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Autore: Doralice    26/11/2011    2 recensioni
Accetta il tuo destino o subiscilo, a te la scelta.
Lenny non poteva sapere che quelle stesse parole, diciotto anni prima, avevano segnato la vita di un'altra strega, una strega giovane e insicura come lei. E che le scelte di quella ragazza avevano vincolato per sempre le sue stesse scelte. Perché il karma, alle volte, ha un modo ironico di fotterti.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elijah, Katherine Pierce, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Between Heaven and Hell'
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Note

Non pensavo, ma questo capitolo è stato abbastanza difficile, quasi quanto il primo.

Enjoy the song... ;)







Capitolo 2

~

Dove... carramba che sorpresa!



Le occasioni di tensione, per Lenny, erano davvero rare. A parte i soliti incubi e quegli sporadici attacchi di panico, solitamente la sua vita scorreva su binari tranquilli. Forse proprio per bilanciare il casino che aveva in testa, il karma l'aveva dotata di una pigrizia ai limiti felini e di una flemma proverbiale: peculiarità che Dave guardava da sempre con una certa insofferenza. Aggiungeteci una consistente dose di imbranatezza, e si avrà come risultato una serie di eventi ricorrenti, come ad esempio un alto tasso di compiti a sorpresa (solo per lei, che dimenticava puntualmente di segnarsi la data), un arcobaleno di lividi procurati andando a sbattere contro spigoli non intercettati, e la propensione a dimenticare entro le mura domestiche le chiavi di casa e il cellulare, annullando così la loro utilità.

Ma Lenny aveva, appunto, una personalità flemmatica. Per cui, una volta arrivata davanti all'appartamento, quando non trovò né nella borsa né nelle tasche le chiavi di casa, non perse certo il suo sangue freddo. Si limitò a sbuffare e a bussare alla porta, sperando che suo padre fosse già rincasato. In caso contrario, avrebbe sempre potuto tornare dai Salzman e aspettare lì che venisse a prenderla.

Ma quando sentì il chiavistello girare, Lenny perse immediatamente la sua magica calma. Doveva essere suo padre, non poteva essere altrimenti, giusto? Giusto. Così le diceva il cervello.

Ma le streghe hanno quella specie di sesto senso, no? E così in qualche modo lei sapeva che chi stava aprendo la porta non era Pas. Il che era ridicolo, perché mica lei era uno di quei cani che distinguono i passi del padrone dall'ingresso e cose così. E comunque ne aveva prese così tante di cantonate dando ascolto a quel suo “sesto senso”... tzè!

Fece tutte queste logicissime considerazioni nel momento stesso in cui la porta si apriva. E quando vide chi ci stava dietro, non solo capì che per una volta il suo sesto senso l'aveva azzeccata, ma riuscì anche raggiungere il record di apnea.

