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Autore: Luna_R    17/07/2006    3 recensioni
Sono le sette e trenta di mattina, il suono di una sveglia, irrompe nel silenzio di un appartamento assopito.
Una ragazza si sveglia, poggia rumorosamente la sua mano sulla sveglia, e maledicendo il giorno già alle porte, si dirige in bagno.
E intanto non sa, che non sarà, un giorno come tutti gli altri..
*********
-“E tu, chi sei?!”-
-“Nel mio paese, colui che salva una vita ad un uomo, fa sua quella vita. Ecco, ora la mia vita ti appartiene.”-
Non so chi fosse, non so perché evadeva sempre dalle mie domande, ma provai un tale senso di protezione nei suoi confronti, che non potei far altro che portarlo via con me.
“Ricordati di me”, solo una storia d’amore, dimenticata o nascosta, nei meandri della mente invecchiata o distratta.
Ma pur sempre una storia d’amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

Salve ragazze!

Mi dispiace per questa lunga assenza, ma qui fra una cosa e un’altra, tra un mondiale vinto e l’altro..  ^____^

non c’è stato nemmeno il tempo per capire cosa diamine stavo facendo! ^__^’

Come state tutte?!

Spero bene, davvero!

Michelle comunque io lavoro alle poste italiane ^_-

Scusate se vi saluto frettolosamente ma manco a dirlo devo scappare,

kisses

LuNaDrEaMy

 

 

 

aawaa DESTINI CHE SI UNISCONO  aawaa

Chap n.10

 

Ho sempre amato tanto il risveglio di mattina presto, nei luoghi di vacanza; c’è la possibilità di concentrarsi su un nuovo giorno appena nato, godendo della bellezza del mistero del vivere.

Mi piace tuffarmi nel sole che fa capolino da dietro le montagne, perdermi nel silenzio e nella quiete di un paesaggio naturale, incontaminato da qualsiasi fonte barbarica di violenza urbana.

Qui, niente auto che strimpellano i loro clacson già alle sei di mattina, niente urla disumane, e quel rumorino costante in sottofondo chiamato caos.

Se fossi stata nella mia città, adesso starei maledicendo la sveglia sul comò, probabilmente avrei alzato lo stereo ad un livello assordante, per poi farmi risucchiare nel buco nero del delirio cittadino.

Invece sono qui, niente maledizioni, niente musica alta, tanto meno alcun delirio in cui farmi ingorgare.

Sono in pace.

 

Victor dorme ancora, dopo un “accesa” discussione, su chi dovesse dormire o meno sul sofà -mi ha praticamente prima pregato e poi torturato, di lasciarci dormire lui contro la mia volontà- ha chiuso i suoi occhi neri, stremato dal viaggio e da tutta l’ansia che io lo so, alberga nelle sue membra.

Stare con lui, nella stessa stanza e sotto lo stesso tetto è stato così naturale, non so spiegare, c’è qualcosa di lui che sento così familiare.

Forse in un’altra vita ci siamo già conosciuti?!

Sorrido, Sibilla realista e pragmatica, Sibilla concreta e disillusa, adesso crede nella reincarnazione?

-“Oh Cielo, devo essere davvero impazzita!”-.

Ma la sua vicinanza ha reso tutto un po’ magico, e questa magia lo ammetto, mi piace davvero tanto.

 

-“Sì, buongiorno, sono la signora Ballarini. Si ricorda, l’avevo già contattato?! Senta sarebbe così gentile da dispormi degli orari dei vostri uffici?!”-.

-“Siamo aperti tutta la mattinata signora, e nel pomeriggio almeno fino alle quattro.”-.

-“Perfetto! Lei mi assicura che potete ricorrere agli archivi, quindi?!”-.

-“Possiamo darle qualche informazione generale, ma lo sa per diritto alla privacy non possiamo scender in particolari…”-.

-“Oh ma non si preoccupi! Qualsiasi informazione è preziosa!”-.

-“Bene ci fa piacere. A presto, quindi!”-.

-“A presto!”-.

 

Attacco felice, prendo carta e penna e lascio un bigliettino a Victor.

 

Vic, ho chiamato il comune, è aperto tutta la mattinata, se passi possono darti informazioni in più su Betty. Lascio a te questo compito, non credere che voglia abbandonarti ma ritengo giusto lasciarti nella tua intimità, in questa scoperta. Sono in giro per il centro, ci vediamo a pranzo. Bacio, Sibilla.”

 

Lascio scivolare la penna lungo il tavolo, deposito il bigliettino sul cuscino, accanto a quell’uomo che beato continua assopito la sua rincorsa verso il sogno.

Ma non è solo questione onirica.

E lui, ancora non lo sa!

