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Autore: ferao    26/11/2011    12 recensioni
- E così… è giunto il momento.
Tosca si appoggiò alla finestra del suo studio e fissò l’orizzonte: un glorioso sole arancione risplendeva sulla valle presso Hogwarts, donando a quel maledetto pomeriggio una bellezza struggente e quasi dolorosa.
- Sì, Tosca. È giunto il momento.
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Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Salazar Serpeverde, Tosca Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'Due interi'
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Due interi
 
 




- E così… è giunto il momento.
Tosca si appoggiò alla finestra del suo studio e fissò l’orizzonte: un glorioso sole arancione risplendeva sulla valle presso Hogwarts, donando a quel maledetto pomeriggio una bellezza struggente e quasi dolorosa.
- Sì, Tosca. È giunto il momento.
Alle sue spalle, nella piccola stanza, Salazar si guardava attorno, posando gli occhi dovunque tranne che su Tosca. Odiava guardarla, e lei lo sapeva benissimo.
- Pensavo che… non credevo che l’avreste fatto davvero, Salazar. Vi facevo più… meno propenso a dare le spalle a tutto il nostro lavoro. La scuola, i vostri studenti… credevo che…
Il mago strinse i pugni. - La vostra opinione non mi interessa. Pensavo che lo sapeste.
- Oh, lo so eccome.
Voce tranquilla, cristallina. Salazar si chiese se quella dolcezza, quella tristezza che trasparivano dal modo di parlare di lei fossero reali o meno.
- Lo so che la mia opinione non vi interessa - continuò Tosca. - Non serve rimarcare il concetto.
- Non prendetela sempre come un fatto personale! Davvero pensavate di potervi immischiare nei nostri affari, voi e Priscilla? Voi, due donne?
A sentire quella frase Tosca si voltò di scatto e fissò Salazar negli occhi; questi arrossì e guardò a terra.
 
 
La prima cosa che si notava, guardando Tosca, era la completa sproporzione del suo corpo: bassa e ampia, fianchi troppo larghi e seno troppo piccolo, mani corte e piedi lunghi. A ciò si andava ad aggiungere uno sguardo azzurro e penetrante, ma innegabilmente strabico.
Inguardabile. Un tale concentrato di difetti e bruttura era quasi inimmaginabile, in una donna. Tosca lo sapeva benissimo, ma aveva imparato a non curarsene. Si accettava, esattamente come accettava la strafottenza di Godric, l’isteria di Priscilla, la mancanza di particolari abilità in molti suoi studenti. E, ovviamente, il carattere di Salazar.
 
 
- Oh, non riuscite nemmeno a guardarmi? - lo punzecchiò Tosca. - Sapete cosa avete detto, allora.
- Io non…
- Queste donne sono le streghe più potenti dell’Isola; siate meno impudente, se tenete a voi stesso.
Salazar rialzò lo sguardo, e un sorriso ironico gli increspò le labbra.
- Domando perdono, madama Tassorosso. Non adiratevi così, rovinerete il vostro bell’aspetto.
Questo non fece che aumentare l’ira di Tosca, ma lei non replicò; si limitò ad arrossire e a tornare a guardare il panorama.
 
 
Amava quelle montagne. Da quando si era trasferita lì dal suo adorato Galles, non aveva rimpianto nemmeno per un istante il bel mare che aveva lasciato: le montagne selvagge della Scozia valevano tutti gli oceani del mondo, per Tosca.
Certo, questo non le rendeva più sopportabili i rigidi inverni, ma di sicuro i suoi pomeriggi avevano tutti qualcosa di magico: quando il sole iniziava a scendere, accolto prima dalle cime, poi dai dorsi di quei monti lontani, Tosca sentiva che anche una parte di sé andava a riposare con il sole, tuffandosi nella terra e disperdendosi in migliaia di raggi luminosi.
Immaginava, in quei momenti, di non essere altro che ombra, di allungarsi e affinarsi lungo il pavimento, le pareti… sempre più alta e sottile, fino a divenire un tutt’uno con l’oscurità che alla fine si impadroniva della stanza.
 
