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Autore: Haruakira    21/11/2011    3 recensioni
Le Parche erano intervenute nella precedente guerra. Erano state chiare: una vita per una vita è il compromesso a cui bisogna cedere per riportare indietro chi si è perso nella bocca dell' Ade. Ma se questo patto nel momento stesso in cui si tinge di sangue rompe un faticoso equilibrio? E se le custodi perdono la luce? Per scongiurare la fine del mondo i cavalieri di Atena dovranno percorrere per intero il filo sottile condiviso dalla vita e dalla morte, da giusto e sbagliato. Le senshi infine dovranno fare i conti col dubbio: una vita vale l' errore, vale il tradimento?
Possibili OOC.Forse.
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ATTENZIONE: La seguente premessa vale come ricorderete per tutta la ff e credo in particolare per questo capitolo: Non me la sono sentita di alzare il raiting a rosso per dare a tutte le persone che avevano seguito "Rinascere" la possibilità di leggere questo seguito ma le tematiche trattate saranno pesanti e delicate e dunque non adatte a tutti. Vi prego di chiudere la pagina e di non leggere se non ve la sentite o vi ritenete particolaremente sensibili, se insomma la cosa non vi va bene. Confido nel vostro buon senso.
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Capitolo 11
Il passato è sulla porta di casa. Il futuro è in arrivo.

Talia quando si era svegliata quella mattina si era stiracchiata per permettere al torpore di abbandonare i muscoli dopo un lungo sonno, si era svegliata sorridendo e pensando che Antares sarebbe tornata e che Febe avrebbe cucinato qualcosa di buono per tutte, guardando fuori dalla finestra aveva messo il broncio perchè pioveva a dirotto, "pazienza", si era detta risoluta, " troverò il modo di trascinarle ugualmente per negozi". Già dal mattino sapeva come sarebbe andata la loro giornata. Dovevano intanto comprare un mucchio di cose per il bambino - o bambina, questo ancora non lo sapevano- di Febe e poi avrebbero fatto una maratona di vecchi film. Tutto programmato, tutto bello e perfetto. E allora perchè era andata diversamente? Perchè per l' ennesima volta si ritrovava tra le quattro mura di un ospedale con i genitori di Antares che discutevano con i medici se portarla al reparto di psichiatria o meno e con Febe terrorizzata in sala parto? Che ci facevano lì loro, proprio loro? No, c' era uno sbaglio, non doveva andare così. "Destino, ehi, ascoltami", avrebbe protestato, "c' è uno sbaglio! Noi non dovremmo essere qui! "
E invece tutte quelle proteste erano solo nella sua testa. Con chi poteva lamentarsi?
Solo un attimo, solo un attimo si era sentita al sicuro, quando aveva incrociato i suoi occhi.
Sentiva Febe piangere e gridare. Salvate il mio bambino, diceva. Talia ebbe di nuovo paura, aveva perso il conto per tutte le volte che ne aveva avuta per quella sera. Si tappò istintivamente le orecchie, non ce la faceva a sentire le urla di Febe, il silenzio di Antares. Tutto questo la scuoteva nel profondo, era come se le loro emozioni, il loro dolore nascessero dentro di lei e si mescolassero al suo dolore, come se non ne avesse già abbastanza.
Sentì un tocco leggero sul polso, si voltò e vide un ragazzo biondo chinato accanto al suo viso. Sapeva chi era, lo sapeva perfettamente, Shaka di Virgo lo avevano chiamato gli uomini che erano con lui e che le avevano portate in quell' ospedale, si era ricordata per un momento di lui e ora se ne ricordava col cuore, con l' anima, con l' istinto di un ricordo sbiadito e sfumato.  La struttura apparteneva alla fondazione Kido e Talia ebbe come l' impressione che per i medici e le infermiere dell' enorme clinica fosse tutto sommato ordinario vedere nei loro corridoi dei ragazzi che si trascinavano dietro enormi casse dorate. Lasciò istintivamente che la mano del ragazzo allontanasse le sue dalle orecchie, lo vide accomodarsi compostamente al suo fianco.
Cosa avevano fatto di male? si domandò Talia.
-Cosa abbiamo fatto per meritarci tutto questo?- glielo chiese, proprio a lui, ad alta voce, piangendo.- Cosa?!- ripetè prima di alzarsi di scatto e correre verso le porte della sala in cui si trovava Febe, ci appoggiò la fronte, l' orecchio. La sentiva ancora gridare e si chiese se avrebbero mai saputo il sesso del bambino, Febe ne sarebbe morta, ne era certa e lei non lo avrebbe sopportato.
Shaka andò lentamente verso Talia, la prese delicatamente per le spalle facendola allontanare:- Non è un bene che tu stia qui.
-Tanto le sento lo stesso. Le sento entrambe- aveva detto senza smettere di piangere, con stizza- Antares non è pazza!- aveva urlato poi verso i genitori dell' amica.
