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Autore: Phoenixstein    25/11/2011    7 recensioni
La canzone finiva, le ultime parole me le sussurravi dolcemente all’orecchio. Ci godevi a vedermi rabbrividire, ti conosco. Ed era così ovvio: perché continuare a perdere la testa sui libri quando potevamo far cigolare le molle del letto? Cristo, fatina… non so come tu abbia fatto, ma ricordi quella volta in cui mi misi a piangere? Avevamo appena fatto l’amore, buttando giù dal letto i libri con i piedi… e io mi ero ritrovato a bagnare la tua spalla di lacrime… lacrime di gioia, di soddisfazione, anche di paura, probabilmente. Era tutto talmente perfetto in quei momenti, che temevo di perdere tutto senza motivo, che la favola andasse a finire male.
*FUTURE FIC*
Prima Classificata + Premio Spezzacuore al Monthly Contest di ottobre/novembre.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Dave/Kurt
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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One shot partecipante al Monthly Contest (original + multifandom)

Prompt scelto: “Ovunque andremo”

 

 

 

 

 

 

 

 

«Me lo prometti?»

 

 

 

Di tutte le cose che mi hai detto, “Ovunque andremo” è una di quelle che è incisa più a fondo in questo cuore pulsante.

 

 

Mi va di ricordare qualcosa. E a te? Facciamolo insieme…

 

 

Forse preferirei che non fosse così, ma anche adesso sicuramente ricorderai il male che ti ho fatto al liceo. Cercavo di tarparti le ali, fatina, per dimenticarmi di quelle che spuntavano dalla mia schiena. E nonostante in quel periodo rifiutassi i miei istinti, sono sicuro che ti spingevo contro il metallo freddo degli armadietti solo per poterti toccare; era l’unico modo in cui potevo farlo, a parte che nell’universo evanescente dei miei sogni. Non te l’ho mai detto in questi anni, anche dopo tutto quello che abbiamo vissuto ma… sì, io sognavo di te, di noi. Ma niente roba porno, fatina. O forse si? Io ricordo perfettamente solo quanto amore tu fossi in grado di darmi nel magico mondo che mi ero creato. Accettavo quel sentimento perché lo desideravo nel mio inconscio e mi faceva sentire felice, mi faceva pensare a qualcosa che potesse illuminare la mia intera esistenza, mi dava la sensazione di essere completo… Almeno finché non sorgeva il sole e arrivava il momento di dire addio al tuo dolce fantasma.

A scuola io e te vivevamo su due pianeti diversi e irraggiungibili. Tu non mi guardavi, e forse era anche questo che mi faceva incazzare.

Il bullo più temuto della scuola, l’acclamato difensore dei Titans, il “maschio alfa” del McKinley… non potevo essere tutto questo e allo stesso tempo un finocchio.

Pensavo che la colpa fosse tua! Eri una femminuccia, per quello mi scombussolavi! Ma che fosse colpa tua o no, io VOLEVO far parte di te e della tua vita. Ci entrai con prepotenza nell’unico modo che allora potessi concepire. Sarei diventato la tua ossessione come tu eri diventato da tempo la mia…

 

 

Un ricordo più piacevole (per entrambi, lo so) è la volta in cui mi sono scusato con te per come ti avevo reso la vita un inferno. Eccolo là, un BullyWhip in lacrime che si toglie il basco rosso e a capo chino avrebbe voluto dirti anche di più di quelle due parole. Sì, parole con cui mi mettevo a nudo come mai avevo fatto prima ma che ancora mi sembravano poche e sicuramente non sufficienti a risanare le ferite, mie e tue. Tu stavi vivendo la tua favola e io rimasi in disparte per lungo tempo, lanciandoti segnali che speravo con tutto me stesso tu arrivassi ad afferrare. Sapevo di poterti dare di più di quel damerino di Blaine, volevo che tu te ne accorgessi. Ho aspettato e aspettato e aspettato. Era giusto che nel frattempo tu fossi felice, ma io non volevo una fatina qualsiasi, volevo la MIA fatina.

 

 

Ricorderai il nostro primo vero bacio… Sì che ricordi. Ripetizioni di matematica. Sì, certo, erano scuse, eh? Ti eri alzato tutto sulle punte e mi avevi baciato talmente in fretta che avevo pensato: «Cos’è ‘sta roba?». Ma poi avevi quello sguardo… Cosa c’era dentro? Acque scintillanti di fiumi azzurri, sensuali raggi di sole, cascate eleganti e prati verdi come la speranza… dio mio… erano il Mondo! E anche mille e mille volte meglio! Parlavano… oh, sì, eccome se lo facevano, mi attiravano verso la tua timida bocca con una malia irresistibile. Bè, non ci pensai su molto, vero? Ti baciai come ero convinto tu volessi essere baciato. E come IO volevo baciarti da mesi, diavolo! Fu perfetto, nel silenzio totale, con i bagliori rossastri del tramonto autunnale che entravano dalla finestra della tua camera… e Finn Hudson che ignaro guardava la TV nella stanza affianco!

