«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«
Salve
ragazze!
Mi
dispiace per questa lunga assenza, ma qui fra una cosa e un’altra, tra un
mondiale vinto e l’altro.. ^____^
non
c’è stato nemmeno il tempo per capire cosa diamine stavo facendo!
^__^’
Come
state tutte?!
Spero
bene, davvero!
Michelle comunque io lavoro alle poste italiane ^_-
Scusate
se vi saluto frettolosamente ma manco a dirlo devo
scappare,
kisses
LuNaDrEaMy
aawaa
DESTINI
CHE SI UNISCONO aawaa
Chap n.10
Ho
sempre amato tanto il risveglio di mattina presto, nei luoghi di vacanza;
c’è la possibilità di concentrarsi su un nuovo giorno
appena nato, godendo della bellezza del mistero del vivere.
Mi
piace tuffarmi nel sole che fa capolino da dietro le montagne, perdermi nel
silenzio e nella quiete di un paesaggio naturale, incontaminato da qualsiasi
fonte barbarica di violenza urbana.
Qui,
niente auto che strimpellano i loro clacson già alle sei di mattina,
niente urla disumane, e quel rumorino costante in
sottofondo chiamato caos.
Se
fossi stata nella mia città, adesso starei maledicendo la sveglia sul
comò, probabilmente avrei alzato lo stereo ad un livello assordante, per
poi farmi risucchiare nel buco nero del delirio cittadino.
Invece
sono qui, niente maledizioni, niente musica alta, tanto meno alcun delirio in
cui farmi ingorgare.
Sono
in pace.
Victor
dorme ancora, dopo un “accesa” discussione, su chi dovesse dormire o meno sul sofà -mi ha praticamente
prima pregato e poi torturato, di lasciarci dormire lui contro la mia
volontà- ha chiuso i suoi occhi neri, stremato dal viaggio e da tutta
l’ansia che io lo so, alberga nelle sue membra.
Stare
con lui, nella stessa stanza e sotto lo stesso tetto è stato così
naturale, non so spiegare, c’è qualcosa di lui che sento
così familiare.
Forse
in un’altra vita ci siamo già conosciuti?!
Sorrido,
Sibilla realista e pragmatica, Sibilla concreta e disillusa, adesso crede nella
reincarnazione?
-“Oh
Cielo, devo essere davvero impazzita!”-.
Ma
la sua vicinanza ha reso tutto un po’ magico, e questa magia lo ammetto,
mi piace davvero tanto.
-“Sì,
buongiorno, sono la signora Ballarini. Si ricorda,
l’avevo già contattato?! Senta sarebbe
così gentile da dispormi degli orari dei vostri uffici?!”-.
-“Siamo
aperti tutta la mattinata signora, e nel pomeriggio almeno fino alle
quattro.”-.
-“Perfetto!
Lei mi assicura che potete ricorrere agli archivi, quindi?!”-.
-“Possiamo
darle qualche informazione generale, ma lo sa per diritto alla privacy non
possiamo scender in particolari…”-.
-“Oh
ma non si preoccupi! Qualsiasi informazione è preziosa!”-.
-“Bene
ci fa piacere. A presto, quindi!”-.
-“A
presto!”-.
Attacco
felice, prendo carta e penna e lascio un bigliettino a Victor.
“Vic, ho chiamato
il comune, è aperto tutta la mattinata, se passi possono darti
informazioni in più su Betty. Lascio a te
questo compito, non credere che voglia abbandonarti ma ritengo giusto lasciarti
nella tua intimità, in questa scoperta. Sono in giro per il centro, ci
vediamo a pranzo. Bacio, Sibilla.”
Lascio
scivolare la penna lungo il tavolo, deposito il bigliettino sul cuscino,
accanto a quell’uomo che beato continua
assopito la sua rincorsa verso il sogno.
Ma
non è solo questione onirica.
E
lui, ancora non lo sa!
Mi
piace parecchio questo paese; i negozi sono ordinati, curati e spesso e
volentieri i commercianti che vi lavorano, ti lasciano il sorriso stampato sul
volto, quando esci con amabili sacchetti adornati di carta velina, nella mano.
La
busta che penzola dalla mia, è di un negozio all’angolo che vende
dolci tipici.
E’
più forte di me, sono una golosa cronica.
Ma
il perché è presto detto; il dolce sapore che ti lascia un
pezzetto di cioccolata, quando sei nei momenti giù, sa tirarti su anche
meglio di qualsiasi coccola!
Anche
meglio, di quanto saprebbe fare qualsiasi uomo!
Che
diciamocelo… se noi donne amiamo così tanto i dolci, è
anche e soprattutto colpa di alcuni maschietti!
