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Autore: Carla Volturi    23/11/2011    1 recensioni
Il ritorno di Carlo, medico quarantacinquenne e Lucia, studentessa ventenne. Sono trascorsi due anni, ma niente ha cancellato il loro amore. Riusciranno a ritrovarsi?.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Image and video hosting by TinyPic Buongiorno a tutti voi!.
Il nuovo capitolo è servito.
Spero vi piaccia....Carla.

CAPITOLO 8- LA NOSTRA LUNA.


Giro per la stanza come una matta.
Sembro una folle.
Do un pugno al muro.
Ho lo sguardo di chi sta per scoppiare.
Porto le mani al viso. Giro ancora per la camera.
Entra Michele: “Ho sentito un forte rumore…tutto bene?”.
Mi volto verso di lui.
I miei occhi sono iniettati di sangue. Rosso e vivo.
Ho la pressione a tremila.
 Stringo, con le mani, i lembi laterali del vestito.
Credo non mi abbia mai vista cosi.
Sono piena d’ira.
 E nessuno può aiutarmi, perché ce l’ho a morte con lui. Ma soprattutto con me stessa.
Arretra: “Ma che hai?”.
Resto immobile. Affanno.
Il mio petto si muove a ritmi impercettibili, a causa della respirazione veloce.
Mi viene accanto: “Oh calma!”.
Lo scosto: “Calma un corno!”, gli dico, urlando.
 Prendo un gioco di Luna e lo lancio contro il muro.
Mi fermo. I miei occhi sono spalancati. Si perdono nel vuoto.
 Inizio a piangere, silenziosamente:
Nessuno sa quanto sia stata dura per me lasciarlo. Nessuno. Neanche lui. E’ stata la cosa piu’ difficile che io abbia mai fatto”, gli dico, restando nella stessa posizione.
Con la mano tento di asciugare le lacrime.
Continuo: “E osa pure dirmi che mi sono rifatta una vita?.Io mi sono rifatta una vita!”,un sorriso nervoso compare sul mio volto: “Non c’è stato un solo giorno, in questi due anni,in cui non avrei voluto prendere la macchina per cercarlo. Per trovarlo. Ho vissuto ogni singolo giorno lavorando sodo,per costruire un futuro solido per Luna.
Oggi ho una vita,ma non è quella che desidero.  Ho un compagno, che stimo ma che non amo. E ho una figlia,che ha bisogno…” : Michele prende il sopravvento su di me, parlandomi amorevolmente: “Hai una figlia che ha bisogno di un padre. Non parlare con me! Va da lui e digli la verità. Digli che sei partita solo per paura di condizionare la sua vita. Digli che è sempre stato dentro di te. E infine digli di Luna. Sua figlia”.
Lo guardo.
Michele mi prende per le mani: “Credevi che non avessi capito? Quando l’hai scoperto? Uno massimo due mesi dopo che eri andata via?. Lucia sono trascorsi due anni, eppure tu sei sempre qui, cosi come Carlo. mi sembra che questo la dica lunga sul vostro legame. Ti sei negata la cosa piu’importante già per troppo tempo. Pensa un attimo a lui: si è arreso alla tua decisione. Non gli hai dato neanche l’opportunità di poter dire cosa realmente pensasse. Hai una seconda occasione e sii certa che una terza non l’avrai. E non te la darà neanche lui. Raggiungilo  e cerca di salvare ciò che puoi”.
Ha pienamente ragione Michele: di tempo ne è passato tanto ed io non posso pretendere che tutto torni come prima. Si perché io vorrei che fosse tutto come due anni fa. Avrei dovuto esser piu’forte.
Come disse Carlo una volta “insieme possiamo farcela”. Ma non ho avuto fiducia in noi e sono andata via. Sperando di poter cancellare i giorni vissuti con lui. Poi la scoperta di avere dentro di me Luna. Vederla sorridere per me è uno strazio, perché somiglia tanto a suo padre. Stessi occhi, stesso colore dei capelli. Stessa solarità. Stessa curiosità. Quella curiosità che l’ha spinto ad andare oltre la differenza d’età. Ha voluto conoscermi, ha voluto amarmi per ciò che sono. In cambio io gli ho voltato le spalle.
