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Autore: Violet 95    26/11/2011    1 recensioni
Halloween è la notte delle streghe, dei fantasmi, dei demoni e degli incubi. Soprattutto di questi ultimi. Ed è proprio in uno di loro che la nostra protagonista, una ragazza scettica ai fantasmi, teme di essere caduta: solo che non si aspettava che il suo incubo prendesse le sembianze di un demone vestito di bianco e chiamato Mephisto Pheles. Ciò che li aspetta, in questo breve racconto, va' ai confini del sogno, della ragione e della follia. Ciò che li aspetta è la notte di Halloween.
Premessa: l'ho scritta di getto ieri sera alle dieci e mezzo e, guarda caso, era proprio Halloween. E' la prima che scrivo di Ao No Exorcist e non sono certa del risultato. Spero che la apprezziate voi tutti!
Genere: Avventura, Horror, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mephisto Pheles, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Possessione

 

 

Siamo tutti esuli del nostro passato.

Fëdore Dostoevskij

 

 

Dopo quella luce accecante, ogni cosa era stata avvolta dall’oscurità: di nuovo.

Solo una macchia di colori e luce era visibile in lontananza, quasi irraggiungibile per chi avesse perso le speranze di ritrovare un’uscita da quell’oscuro corridoio. E lei ancora non aveva perso. Si diresse, nuotando nelle tenebre, fino a quel punto di luce e vide se stessa. Era un’immagine talmente irreale che non poteva essere frutto di un suo ricordo, poiché da quando aveva memoria non ricordava di aver dormito così beatamente riscaldata dai raggi del sole: vedeva che il suo falso riflesso si trovava in un bosco, almeno così sembrava all’apparenza, appoggiata a un albero, con le mani giunte sul petto, come in atto di preghiera. Per chi pregava? Per un Dio che l’aveva fatta cadere in quella orribile situazione?

Eppure, su quel volto non c’erano tracce di preoccupazione, di ansia o di tristezza: sembrava serena, in pace con il mondo e con se stessa. Anche lei avrebbe voluto essere così: la invidiava per questo.

Sorrise dentro di sé, perché trovava buffo invidiare il proprio io. Ma avrebbe dato veramente qualsiasi cosa per fare cambio con il riflesso. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per sentire quel tiepido calore benefico.

Eppure, perfino lei adesso sentiva ardere dentro di sé un fuoco, ma non era come quello del sole: sembrava più violento, come se avesse voluto prendere possesso di tutto il suo corpo. Ma lei non volle reprimerlo, perché sentiva che era da tempo che divampava dentro di lei, ma non aveva mai potuto ribellarsi completamente. Ma adesso era il momento di risvegliarsi.

Decise così di lasciare a malincuore quella macchia di luce e quell’immagine così falsa che la rifletteva in un passato lontano, o forse in un futuro prossimo. Si immerse ancora di più nell’oscurità, lasciando che quel fuoco misterioso cominciasse ad ardere e ricoprire quel corpo freddo, così diverso da quello della sua se stessa nel bosco. Vide delle tenui fiamme blu che fuoriuscivano con timidezza dal suo corpo, per poi divampare con forza intorno a lei. Lentamente, si ritrovò circondata da fuochi fatui blu.

Ma non era preoccupata, o spaventata, perché sapeva che quelle fiamme non le avrebbero mai fatto del male: dopotutto, erano una parte di lei. Anzi, si lasciò andare a questo calore che non bruciava, ma appariva piacevole e quasi soporifero. Una parte di sé, quella più razionale, avrebbe voluto ribellarsi al giogo demoniaco; ma quell’altra, quella appunto che deriva dalla sua vera natura che non era mai perita, la intimava a rilassarsi e a seguire l’esempio del suo riflesso. E così lei fece.

Pensò solo, con tristezza, che non avrebbe mai raggiunto la pace della sua se stessa dell’immagine, poiché si era addossata un fardello forse troppo pesante per lei; ma finché quelle fiamme non l’avessero abbandonata, era sicura che ce l’avrebbe fatta.

Che fosse speranza, o che fosse disperazione quella che la guidava, non ne era sicura nemmeno lei: ma sapeva più di chiunque altro che non sarebbe comunque rimasta da sola. Fino all’ultimo alito di vita, avrebbe combattuto per riportare le cose alla normalità, avrebbe combattuto per lei.

E chissà, forse riuscirà a raggiungere quel frammento di anima nel bosco, al momento profondamente addormentato per lasciare spazio al demone che c’era sempre stato in lei. Era sicura che la sua anima l’avrebbe attesa fino alla fine, con pazienza.