Perché Lenny aveva sognato ad occhi aperti quel momento all'incirca un milione di volte, ma nelle sue infantili e romanzate fantasie non aveva mai contemplato la versione “arrivo-a-casa-e-me-lo-trovo-davanti”. A quel punto Lenny poté solo reagire – o, per meglio dire, non reagire – pietrificandosi sulla soglia di casa.

~~~

E pensare che Damon era andato da loro proprio per avere conferma dei suoi sospetti. Ma un conto è fare un'ipotesi azzardata, ben altro è vedersi sbattere in faccia che, sì, hai ragione su tutta la linea. Be', avrebbe dovuto esserne soddisfatto, no? Appunto, avrebbe.

Eccolo là, l'elemento che mancava nella foto del matrimonio di Alaric e Jenna. Aveva cercato inconsciamente una Virtù Angelica con le fattezze di una ragazzina rompipalle: avrebbe dovuto cercare una neonata. Ma questo l'aveva saputo dopo.

Adesso quella neonata aveva diciotto anni, era alta come un Puffo, aveva un ginepraio rosso in testa, una spruzzata di lentiggini sul naso e due occhi grandi grandi. Erano gli stessi che aveva incontrato per la prima volta sulla soglia di un'altra casa, e al contempo erano diversi. La creatura davanti a lui non era Nora, era un'altra persona, nata e cresciuta in un ambiente diverso. Eppure aveva lo stesso DNA.

Ed era la sua anima. Un insignificante dettaglio che quegli stronzi lassù si erano ben guardati dal riferirgli.

L'aura ne era solo una pallida eco, ma sarebbe stato difficile per Damon non riconoscere quel tum-tum. Ci stava dietro da diciotto anni, santo Iddio, ne conosceva a memoria ogni sfumatura, avrebbe potuto distinguerlo in mezzo ad altri sette miliardi.

Riconoscerla gli fece sperimentare un paio d'infarti. Perché non è che capita tutti i giorni d'incontrare faccia a faccia la persona a cui stai custodendo l'anima. E non succede spesso che questa persona sia la reincarnazione di quella rompipalle che nella tua vita precedente ti ha visto tirare le cuoia. E Damon adesso aveva un corpo umano, debole e fallibile, su cui riversare tutte quelle emozioni e non credeva che ne sarebbe uscito vivo.

Ma lei perché aveva quella faccia da triglia? Si ricordava di lui? Certo che se ne ricordava, come faceva a non... o forse no? Ma sapeva che cos'era adesso? Si può riconoscere il proprio angelo custode?

Dì qualcosa, imbecille!

Inspirò l'aria, che parve bruciargli i polmoni.

Ciao. –

Lei batté le ciglia sugli occhi nocciola e se possibile li spalancò ancora di più. Nel frattempo la mascella le cadeva in perfetto stile Looney Toons. Il tutto corredato da un graduale rossore che la stava trasformando in una specie di lampada di opalina. Era adorabilmente comica e il lato idiota di Damon non poté non prendere il sopravvento.

Alzò le sopracciglia e sogghignò: – Sì, faccio spesso questo effetto. –

Si fece da parte e lei entrò, rigida come un manico di scopa, spandendo tensione da tutti i pori. La vide fermarsi in mezzo alla stanza, saettando lo sguardo sull'ambiente. Stava cercando un oggetto contundente per difendersi dall'intruso? Tutta quella situazione era assurda e paradossale. Le faceva così paura? Era proprio una schiappa come angelo custode se persino la sua protetta lo schifava!

Chi sei? –

Damon contrasse le sopracciglia. A giudicare dai tremolii convulsi dell'aura, doveva aver fatto uno sforzo non indifferente per trovare il coraggio di porgli quella domanda. Aveva paura e non sapeva davvero chi era lui. Che cazzo stava succedendo?

Un amico di papà. – inclinò la testa e la osservò, cercando di calcolare quanto ci avrebbe impiegato a stramazzare al suolo – E tu chi sei? –

Lo occhieggiò. Si morse un labbro e si accigliò. Tutto il sarcasmo di Damon svanì, portando a galla un certo fastidio. Qualcosa che conosceva. Provò a cercare un collegamento ma non lo trovò.

Lenore. –

Lo disse come se fosse una cosa ovvia, come se pensasse che lui lo dovesse già sapere. Ma forse era solo la sua immaginazione.

Un rumore in cucina.

Papa? – pigolò lei – Tu es là? – *

Gli lanciò un ultimo sguardo e poi schizzò in quella direzione, lasciandolo a macerare da solo nei suoi dubbi.

Quella paura non era piacevole – per niente. Ma non era quello a infastidirlo. Lei non sapeva chi era, era palese, ma già lo sentiva. Insomma, non poteva non sentirlo, giusto?

Come faccio a sentirti così bene? –

Tu sei una strega e io un angelo incarnato! –

Grugnì tra sé. Parole di persone diverse, pronunciate in un'altra vita.

Qua gli stavano nascondendo qualcosa e a Damon faceva parecchio incazzare quando gli si nascondevano le cose.

~~~

Qui est ce mec?! – **

Sua figlia era intelligente e Pas l'adorava, si sarebbe strappato un braccio per lei. Ma certe volte era anche troppo intelligente per i suoi gusti. Come quanto a nove anni già aveva capito come le funzionava tutto là sotto e aveva dovuto chiedere ad Elena di spiegarle ogni cosa, suo malgrado, perché nove anni a parere di Pas erano davvero troppo pochi per certi discorsi.

E rieccoci al solito problema: come sviare i suoi legittimi sospetti senza farla sentire una pazza?

È un vecchio amico. – disse senza alzare gli occhi dalla cipolla che stava finendo di affettare.

Papa...! – sbottò in tono scandalizzato.

Pas abbandonò il coltello e si pulì le mani sul grembiule.

Tanto lo conosce il francese. – cantilenò versando la cipolla nella pentola.

Solo in quel momento, sua figlia parve accorgersi che stava cucinando. Guardò la pentola con aria truce e gli rivolse un broncio di tutto rispetto.

L'hai invitato a cena! – sibilò.

Sì. – affermò seriamente, continuando a cucinare – E adesso andrai a tenergli compagnia finché non è pronto. –

Tanto il peggio era fatto.

Cosa?! No! –

La tirava su da diciotto anni e, se teneva conto del fatto che non era cambiata molto rispetto a una volta, in realtà la conosceva da un secolo e mezzo, anno più anno meno. Per cui Pas avrebbe anche potuto prevedere quella reazione. Il fatto è che era vecchio, davvero troppo vecchio per fare il padre: non passava giorno che non se lo ripetesse.

