendolo a sé, protettivo.
-Giuro che ti tirerò fuori di qui, fosse l’ultima cosa che faccio...- aveva sussurrato, affondando il palmo nei suoi capelli scuri."
Genere: Commedia, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guilford Saga'
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Uther direbbe: "Sta diventando un'abitudine, per te! Per caso soffri di qualche disturbo mentale?!" XD
In effetti, c'è stato un altro, clamoroso ritardo, dovuto alla consegna della crossover per il contest. Mi piacerebbe dirvi che anche stavolta ne è valsa la pena, ma la fic che ne è uscita fuori non mi piace proprio. Non è stato un buon lavoro ç_ç
Gestire una crossover "Tsubasa R.C. - D.Gray Man - Merlin" in 18 pagine è...impossibile T^T Una fic che per i miei standard avrebbe richiesto almeno 15 capitoli!
Sarà colpa mia, che mi divulgo sempre. Beh, almeno ora so di non dover più cercare di iscrivermi a Crossover-One shot  perchè non sono in grado di scrivere cose brevi XD
Se entro giovedì non posto, mandatemi pure un Parsifal superminaccioso (stile 4x08 all'entrata del castello) a casa XD anche se non garantisco che ritornerà indietro(bwahahahaha! Lo sequestrerò!)
Ma almeno, mi ricorderà che devo postare XD Se non disponete di un Parsy portatile...andrà bene anche un mp (U_U mi accontenterò)

Ok! Dopo gli scleri, vi lascio a un capitolo alla fine del quale mi ucciderete. Credetemi. Ma per piacere, niente bombe a orologeria a casa, avreste sulla coscienza una gatta di 2 anni U_U Ha ancora tutta la vita, davanti *piange teatralmente*


41 di sangue


Capitolo 6:
Tracce e verità

Morgause uscì dallo studio di Aridian affamata: quella mattina non era andata in università per dare una mano al veterinario, con la sterilizzazione di un micio che aveva richiesto più tempo del previsto, dato che la bestiola si era difesa con gli artigli e con i denti, prima di essere finalmente sedata. Era piena di graffi sulle braccia. Il suo umore sarebbe stato certamente più lieto se, almeno, ci fosse stato Gwain ad aspettarla. Invece, il ragazzo era stato contattato dal suo odioso capo, Arthur Pendragon ed era costretto a prestare servizio anche nel suo giorno libero!
Arthur gliel’avrebbe certamente pagata per quell’affronto!
Ma le sventure della ragazza non erano ancora terminate: riuscì a malapena a sfilare il cellulare dalla borsa, per accenderlo e controllare eventuali messaggi sul cellulare, quando sentì uno strattone che la fece barcollare e rovinare a terra.
-Ehi!- gridò, alzando la testa e rendendosi conto di essere stata scippata da un uomo corpulento, con un casco da motociclista.
Si rialzò, prontamente. Riusciva a stare in piedi e correre, quindi provò ad inseguirlo, gridando per attirare l’attenzione.
Erano in Inghilterra, dannazione! Qualcuno l’avrebbe certamente fermato, se non altro, per galanteria nei suoi confronti! Ma, con suo sommo sgomento e rammarico, appena svoltato l’angolo, il rapinatore montò in sella a una moto e partì a tutta velocità.
La bionda colpì il muro con il pugno chiuso, facendosi tra l’altro, un gran male.
Poi ebbe un’illuminazione: ora sì che aveva una scusa per vedere Gwaine. Anche se avrebbe preferito mille volte incontrarlo casualmente e non in commissariato, per una denuncia!
 
Perceval entrò circospetto al Break, cercando con lo sguardo i due proprietari.
Appena ebbe individuato Elyan, lo salutò.
-Sono venuto a dirti addio, amico! Domani l’ispettore commetterà un omicidio di massa- annunciò, riferendosi alla sua pessima idea, senza sapere che Gwen si trovava perfettamente d’accordo con lui.
-Ma che dici? Ci ringrazierà! Sarà un’occasione da cogliere al volo, per lui- cercò di convincerlo, ma la sorella intervenne.
-Ha ragione, Elyan. Non dovremmo immischiarci nei loro affari. E se Arthur se la prendesse con Merlin?-
-Come potrebbe? Anche lui è all’oscuro di tutto! E poi, andiamo! State sottovalutando gli occhi di Emrys! Vi assicuro, li ho visti all’opera e, parola mia, è come guardare il gatto con gli stivali di Shrek. Ora, conoscete qualcuno che potrebbe colpirlo, quando sfodera i suoi occhioni? No! Quindi, stasera quei due faranno faville!-
L’agente sbottò qualcosa, ordinando un caffè macchiato. Tanto, con Elyan, era inutile ragionare. Aveva provato a persuadere anche il viceispettore, ma niente.
