Fanfic su artisti musicali > All Time Low
Ricorda la storia  |      
Autore: Josie_    20/11/2011    5 recensioni
Questa one-shot è stata ispirata dal chitarrista degli ATL, Jack, e da quella magnifica ragazza che è Taylor Jardine, cantante degli We Are The In Crowd.
"Quelle luci soffuse e quel terribile odore acre furono la prima cosa che notai. Poi i medici, gli infermieri e Alex che sorrise e mi accompagnò fino a lei. Fino a loro. La guardavo e tremavo di paura. Non ero mai stato più spaventato in vita mia, lo ammetto. Lei mi stringeva forte la mano convinta che sarebbe stato per sempre. Per sempre. Lei, io e la nostra bambina."
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
14 luglio 2011
 
Quelle luci soffuse e quel terribile odore acre furono la prima cosa che notai. Poi i medici, gli infermieri e Alex che sorrise e mi accompagnò fino a lei. Fino a loro. La guardavo e tremavo di paura. Non ero mai stato più spaventato in vita mia, lo ammetto. Lei mi stringeva forte la mano convinta che sarebbe stato per sempre. Per sempre. Lei, io e la nostra bambina.
 
24 novembre 2017
 
Era un venerdì pomeriggio come un altro. Il sole splendeva alto nel cielo di Los Angeles e tutto sembrava scorrere per il verso giusto, ogni cosa seguiva la propria routine. Stavo guidando verso casa, come facevo ogni venerdì pomeriggio, con la voce squillante di April ad accompagnarmi lungo il tragitto. Adoravo sentirla parlare. Adoravo ogni cosa di lei, effettivamente. Aveva i miei stessi occhi scuri -che stavano molto meglio sul suo viso a dir la verità- e le ciglia deliziosamente lunghe. Ma ciò che più amavo di lei era il sorriso. Dio, aveva il sorriso più bello del mondo: quello di sua madre. 
Andava tutto per il verso giusto, dicevo, finché non arrivammo a casa. April si tolse le scarpe e mi tirò per la manica lungo tutto il corridoio per poi lasciarmi andare nella sua cameretta. Fece cadere il suo zainetto a terra e ne estrasse un foglietto strappato da qualche quaderno.
"La mamma mi ha detto di darti questo." disse semplicemente e mi consegnò il pezzo di carta. 
Non appena lo vide nelle mie mani corse via, probabilmente in salotto a giocare, pensai sedendomi sul lettino. Tenevo quel foglio piegato in due tra le dita e mi chiedevo perché mai Taylor mi avesse scritto un biglietto anziché telefonarmi, se proprio doveva dirmi qualcosa. Fu così che lo aprii e in un istante il mio cuore si fermò. Lessi quella breve frase e lo sentii dissolversi come fumo, attraversarmi il petto e mischiarsi con l'aria troppo pesante.
"Torna a casa. Ti voglio bene." diceva così. Sentivo delle fitte allo stomaco che non fecero che aumentare insieme al respiro spezzato. Quella calligrafia tonda ed incerta non era di Taylor. Quella "casa" scritta con due "s" e quel "voglio" storpiato in "volgio" non erano certo opera sua. Chiusi delicatamente il biglietto, incapace di guardare quelle parole scritte da mia figlia per un istante di più.
"April..." -la chiamai così piano da riuscire a sentire a malapena la mia stessa voce- "April, puoi venire un momento?" 
Sentii i suoi passi leggeri correre per il corridoio e presto la vidi sulla soglia della camera che mi guardava innocentemente.
"Piccola, vieni qui." 
Si sedette sulle mie gambe senza dire una parola e mi sorrise con quel sorriso così doloroso da costringermi a distogliere lo sguardo. 
"Sei sicura che questo foglietto te l'abbia dato la mamma?"
"Certo."
"Credo che se la mamma avesse voluto farmi avere un biglietto non si sarebbe firmata «la mamma», non pensi anche tu?"
"No."
"Ti faccio un'altra domanda, allora. Mi vuoi bene?"
"Certo."
"Quindi non mi diresti mai delle bugie, vero?"
Riportai lo sguardo su di lei e vidi che aveva abbassato il viso e si fissava i piedi incapace di rispondermi. Le carezzai dolcemente una guancia e di riflesso lei scoppiò in lacrime. Mi gettò le braccia al collo e io non potei fare altro che stringerla forte trattenendomi dallo sciogliermi in singhiozzi come lei.
"Tesoro, non piangere..." sussurrai accarezzandole i capelli.
"Perché non vuoi più bene alla mamma?"
A quella domanda mi sentii morire. Chiusi gli occhi e richiamai il viso di Taylor alla mia mente. Rividi la nostra vita insieme, i nostri sorrisi che si promettevano eternità; rividi l'amore che solo con lei avevo provato e l'amore che con lei era nato. E mi sentii morire.
"Io...certo che le voglio bene. Gliene voglio molto, moltissimo!"
"E allora perché la fai piangere? Perché non torni a casa?"
Trovai il coraggio di guardare mia figlia con la speranza che non notasse la tristezza in fondo ai miei occhi.
"Vedi, April, ci sono cose che non puoi ancora capire. Cose che riguardano solo la mamma e il papà e...hai visto la mamma piangere?"
"Si..."
L'immagine del viso di Taylor in lacrime mi costrinse ad alzarmi. Presi il cappotto e le scarpine di April, le chiavi e in meno di trenta secondi eravamo già in auto.
"Dove stiamo andando, papà?"
"Dalla mamma, April, ti va?"
 
