Nascosta sotto le scale, Viola stava conducendo la
giornata più strana della sua vita.
Il corridoio di fronte a lei, che scorgeva quasi con la
coda dell’occhio, era vuoto, non uno studente, non un professore. Nessuno.
D’altronde, neanche Viola avrebbe dovuto essere lì, ma in classe, a seguire la
lezione di letteratura. Ebbene, perché si trovava li? Per evadere dalla
distrazione, o forse, per esaudirla.
S’era quasi convinta a scendere al piano di sotto,
quando sentì dei leggerissimi passi provenire proprio dal corridoio, lanciò uno
sguardo furtivo stando bene attenta a non farsi scorgere, e bastò poco più di un
secondo a notare il ragazzo di quella mattina che era spuntato chissà da dove, e
adesso passeggiava a poca distanza da lei, come se scivolasse sul
pavimento.
Viola lo osservò incantata quasi stesse guardando
qualcosa di completamente fuori dall’ordinario e dall’umano, lui ad un certo
punto si fermò davanti alla panchina del corridoio, la vecchia panca di legno di
fronte agli armadietti. Restò fermò per qualche secondo, era come se i piedi gli
si fossero incollati al suolo. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto
di fazzolettini di carta, lo posò sulla panchina e fece retro front. Sparì, se
te tornò da dove era venuto. Viola lo vide scendere le scale che si trovavano
dall’altro lato del corridoio.
Un pacchetto di fazzoletti?
Mai vista una cosa del genere.
Viola sbucò fuori dal suo nascondiglio e osservò il
corridoio ora nuovamente vuoto. Sulla panchina marrone adesso c’era un pacchetto
di fazzoletti.
Assurdo.
Viola scosse la testa, si girò e prese a scendere le
scale fino a giungere al bagno
delle ragazze del piano di sotto.
Si guardò allo specchio fissandosi negli
occhi.
- Cosa stai guardando?-
Una simpatica voce le arrivò alle spalle, Viola si girò
e incontrò gli occhi di Mia.
- Oh,
Mia...sei tu-
Amelia Riles, meglio nota come Mia, comparve alle sue
spalle con un sorriso d’eccezione.
-
Certo, chi vuoi che
sia?-
-
Scusami. Ero sovrappensiero,
non ti ho vista-
Viola distolse lo sguardo dall’amica per fissare il
vuoto sotto i suoi piedi.
-
Si, me n’ero accorta. Cos’è
questa faccia?-
-
Niente
–
-
Ne sei sicura? Viola Lens, non me la conti
giusta!-
Viola alzò le spalle con aria
misteriosa.
-
Non è niente di che. Credo
avere le allucinazioni-
Mia assottigliò
gli occhi scuri, le sue labbra sottili si curvarono in un mezzo
sorriso.
-
Certo che tu sei strana, Viola Lens. Ma i tuoi misteri mi
incuriosiscono troppo-
-
Non ci sono misteri. O forse
si, io non lo so, - Viola parve riflettere, poi lanciò a Mia uno sguardo
curiosa, - ascolta, Mia, hai mai notato uno strano tipo, alto, dai capelli
biondi… un po’ silenzioso, sai, insomma, quei tipi che…-
Tentava di
spiegarsi, ma non ci riusciva. Il pensiero correva all’insensato evento di poco
prima.
-
Ehi, ehi, frena, okay? Non
saprei dirti. Ma perché?-
Già, perché?
Viola zittì improvvisamente.
-
Beh...-
Mia storse la bocca, poggiò una mano sulla spalla
dell’amica, poi si fece una risatina.
-
Facciamo così, non voglio
saperlo subito okay, Viola Lens? Ma
se casomai dovessi conoscerlo, te lo presenterò -
-
No, ma
io...-
-
Bla bla bla! Non importa!
Forza, usciamo da qui...devi salire al piano di sopra?-
-
Si -
-
Ti accompagno. Non voglio
ritornare in classe-
Viola sentiva la testa girarle, ma senza aggiungere
nient’altro si fece trascinare fuori dal bagno da Mia; dopo di che salirono
insieme le scale. Forse Mia parlò, iniziò a dire qualcosa, non lo sapeva. Si
trovarono così entrambe sul corridoio del terzo piano, vuoto come Viola l’aveva
lasciato. Sulla panchina, ancora quel pacco di fazzoletti. Perché diamine
l’aveva messo lì? Era fuori di testa, forse?
