Nata mentre
mangiavo spiedini e patatine
fritte.
La cucina della mamma è anche musa
ispiratrice, oltre che buona.
Buona lettura.
blueberry pie.
Lo
scacciapensieri
appeso alla porta del locale trillò.
Attaccato alla
parete rivestita da assi di finto legno, tra l’insegna
luminosa di una nota
marca di birra e un enorme poster degli anni ottanta,
l’orologio segnava le 22:45.
L’odore di carne
arrostita e di fritto alleggiava nell’aria ed entrava nelle
narici dei pochi
clienti seduti ai tavoli e al bancone.
Due ragazzi si
sfidavano a biliardo, bevendo qualche sorso di birra tra una steccata e
l’altra. Un gruppo di amici chiacchierava tranquillamente,
sul tavolo alcuni
bicchieri di Coca-Cola e delle birre alla spina, probabilmente in
attesa delle
loro ordinazioni. Un uomo al bancone sorseggiava tranquillamente la sua
birra,
ed ogni tanto scambiava due chiacchiere con la barista che aveva di
fronte.
Jessica, una ragazza che lavorava lì come cameriera, stava
prendendo
l’ordinazione di due ragazzi, facendo la civettuola con uno
di loro.
Sicuramente,
insieme al conto, gli lascerà anche il numero di telefono,
pensò Edward.
Si levò il cappotto
e la sciarpa, sfilandosi la tracolla piena di libri da dosso, e si
sedette ad
uno dei tavoli, il primo accanto alla porta, vicino la grande vetrata
che dava
sulla strada. Hanover a quell’ora era deserta, soprattutto a
causa della
temperatura gelida e della neve ghiacciata sull’asfalto. Il
calore accogliente
della tavola calda gli fece arrossare la pelle chiara per differenza
della
temperatura, le dita cominciarono ad intorpidirsi, il sangue a fluire
normalmente. Sarebbe volentieri rimasto lì dentro tutta la
sera, cosa che
sarebbe successa molto probabilmente.
Rosalie, la ragazza
dietro al bancone del bar lo notò e gli fece un cenno con la
testa. Pochi
secondi dopo dal retro del locale uscì Angela, con
l’aria indaffarata nella sua
divisa da cameriera, che lo salutò amichevolmente con la
mano per poi tornare
dietro la porta che portava alla cucina. I due ragazzi avevano finito
la loro
partita e le loro birre, così si avvicinarono alla cassa.
«Mike» gridò Rosalie,
mentre asciugava un bicchiere con un canovaccio. Newton, il figlio dei
proprietari del locale, uscì dal retro e si
avvicinò alla cassa, salutando i
clienti con aria affabile, come se li conoscesse da sempre. Si sentiva
il
galletto nel pollaio, il boss del locale, anche se per Edward era la
persona
più inutile e viscida nel mondo. Non gli era mai andato a
genio, fin dalla
prima volta che lo aveva incontrato, e ciò che era venuto a
sapere
successivamente su di lui confermava la sua idea. I due ragazzi
uscirono dal
locale, facendo trillare ancora una volta lo scacciapensieri e
lasciando la
porta aperta a dei nuovi clienti, che si accomodarono due tavoli
più avanti. Newton
alzò gli occhi dalla cassa, incrociando il suo sguardo. Lo
guardò indifferente,
poi tornò ai suoi conti. L’antipatia era
decisamente reciproca.
La porta del retro
si aprì per l’ennesima volta. Aveva i capelli
castani legati in una coda
disordinata, il grembiule sporco di chissà
cosa, l’aria indaffarata e la faccia stravolta di
chi aveva lavorato troppo
per una sola giornata.
«Bella» la chiamò
Mike «Ci sono dei clienti, sbrigati»
«Ho solo due mani»
rispose decisa lei, indicando i piatti che stava portando. Non perse
tempo in
quell’inutile discussione e servì subito il gruppo
di ragazzi che era in attesa,
sorridendo gentile. Prese il taccuino e la penna dalla tasca del suo
grembiule
e si avvicinò al tavolo dei nuovi arrivati, appuntando
velocemente anche le
loro ordinazioni. Con il dorso della mano si spostò una
ciocca di capelli che
le era caduta davanti agli occhi. Mentre la signora decideva se
prendere un
hamburger di soia o lasciarsi andare ad un bell’hot dog
solamente per quella
sera, lanciò un’occhiata in direzione di Edward
poi scosse piano la testa,
esasperata. Lui strinse le labbra, trattenendo una risata.
Passò l’ordinazione
ad Angela in cucina per poi avvicinarsi al suo tavolo. «Che
ci fai qui?»
«Sto aspettando la
mia ragazza. La conosci per caso?» Bella sorrise, divertita.