Avrebbe preparato un cartello, quella notte, con la scritta “Io, Leon e Gwen siamo innocenti!”. In quel modo, avrebbe implicitamente accusato tutti gli altri, ma che ci poteva fare? Anche Lancelot si era proclamato d’accordo con quella pagliacciata!
-Ad ogni modo, non credo che dargli buca in massa possa servire a fargli comprendere i reciproci sentimenti! Ci vorrebbe qualcosa di più...di più...- Gwen provò per l’ultima volta a dissuaderlo, ma non trovò le parole.
-Sorellina, andrà tutto bene! E se proprio non sei d’accordo, pensa ai muffin ai mirtilli!-
Perceval sgranò gli occhi nocciola.
-Non ci posso credere, ti sei fatta corrompere con dei muffin?-
La mulatta si strinse nelle spalle, colpevole.
Non c’era davvero nulla da fare; l’agente prevedeva una bella bufera...
 
Gwaine non riusciva a credere ai suoi occhi, quando vide Morgause varcare la soglia del commissariato.
-Ehi, riccioli d’oro! Sei venuta a trovarmi?- la salutò con un bacio, a cui la bionda rispose con trasporto. Ma, nel ricordarsi la ragione della sua visita, si distaccò.
-Mi piacerebbe...devo fare una denuncia, mentre stavo andando a pranzo, mi hanno scippata. Sono riuscita a salvare solo il cellulare, l’avevo appena preso in mano. Per fortuna, lo studio di Aridian è qui vicino-
Il viceispettore, dispiaciuto, la invitò a seguirlo nel suo ufficio.
-Di solito, sono gli agenti a occuparsi di questi casi. Ma per te, farò un’eccezione- sorrise, incoraggiante, aprendo un nuovo file.
-Pensavo che i poliziotti scrivessero a macchina-
-Guarda che anche gli sbirri sanno essere moderni! Così è molto più semplice e si fanno meno sprechi. Pensa a quanti fogli buttati via, solo per degli errori di battitura!- spiegò, cercando di scostare un ciuffo ribelle, finito impudentemente davanti agli occhi.
La ragazza sorrise.
-Allora...dimmi pure. Com’era la borsa?-
-Vuoi i dettagli?-
-Certo, devo fare un rapporto. Deve essere il più dettagliato possibile.
-Dunque. Era una borsa rosso scuro, tendente all’argilla, con delle decorazioni dorate. Dei ghirigori fatti più o meno così...- era davvero difficile descriverli, quindi prese un pezzo di carta, per disegnarli.
-Ok, ok. Altro?-
-Aveva due tasche esterne, una sul davanti e una sul retro. Con la cerniera. Dentro era foderata, color panna.-
-Perfetto- completò la stesura. –Allora, ora passiamo al contenuto.
-Beh, oltre al portafoglio, con le tessere dell’abbonamento ai mezzi e al ranch, c’erano i documenti, la patente. Le chiavi di casa, il tesserino della scuola e...oh, no! Avevo messo lì anche le chiavi dello studio di Aridian! Andrà su tutte le furie! Ho provato a rincorrerlo, a chiamare aiuto, ma è salito in moto. Non sono neppure riuscita a prendere la targa- la ragazza sospirò, affranta e il viceispettore si alzò, per metterle una mano sulla spalla.
-L’importante è che non ti sia fatta male. La prossima volta, limitati a chiamare aiuto, poteva essere armato. Per il resto, è davvero difficile riuscire a recuperare la borsa, con questi elementi. Probabilmente, era interessato ai soldi. Non ricordi nient’altro?-
-No, aveva il casco, quindi non sono riuscita a vederlo. Anche se...era un individuo robusto. Un uomo, con una maglietta nera.-
Gwaine annuì, aggiungendo i dettagli alla denuncia ed inviandola in stampa.
-Nel pomeriggio sono libero, se vuoi ti do uno strappo. Avrai un bel d’affare, dopo questo scippo-
-Puoi ben dirlo! Se solo penso ai documenti e...dovrò rifare la serratura! Chissà quanto costa! Dannato ladro, se mi capita per le mani, io...-
Gwaine la baciò, per interrompere quel flusso di minacce.
Arthur entrò proprio in quell’istante, sorprendendoli.
-Non si può pomiciare, sul lavoro, Orkney- ricordò, fintamente severo.
-Ti rigirerò la frase tale e quale, quando ti beccherò in atteggiamenti simili, ricordalo!- lo ammonì l’altro, divertito.