Uno dei medici si fece avanti:- Signorina, nessuno di noi ha detto che la sua amica lo sia, ma è innegabile che abbia subito un forte trauma e noi qui non possiamo fare nulla, adesso bisognerà affidarci ai colleghi del reparto di psichiatria.
-Lei non la conosce, non può dire questo! Antares è forte! E' dannatamente forte e ci vuole bene e sa perchè si riprenderà? Lo sa? Perchè ci ama, perchè per lei sarebbe un dolore vederci star male per lei, ecco perchè. Perchè deve vedere il suo nipotino o la sua nipotina, perchè, cazzo, quel bambino nascerà! Nascerà!
L' uomo aveva fatto cenno ad alcuni infermieri di far allontanare la ragazza mentre il cavaliere di Virgo assisteva impotente alla scena, si fece avanti, ancora una volta, ancora una volta l' uomo più vicino agli dei si avvicinava al mondo degli uomini, quello più marcio e doloroso, prendendo la mano di una ragazza.
-Urlare non farà nascere il figlio di Febe nè rinsavire Antares.
-Starò meglio
-No, trasmetti tensione a chi ti sta intorno, alimenti il dolore che già ti divora dentro. Controllalo, non farti mangiare.
E Talia si era seduta ed era rimasta in silenzio. Si alzava regolarmente ogni ora per andare a vomitare il suo nervosismo, il panico e la paura nel bagno, per il resto piangeva e aspettava. Quello è Alex, si disse a un certo punto guardando il ragazzo che parlava con i genitori di Antares. E quello nella sua stanza, quello che le stringe la mano, realizzò, è Saga di Gemini.

Antares nei giorni trascorsi in famiglia aveva avuto modo di riallacciare nuovamente i rapporti con Alex. La loro amicizia, nonostante i lunghi mesi di silenzio, sembrava essere ancora solida. Parlavano senza imbarazzo e senza imbarazzo Alex le regalava grandi baci sulle guance e abbracci che la tenevano al caldo, una volta le aveva anche preso la mano e avevano passeggiato così, come se tra loro ci fosse qualcosa di più di un' amicizia ripresa da meno di un giorno. I genitori di Alex avevano cenato a casa sua e tutto sembrava così giusto, così perfetto. Tutti andavano d' accordo con tutti e le loro madri avevano ricominciato con i classici discorsi in cui speravano di vederli insieme. Antares aveva sentito volare paroloni come consuocere, abitare vicino a loro e termini affini. Lei a quella roba non ci pensava proprio, doveva laurearsi prima e magari trovare un lavoro, e sì, forse anche qualcuno da amare. La ragazza doveva ammettere che tutti quelli che conoscevano lei e Alex in quel paese avevano sempre pensato che prima o poi si sarebeo messi insieme, poi quell' idea era sparita quando si erano allontanati negli ultimi mesi di liceo e infine all' università. Nonostante entrambi fossero andati ad abitare ad Atene e Alex studiasse medicina, non troppo lontano dalla facoltà di Antares, non si erano mai visti nè sentiti prima di quel giorno. E allora tutto sembrava essere ricominciato. Antares aveva creduto di essere ancora innamorata di Alex, ammesso che amore poteva definire quella strana cotta che si era portata dietro per anni, a scuola, e invece era sorpresa perchè quel sentimento sembrava essere sparito, sbiadito, lontano. Si cresce, si era detta, è normale. Non le batteva più forte il cuore ogni volta che lui la abbracciava o le parlava, non si sentiva al settimo cielo se la guardava e le sorrideva.
-Ann, mi dispiace se in tutti questi mesi non mi sono più fatto sentire- aveva iniziato Alex un giorno stringendole forte la mano- ma dovevo cercare di capire. Il nostro rapporto è sempre stato in bilico, non era amicizia, non era amore. Dovevo capire. Ann, tu mi hai aspettato?
Antares aveva aggrottato le sopracciglia, non capiva:- Che intendi dire, scusa?
-So che sei stata innamorata di me- aveva inziato il ragazzo prima che Antares lo interrompesse brusca.
-Io non mai detto di essere innamorata di te.
Alex aveva sorriso, malizioso:- Si vedeva Ann. Ogni volta che litigavamo mi cercavi anche se ero io quello in torto, venivi tu da me quando non volevo uscire, diventavi tutta rossa se ti abbracciavo...
- In pratica ero il tuo cane- concluse Antares con ovvietà- Alex, ero una ragazzina stupida... e idiota. Hai mai sentito da me testuali parole: ti amo? Ti ho mai detto "sono innamorata di te"? No, e non l' ho fatto perchè non lo sentivo.
-Cazzate Ann, sei stata tu a dirmi "meglio se ci allontantiamo per un poco perchè non ce la faccio così", perchè non ce la facevi a sentirmi parlare di Elena, ecco perchè- si inalberò il ragazzo- E' assurdo, neghi l' evidenza.