«Va’ a casa, te
l’ho detto che si fa tardi anche stasera»
«Ti aspetto»
rispose lui semplicemente.
«Edward, sei stato
tutto il giorno in facoltà, vai a riposare»
«Non sono stanco»
cercò di convincerla, investendola con lo sguardo
«Sul serio»
«Bella!» Si
voltarono entrambi verso Newton, che richiamò la sua
dipendente da dietro il
bancone «Non ti pago per chiacchierare. Muoviti!»
«Arrivo!» rispose
lei, irritata, borbottando poi un «Idiota».
«Vai, prima che ti
licenzi. O che io gli spacchi una
mascella. Mi troverai qui, in questo un angolino, con il mio libro di
anatomia
a tenermi compagnia» concluse, sorridendo.
«Testardo» mormorò lei,
tornando dritta nelle cucine. Ma Edward pensò che lei non
era da meno. Se la
giocavano bene in quanto a testa dura. E che si sarebbero scontrati per
il
resto della vita. Perché sarebbero rimasti
insieme per il resto della vita. Lui e Bella erano opposti.
Lui era più
calmo, pacato, sapeva controllarsi. Lei esplodeva più
facilmente, era una bomba
ad orologeria. Lui si scoraggiava facilmente e passava ore e ore a
crogiolarsi
in se stesso. Lei era combattiva e decisa, nessuno l’avrebbe
potuta fermare.
Lui più riflessivo. Lei più istintiva e seguiva
ciò che le diceva il cuore. Lui
studiava medicina. Lei lettere. Lui aveva alle spalle una famiglia che
lo
sosteneva, padre medico, madre restauratrice, sorella quasi
stilista e fratello sportivo. Lei genitori divorziati, padre
poliziotto, madre che seguiva il suo nuovo marito/aspirante giocatore
di
baseball in giro per il mondo e lavorava part-time come cameriera per
pagarsi
gli studi. Lui voleva diventare medico, lei sveniva alla vista del
sangue. Lui
talentuoso pianista, lei con un disastroso passato da ballerina di
danza
classica. Lui acqua liscia, lei Coca-cola. Lui bistecca al sangue, lei
ben
cotta. Si erano conosciuti all’età di 17 anni, e
messi insieme solo un mese
dopo. Era il secondo anni che entrambi frequentavano Dartmouth e
vivevano insieme
in un piccolo appartamentino vicino al campus. Erano nati per stare
insieme. La
coppia perfetta. E il suo ragazzo pensò che era bellissima
anche mentre serviva
una porzione di patatine fritte alla coppia di signori due tavoli
più avanti.
Nel frattempo Edward
passava il tempo saltando da un capitolo all’altro del suo
libro, alzando di
rado gli occhi dalle pagine ma beccando comunque un paio di volte lo
sguardo di
Newton cadere sulla cameriera bionda che girava tra i tavoli. O meglio,
sul posteriore della cameriera
bionda. Pian
piano che l’orario di chiusura si avvicinava, la clientela
cominciava a scemare.
L’orologio appeso al muro ormai segnava le 23:15.
«Mike, io vado»
«Cosa?! Tu stacchi
a mezzanotte!»
«Ho chiesto una
uscita anticipata a tuo padre e me l’ha accordata»
spiegò Rosalie, levandosi il
grembiule ed appendendolo all’attaccapanni.
«E allora chi
chiude? Io devo andarmene e non si discute!»
«Non sono problemi
miei» rispose lei, decisa. Quella ragazza sapeva imporsi. Mio fratello se l’è scelta
bella tosta! Al pensiero di Emmett
comandato a bacchetta da Rose, Edward dovette far di tutto per
trattenere le
risate, nascondendosi dietro il libro che stava leggendo.
«Buona serata, a
domani» Newton non si dette la pena di salutarla. Aveva
scombinato i suoi
programmi, probabilmente. Sicuramente aveva qualche povera ragazza
incosciente
ad attenderlo lì fuori, da qualche parte.
«Jessica, se vuoi puoi andare» disse,
dopo un paio di minuti di silenzio. La ragazza, che era intenta a
pulire uno
dei tavoli che aveva sparecchiato, si girò verso Mike.
«Davvero?»
«Certo, mi avevi
chiesto quel favore» le
ricordò,
facendole l’occhiolino. Jessica sembrò lusingata
da quella concessione da parte
del suo capo.
«Grazie mille, Mike»
rispose lei, con fare da gattamorta, correndo immediatamente nello
spogliatoio
per cambiarsi.