Questi
poi, sono particolarmente buoni; miele fuso in cioccolata, il tutto sopra una
glassa croccante di biscotto.
L’apoteosi.
Davvero!
Do
un altro mozzico a questi favolosi biscotti e lascio svolazzare la mia velina color pastello, dal sacchetto ormai
semi-vuoto.
Il
mio giro per Lienz continua, ed io sono stranamente gaia.
Non
dovrei esserlo, visto la quantità industriale di biscotti che ho
ingurgitato, ma nessun pensiero brutto scalfisce questo stato di
serenità.
Il
volto è tornato disteso, le rughe d’espressione sono meno marcate,
il mio sguardo sembra aver riacquistato quello splendore dei tempi andati.
Dio
ho 30 anni e parlo come un’anziana signora;mi
serve proprio una bella botta di vita!
-“Signora,
mi sta ascoltando?!”-.
-“Oh,
ero soprapensiero mi scusi, diceva?!”-.
-“Vede?!
Il suo volto ora è disteso, liscio e levigato, il tutto grazie a questo
concentrato di succo d’arancia e…”-.
-“…
olio d’oliva, certo!”-.
Mi
diverte fare impazzire le commesse, questa poi mi ha impiastricciato tutto il
volto con una crema appiccicosa, promettendomi almeno dieci anni di meno, sul
mio viso semplicemente troppo stressato e non ancora così decadente.
Quando
glielo faccio notare, mi risponde che in realtà i cosmetici danno
l’effetto al nostro viso/corpo o quel che sia, che noi decidiamo di
dargli; infondo non sarà una crema a renderci più giovani, ma lo
spirito giovane che abbiamo dentro, che ci permette ancora di prenderci cura di
noi e di farci invecchiare con serenità.
Mi
piace!
Infondo
ha ragione, la nostra psiche è così condizionata, che
probabilmente il solo il pensiero di impiastricciarci in montagne di fango o
cospargerci d’unguenti miracolosi il viso, già convince noi donne
che non avremmo più la cellulite e il volto di pesca che avevamo a venti
anni!
E
potrei farne mille di esempi, ma alla fine sorrido a questa ragazzotta
bionda e le sfilo la crema dalle mani; il mio alter ego stasera avrà di
che nutrirsi!
All’improvviso
mi sento più giovane, sorrido con il miracolo fra le mani e mi dirigo in
cassa.
-“Lei
ha un volto molto bello signora, mi raccomando non lo trascuri! Ora che ci
penso, non le ho fatto vedere…”-.
-“Grazie,
ma non mi serve altro Odette!”-.
Ah,
simpatiche commesse, se non ti fanno uscire dai negozi, con almeno la crema, la
maschera e il balsamo, non sono contente!
Lei
se ne accorge e sorride, arrossendo un po’.
Non
lo sa, ma tempo fa per sbarcare il lunario, la commessa l’ho fatta anche
io.
Così
la saluto affettuosamente, promettendole di venire a fare qualche
altro acquisto prima di partire.
-“Sai,
ho molte colleghe al quale una ringiovanita servirebbe!”-.
Allora
le sue gote tornano sorridenti, mi strizza un occhiolino e finalmente mi decido
a pagare il mio acquisto.
Ed
in cassa, fra un pensiero e l’altro, vedo l’ombra di Victor passare
dinnanzi alla vetrina.
E’
mischiato fra la gente, ma la sua figura la riconoscerei fra mille,
perché porta un’aurea con se, che lo distingue fra tutti.
Affretto
il mio acquisto, uscendo dal negozio.
Mi
riporto in strada, grido il suo nome, correndogli incontro.
Lui
non mi sente, continua a camminare dritto e spedito.
Continuo
a correre, ma d’improvviso la strada si fa più piccola, come tutte
le immagini che scorrono dinnanzi ai miei occhi.
Mi
arresto.
Almeno
credo, perché tutto scorre come un tapis roulant impazzito; mi sento
sballottata da una parte all’altra, come una pallina da flipper.
Che
c’è?! Cos’ho?!
Sento
delle voci, mani che cercano di toccarmi, ma le immagini restano striminzite e
sfocate, poi non lo so, so solo d’aver sentito un qualcosa di freddo e
duro sbattermi contro la schiena.
-“Signora?!
Mi sente?!”-.
Sembra
proprio che stamattina non riesca a sentire nessuno.
Eppure
sono qui, io ci sono, vi ascolto!
C’è
un uomo, in piedi, di fronte a me; stropiccio un po’ gli occhi, le
immagini non sono ancora chiare, così mi arrendo richiudendoli in un
istante.
-“Victor?!”-.
Chiedo, sperando che dal suono di quell’ombra,
fuoriesca un sì.
