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Autore: Occhi Cielo    20/11/2011    6 recensioni
Era una giornata piovosa alla Wammy's. Non che la cosa fosse strana.
I ragazzi si annoiavano. Più di tutti un bambino biondo dagl'occhi come il ghiaccio. Mello osservava la pioggia assorto nei suoi pensieri, fino a quando qualcosa di colorato lo distrasse. Una macchia Rossa.
Questa è la storia di come Mello conobbe Matt, di come i due divennero amici, delle loro avventure e del loro amore che a poco a poco sbocciò, portando nella loro vita un tocco di colore. Come il rosso dell'amore e il rosso dei capelli di Matt che Mello tanto amava. "Pioveva.
Un po' come sempre d'altronde.
Le gocce violente si abbattevano sui vetri della mia finestra. Fuori era grigio. Tutto era avvolto da quest'alone di colore. Grigio.
Grigio come gli alberi, come l'asfalto, come l'erba, come i muri.
Grigio. [...]
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Near | Coppie: Matt/Mello
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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20. Red Spot


Era vicino a me. Ne sentivo il respiro sulla pelle.
Il calore emanato dai suoi sospiri, le fiamme che ardevano sul mio viso come un fuoco appena appiccato. Ne avvertivo la presenza a pochi centimetri dalla mia mano, sentivo i suoi occhi puntati su di me, pronto ad assalirmi al minimo spostamento.
Io rimasi immobile, i denti stretti e la mascella contratta. Per quanto mi sforzassi di rimanere calmo, iniziai a sudare freddo. Le gocce gelate scendevano lente sulla mia fronte, come se avessero voluto richiamare l’attenzione della figura al mio fianco. Le immaginavo brillare nel buio, nonostante non ci fosse stata luce per renderne possibile la lucentezza. Credevo che quell’essere di cui non conoscevo ne’ forma ne’ volto, le avrebbe notate comunque e avrebbe riso di me. Chissà quanto si divertiva. Chissà quanto godeva nel vedermi così paralizzato nella mia paura, nel sentimento che meno avevo provato in vita mia.
Cercai di regolare il respiro, inspirando e espirando con assoluta calma. Provai a rendere meno visibile il rigonfiare del mio petto e a ridurre al minimo il tremore delle gambe. I brividi che mi percorrevano in lungo e in largo, mi causavano spasmi involontari che mi obbligavano a soffocati gemiti.
Non capivo come fosse possibile, mi sentivo caldo, come se il mio corpo fosse stato all’interno di un rogo e fatto bruciare fino alla stregua… eppure, nonostante questo calore, avevo freddo e tremavo come una foglia in balia delle correnti autunnali.
Mi morsi le labbra, ancora impregnate del mio sangue. Sentivo il suo sapore sulla punta della lingua e mi accorsi che non era del suo solito aspro, ma era dolce e mielato. Era.. piacevole.
Ne gustai ancora qualche goccia sorpreso da quella rivelazione. Sfregavo le labbra nel tentativo di comprendere a pieno di cosa si trattasse, se, ancora una volta, ero riuscito a farmi soggiogare dalle fantasie e stavo impazzendo.
Ma più ne consumavo e più quello iniziò a scendere a fiotti nella mia bocca, riempiendone la gola. Quella al passaggio dello strano liquido dolce, bruciava come mi fosse stato conficcato un ferro bollente nella trachea. Ogni tentativo di deglutire si sfociava in un urlo agghiacciante. Iniziai a preoccuparmi pensando che probabilmente era tutta opera di quel demone. Mandarmi a fuoco da dentro con i suoi veleni per vedermi agonizzare.

“Bastardo! Bastardo, bastardo!!”

A quel punto mi resi conto di essermi mosso troppo. Il telo che mi avvolgeva d’un tratto sparì, lasciando passare una corrente fredda che mi colpì in pieno petto, facendomi rabbrividire.
Ero nudo, nel buio intenso. Senza più il telo d’ombra a scaldarmi e ripararmi.
Sentivo il panico, che lento, si impossessava di me.
Iniziai a dimenarmi liquidando i dolori con gemiti e strilli acuti. L’ansia mi assaliva, e accresceva dentro me con la più potente delle paure. Non avevo mai provato niente del genere.
la calma di poco prima si ruppe, il respiro accelerò nuovamente. Il mio corpo era ingovernabile, preso dagli spasmi era come se non ne avessi più il controllo.
Era giunta la fine.