 

 

Ricordi al ballo dell’ultimo anno? Riparammo l’occasione persa la volta precedente, dove io da bravo coglione mandai tutto all’aria. La scuola parlottava da mesi sulla nostra storia, ma ormai non ci importava più. Nonostante tutto non mi ero rammollito, la mia cattiva reputazione era ancora intatta e scintillante, e bastava a proteggere entrambi. Delle battutacce di qualche sfigato del club di hockey neanche mi curavo. E poi Santana e Brittany davano nell’occhio molto più di noi due. Che esibizioniste, sembravano divertirsi a spiattellare qua e là quanto fossero sexy e amoreggianti. Eravamo felici anche per loro, ovvio. Tutto andava esattamente come doveva andare.

Se possibile, quella sera eri anche più bello del solito, con indosso qualcosa che io non metterei neanche se volessero costringermi sotto tortura, ma che su di te calzava a pennello. Ti guardavo e bruciavo di… desiderio, credimi…

Io portavo uno smoking classico ma invece del papillon mi facesti indossare una cravatta Alexander McQueen con una fantasia che secondo te era “assolutamente adorabile”. Pitonato. Ovvio, me l’avevi regalata tu! Io sapevo solo che McQueen era il tizio delle scarpe folli che portava Gaga. Folli veramente!

Tutto sommato, pur non essendo propriamente nei miei panni, ero un figurino anche io, ammettiamolo. Mi stavi sbavando addosso, non credere che dopo tutto questo tempo abbia rimosso… Temevo che durante “Hello” di Lionel Richie te ne saresti saltato fuori con qualche dichiarazione imbarazzante davanti a tutti.

Finita la festa avevamo casa mia libera, non sapevo quale buona stella dovessi ringraziare perché i miei fossero a NY da zia Grace proprio quella settimana. Ne avevamo parlato per molti giorni, io volevo che tu ti sentissi pronto, che non ti sentissi costretto. Non ero un orso bruno delle foreste del Kentucky! Sì, è vero, ti baciavo sempre come un animale affamato ma… non pretendevo nulla. Con te sarebbe stato diverso che farmi una primina o robe varie, e potevo attendere, TU dovevi volerlo pienamente.

Ripensarci, anche adesso, mi dà i brividi. La prima volta non è “fuochi d’artificio” per tutti, ma mi azzardo a dire che noi ci andammo vicini. Sfioravo la tua pelle con incertezza all’inizio, non ancora abituato ad aver a che fare con cosa tanto preziosa. E, Dio… Kurt, cos’eri? Un gattino. Un gattino completamente affidato alle mie mani. Ti fidavi di me, e questa era la cosa che più mi appagava. Mi appartenevi. Non che io volessi possederti in maniera soffocante… solo… era bello percepire quanto mi amavi, sapere che ero importante, che in quel momento non avresti desiderato altro all’infuori di me. Mi facesti sentire il ragazzo più fortunato sulla faccia della Terra. Già allora avevamo capito che la maggior parte della gente non può competere con noi.

 

 

Io ricordo ogni istante di ciò che abbiamo vissuto, Kurt, anche se a volte fingo indifferenza, come se quello portato per i sentimentalismi dovessi essere solo tu. Non c’è niente che non rifarei, anche le mille cazzate.

Le granite (non più in faccia) al Tutti Frutti Bar… menta, lampone, pesca, ananas. Insistevi sempre per assaggiarne un po’ della mia, e io con la palettina ti imboccavo… mi piaceva, okay? Avevo superato quella fase in cui non mi sbilanciavo troppo in pubblico. Mi divertiva che le persone intorno ci guardassero, ammirate, sbigottite… quello che è. Nel mio profondo speravo sempre che m’invidiassero un po’. Insomma, io dall’esterno mi sarei invidiato. Aspetta, capisci? È un ragionamento un po’ contorto.

Nei pomeriggi universitari distrarci era fin troppo facile… tu mettevi su la musica quando vedevi la stanchezza che mi opprimeva, e subito mi sentivo meglio se cantavi per me “Stand by me”. Dio… Dio… Dio… ho fatto qualcosa di speciale in una vita precedente, forse. Come potevo meritare qualcosa di tanto meraviglioso?

