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Autore: redcokehobos    22/11/2011    10 recensioni
La porta del retro si aprì per l’ennesima volta. Aveva i capelli castani legati in una coda disordinata, il grembiule sporco di chissà cosa, l’aria indaffarata e la faccia stravolta di chi aveva lavorato troppo per una sola giornata.
«Bella» la chiamò Mike «Ci sono dei clienti, sbrigati»
«Ho solo due mani» rispose decisa lei, indicando i piatti che stava portando.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Nata mentre mangiavo spiedini e patatine fritte.
La cucina della mamma è anche musa ispiratrice, oltre che buona.
Buona lettura.


blueberry pie.

 

Lo scacciapensieri appeso alla porta del locale trillò.
Attaccato alla parete rivestita da assi di finto legno, tra l’insegna luminosa di una nota marca di birra e un enorme poster degli anni ottanta, l’orologio segnava le 22:45.
L’odore di carne arrostita e di fritto alleggiava nell’aria ed entrava nelle narici dei pochi clienti seduti ai tavoli e al bancone.
Due ragazzi si sfidavano a biliardo, bevendo qualche sorso di birra tra una steccata e l’altra. Un gruppo di amici chiacchierava tranquillamente, sul tavolo alcuni bicchieri di Coca-Cola e delle birre alla spina, probabilmente in attesa delle loro ordinazioni. Un uomo al bancone sorseggiava tranquillamente la sua birra, ed ogni tanto scambiava due chiacchiere con la barista che aveva di fronte. Jessica, una ragazza che lavorava lì come cameriera, stava prendendo l’ordinazione di due ragazzi, facendo la civettuola con uno di loro.

