QUINTO
CAPITOLO
Alle
sei Riccardo si alzò dal letto e respirò il profumo vissuto della camera,
osservando le lenzuola disfatte aggrovigliate tra le gambe bianchissime di
Vittoria. Lei dormiva, un’espressione leggera e fragile sul viso, come di chi
prova una felicità troppo grande e sconosciuta per fidarsi davvero. Respirava
piano, quasi impercettibilmente. Forse fingeva solo di dormire, ma Riccardo non
poteva aspettare ulteriormente.
Sentiva
che anche quell’amore era consumato e antico. Si sentiva vecchio dopo quella
lunghissima giornata. Si sentiva vecchio e stanco di vagare. Non aveva una meta
e, ormai, non aveva nemmeno più un vero desiderio. L’animo era stracciato da
quell’amore che, così forte e inaspettato, l’aveva sovrastato e confuso. Aveva
amato come nessuno aveva amato mai e quel sentimento era stato ricambiato con
una dolcezza inusuale. Nel petto sentiva un cuore ormai maturo, ormai affaticato
dall’amore. Non aveva più la forza di provarlo.
Aveva
più anni di quanti pensasse, solo ora se ne rendeva conto. Solo ora, guardando
Vittoria, bella come nessuna lo era stata e giovane come la speranza di una vita
nuova, capiva che i suoi anni erano troppi per poterla amare ancora come ci si
aspetterebbe da un ventenne. Non aveva più melodie da suonarle, storie da
raccontarle, carezze da offrirle, baci da regalarle, passioni per sconvolgerla e
per meritare la sua dedizione.
Perciò
si vestì lentamente, continuando a guardare quel corpo, giovane e fresco come il
vento di aprile, e, quando ebbe infilato la giacca di jeans, uscì, chiudendo
piano la porta dietro di sé. Scese le scale più in fretta di quanto non si
faccia alla sei del mattino e andò alla stazione. Prese il primo treno e decise
che quello sarebbe stato l’ultimo, che non aveva più bisogno di cercare nulla,
perché tutto quello che aveva sempre desiderato l’aveva ormai avuto e questo
appagamento lo aveva svuotato delle forze per continuare a vivere. Salì su un
treno per Napoli e nessuno si accorse mai più di lui, come Vittoria aveva fatto
solo il giorno prima. Fu come se fosse scomparso e, forse, fu davvero così.
Forse nemmeno lui trovò più quello che aveva perso facendo all’amore con
Vittoria.
Vittoria
aprì gli occhi non appena Riccardo ebbe chiuso la porta. Li aprì che già
piangevano, lacrime di una tristezza così profonda da non riuscire nemmeno a
piangere sul serio. Si alzò dopo qualche minuto e, nuda come una statua di marmo
spogliata dei propri gioielli, si guardò allo specchio. Era tremendamente magra,
così debole e così appesantita dal dolore da sentirsi svenire. E forse svenne e
nessuno se ne accorse, perché alle sei del mattino nessuno pensa che
nell’appartamento accanto qualcuno ha appena assaggiato la lama crudele della
delusione.
Andò
in cucina e si sedette su una sedia, osservando l’alba al di là della finestra
del balcone. Era paralizzata dal dolore, profondamente fisico e difficile da
tacere. Avrebbe voluto urlare, perché la pelle si stava squarciando, perché i
muscoli si stavano sfilacciando e perché il sangue sgorgava velocemente fuori
dal suo petto.
Era
come aver il sole nel cuore: poteva sentirlo esplodere e bruciare la carne viva,
incidendo a fondo gli organi, facendo seccare il sangue nelle
vene.
Era
come una ferita riaperta e cosparsa dell’aspro succo dell’abbandono. I sensi
erano anestetizzati, un solo tagliente dolore le bucava in ventre e la obbligava
a ripiegarsi su se stessa.
Doveva
abortire quell’amore per sopravvivere, rigettare l’organo che l’aveva salvata.
Tornare a non saper respirare, a non sentire i battiti del proprio cuore.
Tremava di freddo e di solitudine, un gelo fin troppo conosciuto e da cui era
riuscita ad allontanarsi per sole ventiquattr’ore.
Piangeva
grossi grani di sale e la gola, secca per il respiro troppo corto, era occlusa
da un senso di nausea mentale e fisica. Corse in bagno e credette di vomitare,
ma il suo corpo era troppo vuoto per potersi privare ancora di qualcosa. Si
sedette sul pavimento bianco e strinse i pugni, lasciando segni profondi sui
palmi delle mani ossute. Lasciò sbattere la propria schiena contro le piastrelle
di ceramica e chiuse gli occhi.