Lenore. –

La fissò da sopra gli occhiali da sole – il tempo passava e sopportava sempre meno la luce, anche quella artificiale –, ben consapevole che i suoi sguardi intimidatori non erano più tali da quando lei aveva cinque anni.

Tu andrai di là e intratterrai il nostro ospite fino a che la cena non sarà pronta. – scandì – Mi sono spiegato? –

Altrimenti? – ribatté lei alzando il mento e incrociando le braccia al petto – Mi mandi a letto senza cena? –

Altrimenti te lo scordi di andare alla festa, signorinella. – concluse tranquillamente.

Ecco, e con quello era a posto. Adesso gli mancava solo di minacciare di evirazione il primo ragazzo che si fosse presentato per uscire con lei, e poteva dichiarare di essere il perfetto cliché del padre da sit-com.

~~~

Pestare i piedi non sarebbe servito a niente, ma sapeva quanto infastidiva Pascal, quindi prima di lasciare la cucina Lenny si premurò di dare una bella pestata al pavimento. Uscì da lì con un cipiglio da dama oltraggiata, che morì quando si ritrovò nel territorio neutro del soggiorno, alle prese con la dura realtà del momento.

Il ragazzo – l'uomo? la... creatura? – si voltò verso di lei. D'istinto Lenny si aggrappò alla borsa e allora si accorse di averla ancora con sé. Così come indossava ancora il cappotto con cui era uscita. Strinse le labbra: doveva apparire ridicola. Sentì le guance andare in fiamme mentre si liberava di quelle cose e andava a sedersi sul divano, rigida e impettita.

Lui l'aveva guardata per tutto il tempo e Lenny era sicura che fosse una cosa molto maleducata. Comunque era decisa a non parlare. Suo padre le aveva detto di intrattenerlo, ma nessuno poteva obbligarla ad aprire bocca. O a guardarlo.

Per la verità, avrebbe tanto voluto guardarlo meglio. E parlarci, anche. Sentire ancora la sua voce: era come se l'avesse sempre sentita, le faceva emergere sprazzi di ricordi sepolti. E poi voleva fargli un sacco di domande.

Come ti chiami? Perché non porti nessun anello? Sei un vampiro o cosa? Sei davvero il fratello di zio Stefan? Perché ti sogno da quando ho memoria ma non so nemmeno il tuo nome?

Ma non ce la faceva, ecco. Insomma, come si fa ad intavolare un'amichevole chiacchierata con il tipo che popola la tua attività onirica sin dall'infanzia? Aveva il terrore che da un momento all'altro potesse leggerle tutto in faccia: i sogni, le sue stupide fantasie, gli schizzi che faceva nell'album appena si svegliava per imprimersi meglio in testa quei tratti sfuggenti. E adesso ce l'aveva lì, tutto intero, davanti agli occhi!

E così... Lenore. –

La mano prese a giocherellare con un ciuffo di capelli, come faceva sempre quando era nervosa. Quando si accorse che lui aveva notato quel tic, smise improvvisamente e ficcò entrambe le mani sotto le cosce.

La gente mi chiama Lenny. – si sentì dire.

Lenny. – ripeté lui, abbassando la testa e inarcando le sopracciglia in un'espressione che aveva un che di familiare – Come... Lenny Kravitz? –

Non capiva proprio cosa ci fosse di strano nel suo soprannome. E poi di chi diavolo stava parlando?

Arricciò il naso: – “Lenny” chi? –

Oh, andiamo... – sogghignò lui – si è fatto Nicole Kidman! –

Lenny non riuscì a trattenersi: – Quella vecchia? –

Lui si portò le mani a volto, mormorando “Gesù” e ridacchiando sommessamente. E lei si sentì improvvisamente molto stupida.

Senti, ma come ti chiami? – fece sostenuta.

Suo padre stava sicuramente ascoltando tutto dalla cucina – facile, col superudito da dampiro! – e altrettanto sicuramente non sarebbe stato affatto contento di come si stava comportando. Ma non è che in quel momento gliene fregasse granché.

Lui virò gli occhi su di lei e la scrutò un momento. Lenny sostenne quello sguardo indagatore sentendosi man mano sempre più nuda e piccola, ma tenendo orgogliosamente la testa alta.

Damon. – le disse semplicemente – Mi chiamo Damon Salvatore. –

Non era strano che se l'aspettasse. Cioè, gliel'avevano già raccontata la storia strappalacrime del fratello di zio Stefan. Solo che non aveva per niente l'aria del secessionista morto in battaglia.

Perché mi sembra di conoscerti? –

E si morse la lingua.

Il suo sguardo era diventato insopportabile, per cui con immensa vergogna si decise a guardare altrove.

Perché è pieno di foto sue al maniero. –

La voce di suo padre parve stonare. Si voltò verso di lui e Lenny capì che là dentro c'era qualcuno di troppo. Non ci voleva stare con loro due insieme.

Dagherrotipi. – lo corresse con fare petulante.

Se c'era una materia in cui andava forte, quella era arte: storia e applicazione. Avevano studiato la nascita della fotografia proprio alla fine dell'anno scorso. Poi lei era sempre stata affascinata dall'ottocento e divorava i libri che parlavano della vita ai tempi vittoriani.

Loro non erano i soli a sapere qualcosa e Lenny gliel'avrebbe fatto vedere.

Sei il fratello di zio Stefan, vero? – fece alzandosi dal divano con ostentata naturalezza – Sarai nato verso la metà del diciannovesimo secolo. All'epoca esistevano solo i dagherrotipi. –

Lui – Damon – annuì e rivolse a suo padre una smorfia di approvazione che aveva un che di sarcastico. Lei non ci si soffermò troppo sopra: riconoscere tutte le sue espressioni la faceva sentire strana.

Dove stai andando? –

A scaricare le mail. Posso? – ribatté, cercando in tutti i modi di non apparire infantile come si sentiva.

La cena è quasi pronta. – l'avvertì prima di rivolgesi di nuovo al loro ospite.

Lenny guardò prima l'uno e poi l'altro, poi scrollò le spalle e se ne andò in camera sua. Non aveva alcuna mail da scaricare: voleva solo starsene un momento in pace per assimilare quella situazione. E se avesse ritenuto che era “troppo”, be'... camera sua aveva una finestra ed erano solo al secondo piano.