Mia aveva ripreso a parlare quando le sue parole furono
bloccate da un singhiozzo di pianto.
Viola di girò di scatto e dall’altro estremo del
corridoio vide arrivare nella loro direzione Tracy McBean. Era di un anno più
grande e abitava a due passi da casa sua. Ricordava che sua madre, il giorno nel
quale erano arrivate a Brighton, aveva preparato una torta di mele e l’aveva
mangiata quasi tutta Janine.
Mia e Viola si scambiarono un’occhiata e poi le corsero
incontro.
-
Oh mio Dio, Tracy, cosa ti é
successo?- le chiese Mia abbracciandola. Tracy aveva le guance rosse e grosse
lacrime le cadevano dagli occhi, ridotti a due fessure.
-
Mi...mi...ha...-
Non ci fu bisogno che finisse la frase, sia Viola che
Mia avevano già capito: Ben, il suo ragazzo, l’aveva mollata.
Come faceva ogni mese.
Viola era sicura che non sarebbero passate neanche due
settimane che sarebbero ritornati insieme. Loro erano sempre uguali, la loro
storia andava avanti a tira-e-molla da più di cinque mesi e non si erano mai
lasciati sul serio.
-
Oh, siediti, Tracy - Mia fece
sedere l’amica sulla panchina del corridoio e sia lei che Viola che si sedettero
accanto, - come é successo?- chiese di nuovo Mia, fingendo
disperazione.
Tracy attaccò a parlare bloccata ogni tanto dai
singhiozzi, le lacrime le cadevano sulle guance, suo collo e sulle mani,
bagnando anche la camicia di Mia. Distrattamente afferrò il pacchetto di
fazzolettini che era ancora poggiato proprio lì accanto a lei e ne tirò fuori
uno per asciugarsi il viso.
Viola osservò le mani della ragazza mentre afferravano
l’oggettino e lo riposava poi proprio dove l’aveva trovato.
Rimase sbigottita.
Nel suo cervello si susseguirono velocemente immagini e
pensieri contornati da una confusione enorme.
Oh, ma che strana e insignificante coincidenza. Era
quasi come se quei fazzolettini si fossero trovati lì apposta. Come se qualcuno, - e con qualcuno si intende
uno a caso, sapesse che Tracy, o chiunque altro,
sarebbe scoppiato in lacrime.
-
Devo tornare in classe -
disse d’improvviso Viola alzandosi.
-
Oh, d’accordo. Ci vediamo
all’uscita?- le chiese Mia lasciando per un secondo Tracy ad asciugarsi le
lacrime.
-
Certo, a dopo. E, Tracy, non
preoccuparti per la storia di Ben. Vedrai che si risolverà
-
Viola si allontanò nel corridoio, si trattenne dal
correre.
…
Il giorno
dopo
L’ora di matematica era saltata, un Daniel tutt’altro
che apatico aveva comunicato a Viola questa notizia saltellando per il
corridoio, mentre una composta e posata Luce sorrideva con un cipiglio annoiato,
sapendo che avrebbero dovuto passare l’ora in palestra, seduti sugli spalti ad
osservare il professor Steven, l’insegnante di educazione fisica, stressare
altre povere vittime. Ma mentre Viola e Luce erano contrariate a quell’idea,
Daniel sprizzava allegria da tutti i poveri.
Ma ad ogni modo, annoiata o contenta, la classe fu
accompagnata dal vicepreside Collins in palestra, dove il professor Steven
pareva starli ad aspettare.
- Sedetevi sugli spalti e fate i buoni, ragazzi- disse,
passando tra di loro e scompigliando i capelli a quelli che si trovavano sotto
tiro, come era abituato a fare. La particolarità di Steven era proprio quella,
li trattava come se fossero bambini. Viola non aveva mai capito perché, ma era
una cosa curiosa. Ad ogni modo, il professor Steven era un tipo allegro e
sveglio, faceva di tutto per farli divertire e non perdeva occasione per
prendere in giro quelli che, come Viola, odiavano la materia. “Pensa, é meglio
che stare chiusa tra quattro mura china su un libro, piccola” le diceva sempre.