-Questo non accadrà mai. Non al distretto! Comunque...lei che ci fa qui, signorina Lot?- s’informò.
-Sono qui per una denuncia. Ma non si preoccupi, ho finito- rispose acida, alzandosi per il sommo dispiacere del viceispettore, che salutò con un fugace bacio, prima di andarsene.
-Che denuncia?- s’incuriosì Arthur.
-Oh, uno scippo. A quanto pare, un uomo robusto in moto, le ha rubato la borsa-
-Cosa?- l’ispettore restò vagamente scosso.
-Che ti prende?-
-Oh, nulla. Mi sarò sbagliato- lo liquidò il biondo. Ma una vocina si era insinuata nella sua testa e non poteva ignorarla a lungo. –C’era qualcosa di importante nella borsa?-
-Le solite cose. Portafoglio, documenti, chiavi. Anche quelle dell’ambulatorio. Dovranno rifare la serratura!-
Arthur annuì. Forse, si era davvero sbagliato.
Eppure, quella vocina era ancora lì, a ricordargli che il loro uomo, stando alle informazioni dell’autopsia, era una persona corpulenta.
Ma no! Di sicuro era una coincidenza. Per quale motivo, il criminale avrebbe dovuto scippare Morgause?
 
Lancelot lanciò la sua matita attraverso la stanza, rischiando di colpire un ignaro Perceval, che varcava la soglia del suo ufficio.
-Ma che...? Volevi cavarmi un occhio, per caso?- strillò, incredulo.
-Mi spiace, Perce! Oh, queste dannate lettere, mi stanno tirando pazzo!- si arrese, accasciandosi sulla scrivania e provocando un sonoro tonfo con la fronte.
Il collega capì che, effettivamente, l’agente Lake aveva iniziato a dare i numeri.
-Quindi, quella mezza parola, è ancora il solo indizio?-
-No, in effetti. Ma anche l’altro non è molto d’aiuto-
-Di che indizio parli?- Perceval prese posto al suo fianco, in attesa di ulteriori delucidazioni.
 -Gaius ha finito di analizzare le scarpe insanguinate e ha notato un piccolo dettaglio- lo informò il moro.
-Unghie? Si potrebbe risalire al DNA-
-Magari! Niente DNA, purtroppo. Ma le scarpe sono piegate verso l’interno, nel lato del tallone. Come se a indossarle, fosse stato qualcuno con il piede più grande, rispetto al 41 di Merlin. Infatti, le tracce ematiche sono minori, in quella parte, perché con ogni probabilità era coperta, schiacciata dal piede del killer-
-E come possiamo trovarlo con un indizio simile? Non possiamo certo far indossare le scarpe che abbiamo trovato a tutte le persone del Surrey, come ha fatto il principe con Cenerentola!-
-Proprio una bella idea! Chiamiamo il caso “Bloody Cinderella”!- annotò, ridacchiando. Non aveva tempo da perdere, lo sapeva. Ma lo stare rinchiuso in quell’ufficio, alla ricerca di una parola enigmatica, per giorni, aveva messo a dura prova la sua sanità mentale. Un momento di svago, se lo poteva concedere
Nemmeno Perceval trovò nulla da rimproverargli, per questo.
-Posso darti una mano?- domandò, invece, offrendo il proprio appoggio. Aveva appena risolto un caso e, fino a nuovo incarico, poteva tirare il fiato aiutando i colleghi.
-MΓ. Non riesco proprio a trovargli un senso- ammise Lancelot, sospirando.
-Forse sono delle iniziali. Forse  sono due parole distinte-
-Già, ma anche se così fosse, sono davvero troppo vaghe. La seconda lettera, in particolar modo. Non sappiamo nemmeno che lettera sia, come potremmo decifrarla?-
-E se l’avesse deliberatamente interrotta? Non perché l’assassino lo ha sorpreso e colpito, ma perché la seconda lettera ha più significati?-
-Anche in questo caso, non riusciremmo a capirli. Siamo a un punto morto.- si arrese il ragazzo di Gwen, abbandonandosi con le spalle allo schienale della sedia.
 
Freya s’illuminò, nel riconoscere l’esile figura che percorreva in bicicletta il sentiero alberato della fattoria.
-Fratellone!- gli corse in contro e Merlin scese dalla bici, abbandonandola come sempre contro al muro di casa, per abbracciarla.
-Kil è nel box?- domandò, a bassa voce, quando la ragazza si staccò da lui.
In tutta risposta, la castana si allarmò.
