Fanfic su attori > Johnny Depp
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Autore: Sh_NT    13/09/2011    3 recensioni
Il mio nome è Helen Chester e sono una giornalista. Ho dovuto scrivere un articolo su Johnny Depp, e sottolineo "dovuto". No, inizialmente non ero felice. Credevo davvero che sarebbero stati i 30 giorni più orribili della mia vita.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Day One. I'll show you mine if you'll show me yours.

Ormai era assodato: era antipatico con chiunque non avesse visto i suoi film.
Mi sedetti al tavolo sospirando sonoramente e strappai i fogli dalle loro mani per iniziare a leggere ciò che era scritto nel contratto. Avrei dovuto rispettare tutte quelle clausole? Tracey Jacobs si alzò e la sentii allontanarsi, mentre Depp rimase di fronte a me ad osservarmi con attenzione. Così mi metteva in difficoltà, dannazione! Cercai di evitare di alzare gli occhi e incontrare i suoi altrimenti sarebbe partita una gara di sguardi infinita, ne ero certa. I primi articoli parlavano del mio lavoro, di ciò che avrei potuto scrivere e di ciò che avrei dovuto assolutamente evitare, come descrizioni dettagliate dei luoghi che visitava, della casa, commenti crudeli sul suo stile di vita o informazioni sui film in aveva un ruolo o su persone che incontrava; cose ragionevoli. Continuai, fin quando mi imbattei in frasi alquanto interessanti. Schiarii la voce e le lessi al mio unico spettatore.
«Sarà vietato per la già citata Helen Chester avere momenti di intimità con il soggetto del suo articolo, l'attore Johnny Depp. Subirà inoltre una multa di oltre
blah blah blah se si avvicinerà a lui più del dovuto in pubblico blah blah blah.» Rimisi in ordine i fogli e incrociai le braccia al petto. «Ma voi due fate sul serio o mi state semplicemente prendendo in giro?» chiesi mentre tornava Tracey.
«Devo tutelarmi» rispose semplicemente, sogghignando.
Sbuffai. Dovevo farmi andar bene quella situazione per forza, non potevo rinunciare ora. "Solo poche settimane, solo poche settimane" continuavo a ripetermi a mente, e col tempo quelle parole sarebbero diventate il mio mantra. Non riuscivo neanche a tenere in mano la penna per il nervosismo. "Ci vuole professionalità". Già, professionalità.

«Allora, posso visitare la casa?» Ormai avevo firmato a fatica il contratto, la Jacobs era tornata in ufficio ed ero rimasta sola con Johnny Depp e il mio taccuino, e quest'ultimo non sembrava molto eloquente.
«Non hai letto il contratto?» Rispondere a una domanda con una domanda non ti avrebbe salvato da questo articolo, John.
«Certo che ho letto il contratto. Dice che non posso descrivere dettagliatamente le stanze, non che non posso scrivere quanti bagni ci sono.»
Mi scrutò minuziosamente e mi si avvicinò. «Solo se prima mi fai vedere casa tua.»
E purtroppo non stava scherzando. Mi domandai se sarebbe arrivato a quel punto ogni volta che non voleva mostrarmi qualcosa e subito mi tornò in mente un gioco che si faceva da bambini e a cui scommetto anche lui una volta aveva ceduto.
«Non ridere, sono serio!» Capii che non potevo negoziare, perché quando mai si era visto Johnny Depp serio? Oh, già, quando aveva a che fare con paparazzi e co. Mi dondolai sui talloni, mi girai i pollici e lo confusi iniziando a vagare per la stanza con lo sguardo, quindi iniziai una corsa contro di lui per arrivare al piano di sopra. Sembravamo due bambini, ma a quanto pareva era l'unico modo per avere qualcosa. Mi fermai però arrivata al pianerottolo, non perché l'attore mi avesse raggiunto, ma perché mi ero improvvisamente resa conto del silenzio che regnava in quella casa.
«Un momento...» iniziai, «I bambini dove sono?»
Si fermò anche lui a metà strada per osservarmi. «E' autunno, hanno scuola», e dalla sua espressione capii che mi stavo perdendo qualcosa. Oh-oh. Doveva essere qualcosa sulla sua vita, qualcosa che non avevo letto la sera precedente. Avrei dovuto riflettere, uscire con un'idea geniale, ma non ne ebbi il tempo.
«Vanno a scuola in Francia, per cui adesso sono con Vanessa.» Già, credo proprio che avrei dovuto saperlo.
«Oh, giusto, Francia!» Finsi un'aria disinvolta e continuai a salire le scale, ma una mano mi bloccò il braccio. Non dovevo stargli lontana?
«Casa tua implica casa mia. Dovresti aver studiato matematica al liceo»