Scesi dalla macchina e presi per mano mia figlia quasi per farmi coraggio. La testa mi stava esplodendo per il troppo pensare: avevo trascorso l'ultima mezz'ora ad immaginarmi tutte le reazioni possibili di Taylor al mio discorso. Discorso, tra l'altro, che non avevo ancora preparato. Ero rimasto davvero sconvolto da quello che era successo quel pomeriggio, il biglietto di April aveva riaperto una ferita che ormai credevo cicatrizzata per sempre. Mi aveva ridato speranza, illusione magari, e tante, tantissime aspettative. Sia io che Taylor eravamo troppo orgogliosi per ammettere i nostri sbagli, lo sapevo bene, però le lacrime della nostra bambina mi avevano spinto a chiedere scusa. Ecco, il mio discorso sarebbe potuto cominciare così, con delle semplici scuse.
April bussò impaziente alla porta e aspettò saltellando da un piede all'altro che la mamma le venisse ad aprire. Io, nel frattempo, sudavo freddo. Sentivo il cuore battermi in fondo allo stomaco ed iniziai a dubitare di ogni cosa. Forse sarebbe stato meglio se me ne fossi rimasto zitto. Magari Taylor non stava così male come diceva April e magari non aveva alcuna intenzione di perdonarmi. Ecco, forse avrei fatto meglio a tornarmene sui miei passi. Ma appena incontrai i suoi occhi sorpresi quando aprì la porta mi maledii per quei pensieri. Come potevo essere così dannatamente codardo? Mi passai una mano tra i capelli cercando di apparire disinvolto, avevo il terrore che potesse leggermi come un libro aperto. Sapevo che ne era capace. 
"Come mai già a casa?" domandò rivolgendosi alla piccola e presi un respiro profondo approfittando del fatto che non mi stesse guardando. 
Dovevo rilassarmi. L'agitazione non portava assolutamente a nulla di buono, per la miseria! Mi ripetei che quella magnifica ragazza che avevo davanti era Taylor, solamente Taylor. La madre di mia figlia...l'amore della mia vita. Non c'era alcun motivo di essere agitati, no?!
"Mi ci ha portata papà." rispose April alzando le spalle e in un microsecondo era già sparita in casa.
Taylor la seguì con lo sguardo leggermente accigliata poi, finalmente, portò l'attenzione su di me.
"Che succede? Imprevisti da rock star?" mi domandò con quel suo tono acido che proprio non sopportavo. 
"No, avrei solo bisogno di parlarti. Hai un momento?"
Lei annuì poco convinta e mi lasciò entrare. Mi asciugai le mani sudate sui jeans e presi un altro respiro. A guardarla non sembrava molto propensa a fare conversazione: teneva le braccia incrociate strette al petto e guardava un punto indefinito del muro, come se anche solo la mia presenza la infastidisse. Come biasimarla, d'altronde?
"Oggi April mi ha dato un biglietto." -esordii cercandolo nella tasca posteriore dei pantaloni- "Credo sia il caso che tu lo legga."
Me lo strappò di mano con veramente poca calma. Era ancora terribilmente arrabbiata, diavolo! Come poteva esserlo dopo tutti quegli anni?
La guardai giusto in tempo per vedere il suo bel viso sbiancare quando finì di leggere quelle parole scritte da April. Era rimasta sorpresa anche lei, non c'era dubbio. 
"Oddio, Jack..." sussurrò guardandomi in modo totalmente diverso da come aveva fatto fino a qualche secondo prima.
"April è davvero triste per questa situazione, Taylor, e anche io. Ho bisogno di parlare con te."
Taylor abbassò lo sguardo sul foglietto che aveva ripiegato accuratamente. Ero certo che stesse pensando alla bimba, lo capivo dalle sopracciglia leggermente incurvate che mostravano quanto fosse preoccupata. Feci un passo verso di lei e in quel momento decisi di ascoltare ogni emozione che avevo represso per ben cinque lunghi anni. Mi sentii colmare di odio per me stesso, di un senso di colpa così puro che temetti di non poterlo sopportare. Ero proprio un essere orribile, quella era la verità.