-Non vorrai riprovare a saltare con lui, dopo quello che è successo?-
-No, certo che no. Non subito, almeno. Ma vorrei almeno vederlo, per controllare che stia bene. Non è da lui imbizzarrirsi così, forse qualcosa l’ha spaventato- ipotizzò Merlin, che non era riuscito a chiudere occhio, tra le altre cose, anche per colpa di quel dilemma. Ma c’era dell’altro e non voleva spaventare la sua sorellina.
Freya sembrò tranquillizzarsi, in parte. Quindi annuì, raccomandandosi, però, di fare attenzione e non avvicinarsi troppo, se lo avesse trovato nervoso e scalpitante.
Merlin le rispose con un sorriso luminoso, che la convinse definitivamente. In fondo, era un giovane campione, sapeva come comportarsi e come trattare il suo cavallo. Non aveva nulla di cui preoccuparsi.
Lo vide scomparire sul selciato, diretto al maneggio, inghiottito dalla porta che conduceva ai box.
Il giovane entrò, leggermente titubante: anche se si era dimostrato tranquillo, per non far preoccupare la ragazza, era un po’ indeciso. Il cuore iniziò a battere più forte, ricordando il dolore provato in seguito alla caduta da cavallo. Eppure, doveva vedere Kil.
Era assolutamente necessario che si avvicinasse a lui, che entrasse nel suo box. Anche perché c’era qualcosa che doveva assolutamente verificare. Il cavallo si era dimostrato nervoso, negli ultimi tempi, questo era vero.
Ma mai, mai aveva disarcionato qualcuno. Tantomeno il suo fantino.
E poi, il fatto che si fosse agitato improvvisamente, lo aveva allarmato. Forse, Kilgarrah non era malato, come tutti credevano. E il dubbio era sorto quella mattina in università, mentre sfogliava il volume di Reazioni chimiche negli organismi viventi: i cavalli, in biblioteca.
Avvicinandosi a Kilgarrah con mani tremanti, era riuscito ad accarezzarlo, senza che il cavallo reagisse allontanandolo o, peggio, sbranandogli la mano. Ma quando si abbassò, per rimuovere il gancio inferiore del cancello, il moro s’immobilizzò, incredulo.
A terra, proprio davanti a lui, c’era l’ultima cosa che avrebbe voluto trovare. Aveva sperato, fino all’ultimo momento di essersi sbagliato. Raccolse la preziosa prova con la bandana che portava al collo, per non lasciare impronte. Proprio come gli aveva insegnato Arthur: mai a mani nude. La studiò, cercando di capire quale sostanza avesse contenuto. Ma era vuota e, stranamente, priva dell’ago. Forse, però, analizzandola in laboratorio avrebbe ottenuto delle risposte.
C’erano solo due persone che si sarebbero potute avvicinare indisturbate al suo cavallo, con una siringa. Ma per quale ragione avrebbero dovuto farlo? E poi...come poteva sospettare di loro?
Infilò l’oggetto nello zaino e uscì a tutta velocità. Doveva assolutamente venire a capo di quella faccenda, non poteva aspettare in eterno che la polizia decifrasse le ultime lettere di Will!
Incrociò Freya e la salutò, con un frettoloso bacio sulla guancia. Ma appena uscì all’aria aperta e lanciata un’occhiata alla bici, restò sconvolto: quando accidenti si era bucata la ruota anteriore? Quello sì che era un bel problema: il furgone di suo padre non c’era e la macchina di Freya era in concessionario per una revisione. Sarebbe stato costretto a tornare in università a piedi!
Per un momento, fu solleticato all’idea di chiedere un passaggio a Arthur, ma una voce conosciuta lo distrasse, impedendogli di avviare la chiamata con il cellulare.
-Merlin! Da quanto tempo!- un uomo con la maglietta nera e il casco da motociclista, si avvicinò al ragazzo, salutandolo cordialmente.
-Ciao! Come stai?- Merlin ricambiò, allegro, riconoscendo il motociclista.
-Oh, non posso lamentarmi. Tu, piuttosto! Mi pare che la tua bicicletta sia buca. Vuoi un passaggio?-
Merlin sorrise, riponendo il cellulare nello zaino.
Una volta tanto, la fortuna gli sorrideva...
 
Hunith era stata convocata con la massima urgenza al distretto di polizia, perciò era stata costretta ad abbandonare le faccende domestiche e guidare il furgone del marito fino al commissariato.
Quando entrò, chiese a Leon dove fosse l’ispettore Pendragon e il ragazzo le rispose che lo aveva appena visto uscire dall’ufficio per recarsi al distributore.
La madre di Merlin lo ringraziò e si precipitò nel luogo indicato, trovando Arthur totalmente assorto nell’assaporare il bastoncino ricolmo di zucchero.