Sicuramente, insieme al conto, gli lascerà anche il numero di telefono, pensò Edward.
Si levò il cappotto e la sciarpa, sfilandosi la tracolla piena di libri da dosso, e si sedette ad uno dei tavoli, il primo accanto alla porta, vicino la grande vetrata che dava sulla strada. Hanover a quell’ora era deserta, soprattutto a causa della temperatura gelida e della neve ghiacciata sull’asfalto. Il calore accogliente della tavola calda gli fece arrossare la pelle chiara per differenza della temperatura, le dita cominciarono ad intorpidirsi, il sangue a fluire normalmente. Sarebbe volentieri rimasto lì dentro tutta la sera, cosa che sarebbe successa molto probabilmente.
Rosalie, la ragazza dietro al bancone del bar lo notò e gli fece un cenno con la testa. Pochi secondi dopo dal retro del locale uscì Angela, con l’aria indaffarata nella sua divisa da cameriera, che lo salutò amichevolmente con la mano per poi tornare dietro la porta che portava alla cucina. I due ragazzi avevano finito la loro partita e le loro birre, così si avvicinarono alla cassa. «Mike» gridò Rosalie, mentre asciugava un bicchiere con un canovaccio. Newton, il figlio dei proprietari del locale, uscì dal retro e si avvicinò alla cassa, salutando i clienti con aria affabile, come se li conoscesse da sempre. Si sentiva il galletto nel pollaio, il boss del locale, anche se per Edward era la persona più inutile e viscida nel mondo. Non gli era mai andato a genio, fin dalla prima volta che lo aveva incontrato, e ciò che era venuto a sapere successivamente su di lui confermava la sua idea. I due ragazzi uscirono dal locale, facendo trillare ancora una volta lo scacciapensieri e lasciando la porta aperta a dei nuovi clienti, che si accomodarono due tavoli più avanti. Newton alzò gli occhi dalla cassa, incrociando il suo sguardo. Lo guardò indifferente, poi tornò ai suoi conti. L’antipatia era decisamente reciproca.
La porta del retro si aprì per l’ennesima volta. Aveva i capelli castani legati in una coda disordinata, il grembiule sporco di chissà cosa, l’aria indaffarata e la faccia stravolta di chi aveva lavorato troppo per una sola giornata.
«Bella» la chiamò Mike «Ci sono dei clienti, sbrigati»
«Ho solo due mani» rispose decisa lei, indicando i piatti che stava portando. Non perse tempo in quell’inutile discussione e servì subito il gruppo di ragazzi che era in attesa, sorridendo gentile. Prese il taccuino e la penna dalla tasca del suo grembiule e si avvicinò al tavolo dei nuovi arrivati, appuntando velocemente anche le loro ordinazioni. Con il dorso della mano si spostò una ciocca di capelli che le era caduta davanti agli occhi. Mentre la signora decideva se prendere un hamburger di soia o lasciarsi andare ad un bell’hot dog solamente per quella sera, lanciò un’occhiata in direzione di Edward poi scosse piano la testa, esasperata. Lui strinse le labbra, trattenendo una risata. Passò l’ordinazione ad Angela in cucina per poi avvicinarsi al suo tavolo. «Che ci fai qui?»
«Sto aspettando la mia ragazza. La conosci per caso?» Bella sorrise, divertita.
«Va’ a casa, te l’ho detto che si fa tardi anche stasera»
«Ti aspetto» rispose lui semplicemente.
«Edward, sei stato tutto il giorno in facoltà, vai a riposare»
«Non sono stanco» cercò di convincerla, investendola con lo sguardo «Sul serio»
«Bella!» Si voltarono entrambi verso Newton, che richiamò la sua dipendente da dietro il bancone «Non ti pago per chiacchierare. Muoviti!»  
«Arrivo!» rispose lei, irritata, borbottando poi un «Idiota».
«Vai, prima che ti licenzi. O che io gli spacchi una mascella. Mi troverai qui, in questo un angolino, con il mio libro di anatomia a tenermi compagnia» concluse, sorridendo.
«Testardo» mormorò lei, tornando dritta nelle cucine. Ma Edward pensò che lei non era da meno. Se la giocavano bene in quanto a testa dura. E che si sarebbero scontrati per il resto della vita. Perché sarebbero rimasti insieme per il resto della vita. Lui e Bella erano opposti. Lui era più calmo, pacato, sapeva controllarsi. Lei esplodeva più facilmente, era una bomba ad orologeria. Lui si scoraggiava facilmente e passava ore e ore a crogiolarsi in se stesso. Lei era combattiva e decisa, nessuno l’avrebbe potuta fermare. Lui più riflessivo. Lei più istintiva e seguiva ciò che le diceva il cuore. Lui studiava medicina. Lei lettere. Lui aveva alle spalle una famiglia che lo sosteneva, padre medico, madre restauratrice, sorella quasi stilista e fratello sportivo. Lei genitori divorziati, padre poliziotto, madre che seguiva il suo nuovo marito/aspirante giocatore di baseball in giro per il mondo e lavorava part-time come cameriera per pagarsi gli studi. Lui voleva diventare medico, lei sveniva alla vista del sangue. Lui talentuoso pianista, lei con un disastroso passato da ballerina di danza classica. Lui acqua liscia, lei Coca-cola. Lui bistecca al sangue, lei ben cotta. Si erano conosciuti all’età di 17 anni, e messi insieme solo un mese dopo. Era il secondo anni che entrambi frequentavano Dartmouth e vivevano insieme in un piccolo appartamentino vicino al campus. Erano nati per stare insieme. La coppia perfetta. E il suo ragazzo pensò che era bellissima anche mentre serviva una porzione di patatine fritte alla coppia di signori due tavoli più avanti.
Nel frattempo Edward passava il tempo saltando da un capitolo all’altro del suo libro, alzando di rado gli occhi dalle pagine ma beccando comunque un paio di volte lo sguardo di Newton cadere sulla cameriera bionda che girava tra i tavoli. O meglio, sul posteriore della cameriera bionda. Pian piano che l’orario di chiusura si avvicinava, la clientela cominciava a scemare. L’orologio appeso al muro ormai segnava le 23:15.