-“No
signora, lei è in ambulatorio, io sono un medico.”-.
-“Medico?!”-.
Riapro
gli occhi, a tempo record. Stavolta riesco a vedere meglio; sì sembra un
dottore, ha tutta l’aria d’esserlo, strizzato in un camice bianco e
gli occhiali poggiati sul naso.
-“Ha
avuto un malore e l’hanno portata qui.”-.
-“Chi
mi ha portata qui?!”-.
-“Dei
passanti. Era sola?!”-.
-“Stavo
inseguendo un amico. Non sono austriaca, sono in vacanza nel vostro
paese.”-.
-“Sì,
abbiamo già schedato i suoi dati, non si preoccupi stanno già
avvisando i suoi parenti.”-.
-“Oh
no no no…
“-. Mi alzo sui gomiti, poi piano cerco quanto meno di mettermi seduta
–“mi faccia la cortesia di non chiamare nessuno!”-.
-“Signora
si calmi, le fa male alzarsi di getto.”-.
-“Guardi
probabilmente sarà solo stanchezza, sto bene, davvero.”-.
Ma
fa spallucce, probabilmente avrà sentito ripetersi questa frase milioni
di volte; così, mi stendo nuovamente, cercando di trovare una posizione
abbastanza comoda.
-“Le
abbiamo fatto le analisi del sangue, per questo si sente un po’
spossata.”-.
-“Già,
fortuna che dormivo! Odio il sangue!”-.
Ride,
devo sembrarle piuttosto buffa.
-“Che
c’è?! Perché ride?! Non ha mai sentito parlare di fifa da sangue?!”-.
-“In
realtà, no!”-.
-“Non
mi crede?! E’ perché viene
sottovalutata questa cosa, e snobbata praticamente da chiunque! Soprattutto da
voi camici bianchi!”-.
-“Ma io le credo, le credo! Solo mi
dica, nella sua totale repulsione al sangue, sono compresi anche medici e
ospedali forse?!”-.
Sorride
ancora. Mi innervosisce.
Mi
urta pensare che ha capito che odio qualsiasi cosa,
faccia parte del mondo ospedaliero.
-“Penserà
che sono una bambina…”-. Metto il broncio,
lui smette di ridere.
-“Perché?!
Io dormo ancora con la luce accesa.”-.
-“No…
non è possibile!”-. Cerco di non ridere, ma trattenere una risata
è assai dura.
-“Ogni
tanto, mi capita. Ahimè ora penserà che sono
un bambino…”-.
-“No,
penso che fa bene, di notte si fanno brutti incontri…”-.
Il
silenzio cala sulle nostre teste.
Deglutisce,
abbozzando un sorriso; non posso credere che se la stia facendo sotto!
A
questo punto è più forte di me, mi metto a ridere senza
più speranza di ritorno.
Lui
mi guarda, incuriosito dapprima, poi si lascia andare in una risata
anch’egli.
-“Il
suo hotel è molto lontano?!”-.
-“Non
troppo, perché?!”-.
-“Se
vuole può dimettersi, ma devo farle firmare un foglio.”-.
-“Preferirei,
sa alloggio con una persona anziana. Non vorrei si spaventasse troppo.”-.
-“Come
preferisce, solo dovrà ritornare domani per le risposte agli
accertamenti.”-.
-“Benissimo,
non ho di questi problemi. Sono appena arrivata!”-.
Si
congeda, sparendo fra un corridoio di legno pavimentato.
Mi
alzo con cautela, la testa non gira più e la vista sembra sia tornata a
posto, appoggio i piedi in terra restando comunque appoggiata al mio letto.
Affianco
a me, c’è una finestra bassa; scosto un po’ la tendina,
affacciandomi in fuori.
Non
è un ospedale come quelli che ci sono nella mia città; mura e
cemento, camere bianche e neon.
No,
è una villetta a due piani, in stile inglese, di un delizioso color
verde acqua; non c’è fila, non ci sono code, la gente sorride
anche qui.
Ed
io penso a cosa mi sia successo. Perché vi sono
finita dentro.
Sarà
davvero solo stanchezza?!
Non
lo so, un po’ ho paura.
Distolgo
lo sguardo dalla strada, girandolo sulla stanza; è piccola, ma
c’è una scrivania d’ebano scuro, vecchio stile, con alcune
fotografie e cornici.
Sarà
lo studio del dottore.
Leggo
le incisioni sulla sua targhetta d’oro, poggiata ordinatamente sul mobile:
Doktor Frank Willhelm.
Willhelm. Willhelm…
questo cognome non mi è nuovo.
Rifletto
su cosa possa ricordarmi questo cognome, ma il
tentativo si fa vano.
Mi
sforzo nuovamente, ma il dottore ritorna e distoglie i miei pensieri.