-Spero per te che sia zucchero di canna! Quello raffinato fa male- lo salutò, catturando la sua attenzione.
-Oh, Hunith! Ti aspettavo, vieni. C’è una cosa che devo assolutamente chiederti-
La donna lo seguì nell’ufficio del viceispettore, dove li attendeva Orkney e si accomodò, senza attendere un invito preciso: ormai, era di casa in quel distretto, esattamente come Merlin.
-Signora Emrys- la salutò Gwaine, sorprendendola con quei modi formali. Ma d’altronde, doveva aspettarselo: se l’avevano convocata con tanta urgenza, doveva esserci una buona ragione.
A proseguire, fu il figlio del commissario.
-Sai, Hunith. Mi è venuto un dubbio atroce e, purtroppo, con i pochi elementi a nostra disposizione, le indagini non proseguono. Quindi penso sia giusto andare per tentativi.-
La donna non comprese appieno quel discorso, finchè il biondo non le pose la fatidica domanda.
-C’è qualcuno che potrebbe avercela con te e Belinor? Un Greller, per esempio?-
Hunith boccheggiò.
-No! Arthur, non starai davvero pensando a Freya!- gridò subito dopo, incredula per quelle improvvise insinuazioni.
-No, scusami. Credo di essermi espresso male. Conosci qualcuno legato ai Greller, che potrebbe avere dei rancori nei vostri confronti?-
Ancora una volta, la donna scosse il capo, decisa.
-Freya è la sola Greller rimasta, dopo l’incidente dei suoi genitori. E ci sono molte persone che li conoscevano. Anche il signor Aridian, il nostro veterinario. Ma non credo che abbiano dei rancori nei nostri confronti! Siamo rimasti in buoni contatti. Ma perché mi fate una domanda simile?-
-Perché sto iniziando a convincermi che tutte le stranezze accadute ultimamente, abbiano un denominatore comune. Una sorta di vendetta personale, insomma, forse atta a screditarvi. Qualche tempo fa, Merlin ha parlato a Gwaine di una storica rivalità tra i vostri maneggi, quindi, la domanda ci è sorta spontanea. Vorremmo saperne di più.- spiegò il biondo.
Il suo vice annuì, confermando le sue parole.
La signora Emrys sospirò.
-È dura, per me, rivangare il passato. Dubito sia di qualche utilità, ma vi dirò tutto.- La donna prese un lungo respiro, prima di proseguire in quel doloroso racconto. –Tutto è cominciato prima che Merlin nascesse. Belinor era un caro amico del signor Greller e il loro sogno era quello di aprire un ranch per gestirlo insieme. Così nacque il maneggio dei nostri rivali. Purtroppo, durante un allenamento, accadde una disgrazia.-
Gwaine e Arthur trattennero quasi il fiato, leggendo nella figura curva della donna tutto il dolore provato negli anni trascorsi e che ora stava prepotentemente tornando a galla.
- Il figlio maggiore dei Greller morì, cadendo da cavallo- Hunith trattenne coraggiosamente le lacrime. –I Greller accusarono Belinor, dicendo che non aveva fatto attenzione. Che il cavallo era nervoso...che non avrebbe dovuto permettere a loro figlio di cavalcare. Ma si era trattato di un incidente! Anche la polizia, dopo le necessarie analisi, è giunta alle stesse conclusioni, ma loro non erano contenti. Così, io e Belinor ce ne siamo andati. Abbiamo atteso che si calmassero le acque e grazie alle persone che credevano nella nostra innocenza, ci siamo risollevati e abbiamo fondato Wildwoods. Pensavamo che tutto fosse finito, invece...invece...-
Non riuscì a trattenersi oltre: le lacrime ed i singhiozzi ebbero la meglio, costringendo Arthur ad alzarsi, per porgerle un fazzoletto.
Gwaine prese un bicchiere di plastica dall’armadietto della scrivania e lo allungò verso Hunith, riempiendolo d’acqua.
-Tieni- offrì gentilmente, con un sorriso incoraggiante e rassicurante allo stesso tempo.
La signora Emrys lo ringraziò, cercando di proseguire nel suo racconto.
-Quando Merlin aveva cinque anni, Anita, la moglie di Marcus Greller, si è presentata a scuola, precedendo Belinor. E ha rapito nostro figlio-
I due poliziotti sgranarono gli occhi, increduli.
-Cos’hai detto? L’ha rapito?-
-Sì. La polizia non ha impiegato molto a risalire all’accaduto e rintracciarli. Speravamo che tutto si concludesse per il meglio, invece...invece c’è stato quel terribile incidente...-
Arthur deglutì. Aveva quasi paura di domandarlo, paura di sapere cosa Merlin fosse stato costretto a passare. Ma quello, era il suo lavoro. E quelle informazioni potevano davvero rivelarsi utili per risolvere il misterioso omicidio di Will e tutti gli altri strani avvenimenti.