“Meno 10”


Era umido, qualcosa di bagnato e freddo. Lo sentivo sulla fronte, tra i capelli incrostati dal sudore.
Mi colse così di sorpresa che per un secondo il mio cuore cessò di battere.

“Cos..? Che sta succedendo?”

Le domande si susseguirono rapide.

“Perché? Non mi porterà negl’inferi? Che sta accadendo? Cos’è?...”

Ma poi, qualcosa le interruppe bruscamente. Un sospiro. Uno di quelli pieni di angoscia, terribilmente malinconici e tristi. Fu come uno schiaffo sul volto.
Una botta forte, che mi stordì talmente tanto, da rievocare una voce dal miscuglio di ricordi che credevo scomparso. Una voce squillante, una volta gentile e innocente, ora chissà quanto cambiata.

« 
Mello.. ti prego. Non andare di nuovo.»

Le parole si rincorrevano, come una cantilena incessante nelle mie orecchie. Somigliava ad una preghiera, di quelle fatte dagli speranzosi, coloro che non accettavo il destino, che sono disposti a tutto pur che quelle vengano ascoltate.
Non era una preghiera qualunque. Quella voce non chiedeva aiuto a Dio. Non invocava nessuno affinché fosse ascoltata.
No.

Quella voce chiamava me. Mi parlava come se capisse che potevo udirla. Come se mi conoscesse, e nel profondo del suo cuore, sapesse che io ero vivo, o almeno, che ero presente, da qualche parte in quel buio. La sentivo forte, ad un passo dal mio viso. Le sue parole ripetute più e più volte. Sempre le stesse. Mi supplicava, mi chiedeva di restare. Ma di restare dove? In quel nero intenso e opprimente? E dopo tutto, dove sarei potuto andare? Non vedevo vie di uscita. C’eravamo solo noi e il vuoto. Nient’altro.
Noi… chi era?
Sentivo premere sulla fronte quel qualcosa di umido. Ogni tanto spariva, non ne avvertivo più il fresco sulla pelle, poi tornava, ancora più bagnato di prima.
Non riuscivo a capire. Avevo la testa in fiamme, i dolori erano ritornati incessanti a torturarmi come se la cosa li divertisse. La musica era cessata, tutto era muto, se non per il sottofondo melodico di quella voce.
In teoria, mi avrebbe dovuto calmare. Il suono di quella preghiera, in altri tempi, sarebbe stata la ninna nanna più dolce mai sentita. Eppure, in quel momento, più la udivo e più dentro di me accresceva la voglia di spalancare gli occhi, di trovare le labbra che pronunciavano quelle parole. Il volere sfrenato di capire, di tranquillizzare quell’anima in pena e sussurrargli che ero qui, accanto a lei, che non sarei andato da nessuna parte. Che non c’erano posti in quell’inferno in cui avrei potuto nascondermi, che le sue preghiere sarebbero state esaudite.
E più quella voce parlava,  più dentro di me l’adrenalina, l’ansia, il panico e il desiderio accrescevano. Chi era? Conosceva il mio nome… eppure non era il demonio, ne un suo messaggero.
In più altre domande iniziarono nuovamente ad ammucchiarsi nella mia mente.
Cos’era quel liquido, veleno? La roba umida?
E più non trovavo risposte più avrei voluto aprire gli occhi, trovare uno spiraglio di luce per poterla raggiungere. Fuggire da lì e capire cosa stesse accadendo.
Il dolore era forte.
Ma non sto parlando di quello fisico.



“Meno 9”


