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Autore: Sh_NT    25/11/2011    4 recensioni
Il mio nome è Helen Chester e sono una giornalista. Ho dovuto scrivere un articolo su Johnny Depp, e sottolineo "dovuto". No, inizialmente non ero felice. Credevo davvero che sarebbero stati i 30 giorni più orribili della mia vita.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Day Two

(In un terribile ritardo)
                                                     Day Two. Interviews? For what?


You will learn. ♪

Johnny Depp mi salutò così quella mattina quando entrai in casa con le chiavi che mi aveva dato il giorno precedente. "Il contratto dice alle 9, quindi sei autorizzata a venire a quell'ora. Al massimo sarai costretta a svegliarmi, fai un po' tu", aveva borbottato lanciandomene una copia. Quella mattina erano le nove e un quarto quando arrivai, e lui non stava decisamente dormendo.
Feci un primo passo sulla scalinata che portava al secondo piano, poi un altro, fino a raggiungere il pianerottolo.

♪ There's a hole in the world like a great black pit
and the vermin of the world inhabit it
and its morals aren't worth what a pig can spit
and it goes by the name of London... ♪

Fantastico, stava cantando. Per di più, dallo scroscio dell'acqua avrei giurato che stesse cantando sotto la doccia. Visto il sogno che avevo fatto quella notte – e che non voleva proprio abbandonare la mia mente per lasciarla libera – non posso dire di essere stata assolutamente a mio agio in quel momento. Ripetei a ritroso il movimento che avevo fatto salendo, il quale mi fece quasi cadere dal terzultimo scalino. Recuperato l'equilibrio e le facoltà mentali, corsi via come un'adolescente sui miei stivaletti vellutati.

Mi allontanai fino a raggiungere la prima caffetteria, quindi, ordinato un cappuccino, mi sedetti all'esterno e decisi di fare qualche telefonata.
«Sai che sei una stronza e che ho passato le ultime ore a razionalizzare ciò che ho fatto ieri a Johnny Depp? HO ANNUSATO JOHNNY DEPP! Ti rendi conto o no?» esordì Claire dopo il primo squillo.
Allontanai il telefono dall'orecchio per recuperare l'udito, di conseguenza risposi solo dopo un paio di secondi. «Non ho avuto tempo di avver-»
«TEMPO UN CORNO!» Sembrava furiosa e non potevo darle tutte i torti. Beh, in effetti sì, ma...
«Non avevo idea che tu fossi a casa mia, ma soprattutto non mi aspettavo di dovergli far vedere il mio appartamento, scema!»
Un minuto di silenzio prima di risentire la sua voce. «Okay, ma voglio incontrarlo di nuovo.» Ora suonava più determinata che mai, la finta rabbia si era dissolta e la voce emanava gioia al solo pensiero di rivedere il suo attore preferito.
Accennai una risata. «Promesso!» Dissi prima di riattaccare.
La chiamata peggiore mi aspettava ancora, però. Dovevo informare Jack, il mio capo, dei "progressi" dell'intervista. Non avevo molto, in realtà non avevo nulla, ma non potevo scomparire all'improvviso dal radar della redazione come se niente fosse. Il telefono squillo una, due, tre volte, e lui non sembrava voler rispondere.
«Avanti...» mormorai come a spingere un immaginario Jack verso la cornetta del telefono con le parole. Miracolosamente funzionò.
«Pronto?» Rispose annoiato. In sottofondo sentivo il rumore di vari fogli spostati, il che mi fece tornare in mente una serie di ricordi di lui che vagliava distrutto i conti del giornale, relegando continuamente tutto al notaio. Erano rarissimi i giorni di congedo che avevo preso, infatti in quel momento il mio cubicolo, la mia scrivania e le urla dei colleghi mi mancarono immensamente.
«Jack, sono Helen.»
«Oh-oh! Come procede l'articolo?» Un estivo Babbo Natale, ecco cos'era.
Mi limitai abbozzando un sorriso. « Procede. Lui sta facendo un po' il duro, ma sono sicura che col tempo...» "... la sua morte sarà un mistero perfino per me". Okay, cosa diavolo mi stava succedendo? Citavo anche a mente i suoi film? «... che con il tempo si scioglierà e mi racconterà qualche segreto.» Conclusi incerta.
«Beh, ma è perfetto!» Sentii una porta aprirsi e richiudersi, il rumore di tacchi, Jack salutò a bassa voce la donna. «Ti devo lasciare, ma ci sentiamo presto!» e chiuse la conversazione.