Non so se recupereremo mai il nostro rapporto. I suoi occhi sono pieni di risentimento nei miei confronti. Ma ora mi resta una sola cosa da fare: avvicinarlo a Luna e fargli capire, per quanto lui possa accettarle, le motivazioni del mio gesto. Dei miei gesti: il mio abbandono e Luna.  
Mi volto verso Michele, gli sorrido, anche se mi riesce proprio difficile parlare: “Grazie”.
Mi risponde annuendo e sorridendomi.
Mi lascia passare.
Esco dalla stanza.
Prendo Luna, in cucina con Cristina.
Apro la porta ed vado via.
E’ arrivato il momento della verità.
 
                                                            ***
Apro il cancello con la chiave sotto lo zerbino.
Inizio a correre per le scale.
Lo chiamo, urlando il suo nome.
Luna si spaventa. Inizia a piangere forte.
Carlo si affaccia dal balcone: mi vede. Entra subito dentro.
Varco il portico. Salgo la seconda rampa.
Sento la porta aprirsi.
Lo guardo, mentre scende le scale.
Ma sei matta?”, mi dice, venendomi incontro.
Luna strilla.
La prende in braccio.”Ma che razza di madre sei? Ma che ti è preso”, mi dice, sbalordito dalla mia reazione.
 Lo vedo salire. Si dirige verso casa sua.
Entra.
Lo seguo io.
Chiudo la porta, sbattendola.
Carlo è in camera da letto con Luna. E’riuscito a tranquillizzarla.
Sono una furia.
Affanno.
Mi piego su me stessa: “E’tua figlia”, gli dico.
Si volta di scatto.
Mi guarda come se gli avessi detto qualcosa solo per scherzare.
E’ perplesso. Guarda la bambina. Minuziosamente.
Ho come l’impressione che voglia trovare qualche dettaglio in lei che gli confermi che si tratti di sua figlia.
Poi ritorna a fissarmi. Sono sempre li, dinanzi a lui. Sempre nella stessa posizione.
Tu non mi faresti una cosa del genere. Lo so”, mi dice, pur non essendo ancora convinto delle sue parole. Sa che in vita mia non ho mai mentito.
Ripete la frase: “Tu non mi faresti una cosa del genere. Non è vero?”. Dalla sua voce capisco che è terrorizzato.
 Terrorizzato all’idea che quella bambina, che ora tiene tra le braccia, sia davvero sua.
Cerco di armarmi di tutta la calma che ho: “E invece l’ho fatto. Ha un anno e tre mesi . Per nove l’ho tenuta dentro di me ”.
Ora è consapevole della realtà dei fatti: “Sono due anni”.
Annuisco.
Pone il suo sguardo su Luna. Le tocca le mani.
L’adagia sul letto. Dorme.
Mi indica di uscire fuori dalla stanza.
Mi segue. Chiude leggermente la porta.
Mi siedo su una sedia, in cucina.
Lui affonda nella poltrona, vicino al muro.
E’sconvolto. Fissa il vuoto. Sta in silenzio. Ha gli occhi sgranati, come colui che ha conosciuto la nuda verità.
Lo guardo fisso.
Rimaniamo cosi per ore.
                                                                      ***
E’ sera.
Sono ancora da Carlo.
Con Carlo. Seduti in cucina.
Non ci siamo detti ancora nulla.
Ma come hai potuto”, mi dice. Non riesce a capacitarsi: “Ma come hai fatto”.
Gli rispondo: “Ero appena andata via. Non volevo…”.