 

Mi piace parecchio questo paese; i negozi sono ordinati, curati e spesso e volentieri i commercianti che vi lavorano, ti lasciano il sorriso stampato sul volto, quando esci con amabili sacchetti adornati di carta velina, nella mano.

La busta che penzola dalla mia, è di un negozio all’angolo che vende dolci tipici.

E’ più forte di me, sono una golosa cronica.

Ma il perché è presto detto; il dolce sapore che ti lascia un pezzetto di cioccolata, quando sei nei momenti giù, sa tirarti su anche meglio di qualsiasi coccola!

Anche meglio, di quanto saprebbe fare qualsiasi uomo!

Che diciamocelo… se noi donne amiamo così tanto i dolci, è anche e soprattutto colpa di alcuni maschietti!

Questi poi, sono particolarmente buoni; miele fuso in cioccolata, il tutto sopra una glassa croccante di biscotto.

L’apoteosi. Davvero!

Do un altro mozzico a questi favolosi biscotti e lascio svolazzare la mia velina color pastello, dal sacchetto ormai semi-vuoto.

 

Il mio giro per Lienz continua, ed io sono stranamente gaia.

Non dovrei esserlo, visto la quantità industriale di biscotti che ho ingurgitato, ma nessun pensiero brutto scalfisce questo stato di serenità.

Il volto è tornato disteso, le rughe d’espressione sono meno marcate, il mio sguardo sembra aver riacquistato quello splendore dei tempi andati.

Dio ho 30 anni e parlo come un’anziana signora;mi serve proprio una bella botta di vita!

 

-“Signora, mi sta ascoltando?!”-.

-“Oh, ero soprapensiero mi scusi, diceva?!”-.

-“Vede?! Il suo volto ora è disteso, liscio e levigato, il tutto grazie a questo concentrato di succo d’arancia e…”-.

-“… olio d’oliva, certo!”-.

Mi diverte fare impazzire le commesse, questa poi mi ha impiastricciato tutto il volto con una crema appiccicosa, promettendomi almeno dieci anni di meno, sul mio viso semplicemente troppo stressato e non ancora così decadente.

Quando glielo faccio notare, mi risponde che in realtà i cosmetici danno l’effetto al nostro viso/corpo o quel che sia, che noi decidiamo di dargli; infondo non sarà una crema a renderci più giovani, ma lo spirito giovane che abbiamo dentro, che ci permette ancora di prenderci cura di noi e di farci invecchiare con serenità.

Mi piace!

Infondo ha ragione, la nostra psiche è così condizionata, che probabilmente il solo il pensiero di impiastricciarci in montagne di fango o cospargerci d’unguenti miracolosi il viso, già convince noi donne che non avremmo più la cellulite e il volto di pesca che avevamo a venti anni!

E potrei farne mille di esempi, ma alla fine sorrido a questa ragazzotta bionda e le sfilo la crema dalle mani; il mio alter ego stasera avrà di che nutrirsi!

All’improvviso mi sento più giovane, sorrido con il miracolo fra le mani e mi dirigo in cassa.

 

-“Lei ha un volto molto bello signora, mi raccomando non lo trascuri! Ora che ci penso, non le ho fatto vedere…”-.

-“Grazie, ma non mi serve altro Odette!”-.

 

Ah, simpatiche commesse, se non ti fanno uscire dai negozi, con almeno la crema, la maschera e il balsamo, non sono contente!

Lei se ne accorge e sorride, arrossendo un po’.

Non lo sa, ma tempo fa per sbarcare il lunario, la commessa l’ho fatta anche io.

Così la saluto affettuosamente, promettendole di venire a fare qualche altro acquisto prima di partire.

-“Sai, ho molte colleghe al quale una ringiovanita servirebbe!”-.

Allora le sue gote tornano sorridenti, mi strizza un occhiolino e finalmente mi decido a pagare il mio acquisto.

Ed in cassa, fra un pensiero e l’altro, vedo l’ombra di Victor passare dinnanzi alla vetrina.

E’ mischiato fra la gente, ma la sua figura la riconoscerei fra mille, perché porta un’aurea con se, che lo distingue fra tutti.

Affretto il mio acquisto, uscendo dal negozio.

Mi riporto in strada, grido il suo nome, correndogli incontro.

Lui non mi sente, continua a camminare dritto e spedito.

Continuo a correre, ma d’improvviso la strada si fa più piccola, come tutte le immagini che scorrono dinnanzi ai miei occhi.

Mi arresto.

Almeno credo, perché tutto scorre come un tapis roulant impazzito; mi sento sballottata da una parte all’altra, come una pallina da flipper.

Che c’è?! Cos’ho?!

Sento delle voci, mani che cercano di toccarmi, ma le immagini restano striminzite e sfocate, poi non lo so, so solo d’aver sentito un qualcosa di freddo e duro sbattermi contro la schiena.