-Cotta, si chiama cotta e ti avverto, mi stai facendo incazzare. Arriva al punto.
-Con te non si può mai parlare- aveva sospirato Alex- comunque mi piaci, Ann- aveva aggiunto- ora sono pronto.
Antares si era azata dalla panchina su cui si trovavano:- E allora no, Alex, non ti ho aspettato, non ho aspettato che tu fossi pronto.
Alla fine era comunque rimasta quasi una settimana lontana dalle ragazze perchè in fondo si stava bene a scappare dal dolore. In quei mesi i capelli stavano riscrescendo, ora le arrivavano alla base del collo ma soprattutto proprio in quei giorni erano ritornati rossi e questo lo doveva a sua madre che aveva insistito per portarla dal parrucchiere e poi doveva anche ringraziare suo padre perchè aveva trovato i sonniferi e tutte le pasticche che prendeva e l' aveva trascinata dal medico.
-Non prenderai più questa roba. All' inizio non sarà semplice ma non la prenderai più perchè se lo farai me ne accorgerò e allora Antares non rivedrai più Atene, nè Febe, nè Talia- aveva detto il generale. Ottimo deterrente, concluse la ragazza.
Quando era tornata a casa era pronta a ricominciare per davvero, era convinta che nessuna di loro si sarebbe fatta distruggere dal dolore e i suoi capelli, i suoi adorati capelli, quelli che aveva tagliato e rovinato, che aveva tinto come la pece, erano rossi. Brillavano e ne andava fiera, non sapeva perchè. Eppure quando sembravano pronte per rialzarsi qualcosa le aveva buttate di nuovo a terra. Stavano guardando un film alla televisione, era piuttosto tardi e Febe aveva approfittato di uno stacco pubblicitario per alzarsi, era ritornata portando una busta e mostrando loro l' interno, aveva letto ad alta voce cosa vi era scritto e allora il film era finito nel dimenticatoio per lasciare posto a una serie di dubbi.
-Questa è la scrittura di Talia- aveva detto Antares- ti avrà fatto qualche scherzo.
-E la foto?- aveva chiesto la mora
-Un fotomontaggio. Oggi si può fare di tutto al computer
-Ann- aveva esordito Talia- me lo ricorderei se avessi fatto uno scherzo così. E poi se è come dici, perchè queste cose si trovavano in una scatolina nascosta? Non ha senso.
-Ci sono un sacco di cose che non ci ricordiamo- aveva borbottato la rossa per giustificare la sua tesi
-Questo non è un montaggio, lo so, lo capisco... insomma, me ne intendo di foto, no? E questo vi assicuro che non è un montaggio.

Sia Talia che Antares -la seconda suo malgrado- avevano dovuto ammettere che quella foto non gli era del tutto indifferente, che, esattamente al centro del cuore avevano sentito un' emozione strana, di quelle emozioni che sono tutto e sono niente, a cui non sai dare un nome e che si ripercuotono interamente su di te, sul tuo corpo, magari facendo accellerare il cuore e pulsare la testa, e poi sulla mente che inizia a provare quella sensazione di frustrazione per cui sai che manca qualcosa, la tessera di un puzzle; che un dettaglio, un ricordo, qualcosa insomma, sfugge al tuo controllo razionale, alla tua memoria. E' un ricordo nascosto, è presente nell' archivio della tua testa ma non hai la più pallida idea del cassetto in cui cercare. E in effetti per quella sera non ebbero neppure il tempo di cercarlo quel benedetto cassetto, erano andate a dormire forti della filosofia che la notte porti consiglio e invece si erano ritrovate qualcuno che le afferrava malamente buttandole giù dei propri letti e trascinandole in salotto, verso l' entrata. Talia aveva rigettato tutto quello che aveva mangiato sul tappetto mentre Febe scivolava in un angolino, come se volesse sparire aveva abbracciato sè stessa, aveva cercato di nascondere il pancione. Antares era terrorizzata, come tutte, era rimasta ferma al centro della stanza e lo guardava, guardava Andrea e il suo amico e non sapeva che diavolo fare.
-Paura, eh, bastarda?- aveva esordito il ragazzo- Guarda.- aveva aggiunto alzando una pistola scura sotto il suo naso- lo sai cosa è questa? Certo che lo sai. Fa paura vero?
Antares spostò lo sguardo da Andrea alla pistola, dalla pistola ad Andrea e si pentì per quello che aveva fatto in discoteca. Forse se si fosse limitata a scappare con Talia tutto quello non sarebbe successo.  Fissò un' altra volta il ragazzo, "non guardarmi" aveva urlato prima di colpirle il mento facendola cadere a terra.