-“Oh,
riesce ad alzarsi! Allora non sta così male come dice…”-.
-“Glie
lo avevo detto, no?!”-.
-“Aveva
ragione, ma non si strapazzi, uno svenimento non va mai comunque
sottovalutato.”-.
-“Non
si preoccupi, ci tengo alla mia pellaccia!”-.
Mi
passa il foglio da firmare, mi consegna un pacco di compresse per il mal di
testa, stringendomi la mano.
-“E’
stato un piacere conoscerla…”-. La sua mano e la mia, penzolano
insieme in attesa di appellativi.
-“…Sibilla.”-.
-“Oh
bel nome, Sibilla! Io sono Frank.”-. Annuisco
indicandogli la targhetta.
-“Oh
questa!”-. La prende in mano, carezzandola via dalla polvere accumulatasi
su –“Sembra dovrò toglierla di mezzo, presto cambieremo sede
d’ambulatorio…”-.
-“E’
un problema?!”-.
-“Oh
no, ma sa questo ambulatorio era di proprietà di mia madre.
Ci
ha lavorato una vita intera, è medico anche lei.”-.
-“Capisco,
è dura staccarsi da qualcosa a cui si tiene
molto.”-.
-“Già.”-.
Mi
rabbuio un po’, staccarsi dal passato, dalla storia e dai ricordi non
è mai cosa semplice.
I
ricordi non fanno vivere meglio, i ricordi non aiutano a vivere, i ricordi sono
soltanto degli spettri che ribussano ogni tanto alle nostre porte per
compatirci e ricordarci cosa eravamo, dissolvendo la speranza buona di
ciò che siamo adesso.
-“Si
faccia forza, non credo che sua madre sia felice nel vederla così.”-.
-“Oh,
lei non è mai stata completamente felice.”-.
Si asciuga una lacrima, prima che sgorghi.
-“Come
tutti, del resto.”-. L’accarezzo su una
guancia, sorridendogli.
-“La
sto annoiando, mi dispiace.”-.
-“Ma
scherza?!
Mi piacciono queste vecchie storie di famiglia.”-.
-“La
mia è bizzarra, sa?! Mia madre non è
nemmeno austriaca, venne adottata dai miei nonni in
uno di quegli orfanotrofi al confine con il mondo.”-.
-“Sono
orfana anche io e posso capirl…”-.
D’improvviso
il cuore comincia a pulsarmi forte nel petto.
Ora
capisco tutto.
Ora
so che cosa è il vago senso di appartenenza a questo posto che mi bussa
dentro, da quando sono entrata.
E
quel cognome.
Questa
storia. La sua storia.
Un dottoressa. Un ambulatorio.
Una
famiglia di medici molto influente in Austria.
Una
famiglia bizzarra.
Una
donna adottata. Un orfanotrofio.
L’infelicità
costante.
Elisabeth
Joanne Willehlm.
L’ho
trovata. Io l’ho trovata.
Non
dico una parola, comincio a piangere dall’emozione.
Frank mi guarda inconsapevole, colpevole
forse d’aver fatto rivivere in me chissà quale triste ricordo del
passato.
Ma
non sa il dono che mi ha fatto; lo abbraccio forte, senza dire una parola, lui
ricambia il mio stringendomi forte a se.
E’
dolce, è rassicurante, è familiare.
Ho
provato solo due volte nella vita questo tipo di sensazione; la prima quando ho
conosciuto Simone, la seconda quando ho incontrato
Victor.
Con
questa fanno tre.
E
tutto torna, tutto fila, tutto è scritto.
-“Io
vengo da parte di Victor…”-.
Non seppi spiegare mai a me stessa, come riuscii a
conciliare una cosa così straordinaria, con una sola frase diretta ma
sconclusionata.
Non so, sapevo che avrebbe capito, nel mio cuore
sentivo che c’era qualcosa che univa il mio destino al suo.
Lo avevo percepito entrando in quella stanza,
aprendo gli occhi e facendomi assorbire da tutta quell’energia
che vagava nell’aria.
-“Victor?!”-.
Ha slegato l’abbraccio, abbandonandosi alla sua poltrona di pelle nera.
–“Non sai quanto è che sto aspettando di vedere apparire quell’uomo.”-.
-“E’
qui, con me.”-.
Quanto mistero, quanta magia, mi ero fatta
inghiottire dall’assurdità delle coincidenze,
dall’assurdità del destino, io proprio io, miscredente fino al
midollo; ma adesso non importavano più i perché, adesso
c’ero dentro davvero con tutta me stessa e portare a compito questa
avventura pazza e straordinaria, era tutto ciò che di meglio potevo terminare nella mia vita.