-Cos’è successo?-domandò, mordendosi il labbro un secondo più tardi.
Hunith scosse la testa, totalmente sconvolta.
-Marcus e Anita hanno cercato di portare via i bambini, ma sono riusciti a prendere solo Merlin. Freya è stata portata via da due agenti. Per fortuna, altrimenti sarebbe rimasta coinvolta anche lei. Ma...lui...lui ha vissuto ogni attimo di quell’inferno. Nemmeno io so con precisione cos’è accaduto. C’è stato un inseguimento, in macchina, a una velocità assurda. O, almeno, così mi è stato detto. Alla fine, la loro Opel è finita fuori strada e la volante che li inseguiva non è riuscita a frenare in tempo. Sono morti anche gli agenti. Merlin è rimasto intrappolato lì dentro...per ore...io...- Hunith era scossa dai brividi e dai singhiozzi.
Arthur distolse lo sguardo e abbandonò l’ufficio di Gwaine, precipitandosi in bagno: non ricordava di essersi mai sentito così male in vita sua.
Merlin, il suo Merlin, era rimasto intrappolato in una macchina distrutta, con delle persone...morte...
Era orribile, non riusciva a immaginare la paura di un bambino costretto a vivere una simile esperienza. Non stentava a credere che avesse sviluppato quelle sue strane paure! Dopo una simile esperienza, era più che comprensibile! Scotofobia e claustrofobia non erano più tanto insensate.
Deglutì a vuoto, tentando invano di cacciare un nauseante conato di vomito. Comprese che, senza sfogarsi, non ci sarebbe mai riuscito e picchiò con forza i pugni contro le piastrelle di ceramica bianca.
Bagnò il viso e i polsi con abbondante acqua fredda, cercando di ritrovare la calma.
Ad aiutarlo in quell’impresa, contribuì il cellulare, che vibrò un paio di volte. Lo prese in mano, trovando un messaggio del coinquilino.
Si diede dello stupido, per il modo in cui gli occhi pizzicarono.
Dannazione, doveva comportarsi come se nulla fosse: il moro era terrorizzato da quei ricordi, a differenza della madre del ragazzo, lo sapeva bene. Aveva letto il terrore nei suoi occhi, quando aveva sognato l’incidente. Un incidente che fingeva di non ricordare, per non destare preoccupazioni nei genitori, anche se ciò significava sacrificare la sua serenità, implodendo le sue paure.
Non desiderava più vederlo in quello stato.
Doveva comportarsi come sempre, non voleva vedere altro dolore attraversare quelle iridi blu. Quindi, nonostante il pallore e il senso di malessere dovuti alla fastidiosa nausea, si sforzò di sorridere, come se Merlin fosse proprio davanti a lui. Aprì il messaggio, curioso di scoprire cosa gli avesse scritto.
Ma con suo sommo sgomento, lo trovò completamente vuoto. Questo bastò a farlo precipitare nell’ansia. Tornò trafelato da Gwaine e Hunith, domandando loro dove fosse Merlin.
-So che aveva lezione, questa mattina. Ma ora, dovrebbe essere a casa- rispose la madre del ragazzo.
Arthur si attaccò immediatamente al telefono, cercando in tutti i modi di contattarlo, ma fu inutile: imprecò contro la segreteria telefonica.
-Gwaine, vai a chiamare Lance! Ho bisogno di lui per rintracciare il suo maledettissimo cellulare. Ho una pessima sensazione-
-Poi sono io, l’uccellaccio del malaugurio!- brontolò il viceispettore, ma si affrettò a eseguire gli ordini, sotto lo sguardo apprensivo della signora Emrys.
-Forse è meglio che torni a casa. Nel caso tornasse.-
L’ispettore annuì. Quella storia non gli piaceva affatto...
 
Merlin osservò la schiena del motociclista, domandandosi stupidamente, come sarebbe stato fare un giro in moto con Arthur. Dove lo avrebbe portato. Cos’avrebbero fatto una volta arrivati.
Immaginò una strada pressoché deserta e un bivio, Arthur che insisteva nel difendersi. Perché no, non si era perso, aveva solamente voluto allungare la strada, per rendere il viaggio più interessante. Perché quel giro godeva di un’ottima panoramica!