-Ector- chiamò poi spostandosi verso Talia e accarezzandole lascivamente la gamba- questa è la puttana che non ha venduto la tua droga. Fanne quello che vuoi, ti risarcisco con i suoi servizi.
E Talia, che si era spostata all' improvviso da quel tocco andando a sbattere contro il pianoforte a parete alle sue spalle, si era sentita di nuovo sporca, di nuovo colpevole, di nuovo una merce di scambio. Che qualcuno le aiutasse, che qualcuno le aiutasse, urlò nella sua testa. Si voltò di scatto non appena sentì il pianto di Febe, sembrava ancora più piccola e indifesa in quello stato. La sentirono anche i due uomini, si spostarono verso di lei e Talia coprì i pochi passi che le separavano per mettersi davanti all' amica -e al piccolo- tremando come una foglia e completamente impotente ma decisa a non spostarsi da lì.
-Quella è incinta- disse l' altro ragazzo con una smorfia- è inutile. Per ora la chiudiamo nello sgabuzzino.- Aveva dato uno schiaffo a Talia facendole battere la testa contro il muro, senza riguardo aveva costretto Febe ad alzarsi afferrandola per il braccio e spingendola dentro il ripostiglio delle scope, la porta si era chiusa ed era rimasto solo buio, dall' altro lato poteva sentire i rumori, le voci, il dolore. La ragazza portò le mani al pancione, doveva scegliere se mettere le mani sul ventre oppure sulle orecchie per non sentire e scelse suo figlio. Lo accarezzò, lo tranquillizzò o almeno ci provò e tentò di trarne conforto a sua volta. Era terrorizzata, tremava; tremava, piangeva a dirotto e alla fine pregò. Però aveva paura di tutto quel buio, di tutto quel rumore, aveva paura di perdere quello che le restava.
Andrea era ritornato da Antares:- Occupati della bionda mentre io regolo i conti con questa.
La ragazza aveva visto Ector trascinare Talia verso una delle loro stanze.
-Ti ammazzo!- aveva urlato stridula girandosi verso di loro e cercando di seguirli se non che Andrea la afferrò per i capelli e le fece sbattere violentemente il viso contro il pavimento:- Ma allora non hai capito, sei scema. Non potete fare un cazzo! Cos' è? Vuoi fare la voce grossa, ti senti una tigre e invece sei una gattina, la mia schiavetta.
Andrea l' aveva fatta mettere in ginocchio, era dietro di lei e le puntava la pistola contro il fianco, la ragazza stava impazzendo di dolore, ebbe come l' impressione che un grosso livido le si stesse formando rapidamente sulla fronte, sentiva il naso pulsare e il calore del sangue che le riempiva le narici prima di colare sul pavimento, c' era così tanto rosso che giurò di sentirlo attraversare gola, riempire i polmoni,  riversarsi ovunque; le doleva il mento e aveva quasi l' impressione di non poter parlare e capelli, i suoi capelli, quelli che brillavano, l' unica cosa di sè di cui andava orgogliosa. Non aveva mai sopportato granchè il dolore eppure aveva fatto a botte un sacco di volte, eppure erano ormai due anni che tirava pugni su di un ring di boxe. Però il dolore non lo sopportava, cercava di imporselo, imporsi di sopportare ma in realtà aveva una soglia del dolore piuttosto bassa.
Sentì dei colpi provenire dallo sgabuzzino, Andrea si era alzato deciso a farli smettere. Ti tengo sotto tiro, l' aveva avvisata camminando verso il ripostiglio senza mai darle le spalle.
E allora era stato un attimo, si era ricordata del fermacarte nel cassetto del mobile accanto a lei, Andrea si era girato un secondo, solo uno e allora lei era stata veloce, lo aveva preso dal cassetto, si era abbassata e aveva corso i pochi passi che la separavano da lui. Quell' idiota l' aveva vista, aveva sparato, ma Antares gli era comunque addosso, aveva dato una spinta con il piede alla porta del ripostiglio, immediatamente un colpo al cuore dell' uomo sotto di lei e infine aveva visto il braccio di Andrea allentarsi, la pistola cadere per terra ma per lei non era abbastanza.
Il rumore della pistola aveva attirato l' altro ragazzo, nello stesso istante la porta di casa si spalancò e tre figure vestite d' oro fecero risplendere la stanza, o almeno fu quella l' impressione che ne ebbe Antares.