Il tempo era qualcosa che mi sarebbe piaciuto calcolare. Avrei voluto sapere da quanto vagavo in quello stato. Capire se erano passati minuti, ore.. se non anni. Dopotutto quando si è morti, come si può calcolare l’eternità?
Provai a rilassarmi una volta che la voce si affievolì e ritornò ad essere solo un respiro. A volte sobbalzavo, quando quest’ultimo tornava ad essere preghiera. Capitava quando rimanevo immobile per troppo tempo, quando evitavo il più possibile di fare forzi. Lei ricominciava a cantilenare sempre le stesse parole, le stesse incessanti suppliche…poi tornava ad essere un sospiro.
Andò avanti così per chissà quanto, finché d’un tratto qualcosa cambiò.
La voce si fece più insistente. Il suo tono si alzò perforandomi il timpano.
Fu così inaspettato, che per poco il cuore non fuoriuscì dal petto.
Iniziò a gridare, ad insultarmi. Mi sentii afferrare dalle spalle. Un tocco che bruciava più del sole. Sembrava che l’incavo del mio collo fosse stato creato a posta affinchè quei pollici vi si appoggiassero. E tutto ardeva in una fiamma bollente. Le ossa, la pelle, la testa.. tutto ardeva e andava a fuoco.
Avrei dovuto aver paura, ma quel pianto, quelle urla che nascondevano delle lacrime aspre, mi commossero fino a toccare il fondo del mio cuore, che ormai credevo morto con me.

« Sei un fottuto stronzo!! Mi stai di nuovo abbandonando eh?! Che cazzo credi ?! Che ho fatto tutto questo per vederti crepare tra le mie braccia? Merda, merda, merda!!! Sei solo un bastardo! Un fottuto bastardo!» 

Ma io non volevo. Non volevo che le lacrime che in quel momento sentivo rigare le mie guance, solcassero il mio viso. Non volevo piangere. Non volevo mostrare quanto strazio quella voce mi portasse nell’anima.
Erano lacrime che non avevo mai versato, lacrime che mi portarono in un passato remoto a privo di ogni colore.
Quella voce, sebbene in quel momento fosse roca e smorzata da numerosi singhiozzi, mi riportò a mente un pomeriggio di pioggia, noioso, come un vecchio film in bianco e nero.
Fu un ricordo così nitido. Lo ripercorsi lentamente…
 
« Mello… Mello ma tu..? O Dio, che ti succede? Perché stai..? Merda, che cazzo ti sta accadendo?! Ti prego» 

Poi la vidi. La macchia rossa.
E fu un attimo.
Tutta la forza nel corpo, quella che era rimasta sepolta sotto il dolore e le ustioni, quella che sapevo ancora viva dentro di me, venne fuori. La sprigionai con una potenza tale, che ogni strazio venne scavalcato dal ricordo di quella macchia. Quel desiderio irrefrenabile che fino a poco prima trovavo sconosciuto, ma che in quel momento ricordavo.
Forzai le palpebre ad aprirsi, sentivo le mani schiudersi dai pugni.. il respiro mozzato di chi mi stava accanto. Il sudore imperlò nuovamente la mia fronte, le braccia e  il petto. La schiena si inarcò sotto una pressione immane. Avvertivo le ossa riprendere vigore, scrocchiare, costrette da quella potenza che mai credevo di riuscire a sprigionare.
E poi…


Fu fuoco.
Come il tramonto. Come il riverbero della sua luce sulla cresta di un’onda. Rosso come il sangue che spicca su una rosa bianca. Come il cuore, come un fiore di campo o un papavero appena sbocciato. Rosso come le ciliege a primavera o il fuoco che crepita nei camini d’inverno. Era rosso, come le foglie che lentamente si abbandonano all’autunno, e non fanno niente per ribellarsi. Era, come la luna in quelle giornate particolari, come il profumo della brace o il sapore del proibito. Rosso come l’odio e l’amore, o il sapore ingenuo di una carezza o quello dolce di un bacio.
Rosso come le labbra, i capelli, le lentiggini. Come il rogo, come il Fuoco.

Fu una macchia rossa in quella strana luce smorzata. L’unico punto di colore nell’intero buio, nel grigio. In una vita terminata, in un monocromatico ricordo di tristezza.
Fu una macchia rossa, sfocata sullo sfondo dei miei occhi di un azzurro ormai spento. La mia ancora di salvezza, il porto sicuro.
Fu quella. Fu lei a bruciare come il fuoco. A far sparire ogni dolore, incertezza. Ogni triste lacrima. A far evaporare i ricordi più brutti, rimpiazzandoli con il calore e il suo ardere incessante.
Fu lei ad accogliermi dopo le tenebre.


E poi vidi altro..
Oltre lo shock, l’improvviso caldo, l’incendio appiccato nel mio cuore…Incrociai lo sguardo con qualcosa.
Due occhi. Due occhi di un verde intenso che mi fissavano e riportarono la mia anima alla vita.


"Meno 8"



  
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