E poi le scompigliava i capelli.
Luce trascinò Viola dietro di se e si sedettero vicine
sulla sinistra, seguite a loro volta da Daniel, che parlava animatamente con gli
altri compagni di classe.
Il suono del fischietto di Steven ruppe quell’atmosfera
di rilassamento e nonostante Viola avesse alzato la testa, si rese conto che il
fischietto non era rivolto a loro: una ventina di ragazzi uscirono dagli
spogliatoi e si sparsero velocemente per la palestra. Viola guardò velocemente i
ragazzi che vedeva dislocarsi e i suoi occhi furono attratti da lui come calamita.
Era un pelo più indietro di un gruppetto di cinque o sei
ragazzi che si dirigevano verso Steven, e accanto a lui c’era una ragazza dai
capelli ramati, legati in una coda, e un ragazzo di poco più basso di lui, con
corti capelli neri.
Aveva passo leggero, sembrava molto più rilassato del
giorno precedente e sorrideva amabilmente mentre parlava con i due ragazzi al
suo fianco.
Viola restò con gli occhi fissi su di lui e rimase
probabilmente in quella posizione per più di qualche secondo poiché sentì la
mano di Luce che la scuoteva.
-
Viola, ci sei? Perché non mi
rispondi?-
-
Eh?
Cosa?-
-
Ma che ti succede? Cosa stavi
guardando?-
-
Niente
-
-
Sicura?-
-
Si, si, ero solo distratta
-
-
Si, un bel po’
distratta!-
Viola abbozzò un sorriso, Luce sembrò non dar peso alla
cosa e tornò a parlare con Daniel, che l’aveva appunto coinvolta in una
discussione con gli amici con i quali stava precedentemente
parlando.
Viola lanciò un’altra occhiata verso il campo, adesso i
ragazzi erano radunati intorno a Steven, che sorridendo e scherzando, stava
spiegando loro probabilmente quello che avrebbero fatto durante quella lezione.
Viola poggiò il mento sul palmo della mano e per qualche altro momento osservò
la sua figura, - adesso con le braccia incrociate che fissava il vuoto, -
crogiolandosi nell’idea che lui non avesse la benché minima idea che una
sconosciuta lo stesse osservando.
Abbassò per un secondo gli occhi e quasi come se il
destino volesse invitarla a riprendere contatto con la realtà, Luce le rivolse
la parola.
-
Credo che giocheranno a
basket! É lo sport che a Steven piace di più!- disse.
-
Già, ed é l’unico a cui
piace!- sentenziò Ashlee, seduta di fianco a Daniel.
-
Non é vero, a me piace molto-
esclamò Sally, con un sorrisetto sulle labbra.
Luce rise.
-
Dici sul
serio?-
-
Certo che dico sul serio, -
affermò Sally, portandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, - non
sono come tutte voi ragazze che odiate lo sport!-
Luce alzò le spalle. Sally, capace di urlare se solo le
si spezzava un unghia, stava testé dichiarando di essere un’amante dello sport.
Luce era certa che lo stesse dicendo soltanto per vantarsi, non c’era dubbio,
eppure, se fosse stata solo un briciolo più intelligente, non l’avrebbe
provocata.
- Non mi risulta che a te sia mai piaciuto lo sport-
iniziò Luce, sporgendosi verso di lei.
Sally se ne uscì con una risatina
isterica.
-
Invece si, sono una vera
appassionata e il professor Steven mi adora per questo-
Gli angoli della bocca di Luce si curvarono per formare
un soddisfatto sorriso.
- Allora facciamo una scommessa- iniziò, mentre una luce
nuova le appariva negli occhi.
-
Oh, l’atmosfera si scalda!-
scherzò subito Daniel, poggiando le mani sulle spalle di
Ashlee.
-
Spara- rispose Sally,
irremovibile.
Luce abbozzò un nuovo sorriso, guardò Viola di sottecchi
per poi dire:
-
Se giocheranno a basket,
chiedi a Steven di poter partecipare, di giocare per tutta la durata della
partita e di inserirti nella squadra meno numerosa-
Ci fu un attimo di silenzio, poi Sally scoppiò a
ridere.