Nei giorni precedenti la dea Atena e il Pontefice avevano inviato la maggior parte dei santi d' oro in giro per il mondo alla disperata ricerca di notizie su Demetra e Kore. La dea per quel momento aveva deciso di mettere al corrente della delicata situazione solo la casta più alta del tempio in modo da evitare allarmismi -benchè giustificati- ed impedire a possibili nemici di trovare anche una falla minima all' interno del sistema del santuario. Nonostante le esortazioni della Glaucopide Camus era rimasto ostinatamente fermo negli Inferi, mentre osservava Sophia pensava che doveva trovare una soluzione, una soluzione veloce magari. Non poteva permettere il coinvolgimento delle senshi, in realtà di sua sorella, nè che Antares facesse la fine della guerriera di Mercurio o che il loro futuro fosse buttato alle ortiche. Aveva avuto un' unica certezza alla fine della guerra passata, ovvero un futuro di pace, con Milo e sua sorella; pace per tutti, pace per l' intero sistema solare. E ora i suoi parigrado volevano chiedere l' intervento delle senshi, un intervento magari inutile e che avrebbe significato contravvenire al veto di Pluto e che poteva cambiare tutto. Tutto. Loro dicevano che l' avvenire era già stato modificato, lui quella possibilità invece non voleva nemmeno prenderla in considerazione.
-Stupidi- borbottò Camus all' indirizzo degli altri gold saints e di uno in particolare.
Antares era l' unica famiglia che aveva, l' unica di cui ricordasse qualcosa, l' unico affetto avuto per un breve periodo della sua infanzia. Ricordava tutto di lei. Ricordava che quando sua mamma gli aveva detto di aspettare un bambino aveva messo il broncio, che quando l' aveva vista per la prima volta aveva pensato a quanto fosse brutta, che era caduta dal seggiolone e lui l' aveva presa con le sue braccine ancora piccole e corte, che le aveva regalato orgoglioso Koko, un coniglio di peluche, che ogni notte quella cosina così simile a lui sgusciava nel suo letto tirandosi addosso tutte le coperte e aggrappandosi al suo collo. Cosa credevano? Che l' idea di non rivederla più gli sorridesse? Che non fosse preoccupato per lei? Aveva visto che era pallida e sciupata, aveva visto e non aveva potuto fare niente.
-Stupida Sophia- ringhiò- alla faccia della sapienza. Tsè... mandare tutto a puttane per quell' idiota di Cancer.
E mentre Camus studiava Sophia giù agli Inferi, Milo e Aiolia tornavano da Delfi con il responso della Pizia, Kanon ripartiva nuovamente per la magione dei Cavendish per parlare della cosa con la Viverna, Shura e Alcesti ritornavano ad Eleusi e Mu, Aldebaran e Aiolia scandagliavano l' Europa e l' Asia minore alla ricerca di notizie sulle dee. Il santuario in quei giorni era particolarmente noioso e solitario, la casa dei Gemelli a Saga sembrava infinitamente triste e silenziosa senza la presenza rumorosa del fratello. Il maggiore dei gemelli non faceva a meno di stupirsi per il comportamento di Camus, un gold saint fuggito agli Inferi gli sembrava una barzelletta e probabilmente avrebbe anche riso se la situazione in cui si trovavano non fosse stata così assurda. Dormiva più o meno tranquillamente quando Shaka di Virgo fece la sua placida irruzione nella sua stanza da letto. Non che non avesse percepito il suo cosmo nonostante il sonno in cui era caduto ma non vedeva perchè avrebbe dovuto alzarsi dal letto. Il cosmo di quel cavaliere da quando lo conosceva non era mai mutato di una virgola, sembrava che nessuna emozione potesse penetrarvi, che riuscisse a separare l' energia del suo cosmo dai suoi sentimenti, ammesso che il Budda si permettesse il lusso di provarli. Solo Ikki di Phoenix e solo durante il loro combattimento durante l' ultima guerra contro Hades aveva giurato di percepire qualche vibrazione insolita, un po' come un sassolino nell' acqua, così piccolo e in grado di produrre delle onde sottili e di breve durata. Però c' erano, il sassolino le onde le creava. E quella notte, quando Shaka aveva aperto la porta della sua stanza pregandolo con voce calma di alzarsi, aveva giurato di percepire un paio di quelle onde, un cambiamento lieve, quasi invisibile.
-Shaka, è strano vederti lasciare il tuo tempio e ancora di più lo è se nel cuore della notte. Che succede?
-Ti prego di alzarti, Saga di Gemini. Temo sia necessario recarsi immediatamente ad Atene. Ti spiegherò brevemente non appena avrò convocato gli altri.
Gli altri nella fattispecie erano Aiolos e Milo.
-Shaka, come mai questa urgenza?- aveva domandato Sagitter mentre si spostavano velocemente verso Atene.
-Posso percepire distintamente ogni cosa- aveva iniziato il ragazzo- concentrandomi posso sentire emozioni, inclinazioni... e questa notte ciò che ho sentito è stata molta sofferenza e una richiesta d' aiuto.
-Shaka, vieni al dunque!- chiese Milo in ansia
-Al tempo Scorpio, l' impazienza non ti sarà d' aiuto. Ho sentito Talia domandare aiuto per sè e per le sue amiche e noi stiamo andando a soccorrerle.