Quel pomeriggio, però, era diverso. Mentre le montagne accoglievano il sole stanco, qualcosa in Tosca si risvegliava; la parte del suo spirito che solitamente riposava al tramonto adesso era presente e viva, desiderosa di farsi sentire.
Poggiò con cautela le mani sulla fredda pietra del davanzale.
- Pensavo foste venuto a congedarvi da me… - mormorò. - Avrei dovuto capire che era solo l’ennesima scusa per insultarmi.
- Vi ho soltanto fatto un complimento…
- Oh, certo.
Tacquero entrambi, per qualche secondo. Le ombre gettate dal sole calante si allungavano, ma Tosca non era interessata a guardarle. Non voleva voltarsi, non voleva posare gli occhi su Salazar; voleva ignorarlo, fingere che non ci fosse, e sopprimere così la voglia di urlargli in faccia chiedendogli perché.
Perché mi lasciate, maledetto?
- Ad ogni modo, Tosca, ero venuto qui davvero per congedarmi da voi.
- Bene. Immagino abbiate fretta di andarvene; fatelo e basta.
- Mi scacciate?
- Siete voi che desiderate allontanarvi.
- E voi, cosa desiderate?
Provocatore. Salazar aveva un fascino che Godric non avrebbe mai avuto: doveva essere vera la diceria secondo cui messer Serpeverde conosceva la lingua dei rettili, perché parlava ed agiva proprio come loro.
- Cosa desiderate, madama Tassorosso?
Che restiate qui, con me. Come è giusto che sia.
- Se non sbaglio - rispose invece, - avete detto che la mia opinione e quella di Priscilla non contano. Come mai ora vi interessate ai miei desideri?
Salazar esitò, incerto su come rispondere. Tosca aveva ragione: ormai la sua partenza era decisa, non sarebbe tornato indietro per nulla al mondo. Quasi nulla.
Tosca e Priscilla potevano strillare, inveire, maledire lui e Godric… ma ormai era fatta: la scuola non era più il suo posto, se mai lo era stato.
Aprì la bocca per rispondere, ma la strega lo prevenne cambiando argomento.
- Sapete già dove andrete?
Salazar sospirò. - A sud, probabilmente. Cornovaglia.
- È lontano.
- Esattamente.
Ci fu una pausa. Salazar iniziò a sentirsi irritato; d’improvviso non capiva più cosa ci facesse lì. Non appena il suo baule aveva finito di riempirsi era andato da Tosca, così, senza un motivo apparente. Non aveva salutato Priscilla, né i suoi studenti… no. Dritto da lei, e poi se ne sarebbe andato.
Perché?
Non aveva bisogno di lei. Non aveva bisogno di sentire la sua opinione, la sua compassione o la sua rabbia. Non aveva bisogno di rivederla, brutta e strabica che non era altro.
Perché allora sono qui?
Non lo sapeva più.
 
 
Sin dalla prima volta che si erano incontrati, Salazar e Tosca avevano stabilito che tra loro c’era un limite da non superare.
Era pomeriggio, l’aria era tempestosa e gravida di pioggia e il sole, probabilmente, stava scomparendo tra quelle montagne lontane – ma nessuno avrebbe potuto vederlo.
L’idea di riunire i quattro maghi più famosi della loro epoca in una rozza taverna di un paesucolo dimenticato da Dio era stata di Godric –  ovviamente. Aveva sempre le pensate più strane, lui: Godric il pazzo, Godric il genio, Godric il carismatico, Godric l’esagerato. Si tirava dietro le persone come se fossero marionette, come il suonatore di flauto trascina i ballerini.
Ad ogni modo, Salazar era lì, in quella taverna. Pochi minuti dopo entrò lei.
Sulle prime non si riconobbero; Tosca era avvolta così strettamente nel mantello da viaggio che sarebbe stato già difficile stabilire se era un uomo o una donna, figuriamoci se Salazar avrebbe potuto immaginare che quella figura celasse la strega più potente del Galles.
Fu lei la prima a notarlo; gli si accostò e chiese:
- Voi siete… Messer Serpeverde?
Salazar ebbe un sobbalzo, ma si contenne. - Madama… Corvonero? - tentò, temendo subito dopo di aver sbagliato.
La donna rise, poi si scoprì il capo. - Credo che madama Corvonero si offenderebbe, se sapesse che mi avete confusa con lei.
Salazar dovette mordersi la lingua per non commentare l’aspetto della donna che aveva di fronte.
Non aveva mai visto nessuno così… così.
 
Ecco. Da quel momento capirono che c’era un limite, una linea da non superare: Salazar amava l’ordine, la geometria, la perfezione; Tosca non era e non voleva essere nessuna di queste cose.
Senza dirselo, senza nemmeno pensarlo nelle rispettive teste, Tosca e Salazar avevano chiarito che tra loro non ci doveva mai essere nulla.
 