Era tempo di affrontare il mio nemico. Tutto quello che dovevo fare era eliminare quel sogno insensato dalla mia memoria. Il problema non erano i sentimenti che provavo per lui perché erano nulli, ma l'insicurezza che mi aveva causato quel momento di fronte alla scena di The Libertine. Insomma, la mia mente mi aveva tradito! Entrai spavalda in casa, e quella bastarda mi distrusse di nuovo facendomi inciampare nel minuscolo scalino. Due braccia mi recuperarono e mi aiutarono a rialzarmi. «E' ricercato da tutto il mondo, non sei imbranata tu, non preoccuparti.»
Sul momento non capii. Mi misi in piedi, controllai eventuali ossa rotte e poi alzai gli occhi verso il mio salvatore. «Ricercato? Non...» Ah, assassino ricercato! «Giusto.» Commentai passandomi una mano tra i capelli.
Johnny era vestito di tutto punto: camicia, panciotto, giacca – cravatta assente, ovviamente – e jeans. Mi squadrò per controllare che fossi tutta intera, prese la matita dal bancone ricoperto di lettere e chiavi varie, quindi si lanciò sul divanetto di fianco a una chitarra classica; la prese, socchiuse gli occhi e iniziò a suonare una melodia a me sconosciuta.
Non lo stava facendo per spettacolo, perché voleva far sapere ai fan quale gran chitarrista fosse. Lo stava facendo per se stesso, perchè in qualche modo era visibile quanto si sentiva bene mentre suonava. Apparteneva a un suo mondo incantato, fatto di note e storie impossibili, un mondo irreale in cui, per un lungo periodo, desiderai poter entrare a far parte.
Mi trascinai con l'eleganza di un bradipo fino alla poltrona di fianco a lui. Mentre prendevo il blocco appunti e la penna continuai ad ascoltare e lui sembrò notare minimamente la mia presenza. Scrissi velocemente, e senza rendermene davvero conto, "Dannazione, perché non lo fanno suonare in un film?", per poi passare a cose più dettagliare tipo la sua posa – una gamba a penzoloni e l'altra appoggiata al bracciolo – e la sua espressione serena.
Interruppi dopo un paio di minuti quel silenzio. «Non sapevo suonassi.» Dissi con voce incerta.
«Non sai un sacco di cose, a quanto vedo.» Rispose con gli occhi chiusi. Portò l'altra gamba oltre il bracciolo, poggiò la chitarra a terra e iniziò a scrivere ciò che aveva appena composto in una calligrafia scomposta e disordinata. Già, un mondo tutto suo.
Ignorai il tono scorbutico che aveva usato e continuai. «Da quando componi?»
Alzò gli occhi su di me, poi sui fogli che reggevo in mano. Era quasi... deluso. «Da sempre.»
Ero pronta a fare altre domande per iniziare davvero l'intervista, ma m'interruppe il telefono. Dannatissimo telefono. Rimisi tutto in borsa mentre lo prendevo e mi allontanai. Guardai lo schermo. Era Logan. Sbuffai prima di rispondere. «Pronto, Logan? Ti ho già detto di smetterla di chiamarmi, sto lav-» Perché continuavano ad interrompermi mentre parlavo?
«Hey, tranquilla, ti ho solo chiamato per sapere come stai!» Stava sorridendo, riuscivo a sentirlo dal suo tono di voce.
«Sto bene, grazie.» Un tono neutro era la migliore opzione, altrimenti avrebbe creduto chissà cosa, e l'unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento era tornare insieme a lui.
«Non sto tentando di tornare insieme o di assillarti, assolutamente, ma mi piacerebbe prendere un caffè con te uno di questi giorni...»
Non ero crudele o cattiva. Io e Logan ci eravamo conosciuti al liceo ed eravamo amici. Passati all'università, però, qualcosa era cambiato. Iniziai a notare alcune attenzioni che mi riservava e che, nonostante tutto, non mi davano affatto fastidio. Dopo il primo periodo di "assestamento", quindi, diventammo il prototipo delle coppie perfette: litigavamo solo per le cose più stupide ma subito riuscivamo a fare pace, ci vedevamo ogni giorno ma passavamo anche del tempo con amici che non erano comuni... Insomma, eravamo felici. All'ultimo anno mi resi conto che però le feste di sera erano diventate troppo numerose e la mattina a malapena riuscivo ad assistere alle varie lezioni. Lo amavo davvero, per questo lo lasciai appena ebbi il lavoro alla redazione di Rolling Stone. Non potevo sacrificare in quel modo la mia vita, ma lui non sembrava averla presa molto bene. Tuttavia non ci eravamo lasciati prendere dalle droghe o cose varie, per cui avevo ancora molti ricordi felici del mio periodo con lui. «Un caffè dici? E vada per il caffè.»
«Okay, perfetto... uhm... domani mattina va bene? Verso le 9, visto che sicuramente devi lavorare dopo.» In certi momenti era anche adorabile, lo ammetto.
«Perfetto. Al solito posto.» Visto che non eravamo mai andati a vivere insieme – almeno non ufficialmente – la mattina prima di andare a lezione ci incontravamo in un piccolo café vicino il mio appartamento, visto che lui era l'unico con la macchina.
«Okay, allora... ehm... a domani!» Quasi mi pentii di aver accettato.
Quando chiuse la conversazione squillò il telefono di Johnny, ma lui non parlò affatto. Inizialmente pensai fosse Vanessa, ma la sua espressione non si scompose più di tanto e uscì facendomi un cenno. Lo seguii dopo aver recuperato la borsa e vidi che una macchina coi vetri oscurati, con dentro Tracey (la malefica agente), ci aspettava... o perlomeno aspettava la star Depp. Mi sedetti di fianco a lui sul sedile posteriore e partimmo verso una meta sconosciuta.
«Hai, anzi, avete intenzione di dirmi dove stiamo andando?» Domandai dopo qualche minuto di viaggio.
Johnny aveva chiesto di accendere l'aria condizionata, quindi io mi allontanai il più possibile dal centro del sedile, dove l'aria arrivava diretta. In questo modo ci trovavamo uno dai lati opposti della macchina mentre la sua agente occupava il sedile anteriore di fianco all'autista. Fu lei a rispondere per prima, con un tono arrogante. «Sei qui per le interviste, sul contratto non c'è scritto nulla riguardo farti sapere dove stiamo andando.»
«Smettila di fare la stronza, Tracey.» Johnny accennò una risata mormorando questa frase. «Sta solo facendo il suo lavoro, no? Lasciaglielo fare!» Nonostante mi avesse in un certo senso protetto, non mi degnò di uno sguardo. Non riusciva a nascondere il disprezzo che provava verso la mia professione, sebbene quanto insensato e infantile.