Shaka di Virgo era convinto di essersi distaccato dalle umane cose, in passato era anche stato convinto di non potere cadere in errore, di avere estirpato il dubbio da sè, ma gli eventi, iniziati con la scalata al tempio di una manciata di ragazzini, gli avevano dimostrato il contrario. Nonostante la sua presunta superiorità si trovava impreparato, lui, proprio lui che era l' Illuminato, a fronteggiare l' altro, quelle debolezze umane che inevitabilmente lo coinvolgevano nel momento stesso in cui toccavano chi gli era caro. Lui personalmente riusciva a distaccarsene totalmente o quasi ma chi lo circondava no, incapace di vedere, diversamente da lui, oltre, e incapace di liberarsi delle debolezze. A nulla valeva la sua sapienza, i suoi consigli spesso richiesti proprio dall' altro, e dunque poteva solo stare a guardare l' umana distruzione, lui che era più in alto, lui che era Illuminato. A volte però era capitato che questa umanità che sembrava avere scordato lo coinvolgesse e allora era un fiume in piene da arginare velocemente. Così era stato con Ikki di Phoenix che gli aveva aperto una nuova finestra sulle cose, una finestra che si era immediatamente impegnato a esplorare, capire, superare e innalzarsi ancora una volta e ancora più illuminato di prima, così era stato mentre i traditori salivano le gradinate del tempio, ammirava il loro cuore, accettava un nuovo sacrificio, scopriva che i cavalieri di Atena di quella generazione erano in grado di unirsi e combattere come compagni. E infine c' era Talia, Talia che mesi addietro aveva sconvolto la sua routine, che aveva messo a dura prova la sua calma con balletti assurdi e canzoni stonate sotto la doccia. Talia che con il suo dolore lo aveva colpito come un pugno nel petto. Era un dolore che lo aveva investito, pressato, schiacciato, gli sembrava quasi di provarlo sulla pelle tanto era imponente, irriguardoso, avanzava senza curarsi di schiacciare gli altri. Era un dolore che era paura, paura della morte, paura del dolore stesso, era un dolore che era preoccupazione, enorme e accorata per le persone che amava, era senso di perdita per una perdita che c' era già stata e per altre due che invece ancora non erano perdita ma vite attaccate ad un filo. Era questo e molto altro e colpiva, e feriva.
E poi alla fine era il dubbio. Lo era stato quando lei era caduta verso il vuoto e Virgo temette per la prima volta di non farcela, di arrivare troppo tardi per afferrare il suo braccio e salvarla.

Quando Talia era stata portata nella camera da letto di Febe, la più vicina all' ingresso in cui era rimasto Andrea, aveva capito le intenzioni dell' uomo, non ci voleva poi molto e allora aveva deciso, scuandosi con Febe, Antares e Sophia era uscita di corsa sul balcone e giù, si era buttata giù. Bastava chiudere gli occhi e concentrarsi sulle persone che amava, ormai avevano perso, non c' era scampo a quel giorno, non ce la faceva a lottare, ad accumulare ancora ferite su ferite, tanto valeva concludere con dignità che vivere l' inferno sulla terra. E Shaka, mentre salivano le scale verso il loro appartamento, aveva visto qualcosa - o qualcuno- cadere attraverso le vetrate che sostituivano la parete da un lato. Aveva fatto di corsa le scale, in quei pochi interminabili attimi si era dato fiducia dicendosi che un saint ha il dono della velocità della luce, che, nel momento in cui aveva spalancato la porta di un appartamento sotto lo sguardo stupito e spaventato dei suoi abitanti, ce l' avrebbe fatta. Si era sporto dal balcone e in quell' esatto momento Talia aveva sentito una mano che la afferrava per il braccio, poi aveva visto, aveva visto quella stessa mano coperta d' oro, e poi sù, lungo il braccio, la spalla, tutto era oro in lui. Aveva accarezzato con lo sguardo i capelli biondi che le solleticavano la fronte e gli occhi azzurri aperti su di lei. Sorrise fissandolo dimenticandosi  del vuoto sotto di lei e prendendo a piene mani la pace e il conforto della pienezza di quel viso che le stava sopra, concedendosi alla fine tra le sue braccia il piacere di un ricordo.
-Shaka?- chiamò Talia uscendo nel giardino della sesta casa
-Oh per Atena...e adesso che vuoi?- chiese il saint afflitto
-Che accoglienza! Comunque volevo darti questo
Talia pose sotto al naso di Virgo una serie di fogli scritti a mano.
-Cosa sono?- domandò perplesso il gold
-Un contratto
-....
-E' un contratto che regolerà la nostra convivenza. Leggilo- lo esortò piena di buone intenzioni
Passarono i secondi, i minuti e poi un' ora abbondante e Shaka si ostinava a non girare pagina, fermo alla prima.
-Shaka...e allora?- chiese Talia
-E allora....e allora non si capisce niente, chi l' ha scritto? Una gallina?