 

 

-“Signora?! Mi sente?!”-.

Sembra proprio che stamattina non riesca a sentire nessuno.

Eppure sono qui, io ci sono, vi ascolto!

C’è un uomo, in piedi, di fronte a me; stropiccio un po’ gli occhi, le immagini non sono ancora chiare, così mi arrendo richiudendoli in un istante.

-“Victor?!”-. Chiedo, sperando che dal suono di quell’ombra, fuoriesca un sì.

-“No signora, lei è in ambulatorio, io sono un medico.”-.

-“Medico?!”-.

Riapro gli occhi, a tempo record. Stavolta riesco a vedere meglio; sì sembra un dottore, ha tutta l’aria d’esserlo, strizzato in un camice bianco e gli occhiali poggiati sul naso.

-“Ha avuto un malore e l’hanno portata qui.”-.

-“Chi mi ha portata qui?!”-.

-“Dei passanti. Era sola?!”-.

-“Stavo inseguendo un amico. Non sono austriaca, sono in vacanza nel vostro paese.”-.

-“Sì, abbiamo già schedato i suoi dati, non si preoccupi stanno già avvisando i suoi parenti.”-.

-“Oh no no no… “-. Mi alzo sui gomiti, poi piano cerco quanto meno di mettermi seduta –“mi faccia la cortesia di non chiamare nessuno!”-.

-“Signora si calmi, le fa male alzarsi di getto.”-.

-“Guardi probabilmente sarà solo stanchezza, sto bene, davvero.”-.

Ma fa spallucce, probabilmente avrà sentito ripetersi questa frase milioni di volte; così, mi stendo nuovamente, cercando di trovare una posizione abbastanza comoda.

-“Le abbiamo fatto le analisi del sangue, per questo si sente un po’ spossata.”-.

-“Già, fortuna che dormivo! Odio il sangue!”-.

Ride, devo sembrarle piuttosto buffa.

-“Che c’è?! Perché ride?! Non ha mai sentito parlare di fifa da sangue?!”-.

-“In realtà, no!”-.

-“Non mi crede?! E’ perché viene sottovalutata questa cosa, e snobbata praticamente da chiunque! Soprattutto da voi camici bianchi!”-.

 -“Ma io le credo, le credo! Solo mi dica, nella sua totale repulsione al sangue, sono compresi anche medici e ospedali forse?!”-.

Sorride ancora. Mi innervosisce.

Mi urta pensare che ha capito che odio qualsiasi cosa, faccia parte del mondo ospedaliero.

-“Penserà che sono una bambina…”-. Metto il broncio, lui smette di ridere.

-“Perché?! Io dormo ancora con la luce accesa.”-.

-“No… non è possibile!”-. Cerco di non ridere, ma trattenere una risata è assai dura.

-“Ogni tanto, mi capita. Ahimè ora penserà che sono un bambino…”-.

-“No, penso che fa bene, di notte si fanno brutti incontri…”-.

 

Il silenzio cala sulle nostre teste.

Deglutisce, abbozzando un sorriso; non posso credere che se la stia facendo sotto!

A questo punto è più forte di me, mi metto a ridere senza più speranza di ritorno.

Lui mi guarda, incuriosito dapprima, poi si lascia andare in una risata anch’egli.

 

-“Il suo hotel è molto lontano?!”-.

-“Non troppo, perché?!”-.

-“Se vuole può dimettersi, ma devo farle firmare un foglio.”-.

-“Preferirei, sa alloggio con una persona anziana. Non vorrei si spaventasse troppo.”-.

-“Come preferisce, solo dovrà ritornare domani per le risposte agli accertamenti.”-.

-“Benissimo, non ho di questi problemi. Sono appena arrivata!”-.

 

Si congeda, sparendo fra un corridoio di legno pavimentato.

Mi alzo con cautela, la testa non gira più e la vista sembra sia tornata a posto, appoggio i piedi in terra restando comunque appoggiata al mio letto.

Affianco a me, c’è una finestra bassa; scosto un po’ la tendina, affacciandomi in fuori.

Non è un ospedale come quelli che ci sono nella mia città; mura e cemento, camere bianche e neon.

No, è una villetta a due piani, in stile inglese, di un delizioso color verde acqua; non c’è fila, non ci sono code, la gente sorride anche qui.

Ed io penso a cosa mi sia successo. Perché vi sono finita dentro.

Sarà davvero solo stanchezza?!

Non lo so, un po’ ho paura.

Distolgo lo sguardo dalla strada, girandolo sulla stanza; è piccola, ma c’è una scrivania d’ebano scuro, vecchio stile, con alcune fotografie e cornici.

Sarà lo studio del dottore.

Leggo le incisioni sulla sua targhetta d’oro, poggiata ordinatamente sul mobile:

Doktor Frank Willhelm.