"Tay, parlami, ti prego..."
"Non c'è proprio nulla da dire."
"Ti sbagli. Io ho talmente tante cose da dirti che probabilmente non basterà una giornata intera. Prima di tutto voglio tu sappia che mi dispiace. Mi dispiace da morire di essere stato un idiota egoista del cazzo, ma cerca di capirmi...dovevo andare in tour con i ragazzi!"
"Capirti? Diamine, Jack, è proprio per questo che ti ho lasciato! Sono sempre io che devo capire te! Sei sempre tu quello al centro dell'universo! Tu, tu e soltanto tu! Come puoi anche solo minimamente pensare di..." non finì nemmeno la frase. Era troppo arrabbiata per riuscire anche solo a formulare un pensiero coerente. L'avevo vista così solamente un'altra volta: la notte che mi aveva lasciato e fu tremendo rivederla così in quel momento.
"Taylor, calmati! Sono venuto qui per parlare, non per litigare! Sono venuto qui per chiederti scusa!"
"Ci hai abbandonate, Jack!" -gridò con le lacrime agli occhi- "Ci hai abbandonate! Non ti perdonerò mai! Mai!"
"Ascoltami! Fermati un momento e ascoltami, dannazione! Eravamo così giovani, Taylor, che non ho saputo ragionare. Ero sicuro che non sarei mai stato un buon padre per April e infatti guarda dove siamo oggi! Credi che per me sia stato facile lasciarvi così? Lo so benissimo che è stata una mia scelta, ma non credere che non me ne sia pentito! Mi sono maledetto ogni fottutissimo giorno da quando quel tour è iniziato! Ogni sera guardavo tra il pubblico sperando di vedere il tuo viso, speravo che mi avreste raggiunto e invece sono rimasto solo. Più tempo passava più la situazione peggiorava e ora ci è decisamente sfuggita di mano, è degenerata. Siamo ancora in tempo per sistemare le cose, lo sai. Sono qui adesso e non me ne andrò più. Mai più."
Ormai Taylor piangeva e ogni lacrima che le scorreva lungo la guancia era come una spinta verso un tunnel buio ed infinito. L'unica cosa certa in quel momento era che non avevo intenzione di finirci, in quel tunnel.
"Credi che basti rifilarmi qualche stupida scusa per far passare tutto? Sono trascorsi cinque anni, Jack! Possibile che tu non abbia avuto il coraggio di venire da me un po' prima?"
"E' che vedevo crescere nostra figlia così bene che ero sicuro che voi due steste bene anche senza di me. Ma oggi, quando April mi ha fatto leggere quel maledetto biglietto mi sono sentito morire. Ogni certezza si è frantumata nel momento esatto in cui ho letto quelle parole. Non posso sopportare il fatto che tu ed April stiate male a causa mia. Non posso permetterlo. Voi siete la mia vita e sono stato un povero cretino a non capirlo subito."
Quando April era nata avevo solo 23 anni e ragionavo come un ragazzino di 17. Non ero pronto a diventare padre, non ero pronto a prendermi una responsabilità così grande. Così quando la mia band aveva organizzato un tour, non ci avevo pensato due volte ed ero partito. Abbandonando Taylor con la nostra bimba. Come potevo anche solo in minima parte colpevolizzarla per avermi lasciato? Ma ora le cose erano cambiate. Io ero cambiato. Avevo 29 anni, diamine, e finalmente avevo capito cosa voleva questa vita da me: dovevo prendermi cura di Taylor e di April, prendermi cura della mia famiglia.
"Come faccio a sapere di potermi fidare di te, Jack? Come faccio ad essere certa che non ci lascerai ancora?"
Nella mia mente la risposta brillò più chiara che mai e mi sentii talmente certo che quella fosse la cosa giusta da fare che nemmeno ci riflettei un secondo di più. 
"Perché ora anche io mi fido di me." -le sorrisi e mi inginocchiai davanti a lei prendendole la mano- "Taylor Jardine, vuoi sposarmi?"



  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > All Time Low / Vai alla pagina dell'autore: Josie_