-Sì, l' ha scritto la gallina proprio davanti a te
-Ah. Scusa- disse mortificato il cavaliere
-Non importa, l' ho scritto di getto...sai avevo fretta, dovevo accompagnare Dohko per negozi. Facciamo una cosa, ti propongo un patto, poi se ti va bene, lo renderemo valido con una stretta di mano- propose la ragazza
-Uhm....ok- capitolò il ragazzo pensando di non avere molte alternative
E così Talia aveva promesso che sarebbe stata meno rumorosa, che non avrebbe più cantato nè sotto la doccia nè mentre si vestiva, che sarebbe andata a fare la sua oretta di aerobica giornaliera nella settima casa, che avrebbe obbedito a Virgo, il quale a sua volta si impegnava ad essere piu paziente e a spiegarle ciò che non capiva e infine a chiacchierare con lei almeno una mezz' oretta al giorno.
Alla fine del "patto" Shaka tirò fuori dalla tunica una cosa e la diede alla ragazza
-Cerotti per non russare?!- si meravigliò Talia- Io non russo!
-Si invece, quando dormi tu mi sembra di avere in casa dieci elefanti. Se vuoi ti faccio sentire la registrazione- detto questo il santo della Vergine tirò fuori dalla tunica un piccolo registratore nero
-Che cosa? Mi hai registrata?- domandò Talia offesa
-Mi servivano delle prove- rispose placido Shaka.
-E va bene userò questi stupidi cerotti- capitolò finalmente la ragazza per buona pace di Shaka.

Milo arrivando disarmò rapidamente l' uomo alle spalle di Antares mentre Saga si avvicinava cautamente alla ragazza che si abbandonava ancora una volta contro Andrea. Il gold la guardò qualche istante coperta di tutto quel liquido rosso che sembrava ovunque intorno a lei, il sangue che le usciva dal naso, dalle mani, si mescolava a quello del ragazzo e non si capiva più se Antares stesse ferendo lui  o piuttosto sè stessa. Le prese il polso togliendole dalle mani il piccolo oggetto.
-Basta così- sussurrò facendola spostare contro di sè. La sentì lamentarsi e toccarsi il fianco.
-Fammi vedere- le impose mentre lei con un no stentato si allontanava verso Aiolos che tra le braccia teneva una Febe terrorizzata.
Milo le afferrò le spalle.
-Non mi toccare!- urlò cadendo a terra. I ragazzi videro le pupille degli occhi nocciola dilatarsi, li guardava come se solo in quel momento avesse acquisito una nuova consapevolezza.
Rapidamente i santi d' oro portarono le tre ragazze all' ospedale della fondazione Kido. In quei pochi secondi Talia rimaneva in silenzio, ascoltava Antares a tratti gridare,a tratti singhiozzare frasi sconnesse e Febe gemere per i dolori del parto imminente.

Febe non avrebbe pensato di partorire in quel modo, in quel giorno. Forse suo figlio aveva pensato che era meglio sbrigarsi per nascere prima che fosse troppo tardi, ma lei in quel momento non sapeva se aveva la forza necessaria per spingere, come dicevano i dottori. La verità è che si sentiva spossata fisicamente e mentalmente, tutta la paura e la preoccupazione le avevano letteralmente succhiato ogni energia. Quando la adagiarono sul letto della sala parto sarebbe voluta scappare. Non ce la faceva proprio, poi pensò che però erano salve, nonostante la paura erano salve e allora aveva sorriso pensando che adesso le toccava l' ultimo sforzo per la creatura per cui aveva lottato in quei mesi. Lottato con i genitori che l' avevano buttata fuori di casa non appena avevano saputo che aspettava il bambino di un padre sconosciuto. Pensavano che non volesse dirglielo il nome del padre ma la verità era che lei non se lo ricordava proprio e poi aveva dovuto combattere con sè stessa, con quella parte fatta di dubbi e di paure, con la sè stessa debole che credeva di non poter diventare madre e infine contro la gente che la guardava rimproverandola o compatendola. Quella notte però era arrivata alla fine della corsa, aveva temuto di essere arrivata alla fine e basta e in quel ripostiglio aveva pianto pensando che avrebbe perso suo figlio, pensando alla cattiveria che c' era dall' altro lato della porta. Un attimo dopo si era sentita male, aveva sentito qualcosa rompersi e il ventre dolerle e allora aveva realizzato: il suo bambino aveva deciso di nascere. Aveva iniziato a sbattere i pugni contro la porta chiusa, poi la luce fioca del soggiorno, uno sparo e la porta che si richiudeva. Aveva visto di nuovo tutto buio e pensando al peggio era stato il panico e la paura, il cuore pompava veloce nel petto e i polmoni si muovevano annaspando alla ricerca d' aria che non percepivano in respiri brevi e secchi, un groppo in gola le impediva di urlare, le lacrime si bloccavano sugli occhi. Non poteva finire così, aveva pensato, aveva un bambino da far nascere e da crescere prima che tutto finisse. Un bambino.