«Mike, io vado»
«Cosa?! Tu stacchi a mezzanotte!»
«Ho chiesto una uscita anticipata a tuo padre e me l’ha accordata» spiegò Rosalie, levandosi il grembiule ed appendendolo all’attaccapanni.
«E allora chi chiude? Io devo andarmene e non si discute!»
«Non sono problemi miei» rispose lei, decisa. Quella ragazza sapeva imporsi. Mio fratello se l’è scelta bella tosta! Al pensiero di Emmett comandato a bacchetta da Rose, Edward dovette far di tutto per trattenere le risate, nascondendosi dietro il libro che stava leggendo. «Buona serata, a domani» Newton non si dette la pena di salutarla. Aveva scombinato i suoi programmi, probabilmente. Sicuramente aveva qualche povera ragazza incosciente ad attenderlo lì fuori, da qualche parte. «Jessica, se vuoi puoi andare» disse, dopo un paio di minuti di silenzio. La ragazza, che era intenta a pulire uno dei tavoli che aveva sparecchiato, si girò verso Mike.
«Davvero?»
«Certo, mi avevi chiesto quel favore» le ricordò, facendole l’occhiolino. Jessica sembrò lusingata da quella concessione da parte del suo capo.
«Grazie mille, Mike» rispose lei, con fare da gattamorta, correndo immediatamente nello spogliatoio per cambiarsi.
«Angela, invece tu e Bella pulite tutto e chiudete» ordinò, mettendosi la giacca, pronto ad uscire «Io me ne vado»
«Cosa? Ma oggi non toccava a noi…»
«Siete rimaste solo voi, non vedo nessun altro che possa farlo» disse, guardandosi intorno, prima di uscire dal locale senza neanche salutare. Angela rimase senza parole, nel bel mezzo della sala, con i portatovaglioli in mano. Il suo sguardo incrociò quello di Edward, che aveva un’espressione dispiaciuta sul volto. Nello stesso momento Jessica uscì dallo stanzino e sfrecciò verso l’uscita, salutandoli con un semplice “buonanotte”. Una ventina di pagine dopo, Edward vide spuntare sotto il suo naso una fetta della sua crostata preferita. Alzò gli occhi di fronte a sé dove si era seduta Bella che, ancora nella sua divisa da lavoro, era intenta ad accendere la candelina che vi era sopra il dolce.
«Pensavi me ne fossi dimenticata, vero?»
«In effetti…»
«Uomo di poca fede» lo prese in giro lei, per poi incitarlo con un cenno del capo ed un sorriso «Soffia» Edward, altrettanto sorridente, spense la candelina per poi sporgersi sul tavolo, verso la sua ragazza.
«Auguri» sussurrò, sulle sue labbra.
«Auguri anche a te» rispose lei, prima di baciarlo. Edward notò che la coppia due tavoli più in là, ormai unici clienti rimasti, li stava guardando intenerita.
«Abbiamo del pubblico» tossicchiò, tra il divertito e l’imbarazzato, ritirandosi al proprio posto. Bella si voltò.
«Sono tre anni che stiamo insieme» spiegò ai signori, con la felicità che le si poteva leggere negli occhi.
«Auguri. Siete una bellissima coppia, davvero» rispose la donna, sorridendo. Ringraziarono entrambi, per poi ritornare a loro due.
«I piatti da lavare mi aspettano» sospirò Bella, alzandosi dal suo posto «Faccio il prima possibile,  prometto. Tu mangia la torta, paga la casa!»
«E tu?»
«Sgranocchio qualcosa di là» rispose lei, allontanandosi. Passò una manciata di minuti prima che i due gentili signori chiedessero il conto ad Angela. Dopo aver ribadito i loro auguri ad Edward, che mangiava la sua fetta di crostata al mirtillo seduto al primo tavolo vicino l’entrata, uscirono dal locale, cosicché le ragazze potettero finalmente esporre il cartello “CHIUSO”. L’orologio segnava le 00:20.
«Angela, cosa stai facendo?» chiese Bella quando l’amica uscì fuori del ripostiglio secchio e straccio.
«Lavo il pavimento…» Bella sospirò e tolse il manico dello spazzolone dalle mani dell’amica.
«Lascia stare»
«Ma Bella, Mike ha de-»
«Tu dai veramente ascolto a quell’essere?» le chiese, sorpresa «Siamo dipendenti dei suoi genitori, non sue schiave. Il pavimento se lo lavasse lui domani mattina. Con la lingua, possibilmente» aggiunse, acidamente «Ascoltami bene. È mezzanotte e mezza. Vai di là, cambiati, chiama Ben, torna da tua madre e tuo fratello… fai quello che vuoi ma esci fuori di qui, ora!»
«Okay» si lasciò convincere «Ripongo questi allora» Bella le sorrise ed entrò nello spogliatoio. Edward capì che era arrivata di andare, così raccolse tutta la sua roba dal tavolo e dalla panca. Cinque minuti dopo erano tutti fuori, l’insegna e tutte le luci del locale finalmente spente. Il freddo pungente tipico di un Gennaio ad Hanover li colpì come una schiaffo in faccia, facendoli rabbrividire. Salutarono Angela augurandole una buonanotte e si incamminarono verso il parcheggio dove Edward aveva lasciato la sua automobile, l’uno accanto all’altra.
«Mio dio, si gela» mormorò Bella, stringendosi nel suo giubbotto, mentre camminando vicino al bordo del marciapiede. «No, dai…» si lagnò quando Edward le afferrò la mano e la attirò a sé, stringendola al suo fianco.
«Che c’è?» le chiese, confuso.
«Puzzo di fritto» spiegò, un po’ imbarazzata. Ma Edward la abbracciò ancora più forte, lasciandole un bacio tra i capelli. Perché non gli importava. Perché avrebbe passato la vita ad aspettare che finisse il suo turno in quel ristorante. Avrebbe passato la vita ad aspettare che i loro sogni si realizzassero. Avrebbe passato altri cento anniversari con una fetta di crostata ed una candelina su cui soffiare. Avrebbe passato anni e anni così.
Purché lo avesse fatto con lei.

 

  
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