~~~

Pas sembrava sul punto di esplodere, per cui Damon strozzò la risatina che si stava facendo strada nella sua gola e si obbligò a mantenere un certo contegno. E fallì. Insomma, aveva visto di tutto nella sua lunga vita, ma Pascal Serrault che faceva il papino responsabile gli mancava!

Immagino che chiederti cosa ci sia da ridere peggiorerebbe solo la situazione. – commentò il dampiro, accomodandosi sul divano.

La risata scemò e Damon scosse la testa: non era lì per divertirsi.

Mi dici che diavolo succede? –

Pas si tolse gli occhiali da sole e si strofinò la faccia.

Non ci capisco niente di queste cose, ma se ha fatto davvero quello che mi hanno detto... – indicò verso la porta da cui era sparita Lenny, dalla quale adesso si sentiva provenire della musica – l'ha fatto davvero? –

Cosa ti hanno raccontato? –

Damon gli riassunse ciò che gli avevano detto Elena e Stefan. Il sacrificio per salvare suo fratello, la perdita delle ali, la rinascita... un sacco di belle cose, che però non spiegavano perché lei non ricordasse niente della sua vita precedente.

Pas restò impassibile, non accennò nemmeno un movimento mentre parlava.

Perché non si ricorda nulla? – insisté – Se adesso io decidessi di perdere le ali, so che prima o poi mi ricorderei. Tutto, dal principio ad oggi. È una nostra prerogativa. –

Pas lo guardò ironico: – Una “vostra” prerogativa? Ormai fai parte del club, eh, mon ami? –

Damon si aggrondò: – Non cambiare discorso. –

Non posso parlartene qui. – si sporse verso di lui – Torna al maniero e fatti dire tutto. Dì loro che hanno il mio permesso. –

Il tuo... – Damon soffiò l'aria – oh, Cristo! Pas, ma che cazzo hai combinato? –

Non sono affari tuoi, Damon. – si alzò e tornò in cucina.

Non erano affari suoi, eh? Questa era davvero bella.

Lo raggiunse e l'afferrò per un braccio.

Stefan ti ha messaggiato cosa sono? – gli sibilò.

Pas non si scompose. Si liberò della presa senza sforzo e con due dita spinse gli occhiali sul naso.

Me ne ha accennato. – disse composto.

A Damon non la si faceva. Era a tanto così dal crollare e non avrebbe mollato proprio adesso.

Lei è la mia anima, Pascal. – rivelò, sentendosi strano al pronunciare ad alta voce quella verità – Tutto quello che le succede è... –

La tua anima?! –

Il ringhio fu accompagnato dal suono acuto di un mestolo scagliato con violenza sulla cucina.

Non ho chiesto io che mi venisse affidata. – si difese allargando le braccia – Nemmeno sapevo che era lei, l'ho appena scoperto. –

Che aveva poi da giustificarsi, non lo capiva. Qui se c'era qualcuno che aveva fatto una cazzata non era certo lui.

