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Autore: miss dark    22/11/2011    4 recensioni
Amare senza coraggio è come tornare senza essere mai partiti: non si ha un posto in cui tornare, non si hanno sogni da raccontare.
L’utopica storia di Vittoria dall’animo infelice e di Riccardo dal cuore pavido.
[Prima classificata al concorso "All you need is love" indetto da superkiki92]
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hero of my day

 

 

QUINTO CAPITOLO

 

 

Alle sei Riccardo si alzò dal letto e respirò il profumo vissuto della camera, osservando le lenzuola disfatte aggrovigliate tra le gambe bianchissime di Vittoria. Lei dormiva, un’espressione leggera e fragile sul viso, come di chi prova una felicità troppo grande e sconosciuta per fidarsi davvero. Respirava piano, quasi impercettibilmente. Forse fingeva solo di dormire, ma Riccardo non poteva aspettare ulteriormente.

Sentiva che anche quell’amore era consumato e antico. Si sentiva vecchio dopo quella lunghissima giornata. Si sentiva vecchio e stanco di vagare. Non aveva una meta e, ormai, non aveva nemmeno più un vero desiderio. L’animo era stracciato da quell’amore che, così forte e inaspettato, l’aveva sovrastato e confuso. Aveva amato come nessuno aveva amato mai e quel sentimento era stato ricambiato con una dolcezza inusuale. Nel petto sentiva un cuore ormai maturo, ormai affaticato dall’amore. Non aveva più la forza di provarlo.

Aveva più anni di quanti pensasse, solo ora se ne rendeva conto. Solo ora, guardando Vittoria, bella come nessuna lo era stata e giovane come la speranza di una vita nuova, capiva che i suoi anni erano troppi per poterla amare ancora come ci si aspetterebbe da un ventenne. Non aveva più melodie da suonarle, storie da raccontarle, carezze da offrirle, baci da regalarle, passioni per sconvolgerla e per meritare la sua dedizione.

Perciò si vestì lentamente, continuando a guardare quel corpo, giovane e fresco come il vento di aprile, e, quando ebbe infilato la giacca di jeans, uscì, chiudendo piano la porta dietro di sé. Scese le scale più in fretta di quanto non si faccia alla sei del mattino e andò alla stazione. Prese il primo treno e decise che quello sarebbe stato l’ultimo, che non aveva più bisogno di cercare nulla, perché tutto quello che aveva sempre desiderato l’aveva ormai avuto e questo appagamento lo aveva svuotato delle forze per continuare a vivere. Salì su un treno per Napoli e nessuno si accorse mai più di lui, come Vittoria aveva fatto solo il giorno prima. Fu come se fosse scomparso e, forse, fu davvero così. Forse nemmeno lui trovò più quello che aveva perso facendo all’amore con Vittoria.

 

 

Vittoria aprì gli occhi non appena Riccardo ebbe chiuso la porta. Li aprì che già piangevano, lacrime di una tristezza così profonda da non riuscire nemmeno a piangere sul serio. Si alzò dopo qualche minuto e, nuda come una statua di marmo spogliata dei propri gioielli, si guardò allo specchio. Era tremendamente magra, così debole e così appesantita dal dolore da sentirsi svenire. E forse svenne e nessuno se ne accorse, perché alle sei del mattino nessuno pensa che nell’appartamento accanto qualcuno ha appena assaggiato la lama crudele della delusione.

Andò in cucina e si sedette su una sedia, osservando l’alba al di là della finestra del balcone. Era paralizzata dal dolore, profondamente fisico e difficile da tacere. Avrebbe voluto urlare, perché la pelle si stava squarciando, perché i muscoli si stavano sfilacciando e perché il sangue sgorgava velocemente fuori dal suo petto.

Era come aver il sole nel cuore: poteva sentirlo esplodere e bruciare la carne viva, incidendo a fondo gli organi, facendo seccare il sangue nelle vene.

Era come una ferita riaperta e cosparsa dell’aspro succo dell’abbandono. I sensi erano anestetizzati, un solo tagliente dolore le bucava in ventre e la obbligava a ripiegarsi su se stessa.

Doveva abortire quell’amore per sopravvivere, rigettare l’organo che l’aveva salvata. Tornare a non saper respirare, a non sentire i battiti del proprio cuore. Tremava di freddo e di solitudine, un gelo fin troppo conosciuto e da cui era riuscita ad allontanarsi per sole ventiquattr’ore.