M’interrompe: “Ma non volevi cosa, Lucia? Non m’importa nulla di cosa tu volessi, di cosa tu pensassi. Tu mi hai nascosto la verità per due anni. Due anni interi, in cui io mi sono sempre chiesto tu cosa stessi facendo, come stavi, con chi. Due anni, in cui ho cercato di farti arrivare i miei messaggi attraverso chi ti conosceva. E ora te ne vieni cosi. Mi dispiace non ti pulisci la coscienza. Ma che credevi che io il padre non sapessi farlo? Che non ti avrei aiutata? Non ti perdonerò mai Lucia per questo, mai.
Le sue parole sono come macigni sul cuore.
 Ma ho il dovere di rispondergli.
 Ho il dovere di dargli delle spiegazioni.
Ho il dovere di difendere me stessa dalle sue accuse.
Perché è troppo comodo puntare il dito, senza conoscere i fatti verificatisi.
Mi rivolgo a lui, guardandolo dritto agli occhi: ”E’ facile per te dirmi tutto questo. Ma dovresti considerare che all’epoca io avevo solo venti anni e non sapevo nulla della vita. In un mese mi sono ritrovata a vivere delle situazioni difficili, anche solo da descrivere. Non è stato semplice per me avvicinarmi a te. Non è stato semplice capire cosa davvero stavo provando. La paura di ritrovarmi dinanzi un uomo adulto, che ha bisogno di sentirsi ancora per una volta giovane. La consapevolezza del tuo amore. Il dolore di tua moglie, che ben ha capito cosa c’è dietro la rottura con suo marito. Il tentato suicidio.
Io non volevo tutto questo. Non volevo vivere queste esperienze da “adulti”. Ero venuta qui solo per rilassarmi un po’. E invece mi sono ritrovata capo voltata in un mondo che non era il mio. Reale si, ma di certo non mio. Fuggire , per me, era l’unica soluzione. Credevo che andare via potesse darti la possibilità di ricostruire qualcosa con Francesca.
Ma il destino ha continuato a non esser clemente con me: dopo un mese dalla mia partenza, ho scoperto di aspettare un bambino. Ma chi sogna alla mia età di avere un figlio?. Tre mesi interi li ho trascorsi, tentando di capire cosa dovevo fare: lo tengo o no?. Dai miei genitori una sola risposta ho ricevuto: la porta di casa chiusa in faccia. Si perché avevo osato non esser piu’la loro figlia perfetta. Quella che frequenta all’università. Quella che esce con l’amica. Quella che trova il fidanzatino, ma nulla di rilevante e compromettente.
Accanto ho avuto solo mia nonna, che mi ha tanto aiutata e la mia amica, Ginevra. Solo loro. Il resto del mondo si è dimenticato di me. Ma io non ho cancellato quel piccolo esserino che avevo dentro.
Non potevo: era il frutto del nostro amore. Per lei mi sono rimboccata le maniche, ho lavorato, ho sudato, ho pianto. E se ora sono qui, con questa bambina, con la tua bambina, lo devo solo a me stessa.
Tu non sai nulla di me. Nulla. Non puoi rimproverarmi niente”.
Porta le sue mani al volto.
E’ distrutto. Lo sento.
Si muove sulla poltrona.
Appoggia le sue braccia sui braccioli. Testa sullo schienale. Sguardo rivolto all’alto.
Credo stia metabolizzando il tutto.
Io resto seduta sulla sedia, vicino al tavolo.
Ho un forte mal di testa.
Non è facile per nessuno.
Ma concordo con quanto dettomi da Michele: la verità rende liberi.
Mi guarda. I nostri sguardi si incrociano.
La sua espressione è cambiata: sicuramente non ha digerito a pieno la cosa, ma non ha piu’quello sguardo severo di prima.
Perché Luna?”, mi chiede.
Non capisco cosa vuoi dirmi”, gli rispondo.
Mi ripone la domanda: “Perché l’hai chiamata Luna”.
Sorrido: “Luna, come tutte le lune che abbiamo visto insieme, abbracciati sul balcone”.
Annuisce.
Porta la mano davanti la bocca.
Pensa a qualcosa e sorride leggermente.
Chiude gli occhi: “La nostra Luna!”.
  
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