«Johnny, Johnny!»
«Johnny, è la tua nuova ragazza?»
«Hai ancora contatti con Vanessa?»
«E' vero che ha intenzione di toglierti la custodia dei bambini?»
«Johnny, a quando la prossima distruzione?»
Queste erano solo alcune delle cose che si sentivano urlare quando uscimmo dalla macchina dai vetri oscurati verso la folla di fotografi. I flash ci accecavano, eppure Johnny ne sembrava immune dietro quei suoi occhiali dalle lenti blu. Tracey Jacobs mi afferrò per un braccio e ci avviammo verso l'entrata nello studio di Letterman mentre l'attore veniva fermato per alcune foto.
Era pazzesco.
C'era gente che correva, altri camminavano per non far cadere la moltitudine di caffé per lo staff, il pubblico aveva già iniziato ad affluire in sala insieme alla strana orchestra ai lati del palco. Johnny ci raggiunse subito dopo e si diresse verso la sala per il trucco, dove gli fecero davvero pochi ritocchi per farlo apparire perfetto davanti alla telecamera e, odio dirlo, ma lo era davvero. Ancora non riuscivo a capire come facesse a sopportare i flash delle fotocamere, le urla, le richieste, eppure continuare ad essere gentile con i fan. Quella vita era un inferno, io mi ci ero fiondata a capofitto.