Tu devi starle lontano. – lo minacciò – Lei non è di nessuno, è libera. Tornatene da dove sei venuto e lasciala in pace. –

Damon ammutolì di fronte a tutta quella rabbia impotente. E nel frattempo la verità più lapalissiana si fece strada nella sua mente.

Hai chiesto a Bonnie di cancellarle memoria. –

Il petto di Pas si alzava e abbassava a ritmo veloce. La fronte aggrondata sugli occhiali era imperlata di sudore. La sua aura si stava addensando di senso di colpa e furia repressa.

E non ha funzionato come doveva. – concluse Damon con un gemito doloroso.

Ma era o non era un cacciatore di creature oscure ammanigliato con la Chiesa da quasi tre secoli? Probabilmente ne sapeva più lui di un semplice angelo custode come Damon.

Come hai potuto anche solo pensare che poteva funzionare? – aggiunse spietatamente – Tu le sai queste cose! Gli abracadabra non servono a niente in questi casi! –

Pas sferrò un pugno al tavolo, crepando il legno e ferendosi con le schegge. Bestemmiò in francese, stringendo la mano offesa. Era uno spettacolo deprimente. Damon avrebbe voluto aiutarlo, ma non poteva. Era responsabile di Lenny – di Nora – non degli errori del suo padre adottivo.

Cosa speravi di ottenere? – gli chiese freddamente.

Pas si morse la mano e sputò via una grossa scheggia.

Tu cosa ne pensi? – grugnì, pulendosi dal sangue e fasciandosi con il primo straccio che gli capitò sottomano.

Damon ricordava anche troppo bene cosa aveva visto quella sera, nel bagno del maniero, mentre s'introduceva a forza nella mente di Nora, spinto da un impulso demoniaco che non riusciva a controllare. Scacciò il disgusto per quello che le aveva fatto e si concentrò sui ricordi che aveva evocato.

Era chiaro: voleva risparmiarle tutto quell'orrore, darle la possibilità di vivere una vita normale. Nobile proposito... peccato che la faccenda non fosse così semplice da essere risolvibile con un incantesimo fatto su due piedi da una qualsiasi strega della Virginia.

Fammi indovinare. – mormorò con un sapore acido un bocca – Incubi, allucinazioni, déjà vu... –

Senza guardarlo, Pas annuì, e gli parve che imprimesse in quel movimento tutto il dolore del mondo.

Da quanto? – volle sapere.

Il dampiro deglutì: – Da sempre. –

Adesso era il turno di Damon di fare fatica a respirare.

Il tempo, lassù, era un concetto relativo, ma i sentimento no. Proprio no. Quelli erano più che tangibili e quantificabili. E Damon aveva ben incisi nel cuore tutti i momenti strazianti passati a cercare di consolare quel tum-tum da un'angoscia immensa e innominabile. E adesso sapeva da cosa era causata.

Se quel dannato incantesimo non ci fosse stato, i ricordi sarebbero confluiti gradualmente e con consapevolezza, senza causarle alcun trauma. Non era ricordi piacevoli, proprio per un cazzo, ma era così che doveva andare. Bloccarli come avevano fatto era solo un palliativo: quelli avrebbero sempre cercato di tornare al loro posto. Il risultato era sotto i loro occhi.

Avrebbe voluto ucciderlo. No, avrebbe voluto fargli provare tutto ciò che aveva provato lui in quegli anni e poi ucciderlo. Lentamente. Era un pensiero poco angelico, ma sicuramente molto in linea con il vecchio, caro Damon.