Willhelm. Willhelm… questo cognome non mi è nuovo.

Rifletto su cosa possa ricordarmi questo cognome, ma il tentativo si fa vano.

Mi sforzo nuovamente, ma il dottore ritorna e distoglie i miei pensieri.

 

-“Oh, riesce ad alzarsi! Allora non sta così male come dice…”-.

-“Glie lo avevo detto, no?!”-.

-“Aveva ragione, ma non si strapazzi, uno svenimento non va mai comunque sottovalutato.”-.

-“Non si preoccupi, ci tengo alla mia pellaccia!”-.

Mi passa il foglio da firmare, mi consegna un pacco di compresse per il mal di testa, stringendomi la mano.

 

-“E’ stato un piacere conoscerla…”-. La sua mano e la mia, penzolano insieme in attesa di appellativi.

-“…Sibilla.”-.

-“Oh bel nome, Sibilla! Io sono Frank.”-. Annuisco indicandogli la targhetta.

-“Oh questa!”-. La prende in mano, carezzandola via dalla polvere accumulatasi su –“Sembra dovrò toglierla di mezzo, presto cambieremo sede d’ambulatorio…”-.

-“E’ un problema?!”-.

-“Oh no, ma sa questo ambulatorio era di proprietà di mia madre.

Ci ha lavorato una vita intera, è medico anche lei.”-.

-“Capisco, è dura staccarsi da qualcosa a cui si tiene molto.”-.

-“Già.”-.

Mi rabbuio un po’, staccarsi dal passato, dalla storia e dai ricordi non è mai cosa semplice.

I ricordi non fanno vivere meglio, i ricordi non aiutano a vivere, i ricordi sono soltanto degli spettri che ribussano ogni tanto alle nostre porte per compatirci e ricordarci cosa eravamo, dissolvendo la speranza buona di ciò che siamo adesso.

 

-“Si faccia forza, non credo che sua madre sia felice nel vederla così.”-.

-“Oh, lei non è mai stata completamente felice.”-. Si asciuga una lacrima, prima che sgorghi.

-“Come tutti, del resto.”-. L’accarezzo su una guancia, sorridendogli.

-“La sto annoiando, mi dispiace.”-.

-“Ma scherza?!  Mi piacciono queste vecchie storie di famiglia.”-.

-“La mia è bizzarra, sa?! Mia madre non è nemmeno austriaca, venne adottata dai miei nonni in uno di quegli orfanotrofi al confine con il mondo.”-.

-“Sono orfana anche io e posso capirl…”-.

 

D’improvviso il cuore comincia a pulsarmi forte nel petto.

Ora capisco tutto.

Ora so che cosa è il vago senso di appartenenza a questo posto che mi bussa dentro, da quando sono entrata.

E quel cognome.

Questa storia. La sua storia.

Un dottoressa. Un ambulatorio.

Una famiglia di medici molto influente in Austria.

Una famiglia bizzarra.

Una donna adottata. Un orfanotrofio.

L’infelicità costante.

 

Elisabeth Joanne Willehlm.

 

L’ho trovata. Io l’ho trovata.

Non dico una parola, comincio a piangere dall’emozione.

Frank mi guarda inconsapevole, colpevole forse d’aver fatto rivivere in me chissà quale triste ricordo del passato.

Ma non sa il dono che mi ha fatto; lo abbraccio forte, senza dire una parola, lui ricambia il mio stringendomi forte a se.

E’ dolce, è rassicurante, è familiare.

Ho provato solo due volte nella vita questo tipo di sensazione; la prima quando ho conosciuto Simone, la seconda quando ho incontrato Victor.

Con questa fanno tre.

E tutto torna, tutto fila, tutto è scritto.

 

-“Io vengo da parte di Victor…”-.

 

Non seppi spiegare mai a me stessa, come riuscii a conciliare una cosa così straordinaria, con una sola frase diretta ma sconclusionata.

Non so, sapevo che avrebbe capito, nel mio cuore sentivo che c’era qualcosa che univa il mio destino al suo.

Lo avevo percepito entrando in quella stanza, aprendo gli occhi e facendomi assorbire da tutta quell’energia che vagava nell’aria.

 

-“Victor?!”-. Ha slegato l’abbraccio, abbandonandosi alla sua poltrona di pelle nera. –“Non sai quanto è che sto aspettando di vedere apparire quell’uomo.”-.

-“E’ qui, con me.”-.

 

Quanto mistero, quanta magia, mi ero fatta inghiottire dall’assurdità delle coincidenze, dall’assurdità del destino, io proprio io, miscredente fino al midollo; ma adesso non importavano  più i perché, adesso c’ero dentro davvero con tutta me stessa e portare a compito questa avventura pazza e straordinaria, era tutto ciò che di meglio potevo  terminare nella mia vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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