Così fui costretta a guidare fino al mio appartamento.
Inutile fingere che l'atto di poco prima avesse avuto un significato, perché non ne aveva davvero. Prometto. Ma forse fu quel primo tocco, fin troppo casto se chiedete a me, che ebbe scatenato tutto. O forse il problema è che continuai a rimuginarci sopra per tutto il tragitto fin quando raggiunsi il punto in cui avrei pensato a qualsiasi cosa ad eccezione di quello.
«Sei troppo silenziosa per essere una giornalista» sussurrò guardando fuori da finestrino mentre teneva una sigaretta in mano sospesa tra l'indice e il medio, con la bocca semichiusa. Quella dev'essere stata la prima volta in cui pensai a Johnny Depp in modo tutt'altro che puro.
«Capisco di più dalle persone osservandole quando non parlano.»
«Cerca di non osservarmi mentre guidi, però» e accennò a una risata mentre faceva dei piccoli cerchi in aria con il fumo. Mh... probabilmente quella fu la seconda, ma è inutile elencarle tutte, sappiate solo che furono più di quanto avrei desiderato ammettere.
C'era troppo silenzio. Troppo.
«Ho visto sul contratto che potrò venire a casa tua solo entro orari prestabiliti.»
«Già, credo sia dalle nove di mattina alle dieci di sera. In quelle ore puoi seguirmi, dopo dovrai abbandonarmi e tornare a casa per scrivere ogni singolo dettaglio della mia vita.» Mpf, antipatico.
«Potresti evitare di dirlo ogni volta che parliamo? Sto solo cercando di lavorare; di sicuro non raccolgo quelle informazioni per il mio blog personale. La prossima volta che pensi qualcosa tipo, "Oh, sono in una suite e ho voglia di distruggere quella televisione!" pensaci due volte!» La discussione finì più o meno lì, a parte qualche borbottio incomprensibile da parte di entrambi. Ancora non riuscivo a capire perché volesse così tanto vedere il mio appartamento visto che, dannazione, non c'era davvero nulla da vedere! Probabilmente voleva qualche prova del mio segreto amore nei suoi confronti, cosa che non avrebbe-
«Amore, ciao! Ho trovato la chiave al solito posto – possibile che ancora non ti decidi a toglierla da sotto lo zerbino? – , sono entrata e ho trovato metà filmografia di quel figo di- OMMIODDIO PERCHE' C'E' JOHNNY DEPP NEL TUO APPARTAMENTO?» Claire. Adorata Claire. Perché proprio quel giorno dovevi trovarti lì, sul mio divano, con The Libertine in mano? Sono questi i dubbi della vita, le domande senza risposta che una persona continuerà a farsi per l'eternità. Aveva appena sentito la porta aprirsi e aveva già iniziato a parlare a raffica, come sempre. La mia unica amica, fan sfegatata di Johnny Depp. Il Grande Demone Celeste mi voleva morta.
«Johnny Depp, lei è Claire. Claire-»
«Johnny Depp, lo so!» Sì alzò lentamente e si diresse verso di lui, poi gli gettò le braccia al collo sull'orlo delle lacrime. Lo sniffò per bene e uscì correndo. Imbarazzante. Okay, è vero, avrei dovuto avvertirla prima che avrei dovuto passare un paio di giorni con lui, ma l'avevo... ehm... dimenticato.
Prima che riuscii a fermarlo, Johnny s'incamminò verso il tavolino di fronte al divano e sollevò la copertina di un dvd. «Quella parrucca era terribile.» Nessun vanto sulle sue qualità di attore? Passi avanti.
«Ricerca», non ero molto brava nell'inventare scuse sul momento. Anche se non era una scusa. Ma non potevo dirgli che non sapevo nulla di lui fino alla sera prima, no? Sì, sto blaterando.
Si guardò intorno e soffermò qualche secondo lo sguardo su un portafoto di fianco a Sweeney Todd: conteneva un'immagine mia e del mio ragazzo a New York qualche anno prima. Si riprese scuotendo la testa e, mormorando un «Andiamo», tornammo in macchina.

«Puoi visitare tutto tranne-»
«I bagni. Ho letto attentamente il contratto. So anche che non posso curiosare nei cassetti o vagare senza permesso.»
«Appunto».
La "casa" era enorme, ma questo l'ho già detto. Aveva più di cinque camere da letto, molteplici bagni (me li indicò), una sala da ballo usata per tenere strumenti musicali e un'altra stanza solo per intrattenere i bambini. Presi molti appunti, controllati sempre dall'attore che mi seguiva e sbirciava ogni tanto dalla mia spalla per assicurarsi che scrivessi solo il dovuto. Era asfissiante, ma potevo capirlo. Non solo veniva a sapere del tradimento della sua compagna, doveva anche sopportare una giornalista che avrebbe dovuto scrivere tutto della sua vita, lui che aveva cercato di condividere sempre il minimo con i media.
A pranzo ordinammo una pizza, lui ricevette una telefonata da Tim Burton in cui lo invitò a cena per il lunedì successivo e io continuai a vagare per la casa tutto il pomeriggio, sperando vivamente che quello fosse l'unico pomeriggio calmo del mese, o che il martedì era un suo giorno speciale, per cui oziava, altrimenti mi sarei tagliata le vene molto volentieri.
Andai via prima di cena.


Eravamo seduti uno di fianco all'altro sul divano di velluto nel grande salotto mentre lui nel film entrava nella carrozza e affiancava Rosamund Pike. Iniziò ad imitare i suoi stessi movimenti e lentamente infilò la mano sotto la coperta con cui ci proteggevamo e la avvicinò al mio corpo; tutto mentre si fingeva indifferente continuando ad osservare la scena sul televisore. Scostò l'orlo dei miei pantaloni, poi quello degli slip, e scese in basso.
Probabilmente voleva dimostrare che John Wilmot non era l'unico fantastico amante nella stanza.

Quel sogno mi disturbò parecchio e, come potete immaginare, mi fece perdere ogni voglia di tornare a dormire.

   
 
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