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Autore: Carla Volturi    22/11/2011    1 recensioni
Il ritorno di Carlo, medico quarantacinquenne e Lucia, studentessa ventenne. Sono trascorsi due anni, ma niente ha cancellato il loro amore. Riusciranno a ritrovarsi?.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Image and video hosting by TinyPic Ecco il quinto capitolo del mio racconto.
Come sempre grazie a tutti.
Baci Carla.


CAPITOLO 5- RICORDI IL PASSATO?.

E’ l’una di notte. Sono sola in casa con mia figlia, nella nostra camera da letto.
Michele e Cristina dovrebbero ritornare tra poco dal ristorante, giusto il tempo di mettere ordine la sala.
Sono trascorsi due giorni dal mio arrivo.
Eppure ho come la sensazione che sia passata un eternità.
Mi mancava davvero tutto questo.
Solo qui mi sento felice.
Sono a letto. Fa molto caldo. Indosso una vestaglia beige, che inevitabilmente si attacca alla mia pelle.
Mi volto: Luna riposa beata. Le manine sul pancino. Ogni tanto mi capita di vederla sorridere mentre dorme e mi piace credere che stia giocando, nei suoi sogni, con gli angeli.
Tutto quello che voglio per lei è la libertà e la salute.
 Il resto non conta. Ci siamo solo io e lei.
Solo io e lei.
Mi alzo. Il caldo non mi da pace.
 Mi affaccio alla finestra: vedo il campo di limoni. Quel campo di limoni.
Chiudo gli occhi: rivedo me e Michele, da piccoli, rincorrerci.
Facevamo le buche nel terreno, nascondevamo qualcosa e ritornavamo li il giorno dopo, immaginando che un pirata o una strega ci avesse dato in dono un regalo misterioso.
Eravamo cosi piccoli. Cosi innocenti.
La nostra vita ora è totalmente cambiata.
Ma quel campo non mi regala solo queste reminescenze, anzi.
Li ci sono conservati anche i momenti con Carlo, prima della nostra rottura.
Prima che io partissi.
Mi sembra quasi di sentire le nostre risate, i nostri discorsi.
Il sottile rumore dei nostri baci.
Mi giro. Apro il comodino. La foto di due anni fa: Carlo che guarda me.
Quasi due settimane dopo, io fuggii via.
Carlo che corre, dietro la mia macchina.
Carlo che si arrende.
Sento dei rumori provenire dall’ingresso. Metto la foto sul letto.
Faccio capolino sul ciglio della porta.
Vedo la luce del corridoio accendersi: sono Michele e Cristina. Li saluto.
Rientro in camera. Luna dorme.
Mi spoglio. Indosso un vestito bianco con ballerine nere.
Do un bacio sulla fronte alla mia bambina.
  
                                                                                  ***
Posso chiedervi un favore?”, domando ai miei cugini, dopo aver bussato alla porta della loro stanza.
 Sono ancora svegli.
Tutto quello che vuoi…di’ pure!”: Cristina è di una gentilezza unica.
Non riesco proprio a dormire. Vorrei uscire per prendere una boccata d’aria. Ho bisogno di stare un po’ da sola”, le dico, “Mica vi dispiace guardarmi un po’ la piccola?”.
Ma scherzi? Vai pure. Ci penso io a Luna. Dormirò con lei”, mi rassicura Cristina.
Ed io?”, si lagna Michele.
Zitto tu, che russi!”, lo rimprovera la fidanzata.
Russi pure Michè?”, gli chiedo, sorpresa.
Tutto impettito mi risponde: “Cara, sono un uomo!”.
Rido.
Gli lancio un cuscino in faccia.
Grazie mille Cristina!”: mi giro e vado via.
 
                                                                            ***
Sto camminando a passo lento da dieci minuti.
La città è silenziosa.
 Solo le luci sparse per la strada la illuminano.
Sento l’odore del mare.
La luna splende: è sempre gialla e tonda.
Mi lascio andare. Scarico tutta la tensione accumulata negli ultimi tempi.
Tiro un grande sospiro.
Percorro la strada principale, quella che porta al lungomare.
Ma attraverso, cambio marciapiede e per un attimo ho come un ritorno al passato: vedo le sagome di Antonio, Elisa, me e Michele, mentre andiamo alla festa di ferragosto. 
Ma è solo immaginazione.
Solo pura immaginazione.
 
