Prompt: profumo
1944
Capelli biondi tirati all'indietro sulla nuca, appena visibili sotto il berretto.
Guanti neri, stivali lucidi, croce di ferro al collo.
Occhi glauchi e freddi
Pelle chiara.
Un armadio di muscoli.
Una perfetta macchina omicida.
L'uomo che corrispondeva alla sopracitata descrizione spalancò la porta d'ngresso, percorse l'atrio con ampie e pesanti falcate e si lasciò sedere pesantemente su una seggiola.
Li odiava tutti.
Che crepassero. Che andassero a quel paese.
I suoi superiori imbecilli che impiegavano giorni a dargli ordini e per di più contrastanti.
I suoi sottoposti, soldati addestrarti del Reich, che si facevano fregare da un manipolo di partigiani.
Italia, tutte e due le parti, che non appena la situazione si era fatta un pochino critica, si era fatto prendere dal panico, gettandosi fra le braccia di Alfred F.Jones e Arthur Kirkland.
Afferrò con i denti la punta di uno dei guanti di pelle che indossava e tirò. Li portava sempre per non venire a contatto con quella feccia.
E mica erano tutti ingenui e sprovveduti come Feliciano, gli italiani. Finchè si trattava di combattere in campo aperto erano delle nullità, ma se li si affrontava sul loro territorio, nei boschi e tra le montagne, le circostanze giravano a loro vantaggio.
Germania lo aveva imparato a sue spese.
Fece stridere i denti per la rabbia.
E Italia a fare di tutta l'erba un fascio, a piangere sui morti perché erano italiani.
Non gliel'aveva insegnato che la guerra è un ammasso di compromessi? Che anche lui era stato costretto ad uccidere dei tedeschi, sangue del suo sangue, e mica aveva fatto tutte quelle scenate.
Del resto lui obbediva solo agli ordini. Era lui a doversi sporcare le mani, mentre i gerarchi del partito se ne stavano nei loro comodi uffici.
Se almeno la gente si fosse decisa a morire con un po' meno di strepito. Senza tutti quei pianti, e gemiti, e suppliche e tremiti. E chi rimaneva in vita gli urlava contro.
Li detestava Ludwig; voleva andarsene da quel Paese. Che lo lasciassero pure agli Alleati, poco importava. Voleva tornare a casa.
Era stanco di ammazzare civili. Di combattere in una guerriglia impari; di sentire lo sguardo accusatore di Feliciano alle sue spalle.
Si passò una mano fra i capelli. Solo allora si accorse del piatto di patate fredde e scotte suo tavolo. Italia non si sprecava certo per chi gli uccideva i compatrioti. Ludwig lo chiamò a gran voce, ma non ebbe risposta. Ecco che sapeva sparire quando voleva, l'infame.
Dopo un assaggio veloce, stabilì che erano immangiabili.
Si alzò e si diresse nella cucina dell'ex-alleato. Un tempo era stata pulita e luminosa e impregnata dal profumo di manicaretti e leccornie- Feliciano avrà avuto tanti difetti, ma sapeva cucinare alla grande- ma ora si era ridotta a una stanza buia e polverosa, lo specchio di una promessa mai mantenuta.
Gettò le patate nella spazzatura.
Note: penultimo capitolo, tutto DarkGermany centric. Era da tempo che l'idea mi frullava per la testa, quindi scriverlo è stato qualcosa di rapido.
Non so, muovere questo lato del personaggio mi piace; è una sorta di scavo nelle passioni umane.