When the night has come

And the land is dark

And the moon is the only light we'll see

No I won't be afraid, no I won't be afraid

Just as long as you stand, stand by me

La canzone finiva, le ultime parole me le sussurravi dolcemente all’orecchio. Ci godevi a vedermi rabbrividire, ti conosco. Ed era così ovvio: perché continuare a perdere la testa sui libri quando potevamo far cigolare le molle del letto? Cristo, fatina… non so come tu abbia fatto, ma ricordi quella volta in cui mi misi a piangere? Avevamo appena fatto l’amore, buttando giù dal letto i libri con i piedi… e io mi ero ritrovato a bagnare la tua spalla di lacrime… lacrime di gioia, di soddisfazione, anche di paura, probabilmente. Era tutto talmente perfetto in quei momenti, che temevo di perdere tutto senza motivo, che la favola andasse a finire male.

E venire a prenderti alla “Juilliard”? Mi rendeva così orgoglioso…! Ti tenevo stretta la mano e fulminavo con lo sguardo quel tuo “collega” capellone che suonava il sax… «Non essere geloso» mi ripetevi «Non ti cambierei mai con lui. Né con nessun’altro…». Al che Hudson mi prendeva in giro per la mia gelosia, e ogni volta mi faceva ripromettere a me stesso che non sarei mai più andato fino a Lima a prenderlo per portarlo alla “Juilliard” e fargli passare più tempo con la sua Rachel. Proposito che puntualmente dimenticavo. E la storia si ripeteva: io ero geloso, tu mi acquietavi, e Hudson sempre presente se la rideva con Rachel aggrappata al suo braccio…

 

 

Saremmo ipocriti se affermassimo che non abbiamo avuto le nostre difficoltà, non c’è mai stato un momento troppo duraturo di calma, forse. La discussione è sempre stata dietro l’angolo. Quante volte non ci siamo capiti e testardamente ci siamo scontrati dietro i fortini che ci costruivamo da soli… Altrettante volte abbiamo imparato a riprendere coscienza di noi, delle nostre scemenze e del nostro legame indissolubile.

 

 

E ora siamo qui.

 

 

Fallo per Allie. La bimba non può stare senza papino Kurt. Cosa credi, che non capisca che qualcosa non va? È sveglia come lo era anche zia Santana a tre anni.

Zietto Hudson mi dà una mano con lei in questi giorni, ma nemmeno lui riesce a farla ridere come quando è con te, che agita le manine e splende di luce riflessa…

 

 

Ancora. Ricordi il momento in cui la prendemmo con noi? Era piccina piccina fra le mie braccia enormi, aveva bisogno di essere coccolata, di conoscere il significato della parola “famiglia”. Era compito nostro, Kurt… compito nostro farla crescere, trattarla come una principessa e far sì che non perdesse mai il sorriso. Fu allora che mi dicesti quelle due parole che porto incise nel cuore.

«Promettimi una cosa.»

«Cosa?» chissà con quale fantasticheria te ne saresti uscito fuori. Io guardavo nostra figlia e mi chiedevo come facessi a vivere prima senza di lei, ti ascoltavo distrattamente…

«Ovunque andremo porteremo amore e gioia. La gente si deve voltare a guardarci, li abbaglieremo tutti. Ovunque andremo, non smetteremo mai di amarci e di amarla. Siamo una famiglia ormai. Me lo prometti, Dave? Ovunque andremo… »

Io rimasi spiazzato, stordito, con gli angeli vestiti Marc Jacobs, come te, che nella mia testa ripetevano ossessivamente quanto fossi fortunato, una volta di più. E di nuovo ebbi la conferma di quanto ti amavo, di quanto non poteva che andare in quel modo la nostra vita… proprio come volevi tu. «Sì, Kurt… te lo prometto. Ovunque andremo…»

 

 

Fallo per noi. Perdere ciò che abbiamo sarebbe uno spreco d’amore per questo universo che va già abbastanza allo sfascio.

Lo sai che non puoi lasciarmi solo, non puoi, non puoi…

Amore mio, ti prego… facciamoglielo vedere a quel bastardo che può andare a schiantarsi contro un muro con la sua bella macchina, ma tu invece ce la farai. Kurt Hummel non si spezza per una bottarella.

Il nostro “ovunque andremo” non è ancora finito. Ci sono posti che non abbiamo visitato e… ci andremo… ci andremo presto… quest’estate… con Allie. Ti porto a Graceland, ci vestiamo come Elvis. E alle cascate del Niagara…? O in Oregon, a Crater Lake… in campeggio… appena la bambina sarà abbastanza grande!

Stringimi la mano, Kurt.

Stringimi la mano.

Sono passati due giorni. Posso aspettare ogni notte qui, non smetterò di farlo. Devi solo stringermi la mano…

Lo farai? Sono io a chiedertelo ora:

me lo prometti?

 

 

 

 

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