                                                                              ***
Il ristorante nella roccia è sempre qui. Non è cambiato nulla in questo paese.
 E’ stato aggiunto solo un cancello all’inizio della rampa delle scale.
Non c’è citofono. Non c’è cognome.
Cerco di aprirlo, ma niente: è chiuso a chiave.  
Resto immobile, pensierosa.
La chiave!. Abbasso lo sguardo. Vedo uno zerbino.
 Lo sollevo: è li la chiave. La prendo. Apro il cancello ed inizio a salire.
Ho come l’impressione che qui da tempo non ci venga piu’nessuno ormai: c’è polvere, goccioline di acqua marina, foglie di alberi ingiallite. E’ tutto totalmente abbandonato. Anche il portico. Vedo una candela spenta per terra. La tocco. E’ fredda e sporca.
 Mi incammino, quindi, per la seconda rampa di scale.
 Anche qui la situazione è la stessa: polvere, polvere, polvere.
Credo che quando tornerò a casa avrò l’abito non piu’bianco ma nero!.
Ed eccoci qui: la casa sulla roccia. La nostra casa.
Come avevo detto? Ho chiuso con il passato. Ma so meglio di chiunque altro che in parte non ci riuscirò mai. Tanti sono i motivi che mi spingono ad avere ancora questo filo conduttore con ciò che è stato.
Anche qui stessa storia: mi abbasso, alzo lo zerbino, chiave sotto, apro la porta.
Entro.
Si percepisce aria di chiuso.
Da quel che so, sono due anni che è disabitata questa casa.
 La cucina è sempre la stessa, cosi come il bagno e la camera da letto. Tutto è al suo posto.
 Per terra dei giornali vecchi. Se ben comprendo sono riviste mediche. Cerco di non camminarci su’.
Vado nella stanza da letto.
 Il nostro letto. Qui l’aria diventa pesante. Proprio non riesco a deglutire.
Apro il balcone: una ventata fa muovere le tende. Quasi sembra che la casa si sia rianimata.
Mi affaccio: il panorama!. La luna. La grotta: la vedo in lontananza, cosi come il campanile della chiesa.
Il mare è calmo. Si vedono le barche dei pescatori.
Questo è uno dei luoghi che piu’amo.
Qui c’è tutto: la bellezza della città, l’incontro del mare con il cielo, le stelle, la spiaggia addormentata.
 Il silenzio.
Stringo forte, con le mani, la ringhiera.
 Volto la testa all’infuori, chiudendo gli occhi.
Solo qui posso abbandonarmi totalmente.
Chi c’è li?”, urla una voce maschile. Con la mano cerca l’interruttore della luce, che non si accende.
Mi volto di scatto, restando immobile. Non riesco a vedere chi sia.
Si avvicina lui, piano piano.
 Molto lentamente.
E’ la luce della luna a farmi capire chi ho dinanzi. E’ la luce della luna a fargli capire io chi sono.
Balbetta: “Lucia?”.
Il mio volto prende una piega seria. Sembra quasi io abbia visto un fantasma dal passato:
Si sono io. Sono Lucia, Carlo”.
 
                                                                           ***
Dopo esserci guardati per pochi istanti, realizziamo entrambi che abbiamo dinanzi la persona che in assoluto non aspettavamo di vedere: io sapevo che era andato via, cosi come lui credeva che mai sarei ritornata.
Non parliamo, tuttavia mi invita a sedermi , facendo segno con la mano.
Opto per la poltrona, collocata vicino ad un tavolino.
Lo vedo andare in cucina.
 Prende delle candele e una sedia, che poggia successivamente di fronte a me.
Accende il cero con un fiammifero.
Si accomoda.
 Mi fissa.
E’ cosi diverso Carlo.
Fisicamente non è cambiato in molto: sempre barba ben curata, capelli corti brizzolati.
Ma i suoi occhi!. I suoi occhi azzurri sono avvolti da una patina di tristezza. Forse piu’ rassegnazione.
Mi è difficile spiegare cosa non vedo piu’ in lui, rispetto a due anni fa, poiché non riesco piu’ a perdermi nel suo sguardo. Quello stesso sguardo che una mattina sulla spiaggia mi indusse a fermarlo, vedendolo andare via.
Come sempre è molto elegante: indossa una camicia bianca, rigorosamente aperta, pantalone scuro, con cinta. Ma niente orologio, niente collanina, niente profumo.
Nonostante ciò, è un altro Carlo.
Non è piu’ il mio Carlo!
Che ci fai qui?”, mi chiede, con voce severa, guardandomi dritto negli occhi.
Tiro fuori dal mio abito la foto ritrovata a casa di Michele.
Gliela pongo.
La prende. La osserva.
 Una smorfia nervosa sul suo viso: “Cosa c’è Lucia? Ricordi il passato?”.
Ricambio la sua voce dura, con altrettanta durezza nel mio sguardo.
Il passato è morto, Carlo”, gli rispondo.
Mi alzo, guardandolo ancora.
Mi dirigo verso la porta.
Voglio andare via.
La foto non la prendi?”, mi chiede.
Gli rispondo di spalle: “Tienitela pure”.
Esco di casa.
Scendo le scale.
 Sento i suoi occhi addosso: è affacciato al balcone.
 I nostri sguardi si incrociano. I nostri sguardi severi.
Continuo per la mia strada, sino a chiudermi il cancello alle spalle.
Lui è sempre li.
Immobile.
  
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