Durante l'intervista parlarono del più e del meno, dei suoi film che sarebbero usciti a breve, dei figli, però un argomento fu accuratamente evitato dal presentatore: la moglie o, per meglio dire, ex-moglie. Molto probabilmente, dall'aria soddisfatta che aveva l'agente alla fine dei 20 minuti di ripresa, era stato chiaramente specificato nel contratto.
Dannata la Jacobs e i suoi odiosi contratti.
Erano circa a metà intervista, io stavo osservando dal backstage uno schermo su cui veniva trasmesso ciò che stavano registrando, quando uscì un argomento a dir poco divertente per me.
«Quindi... ho saputo che stai facendo una strana intervista con Rolling Stone. E' vero?» Domandò Letterman.
«Beh, sì, sono trenta giorni della mia vita.» Sembrò volersi limitare a quello e girò un attimo lo sguardo di lato per incrociare gli occhi della sua agente.
«Ti sembra una bella idea? Insomma, cosa ne pensi?»
Cosa stava per rispondere? Era un attore, quindi sapeva ben nascondere le sue emozioni, e in quel momento lo fece perfettamente facendo comparire sul suo volto un sorriso e sfiorandosi il mento coperto dal pizzetto. «Non mi piace molto che la mia vita privata sia messa sotto i riflettori, ma sono un attore, ci sono abituato. Inoltre credo che sia un'opportunità per le persone per vedere cosa succede nel mondo del cinema.» Ti eri salvato in calcio d'angolo, caro Depp. Non ho idea di cosa significhi, ma l'avevi fatto.
Tracey sembrò piuttosto orgogliosa di quella sua risposta, come se fosse suo figlio. Che gli avesse insegnato lei come aggirare i problemi? Come cavarsela in questo modo? Che le avesse detto lei di evitare paparazzi e giornali intrusivi? Che l'avesse condizionato così tanto?

Ci riaccompagnarono a casa di Johnny che era ormai pomeriggio. Dopo Letterman eravamo passati anche da Jimmy Kimmel e all'uscita ci eravamo fermati per strada, come prima, per gli autografi. La cosa iniziava a diventare snervante per me, figuriamoci per lui che doveva viverci ogni giorno. Entrai anche se me ne sarei andata entro una mezzoretta: dopo quei giri e le interviste, sicuramente non avrebbe giovato alla sua salute mentale avermi intorno.
«Hai intenzione di rimanere per molto? Vorrei andare a dormire.» Già, volevo andarmene, ma se me lo diceva in questo modo mi sentivo costretta a rimanere. Mi lanciai sul divano e lo osservai da lì. Già, la compassione era scomparsa. Sbuffò.
«Per molto, finché non mi dirai cosa diavolo ti ho fatto. Ho ventisette anni e sto ancora facendo gavetta in un giornale che potrebbe portarmi in alto. Questo articolo, il tuo, potrebbe essere il lavoro che mi porterà a quei livello. Sto lavorando, lo capisci? Mi hanno dato un foglio in mano dicendomi:"Ecco ciò che devi fare, và a fare il tuo dovere. E' un pezzo grosso". Quindi mi ritrovo con un foglio, una penna e un blocco appunti a segnare ogni particolare di un attore di cui non sapevo e non m'interessava assolutamente nulla fino a due giorni fa. Due giorni. Ora sono qui, tra paparazzi e pezzi di carta per cui ogni tuo fan pagherebbe milioni. Quindi smettila di imitare lo stereotipo dell'attore hollywoodiano con me, perché non attacca e perché mi rendi solo in lavoro più difficile.» Mi alzai dal divano, caricai la tracolla sulla spalla e mi avviai verso l'uscita, ma mi fermai prima di fianco a Johnny. «Smettila di rendermi il lavoro dannatamente difficile e sono sicura che questi ventotto giorni passeranno molto più velocemente.» Uscii sbattendo la porta.
Lo sguardo che vidi apparire sul suo volto firmò un tacito accordo tra noi due, l'inizio di tutto.

   
 
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