-
Tutto qui?-
sghignazzò.
-
Già. Tutto
qui-
Luce sembrava tranquilla e sicura, Daniel le lanciò
un’occhiata significativa.
-
Allora, ci stai?- riprese
Luce.
-
Certo-
Le ragazze si strinsero la mano, Ashlee le guardò
facendo una smorfia.
Avevano appena sciolto la stretta di mano quando,
alzando la testa verso il campo, videro Steven dare un pallone di basket ad uno
dei ragazzi.
-
Bene!- esclamò Luce, con un
sorriso rilassato e curioso allo stesso tempo.
Sally si limitò ad alzarsi e, dopo aver lanciato uno
sguardo a tutti loro, abbandonò gli spalti diretta verso il
professore.
-
Adesso guardiamola giocare,
la campionessa! - sentenziò Luce incrociando le braccia.
-
Credo che non si divertirà-
commentò Viola sottovoce, seguendo i movimenti di Sally che adesso parlava
animatamente con il professore.
-
Oh, ma ci divertiremo noi –
concluse Luce, guardando a turno gli amici che la
circondavano.
In men che non si dica il professor Steven formò le
squadre e Sally fu inserita in quella meno numerosa, le squadre si divisero e la
partita cominciò.
Lui si trovava
nella squadra più numerosa.
Tutto accadde molto velocemente.
Le azioni di gioco furono forse due o tre, poi la palla
colpì per sbaglio Sally alla testa e la ragazza cadde, perdendo completamente
l’equilibrio.
I ragazzi seduti sugli spalti si alzarono risvegliati
dalle sue urla, quelli che si trovavano in campo la circondarono.
Per un paio di secondi i primi non riuscirono a vedere
nulla se non un capannello di persone.
- Oh mio Dio!-
Viola e i ragazzi si guardarono preoccupati, scesero
velocemente dagli spalti e si fecero spazio tra la folla arrivando in
contemporanea al professore.
-
Ma cosa é successo?- chiese
Steven.
Lui
era inginocchiato accanto a Sally,
sostenendola.
-
Si é fatta male, é caduta per
terra!- esclamavano i ragazzi tutt’intorno.
Sally teneva il busto piegato su se stesso, le braccia
erano sostenute dalle mani di lui e dalla testa le usciva un filo di sangue.
Viola era a meno di un metro da lei.
Lui restava in silenzio, la sua espressione era
illeggibile. Era lì, era parte attiva di quel quadretto e non parlava. L’aiutava
solo a tenersi, per evitare di essere stesa completamente per
terra.
-
Si é ferita alla testa!-
esclamò Steven, - presto, chiamate qualcuno!-
Due ragazzi si allontanarono dal gruppo e corsero via
dalla palestra, Steven si inginocchiò accanto a lei.
-
Sally, come stai? Cosa ti fa
male?-
-
La mia... la mia...-
balbettava lei, in lacrime.
-
Ti fa male la testa, non é
vero?-
-
Le si é rotta una
gamba-
La voce era così flebile che nessuno lo sentì, nessuno
tranne Viola, che rimase a fissarlo inerme.
Gli occhi di lui erano ridotti a due fessure,
immobile, statuario.
-
Come dici?- chiese
Steven.
-
Niente-
La sua voce era spezzata da un qualcosa che non aveva
nome.
-
Professor Steven, sta
arrivando l’ambulanza!-
I ragazzi che poco prima si erano allontanati erano
adesso tornati.
- Oh, meno male... ragazzi, sgombrate la palestra,
presto! Aiutami a prenderla in braccio!- gli ordinò
Steven.
Il professore tentò di stendere le braccia verso Sally
ma lui la sollevò come se fosse un fuscello e mentre lei ancora si lamentava si
allontanarono.
Luce si portò una mano alla bocca, mortificata e
dispiaciuta, la palestra si stava svuotando.
-
Andiamo, su,
andiamo...-
La ragazza dai capelli ramati tirò per un braccio
l’amico dai capelli neri e si allontanarono in un istante.
Viola rimase ferma ancora per qualche momento mentre
davanti ai suoi occhi il grigio si ritrasformava di nuovo in colori e il brusio
ridiventava voci.
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