Bambino, aveva ripetuto nella sua testa. Bambino, era il suo primo pensiero in quei momenti di paura. Poi finalmente qualcuno aveva aperto quella dannata porta tirandola fuori. Si era calmata solo quando aveva visto Talia e Antares nonostante non riuscisse a capire cosa avesse l' ultima. Nella sala operatoria i medici avevano iniziato a parlare di complicazioni, non aveva capito niente, lei, solo che qualcosa stava impedendo a suo figlio di respirare bene, che il piccolo si trovava in una posizione anomala.
Aveva gridato:- Salvate lui!- era un ordine, un appello perentorio e disperato. Non le importava di morire, Antares e Talia avrebbero cresciuto suo figlio, lo avrebbero fatto bene, lo avrebbero fatto per lei, ne era sicura, si fidava. Se in quell' istante le avessero proposto di morire al posto di suo figlio avrebbe accettato senza esitazioni, avrebbe accettato l' inferno per quella creatura. Erano passate ore, ore trascorse a lottare anche quando non ce la faceva più e alla fine era scoppiata a piangere. Di felicità, perchè aveva sentito il vagito di un neonato; alto, forte, poderoso, stava urlando al mondo di esistere, gridava "eccomi, sono qua, ce l' ho fatta. Ho vinto!"
Il medico guardò l' orologio:- Sono le 02:45 del 12 Gennaio, signora, è nato un bel maschietto-
Febe iniziò a ridere, a piangere e a ridere perchè suo figlio era già un eroe.
Nella sala d' attesa tutti tirarono un sospiro di sollievo, Talia si buttò addosso a Shaka urlando "è nato! E' nato!" per poi sgattaiolare veloce nella sala da parto e ridere con Febe. Mancava solo Antares e ovviamente Sophia.

Shura e Alcesti avevano trovato alloggio in un albergo ad Eleusi e ritornati dal tempio si erano seduti a parlare nella stanza del ragazzo.
-Dobbiamo trovare il modo di aggirarci indisturbati nel santuario- aveva esordito Alcesti
-Credi che Iambe ci nasconda qualcosa?
-Questo non lo so e non credo ne avrebbe motivo ma mi sembra assurdo che non sappia dove sia Demetra, la accompagna da una vita! Dovremmo partecipare ad uno dei riti.
-Starai scherzando...
-Affatto. E' una buona idea invece.
Shura si distese sul letto allargando le braccia, quella sera si sentiva particolarmente stanco, quella Iambe era un osso duro, o parlava troppo e di cose inutili o si chiudeva nel più ostinato silenzio. Alcesti gli si avvicinò stendendosi al suo fianco.
-Mi ricordi qualcuno- ammise poggiando la testa sulla mano fissandolo. Il ragazzo non parlava, imbarazzato da quella vicinanza eccessiva, dal suo profumo che gli entrava nelle narici desiderandone di più, Alcesti allora ne approfittò per continuare- qualcuno che ho amato molto, Shura.
Si protese ulteriormente rotolando delicatamente su di lui, gli afferrò il viso tra le mani e lo baciò. Il saint guardò con la coda dell' occhio l' orologio sul comodino un po' per indecisione e un po' per pensare a qualcosa di diverso dal corpo di Alcesti, segnava le 2: 45, mancava poco più di un quarto d' ora alle tre e la notte era ancora lunga. Nella sua testa rimbombarono le ultime parole di Alcesti nella notte precedente.
 "Le incertezze nei sentimenti difficilmente hanno ragione d' esistere, soprattutto nei sentimenti d' amore. O si ama o non si ama.  Soddisfa il tuo desiderio se è ciò che vuoi."
Poi Shura decise di non pensare più.


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ANGOLO AUTRICE: Salve a tutti, spero che non vi dispiaccia un capitolo così lungo ma mi  sembava un peccato dividerlo a metà, avrebbe perso molto. Ci tengo a dire una cosa a proposito delle note iniziali. Io non credo che questa storia necessiti di raiting rosso, leggendo cosa indica il raiting arancione mi sembra che vada bene per questa ff, anche per questo motivo, sebbene avessi in mente scene più forti, non le ho messe, proprio per cercare di mantenermi nella fascia arancione, per rispettare il raiting che ho messo, tuttavia ci tengo a ricordare ogni tanto la premessa perchè credo che ognuno di noi abbia una sensibilità diversa, questo è tutto. Non so dare un giudizio su questo capitolo, di certo incastrare i vari punti di vista della stessa situazione o comunque dei suoi diversi momenti non è stato semplice e ancor di più farlo con l' occhio dei saint, dunque come sempre mi affido a voi.



   
 
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