Poi Pas parlò e lui si rese conto che la sua punizione la viveva quotidianamente, da diciotto anni. E che era ben consapevole di esserne il diretto responsabile.

~~~

Ieri notte, un altro. – sussurrò, perso nei ricordi di mille altre notti.

Mille altre grida d'angoscia e lacrime, che Pascal, nonostante tutto l'amore che nutriva per lei, non era e non sarebbe mai stato in grado di scacciare.

Le gocce funzionavano una volta, adesso sono solo un placebo. – considerò amaramente – Se la mando da un analista, mi dice di chiuderla in un manicomio. –

E cosa cambierebbe? – si chiese con sarcasmo – C'è già rinchiusa.

Vorrei non aver fatto quello che ho fatto. –

La frase restò come in sospeso nell'aria satura di odori della cucina, come per permettergli di assimilarla, di accettare l'idea che l'aveva detto veramente, per una volta. L'aveva ammesso. Poi venne risucchiata dalla cappa assieme ai vapori e fu come se non l'avesse mai pronunciata.

Ma non si può tornare indietro. – disse secco.

Ignorò l'espressione dubbiosa di Damon e si mise a riordinare il casino che aveva appena fatto.

Stai dicendo che non farai niente? – lo sentì dire con sdegno – Che la lascerai a macerarsi, credendosi pazza? –

Non si crede pazza. – lo corresse mentre puliva con una spugna le macchie schizzate sulle mattonelle – Una volta, forse, ma adesso... è intelligente, sai? Lo è sempre stata. –

Sorrise tra sé: qualcosa di buono, dopotutto, l'aveva fatto.

Ha capito tutto. – concluse Damon.

Sta iniziando ad intuire qualcosa. – precisò cauto.

Sospirò mentre strizzava la spugna sotto il getto del lavello.

Ma lo sai cos'è che più mi fa incazzare? – gli puntò la spugna contro, senza guardarlo – Tu. –

Ignorò il commento confuso di Damon e andò avanti nel suo patetico monologo di autocommiserazione barra scaricamento delle responsabilità.

Un secolo di sensi di colpa, poi lei fa una scelta azzardata e io mi dico “mon dieu, questa è la mia occasione”. – disse a mezzabocca.

Me la brucio. – concordò, scrollando le spalle con finta leggerezza – Appena ce l'ho in mano, me la brucio. D'accordo. Mea culpa. –

Ma questo non significa che non so prendermi cura di mia figlia. – aggiunse stizzito, sfregando con eccessiva foga sulle mattonelle – E lassù cosa pensano bene di fare? Di passare la palla a te. Eh, già. Pare che Damon Salvatore, vampiro centenario di integerrima fama, sia meglio di Pascal Serrault, fedele servitore della Sacra Romana Chiesa da due secoli e mezzo. –

Quale palla? – lo interruppe Damon – Ma di cosa stai parlando? –

Pas si decise a guardarlo.

Ti hanno detto perché ti hanno mandato qui? – gli chiese gettando la spugna nel lavello e sciacquandosi le mani.

Ancora? – sbuffò – No. E comunque che c'entra questo? –

C'entra. – affermò severamente – Perché se c'è bisogno di te, siamo nella merda. –

Damon aprì la bocca per chiedere altre spiegazioni, ma Pas alzò la mano.

Non adesso. La cena è pronta, ne parliamo dopo. Anzi, no. – si corresse – Ne parliamo domani, al maniero. Serve una bella riunione generale, come ai vecchi tempi. –

~~~

Quel repentino cambiamento di umore non avrebbe dovuto spiazzare Damon: conosceva Pas abbastanza bene da saperli prevedere. Ma aveva appena assistito ad una confessione in piena regola e adesso se lo ritrovava tranquillo e pacifico come prima.

Il discorso, comunque, non era chiuso, e Pas ne era ben consapevole. Per cui decise di fare finta di niente e accettò di andare a chiamare Lenny mentre lui preparava la tavola, sapendo che quel momento di solitudine sarebbe stato fondamentale per lui.

Quando arrivò nella sua stanza – perché dubitava che la stanza di Pas avesse poster di Mucha alle pareti, una nuvola di tulle bianco che cadeva sopra letto e bambole di ceramica che lo guardavano da in ogni angolo con i loro occhi di vetro – e la trovò vuota, con le tende che si gonfiavano per l'aria fredda proveniente dalla finestra aperta, si diede dell'idiota. Ma sopratutto diede dell'idiota a Pas, visto che, cazzo, era sua figlia, possibile che non avesse previsto una cosa del genere?

Si sporse dalla finestra, rimpiangendo il suo superolfatto da vampiro. Poi si ricordò di essere l'angelo custode della fuggiasca. Gli fu sufficiente concentrarsi un momento, isolare i sensi umani dall'ambiente e soffermarsi su quel blando ma costante richiamo. Sapeva trovarla: doveva solo volerlo.

Un attimo dopo, senza nemmeno sapere come diavolo aveva fatto, si era materializzato ad un metro da lei.

Teletrasporto? Fico! – ebbe appena il tempo di pensare.

Seguì un prevedibile strillo isterico. E Damon non trovò di meglio da fare che agguantarla e tapparle la bocca, trascinandola nel buio di un vicolo. Mentre lei gli scalciava addosso, rifletteva sarcasticamente sul fatto che era perfetto, proprio perfetto: stava giusto suggellando definitivamente il terrore ambiguo che aveva nei suoi confronti.

Finiscila di scalciare. E se provi a strillare ancora ti faccio la presa vulcaniana. – l'ammonì secco.

Lei si quietò, ma senza troppa fretta. Damon si azzardò a toglierle la mano dalla bocca, ma non mollò certo la presa. La voltò, ma lei aveva il viso nascosto dal cappuccio della felpa. Ansimava di terrore e quelle sfumature nella sua aura erano come stilettate al cuore: era orribile che avesse paura di lui. Si sentì una merda.