«Angela, invece tu
e Bella pulite tutto e chiudete» ordinò,
mettendosi la giacca, pronto ad uscire
«Io me ne vado»
«Cosa? Ma oggi non
toccava a noi…»
«Siete rimaste solo
voi, non vedo nessun altro che possa farlo» disse,
guardandosi intorno, prima
di uscire dal locale senza neanche salutare. Angela rimase senza
parole, nel
bel mezzo della sala, con i portatovaglioli in mano. Il suo sguardo
incrociò
quello di Edward, che aveva un’espressione dispiaciuta sul
volto. Nello stesso
momento Jessica uscì dallo stanzino e sfrecciò
verso l’uscita, salutandoli con
un semplice “buonanotte”. Una ventina di pagine
dopo, Edward vide spuntare
sotto il suo naso una fetta della sua crostata preferita.
Alzò gli occhi di
fronte a sé dove si era seduta Bella che, ancora nella sua
divisa da lavoro,
era intenta ad accendere la candelina che vi era sopra il dolce.
«Pensavi me ne
fossi dimenticata, vero?»
«In effetti…»
«Uomo di poca fede»
lo prese in giro lei, per poi incitarlo con un cenno del capo ed un
sorriso
«Soffia» Edward, altrettanto sorridente, spense la
candelina per poi sporgersi
sul tavolo, verso la sua ragazza.
«Auguri» sussurrò,
sulle sue labbra.
«Auguri anche a te»
rispose lei, prima di baciarlo. Edward notò che la coppia due tavoli più in là,
ormai unici clienti rimasti, li
stava guardando intenerita.
«Abbiamo del
pubblico» tossicchiò, tra il divertito e
l’imbarazzato, ritirandosi al proprio
posto. Bella si voltò.
«Sono tre anni che
stiamo insieme» spiegò ai signori, con la
felicità che le si poteva leggere
negli occhi.
«Auguri. Siete una
bellissima coppia, davvero» rispose la donna, sorridendo.
Ringraziarono
entrambi, per poi ritornare a loro due.
«I piatti da lavare
mi aspettano» sospirò Bella, alzandosi dal suo
posto «Faccio il prima
possibile, prometto.
Tu mangia la torta,
paga la casa!»
«E tu?»
«Sgranocchio
qualcosa di là» rispose lei, allontanandosi.
Passò una manciata di minuti prima
che i due gentili signori chiedessero il conto ad Angela. Dopo aver
ribadito i
loro auguri ad Edward, che mangiava la sua fetta di crostata al
mirtillo seduto
al primo tavolo vicino l’entrata, uscirono dal locale,
cosicché le ragazze
potettero finalmente esporre il cartello “CHIUSO”.
L’orologio segnava le 00:20.
«Angela, cosa stai
facendo?» chiese Bella quando l’amica
uscì fuori del ripostiglio secchio e
straccio.
«Lavo il
pavimento…» Bella sospirò e tolse il
manico dello spazzolone dalle mani
dell’amica.
«Lascia stare»
«Ma Bella, Mike ha
de-»
«Tu dai veramente
ascolto a quell’essere?» le chiese, sorpresa
«Siamo dipendenti dei suoi
genitori, non sue schiave. Il pavimento se lo lavasse lui domani
mattina. Con
la lingua, possibilmente» aggiunse, acidamente
«Ascoltami bene. È mezzanotte e
mezza. Vai di là, cambiati, chiama Ben, torna da tua madre e
tuo fratello… fai
quello che vuoi ma esci fuori di qui, ora!»
«Okay» si lasciò
convincere «Ripongo questi allora» Bella le sorrise
ed entrò nello spogliatoio.
Edward capì che era arrivata di andare, così
raccolse tutta la sua roba dal
tavolo e dalla panca. Cinque minuti dopo erano tutti fuori,
l’insegna e tutte le
luci del locale finalmente spente. Il freddo pungente tipico di un
Gennaio ad
Hanover li colpì come una schiaffo in faccia, facendoli
rabbrividire. Salutarono
Angela augurandole una buonanotte e si incamminarono verso il
parcheggio dove
Edward aveva lasciato la sua automobile, l’uno accanto
all’altra.
«Mio dio, si gela»
mormorò Bella, stringendosi nel suo giubbotto, mentre
camminando vicino al
bordo del marciapiede. «No, dai…» si
lagnò quando Edward le afferrò la mano e
la attirò a sé, stringendola al suo fianco.
«Che c’è?» le
chiese, confuso.
«Puzzo di fritto» spiegò,
un po’ imbarazzata. Ma Edward la abbracciò ancora
più forte, lasciandole un
bacio tra i capelli. Perché non gli importava.
Perché avrebbe passato la vita
ad aspettare che finisse il suo turno in quel ristorante. Avrebbe
passato la
vita ad aspettare che i loro sogni si realizzassero. Avrebbe passato
altri
cento anniversari con una fetta di crostata ed una candelina su cui
soffiare. Avrebbe
passato anni e anni così.
Purché lo avesse
fatto con lei.