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Autore: Invader_from_Hell    25/03/2004    5 recensioni
L'isolamento è strettamente legato al malessere dei ragazzi nella nostra società. C'è chi è diverso e non riesce a galleggiare nella banalità, c'è chi non riesce ad esprimere il mondo che dentro di lui lo dilania. Qualcosa di introspettivo per definire uno di questi casi.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Claustrophobia

Claustrophobia

 

Alzando lo sguardo mi sentii come una creatura trascinata e derisa dalla vanità..”

- J. Joyce, Dubliners-

 

Quando hanno tentato di farmi capire che la causa del sangue che sembrava non voler mai smettere di sgorgare ero io, nella mia persona e nella mia stessa esistenza, io non ci ho mai creduto. Le poche volte che hanno insistito non li ho ugualmente ascoltati, ma anzi, mi sono sentito più sicuro nei loro confronti, cosciente chela distanza che mi separava da quelle voci era solamente destinata ad aumentare, mai a diminuire. Se loro tendevano allo zero, io tendevo costantemente all’infinito, in un’iperbole che tracciava sullo sfondo di questo cancerogeno cielo grigio una scia di petali bianchi dolcemente insanguinati, gli stessi petali dei quali ho sempre avuto appetito. Tuttavia, non sono mai riuscito a vederli ornare la corolla di una rosa, ma ho sempre saputo che quel fiore è per certo il più profumato. Per chi ama l’odore del sangue, ovviamente.

Quando hanno tentato di spiegarmi che era sbagliato non vedere quello che vedevano loro, e quando, dopo aver ascoltato le mie parole che perse tra il cielo e l’iperbole descrivevano visioni diverse e neppure lontanamente rassomiglianti alle loro, mi hanno intimato di rinnegarle, io non ho compreso. Il significato delle loro spiegazioni mi appariva ancora custodito gelosamente in uno scrigno a guardia del quale un dio stanco aveva destinato due angeli senza aureola e con le vesti stracciate. Mi sembrava di vedere i loro capelli orrendamente strinati dal fuoco, ed ero sicuro che non conoscessero il profumo dei miei petali. In nessun modo io avrei potuto superare quelle guardie languide, e nel caso l’avessi fatto, non avrei avuto la chiave per aprire lo scrigno, e sarei precipitato in una laguna totalmente opposta a quella nella quale mi trovo sempre a navigare nelle ore di ozio.

Avrei tanto voluto vedere anche io quello che vedevano loro. Li sentivo parlarne, gioirne. Le loro visioni sembravano essere solo liete e spensierate, tinte di una dolcezza indicibile, anche se con tutta probabilità erano esenti dal profumo dei miei petali. Ma questo non era un problema a mio parere. Segretamente, speravo che un giorno potessi essere ammesso anche io in queste visioni che tutti sembravano condividere, in questo fiume tanto diverso da quello rosso nel quale nuotavo disperatamente per restare a galla, affidandomi ai tronchi di perdizione che di tanto in tanto emergevano dall’orizzonte gorgogliante e venivano scagliati dal liquido in ebollizione nella mia direzione. E io non potevo far altro che aggrapparmi, ben cosciente che dopo qualche secondo a contatto con tali appigli avrei riportato ustioni su gran parte del corpo.

Ero convinto di poter vedere anche io quel fiume cristallino nel quale tutti i miei compagni sembravano nuotare e giocare, quell’acqua sempre pulita nella quale il sangue non può diffondersi in nubi, nella quale solo un amore spensierato può sostituirsi alla stanchezza del divertimento. Speravo davvero che una volta entrato in contatto con quella dimensione così opposta alla mia, sarei riuscito a far piacere il profumo dei miei petali a tutti senza distinzioni. Qualche volta mi scoprivo a sognare escrescenze floreali che avviluppavano quel meraviglioso fiume e lo tingevano degli stessi colori del mio torrente sanguinante. Mi svegliavo in preda al panico, pagando le conseguenze della mia pallida idea di poter far parte di quel mondo. Ma nel giorno che seguiva il sogno mortifero la mia aspirazione di fuga verso la spensieratezza tornava più ostinato che mai. Fu solo quando le visite degli incubi si fecero più incalzanti e frequenti, quando cioè la mia vanità iniziò ad essere punita come dovuto, che vidi ogni speranza crollare insieme all’edificio che andavo giorno dopo giorno costruendo.

Capii che non mi era concesso vedere ciò che vedevano loro.

Tuttavia, non era forse vero che potevo essere io a mostrare loro ciò che vedevo io? La scia di sangue che mi portavo dietro era lunga ormai sedici anni di una vita umana, una vita giovane e vigorosa che tuttavia aveva già assaporato molte dolcezze e molte amarezze della vita, ed era rimasta segnata dal sapore del sangue sulle labbra. Ricordo che ogni volta che mi ferivo o che perdevo sangue dal naso, invece di bendare la ferita o di bagnare il punto interessato, io restavo immobile ad osservare quella generosa mescita di liquido rosso. Era qualcosa di estremamente eccitante per me, tanto che qualche volta lo avvertivo come un rischiamo della mia sessualità.

Questo lo vedevo soltanto io.

In che modo potevo spiegare ai miei compagni e a chi mi circondava tutto quello che riuscivo a vedere e che – per quanto ne sapessi- non vedeva nessun altro? Potevo davvero trovare le parole per descrivere l’eccitazione provata nel leggere la perversione artistica di Mishima, la palpitazione provocatami dalla lirica dolceamara di Saffo, l’eternità della bellezza delle stelle? Avrebbero capito chi ha scelto di bagnare tutte le rose col proprio sangue, senza preoccuparsi di morire? Avrebbero capito tutti i tagli sul mio polso? Si sarebbero davvero preoccupati di osservare le ferite che non si rimarginano nell’anima? Avrebbero trovato il tempo per preoccuparsi delle mie visioni? Si sarebbero preoccupati per me quando la mia empatia mi avrebbe scaraventato contro il muro e costretto a lacrime congelate? Avrebbero avuto la premura di far giungere alla mia anima solo parole misurate e ragionevoli? E soprattutto, sarebbero stati invogliati a fare tutto questo?

 

Quando fecero l’ultimo tentativo per farmi capire che non ero ben integrato tra di loro, e che avrei dovuto entrare nel loro fiume cristallino prima possibile, io provai ad aprire loro le mie porte. Non vi entrò nessuno, e capii che se fosse stato diversamente il solo fuoriuscire delle mie emozioni avrebbe provocato la fine del mondo, sterminando ogni forma di vita potenzialmente capace di contrastare con la banalità i miei sentimenti.

 

Circondato da banalità sono qui adesso. Le pareti sembrano farsi sempre più vicine, mentre il bicchiere è quasi colmo del contenuto dalla vena straziata. Ho tentato di vedere ciò che gli altri condividono, e non riuscendoci ho provato a presentare agli occhi di tutti il mio mondo. Ho fallito miseramente in tutto questo. Alcuni mi dicono che sono fortunato, che in questo mondo come me ce ne sono pochi, che sono unico, raro.

Ma possibile che nessuno si decida a cogliere un’orchidea?

 

  
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