Smettila. – fece cercando di non essere troppo brusco – L'hai capito chi sono, è assurdo che hai paura di me. –

Lenny trovò il coraggio di occhieggiarlo da sotto il cappuccio, poi abbassò nuovamente la testa.

Damon sospirò di frustrazione: – Andiamo a casa. –

Sentendo che puntava i piedi, si voltò accigliato e restò in attesa.

Non ho paura di te. – gli confessò con un filo di voce.

Era la pura verità. Eppure aveva paura quando c'era lui: era qualcosa che aveva a che fare lui e Damon non capiva cosa. Forse erano i ricordi che non riuscivano a tornare a galla: nella vita precedente non è che tra loro due fosse stata sempre rose e fiori. Forse era solo una ragazzina impaurita da quella situazione: avere a che fare con un tizio sconosciuto che si presentava come il suo angelo custode e la bersagliava di sarcasmo. O forse era altro. Non era quello il momento di approfondire – per nessuno dei due.

Damon grugnì tra sé e la lasciò andare. Tanto l'avrebbe seguito. E infatti prese a trotterellare dietro di lui mentre tornava verso casa loro.

Restarono in silenzio per tutto il tragitto.

~~~

Mystic Falls, sempre 11 settembre 2028

Caro diario,

Ti ricordi quando ti ho detto che questa era una giornata di merda? Be', mi correggo: questa è una ORRIBILE, DISGUSTOSA, SCHIFOSSIMA giornata di merda. Ecco. Forse così ho reso un minimo l'idea.

Ti chiederai il perché. Be', preparati, perché...

OGGI L'HO INCONTRATO!!!

Non chiedermi di descriverti com'è fatto: ti dico solo che è anche più figo di com'è nei sogni, ma lo è in modo... diverso, ecco. Non so come spiegartelo.

È il classico tipo che se lo incontrassi per strada mi starebbe immediatamente sui coglioni. Si atteggia a quello con la battuta pronta e la lingua tagliente, sempre pronto a prenderti per il culo. Non sai quante volte m'è venuta voglia di prenderlo a schiaffi, te lo giuro! Peccato che, per quanto le sue cazzate m'infastidissero, la sua voce mi piaceva troppo.

Ma non ti ho detto la parte più assurda! Tieniti forte, eh... perché questo spiega un sacco di cose!

È IL MIO ANGELO CUSTODE!

Non sto scherzando e non sono impazzita del tutto. Ti ricordo che sono una strega: noi le SENTIAMO certe cose. E io l'ho sentito subito, ma l'ho capito solo dopo, quando mi ha trovata per strada.

Oddio... oddio, non farmi ricordare quello! No, questo non te lo racconto adesso. Devo ancora assimilare tutto.

A questo punto ti chiederai come può essere stata una giornata di merda. Be', è semplice: lui e mio padre. Insieme. Per una CENA INTERA.

So che mi ha guardato l'aura e più di una volta. DAVANTI A PAPÀ! Merda, era imbarazzante! Il nostro primo incontro è stato disastroso, sotto ogni punto di vista! E io non posso più rimediare!


Lenny gettò via la penna con insofferenza e si buttò sul letto.

Se lo sentiva da sempre che prima o poi l'avrebbe incontrato, aspettava quel momento da secoli, aveva cercato di prepararsi in tutti i modi, e poi... PUFF! Era successo tutto una sera qualsiasi di un giorno qualsiasi ed era già finito. L'avrebbe sicuramente rivisto, ma lui non avrebbe mai pensato a quanto il loro incontro era stato perfetto e speciale. Perché non lo era stato affatto.

Si rannicchiò in posizione fetale, colta da un disagio estremo che le attanagliò lo stomaco.

Lui era era nientemeno che un angelo e lei non era degna nemmeno di dirgli “ciao”. Non avevano niente da spartire, nessun segreto speciale da condividere. Aveva molto più in comune con suo padre, benché fosse un dampiro...

Una lampadina le si accese in testa. Saltò su dal letto e frugò tra le mensole alla ricerca del libro. Quando lo trovò, le mani le tremavano: il primo capitolo della saga di Elena. Tornò sul letto e ci si sistemò in ginocchio, sfogliando febbrilmente le pagine. Quando arrivò al pezzo, perse un battito – o forse due?

Richiuse il libro con un rumore sordo e lo abbandonò sul comodino, occhieggiandolo timorosa.

Elena aveva usato degli pseudonimi, ovviamente, ma Lenny conosceva la storia a memoria. Prima ancora che si mettesse a pubblicare best-seller, la sua prima fan era stata lei, come amava ricordare in famiglia. Da quando le avevano detto la verità su tutti loro, chiedeva continuamente di raccontare le loro storie ed Elena era stata sempre quella più disponibile. Poi si era stufata di ripeterle le stesse cose all'infinito e le aveva messo in mano la bozza del suo primo romanzo, e così Lenny aveva potuto leggere in anteprima mondiale quello che già conosceva – anche se un po' romanzato ovviamente.