I sentimenti umani, però, sono quanto di più mutevole ed imprevedibile esista al mondo. Salazar poteva ripetere quanto voleva che Tosca era una debole, un’inetta, uno scherzo della natura; una parte di lui la cercava sempre, sempre. La cercava durante le riunioni, per vedere se approvava o meno quanto stava dicendo; la cercava nelle lunghe passeggiate nella Foresta, unico elemento disturbante nella perfezione della natura.
La cercava perché era imperfetta, perché era l’imperfezione incarnata. Perché era diversa, migliore di lui.
Purtroppo i sentimenti umani sono inconsistenti, impalpabili; non sono altro che ombre. Non si può afferrare un’ombra, la si può solo intuire.
Salazar intuiva ma non capiva i propri sentimenti, e ne rimaneva disgustato.
 
 
Da parte sua, Tosca sapeva che non avrebbe mai potuto fare nulla per legare Salazar a sé.
Tra gli altri tre fondatori della Scuola era – stranamente – quello che le somigliava di più. Godric e Priscilla erano altezzosi, sicuri delle proprie capacità e del proprio valore… ma Salazar, con tutte le sue smanie di perfezione e armonia, era quello che più metteva in mostra i propri difetti. Proprio come lei.
Tosca era sgradevole esteriormente, Salazar lo era interiormente. Insieme facevano due interi, uno imperfetto, l’altro indubitabilmente perfetto.
 
 
Che ci faccio qui?
 
 
Tosca non riuscì a trattenere un sospiro, mentre l’ombra che gettava sul pavimento si allungava lentamente. Resistette alla tentazione di voltarsi.
- Avete così in odio tutti noi, che desiderate distanziarci con l’intera Isola?
- Non tutti, Tosca.
Non la odiava; non l’aveva mai odiata. Detestava il suo aspetto, la sua mancanza di armonia; ma non poteva odiarla. Erano un intero, due interi: erano la perfezione e l’imperfezione, l’ordine e il caos.
Non poteva odiarla.
- Non tutti, Tosca. Io…
- Se così fosse, restereste qui.
Restereste qui con me.
- Sapete che non posso.
Sì, Tosca lo sapeva. Poteva percepirlo: era come se Salazar fosse già andato via, la sua assenza invadeva lo studio. Se si fosse voltata, probabilmente Tosca avrebbe visto che Salazar non gettava nemmeno la propria ombra sulla parete.
Solo chi è presente può proiettare un’ombra.
- Ma se… se poteste, voi…
Salazar non rispose. Non voleva dare false speranze né a lei, né a se stesso: non sarebbe rimasto, per nulla al mondo. Nemmeno per Tosca.
- È tardi, debbo affrettarmi.
Tosca guardò gli ultimi barlumi di luce spegnersi al di là delle montagne. Chiuse gli occhi.
- Capisco.
Si voltò, e per l’ennesima volta diede modo a Salazar di stupirsi di quanta armonia esistesse dietro al totale squilibrio del suo aspetto: grassa, malformata, strabica, ma quanto perfetta.
Fin troppo.
 
- A questo punto, l’unica cosa che posso augurarvi è un buon viaggio.
Azzurro. Il suo sguardo era così azzurro che a Salazar riuscì quasi insopportabile.
- Vi ringrazio.
- Non affaticatevi a scrivermi, non servirà.
- Non era mia intenzione farlo.
E fu tutto.
 
Leggero come l’ombra che non aveva, Salazar uscì.
Fuori dalla finestra, il pomeriggio glorioso aveva lasciato il posto ad una sera limpida e fredda.
 
 
 
Chiedetemi di rimanere.













NDA:
ma salve! Dunque, questa ff è stata scritta per il terzo turno dello Storytelling di Fabi_. Mi sono basata sul pacchetto "Pomeriggio", che comprendeva il personaggio di Tosca Tassorosso, il colore azzurro, la canzone "Cast no shadow" degli Oasis (di cui v'è un vago accenno) e altri elementi che non ho utilizzato.

Per correttezza, dico subito che ho apportato un paio di correzioni rispetto al testo che ho inviato a Fabi, sostituendo un paio di parole che suonavano troppo ripetitive.

Ora, l'angolo "domande":
Perché Tosca/Salazar? Perché sì. Perché nella mia testa sono così, e mentre scrivevo mi sono innamorata di loro due insieme.
Perché una one-shot? Già, perché questa storia è parecchio più lunga di quanto lo siano in media le mie ff. Non so; stavolta mi sentivo più logorroica, o forse volevo provare con uno stile meno sintetico e più diffuso.
C'è un seguito? Sì, esiste persino un seguito a questa roba, è stato scritto sempre per lo Storytelling sulla base di un altro pacchetto e sarà pubblicato prossimamente.

Grazie mille di aver letto,
Fera.
   
 
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