La
ferita tra polmoni e stomaco si era riaperta con una velocità ed una violenza
che Vittoria non aveva mai provato prima. Non si trattava di avventatezza
nell’essersi fidata di un perfetto sconosciuto, sceso dal primo treno passato
alla stazione, con una custodia di strumento musicale in mano e con uno sguardo
stanco e afflitto. Né di ingenuità che l’aveva spinta a non ascoltare la parte
di sé che da anni la teneva lontana sì dalle gioia, ma, ovviamente, anche dai
dolori. Era la coscienza di aver perso un’ulteriore parte di sé, di non aver
potuto godere pienamente della piccola fortuna che la sorte le aveva riservato.
Aveva avuto la possibilità di rimediare agli errori passati, di medicare le
cicatrici del proprio corpo, di conoscere il sapore di una vita priva di
angosce, ma non ci era riuscita. Il presente tanto dolce e rigenerante era ormai
un passato offuscato e greve, come una candida nuvola ora carica di pioggia
pesante.
Scossa
da singhiozzi pieni di liquido rammarico, provava un dolore che non poteva
sostenere, che la faceva impazzire per la sua intensità.
Era
piena di buio, quella voragine nel petto. Un buio terrificante, capace di
allontanarla dal mondo e di farla cadere in un baratro ancora più profondo di
quello in cui stagnava la sua vita prima di incontrare
Riccardo.
Non
sarebbe più servito andare alla stazione ed aspettare il proprio destino, perché
nessuno sarebbe mai più arrivato. Bisognava ormai accontentarsi, perché, l’aveva
capito, gli amanti senza coraggio non possono amare davvero. Non possono offrire
quello che l’amore richiede e non sono capaci di accettare quello che egli sa
dare. Amare senza coraggio è come tornare senza essere mai partiti: non si ha un
posto in cui tornare, non si hanno sogni da raccontare.
Forse
Vittoria e Riccardo avrebbero potuto essere migliori, in un mondo in cui gli
errori erano ancora tutti da fare, in cui la tristezza era ancora da scoprire,
ma Riccardo non aveva la forza di scappare davvero e Vittoria non aveva più un
motivo per farlo.
Continuò
a piangere la vita che non avrebbe vissuto. Si disperava perché il suo cuore era
ancora pieno di speranza e lei era ancora piena di vita, ma non c’era persona a
cui mostrare questa fiducia. Aveva capito di possedere sentimenti forti e caldi,
di non essere solo mostri e tristezza, ma capiva anche che sarebbe stata la vita
stessa a sopprimerli e a lasciarla vuota e fredda.
Rimase
seduta sul pavimento del bagno, piangendo nuda il figlio mai
nato.
Ma come vorrei avere i tuoi occhi
spalancati sul mondo come carte
assorbenti
e le tue risate pulite e piene quasi senza
rimorsi
o pentimenti.
Ma come vorrei avere da guardare
ancora tutto come i libri da sfogliare
e avere ancora tutto, o quasi tutto, da
provare.
Cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre
fatica
e che il vivere è sempre quello, ma è storia
antica.
Dammi ancora la mano,
anche se quello stringere è solo un
pretesto
per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha
dato
o mi ha mai chiesto.
Vola, vola tu dov’io vorrei volare,
verso un mondo dov’è ancora tutto da
fare
e dov’è ancora tutto o quasi tutto da sbagliare.
- E così anche questa storia è finita.
- Spero che vi abbia emozionati come desideravo e che ne siate rimasti colpiti.
-
Alcune cose potranno esservi apparse strane e quasi impossibili, ma il mio intento era quello di scrivere una storia utopica, che però finisse male. Una storia che inneggiasse all’amore, ma che non avesse un lieto fine. Una via di mezzo tra la realtà e la finzione, che comprendesse dolcezza e amarezza allo stesso tempo. Spero, ovviamente, di esserci riuscita in maniera positiva.
Ovviamente, dedico questa storia a P. e G., i due costanti punti interrogativi della mia vita, che hanno largamente ispirato il personaggio di Riccardo. Sarebbe bello se, un giorno, leggessero questa storia, anche se vedo la cosa abbastanza improbabile...
Ringrazio moltissimo le persone che hanno messo la storia tra le preferite e tra le seguite, ma soprattutto ringrazio Shamrock che ha commentato la maggior parte dei capitoli, rendendomi molto felice (:
Alla prossima,
Miss Dark