Riconobbe tutti i personaggi nelle persone che le giravano intorno da quando era bambina, e fu strano, molto strano, ma divertente. Tutti, li riconobbe, persino quel tale vampiro Dylan Santacroce, fratello maggiore di Sean, il fidanzato della protagonista, Emily. Lo descriveva esattamente come il tizio dei suoi sogni. E Lenny non conosceva nessuno così, nessuno che gli somigliasse seppur vagamente... tranne quel ragazzo ritratto nei dagherrotipi del maniero Salvatore, di cui tutti parlavano poco in famiglia, ma che Lenny aveva sempre saputo essere il fratello maggiore di Stefan: Damon, morto tanti anni prima, ai tempi della guerra di secessione. All'epoca non ci aveva fatto molto caso: si era detta che Elena per descrivere il suo Dylan doveva aver preso spunto quei dagherrotipi.

A lungo andare, quell'idea l'aveva assimilata lei stessa. Magari si sognava quel tizio perché le erano rimaste impresse le foto. Chi poteva saperlo?

Balle! Tutte balle! Gliele avevano sempre rifilate e lei ci si era adattata. Ma adesso l'aveva conosciuto, questo Damon. E – sorpresa, sorpresa! – il suo modo di fare era identico a quello del Dylan dei romanzi di Elena. Per quanto la riguardava, non era servito a niente il teatrino messo su da suo padre durante la cena: Damon non era una sua conoscenza di un secolo e mezzo fa. I romanzi di Elena assumevano tutta un'altra ottica, adesso.

I pezzi del puzzle andarono tutti al loro posto e Lenny si sentì come una novella Sherlock Holmes.

Non c'era alcun dubbio: la sua famiglia era colma di scheletri nell'armadio. Scheletri che in qualche modo riguardavano anche lei. Se solo avesse avuto più dimestichezza con la magia...! Ma l'unica strega che aveva anche solo sentito nominare, era andata via da Mystic Falls quando lei era una poppante e adesso viveva al di là dell'Atlantico. E dalle chiacchiere origliate in famiglia non sembrava in procinto di tornare a casa.

Ma ho i suoi grimori.

Nonappena Lenny aveva mostrato i primi, inequivocabili segnali possedere il Dono, Pas le aveva dato accesso alla sua libreria. Sì, vabbè, non completamente... ma qualche libro le concesse di consultarlo: i vecchi grimori della famiglia Bennett, per la precisione. Tomi che evidentemente suo padre, per una qualche colossale svista, non aveva mai letto per bene. Perché Lenny vi aveva trovato delle cosette molto interessanti, che le fornivano un punto di vista tutto nuovo sulla sua situazione.

Lenny si alzò piano dal letto e si avvicinò cauta alla sua scrivania. Facendo attenzione a non fare rumore, aprì il cassetto e ne estrasse un volume. Suo padre non si era nemmeno accorto che da mesi mancava all'appello: l'aveva sottratto per poterlo studiare meglio. Sfogliò le pagine antiche con delicatezza, fino a trovare quella su cui si era concentrata tanto a lungo.

Un incantesimo di memoria.

Le dita che tenevano la copertina sbiancarono. Lenny non aveva la minima idea di come fare, ma sapeva – sentiva – che aveva bisogno di un controincantesimo. E che la soluzione era celata in quelle pagine.

Alzò lo sguardo sul calendario belle époque appeso sopra la sua scrivania. La luna piena per quel mese era già passata senza che lei avesse risolto niente. Quella dopo cadeva nella stessa settimana del matrimonio: non se parlava, troppi casini. Avrebbe dovuto aspettare fino al due novembre.

Richiuse il grimorio e lo nascose nuovamente nel cassetto. S'infilò nel letto e spense l'abat-jour di vetro colorato. La stanza passò dalle luci calde e multicolori al buio più totale.

Aveva un mese e mezzo per trovare quel controincantesimo, rifletté accoccolandosi per bene sotto le coperte.

Un mese e mezzo. Con un matrimonio alle porte. E devo gestire anche lui.

Prima addormentarsi, l'ultimo pensiero di Lenny andò a Damon.

L'hai capito chi sono, è assurdo che hai paura di me. –

Non ho paura di te. –

Ho paura di me.




* – Papà? Sei in casa? –

** – Chi è quel tipo?! –


   
 
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