Merlin ridacchiò, immaginando la loro lite furiosa ed arrossì immaginando il modo in cui si sarebbero riappacificati. Doveva ammettere che quell’asino sapeva come mettere a tacere le sue proteste; la cosa avrebbe dovuto infastidirlo. Perché Arthur era uno stupido e lui detestava cedere alle sue idiozie. Gli piaceva averla vinta nelle discussioni e stuzzicarlo per vederlo irritato. Ma sapeva bene che quella era solamente una facciata del suo dispettoso coinquilino.
Non era solo irritante.
Era...
Era semplicemente Arthur. E aveva scoperto di amarlo, più di chiunque altro al mondo. Cosa c’era di male, in questo?
Si riscosse dai suoi pensieri, rendendosi contro che il motociclista stava tornando indietro, anche se percorrendo una strada alternativa.
-Dove stai andando?- domandò, incuriosito e con una punta d’irritazione: doveva analizzare in fretta quella siringa, se voleva scoprire cos’avessero somministrato al suo Kil!
-Ho dimenticato di prendere una cosa, Merlin. Solo un attimo e sono da te!- promise l’uomo, abbandonando la moto e il suo occupante ai bordi del sentiero, accanto al vecchio granaio.
Il moro rabbrividì.
Aveva riconosciuto quella stradina. Will era morto a pochi metri da lì, in direzione del maneggio.
-Andiamo via, per favore- si accorse con orrore di aver parlato al vento: l’uomo che lo aveva condotto lì, era già sparito.
Il vento soffiò, insinuandosi nella sua maglietta, facendolo tremare: il tempo stava rapidamente cambiando. Forse, entro pochi minuti, sarebbe sopraggiunto un bel temporale.
Cercò a tentoni il cellulare nella tasca dei jeans, e lo estrasse. Compose a memoria il numero di Arthur. Non voleva disturbarlo, ma sentirlo l’avrebbe certamente tranquillizzato. Udì dei passi.
Si voltò di scatto, ma non c’era anima viva.
Inghiottì la saliva rumorosamente. Quel posto era inquietante. Forse, si stava lasciando suggestionare dal recente ritrovamento del corpo. Già, quell’evento stava riportando a galla con prepotenza le paure infantili. Non c’era altra spiegazione.
Probabilmente, aveva confuso il rumore di rami spezzati con la camminata di qualcuno. Sì, doveva essere così. Tutto qui, nulla di cui preoccuparsi. Sospirò, portando la mano libera sul cuore, come se questo bastasse a ripristinare i battiti.
Cambiò idea: se l’ispettore avesse letto paura nella sua voce, lo avrebbe di sicuro preso in giro. Non voleva dargli questa soddisfazione, anche se pensando al possibile epilogo del loro battibecco, non gli sembrò un’opzione così tremenda. No. Ormai aveva deciso: avrebbe semplicemente scritto un SMS e atteso che Arthur rispondesse.
Non notò l’ombra alle sue spalle.
Il cellulare cadde e si aprì. La batteria ruzzolò al suolo.
Il giovane studente, invece, si accasciò tra le braccia dell’aggressore, che ghignò, trionfante: era già stato scoperto da una persona ed era stato costretto a metterla a tacere. Ma, finalmente, il giovane Emrys era nelle sue mani...
 
Gwen strabuzzò gli occhi e rischiò seriamente un collasso per la sorpresa, nel leggere sul display del cellulare il nome del suo ex, seguito dal numero di cellulare.
Sapeva di avergli inflitto una ferita colossale ed erano trascorse poche settimane perché si fosse già cicatrizzata. Ma allora, perché la stava chiamando?
-Pr...pronto?- rispose, titubante.
-Gwen!- il tono urgente dell’ispettore la preoccupò: non aveva mai sentito la sua voce tanto agitata. Come se ciò non bastasse, dal giorno in cui l’aveva sorpresa con Lancelot, non l’aveva più chiamata per nome. Beh, a dirla tutta, non l’aveva proprio chiamata! Era strano che così all’improvviso, avesse deciso di cercarla. –Gwen, Merlin è lì con te?-
La mulatta rispose “no”, sperando che il biondo le desse delle spiegazioni. Invece, il ragazzo riagganciò.
Infastidita da quell’atteggiamento, a suo parere infantile, lo richiamò.
-Hai trovato Merlin?- chiese, speranzoso.
-Vuoi dirmi cosa sta succedendo?- abbaiò, abbandonando per una volta la proverbiale calma.
-Non lo so! Mi ha mandato un messaggio vuoto, ho provato a richiamarlo ma non mi risponde! Ho il sospetto che si sia cacciato in qualche guaio!-
Finalmente, ecco spiegato tutto.
-Non hai provato in fattoria?- suggerì.