Piangeva grossi grani di sale e la gola, secca per il respiro troppo corto, era occlusa da un senso di nausea mentale e fisica. Corse in bagno e credette di vomitare, ma il suo corpo era troppo vuoto per potersi privare ancora di qualcosa. Si sedette sul pavimento bianco e strinse i pugni, lasciando segni profondi sui palmi delle mani ossute. Lasciò sbattere la propria schiena contro le piastrelle di ceramica e chiuse gli occhi.

La ferita tra polmoni e stomaco si era riaperta con una velocità ed una violenza che Vittoria non aveva mai provato prima. Non si trattava di avventatezza nell’essersi fidata di un perfetto sconosciuto, sceso dal primo treno passato alla stazione, con una custodia di strumento musicale in mano e con uno sguardo stanco e afflitto. Né di ingenuità che l’aveva spinta a non ascoltare la parte di sé che da anni la teneva lontana sì dalle gioia, ma, ovviamente, anche dai dolori. Era la coscienza di aver perso un’ulteriore parte di sé, di non aver potuto godere pienamente della piccola fortuna che la sorte le aveva riservato. Aveva avuto la possibilità di rimediare agli errori passati, di medicare le cicatrici del proprio corpo, di conoscere il sapore di una vita priva di angosce, ma non ci era riuscita. Il presente tanto dolce e rigenerante era ormai un passato offuscato e greve, come una candida nuvola ora carica di pioggia pesante.

Scossa da singhiozzi pieni di liquido rammarico, provava un dolore che non poteva sostenere, che la faceva impazzire per la sua intensità.

Era piena di buio, quella voragine nel petto. Un buio terrificante, capace di allontanarla dal mondo e di farla cadere in un baratro ancora più profondo di quello in cui stagnava la sua vita prima di incontrare Riccardo.

Non sarebbe più servito andare alla stazione ed aspettare il proprio destino, perché nessuno sarebbe mai più arrivato. Bisognava ormai accontentarsi, perché, l’aveva capito, gli amanti senza coraggio non possono amare davvero. Non possono offrire quello che l’amore richiede e non sono capaci di accettare quello che egli sa dare. Amare senza coraggio è come tornare senza essere mai partiti: non si ha un posto in cui tornare, non si hanno sogni da raccontare.

Forse Vittoria e Riccardo avrebbero potuto essere migliori, in un mondo in cui gli errori erano ancora tutti da fare, in cui la tristezza era ancora da scoprire, ma Riccardo non aveva la forza di scappare davvero e Vittoria non aveva più un motivo per farlo.

Continuò a piangere la vita che non avrebbe vissuto. Si disperava perché il suo cuore era ancora pieno di speranza e lei era ancora piena di vita, ma non c’era persona a cui mostrare questa fiducia. Aveva capito di possedere sentimenti forti e caldi, di non essere solo mostri e tristezza, ma capiva anche che sarebbe stata la vita stessa a sopprimerli e a lasciarla vuota e fredda.

Rimase seduta sul pavimento del bagno, piangendo nuda il figlio mai nato.

 

 

 

Ma come vorrei avere i tuoi occhi

spalancati sul mondo come carte assorbenti

e le tue risate pulite e piene quasi senza rimorsi

o pentimenti.

Ma come vorrei avere da guardare

ancora tutto come i libri da sfogliare

e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare.

Cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre fatica

e che il vivere è sempre quello, ma è storia antica.

Dammi ancora la mano,

anche se quello stringere è solo un pretesto

per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato

o mi ha mai chiesto.

Vola, vola tu dov’io vorrei volare,

verso un mondo dov’è ancora tutto da fare

e dov’è ancora tutto o quasi tutto da sbagliare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

















E così anche questa storia è finita.
Spero che vi abbia emozionati come desideravo e che ne siate rimasti colpiti.

Alcune cose potranno esservi apparse strane e quasi impossibili, ma il mio intento era quello di scrivere una storia utopica, che però finisse male. Una storia che inneggiasse all’amore, ma che non avesse un lieto fine. Una via di mezzo tra la realtà e la finzione, che comprendesse dolcezza e amarezza allo stesso tempo. Spero, ovviamente, di esserci riuscita in maniera positiva.

Ovviamente, dedico questa storia a P. e G., i due costanti punti interrogativi della mia vita, che hanno largamente ispirato il personaggio di Riccardo. Sarebbe bello se, un giorno, leggessero questa storia, anche se vedo la cosa abbastanza improbabile...

 

Ringrazio moltissimo le persone che hanno messo la storia tra le preferite e tra le seguite, ma soprattutto ringrazio Shamrock che ha commentato la maggior parte dei capitoli, rendendomi molto felice (:

Alla prossima,

Miss Dark

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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