-Mi ha risposto Freya, ma ha detto che Merlin se n’è andato da un pezzo! So solo che ha lasciato da loro la bici, perché aveva una ruota bucata. Ma di lui non c’è nessuna traccia-
Gwen iniziava ad essere contagiata dall’apprensione del suo ex: non era da Merlin sparire così.
Inoltre, l’assassino poteva ancora essere nei paraggi. No, non doveva nemmeno pensarle, certe cose!
-Provo a chiamare Morgana, forse può cercarlo in macchina con Elyan, mentre mi occupo del Break. Se so qualcosa, ti avverto-
Arthur la ringraziò per la disponibilità, quindi riagganciò.
-Chi dovrei cercare, con Morgana?- il fratello spuntò dal retro, dove stava affettando l’arrosto per i panini fino a pochi istanti prima.
-Sembra che Merlin sia sparito dopo aver lasciato un messaggio vuoto a Arthur e ora non è raggiungibile al cellulare-
Il ragazzo ricambiò con uno sguardo altrettanto preoccupato.
-Vado a prendere Morgana, allora- sapeva che non servivano altre parole: era tempo d’agire.
 
Merlin, ancora intontito dal colpo ricevuto in testa, non si rese immediatamente conto della terribile situazione: tutto ciò che provava, era un forte dolore alla nuca. Come se qualcuno avesse provato a fratturargli il cranio.
Ma appena il dolore diventò insostenibile, anche i suoi sensi si riattivarono completamente e la percezione di quanto lo circondava, diventò spaventosamente limpida: sarebbe morto di paura entro pochi minuti.
Era solo e a giudicare dalla forte stretta attorno ai polsi, qualcuno lo aveva legato, con le mani dietro la schiena. Quel posto, ovunque fosse finito, puzzava di plastica e di erba marcia.
Ma non era questo a preoccuparlo maggiormente, quanto la pressoché totale oscurità che lo attorniava e l’essere chiuso in un luogo apparentemente molto, molto stretto.
Gli mancava l’aria.
Desiderò con tutto sé stesso la luce e gridò con tutta la voce che racchiudeva nei polmoni, sforzando oltre ogni immaginazione il diaframma.
-Fatemi uscire! Fatemi uscire, vi prego!-
Merlin si sentì vagamente sollevato, quando uno spiraglio di luce gli colpì il volto. Forse lo avevano trovato e lo avrebbero tirato fuori di lì. Ma quella gioia svanì così com’era venuta. Nessuno lo avrebbe salvato.
L’oggetto che si calava sinuoso come un cobra velenoso in quel contenitore, era una canna per l’acqua. La scrutò, domandandosi in un momento di ingenua lucidità per quale ragione lo avessero rinchiuso lì, con quell’affare. La risposta non tardò ad arrivare: un potente getto lo colpì in testa, infradiciandogli i capelli color ebano, che gli si appiccicarono alla nuca e sulla fronte. Il liquido trasparente gli colò lungo il viso, sul naso, rendendo ancora più difficile respirare.
I suoi polmoni iniziarono a lavorare energici, mentre la sensazione di soffocamento lo fece precipitare nell’angoscia. Provò a dimenarsi, a liberarsi dalle corde, ma inutilmente. Quello spazio era troppo angusto per lui e il panico si era ormai completamente impossessato delle sue membra, annebbiando la ragione.
Quando l’acqua riempì il contenitore fino alla caviglia, ne ebbe la certezza: stava per morire...
Il respiro strozzato, il cuore che batteva furioso e i polmoni affaticati per lo sforzo.
Terrorizzato, non si rese neppure conto di aver iniziato a piangere.
Non voleva morire così. Non voleva, senza aver prima detto addio alle persone che amava.
Oh, se solo avesse avvertito Arthur di ciò che aveva scoperto, forse la sua morte non sarebbe stata totalmente inutile! Forse, utilizzando la siringa come indizio, sarebbe risalito al colpevole! Perché era stato così stupido?
L’acqua, ormai, gli arrivava alle spalle. Singhiozzò e avvertì il muco risalire la trachea, tappargli il naso.
Sarebbe morto...
La paura ebbe il sopravvento. Il buio e il poco spazio rimasti lo portarono al limite della sopportazione e il suo fisico, i suoi polmoni si arresero, bloccandosi per alcuni, lunghi secondi.
Tanto, era tutto inutile. Ormai era spacciato, no?
L’acqua aveva superato il mento.
Merlin si accasciò, contro quella superficie liscia che lo costringeva all’oscurità. Quando le sue labbra sfiorarono la superficie di quel liquido, pensò intensamente ad Arthur. Immaginando che quello fosse il loro ultimo bacio.
Così, forse, avrebbe trovato la forza di affrontare la divina mietitrice.

 

  
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