Era sicura che un giorno l’avrebbe ritrovata lì e che finalmente si sarebbero potute addormentare insieme. Con la pace agognata nel cuore.

 

 

Non appena riaprì gli occhi, Faust si ritrovò in mezzo alla strada, di fronte a un incrocio: la destra portava in piazza, con la forma storta del campanile che si piegava su se stesso; la sinistra invece conduceva verso un viale circondato da case che un tempo appartenevano alle persone ricche, mentre adesso erano solo il triste residuo di una città di cartone dove la mano capricciosa di un Dio infantile era passata su di essa, distruggendola.

E non era da sola. Demoni di qualunque forma, di qualsiasi incrocio la osservavano digrignando le zanne, con occhi spiritati e l’istinto animalesco nello sguardo. Ma alcuni di loro apparivano anche titubanti ad attaccarla, quasi fossero spaventati. Non capendone il motivo, Faust si guardò le mani, ora inguantate di un lilla acceso, e fece un passo indietro, sorpresa: non ricordava di essersi cambiata d’abito.

Cercò una superficie riflettente, per vedere cosa diavolo era successo dopo quella luce accecante. Inoltre, Mephisto era sparito, lasciandola sola in balia dei demoni.

Trovò una finestra rotta di una casa e vide finalmente il proprio riflesso. Ciò che le si dipinse sul volto, era una smorfia di disgusto e di disappunto: odiava il rosa. La sua giacca di pelle nera era sparita, così come i suoi jeans e la sua amata sciarpa viola; al loro posto, uno stile a dir poco “medievale” la rifletteva sulla superficie liscia e rotta della finestra: stivali bianchi che non arrivavano nemmeno al ginocchio, accompagnati da calze azzurre a pois bianchi – calze a pois?! – che, nonostante il gelo della notte, la riscaldavano abbastanza; pantaloncini corti, bombati e di un fucsia molto acceso, così come il sopra; una cintura di cuoio, alla quale era legato un piccolo sacchetto di stoffa, le circondava la vita divenuta incredibilmente sottile; una giaccia del medesimo colore dei pantaloncini la stringeva ai fianchi, con ricamate ai lati sottili strisce dorate che formavano piccoli ovali; dietro, un lungo mantello bianco, con l’interno viola scuro, legato al collo e con i risvolti alzati in aria, la ricopriva completamente; infine, un singolare cappellino bianco che le circondava a mala pena la testa era ornato da due lunghe piume rosa piegate indietro, in modo da non ostruirle la visuale. Il tutto, però, dovette ammettere che era ben coordinato, soprattutto per le tonalità di colori, e forse si trattava anche di un abito abbastanza elegante per la moda di altri tempi.

Ma la sua reazione non cambiò ugualmente. Era indecisa se vomitare o infamare colui che le aveva rovinato la propria immagine solo per il gusto di fare.

 

Mephisto, dannato demonio! Dove sei?” urlò in preda alla rabbia e al disgusto.

 

Notò che la sua voce si era fatta più acuta e, ispezionando la bocca con la lingua, si accorse che aveva dei canini più appuntiti rispetto alla norma: delle zanne, poté appurare in seguito.

Una voce maliziosa e piuttosto divertita le rimbombò in testa.

 

“Qui, mia cara. Proprio dentro di te! Come dite, voi umani? Più vicino di così si muore!” disse prorompendo in una nuova risata.

 

Faust si tappò le orecchie, gettando sguardi persi intorno a lei: dov’era quel demonio?

 

“Maledetto, cosa hai fatto al mio corpo? Questa non sono io!”

 

“Infatti, questa forma è frutto della nostra unione, anche se non è il termine adatto per indicarla: possessione, direi. Ho preso in prestito il tuo corpo e questo è ciò che ne è uscito: non è fantastico?” esultò il demone, piuttosto euforico.

 

Faust avrebbe voluto staccargli la testa a morsi, adesso che possedeva perfino delle zanne; ma nella situazione in cui si trovava, la scelta giusta da fare era quella di stare al suo gioco: se questo pagliaccio aveva il potere di aiutarla, si sarebbe piegata a qualsiasi decisione. Ma c’era una cosa che non poteva accettare.

 

“Allora spiegami perché sono vestita di rosa!” urlò al vento, sentendo una furia cieca risalire in superficie. Insieme però a qualcos’altro.

 

“Questione personale di gusti. Devi sapere che, quando incontrai per la prima volta il Dottor Faust, ero vestito esattamente così: adoro questi abiti, ma non ho più avuto occasione di indossarli… Inoltre, mi sento stranamente a mio agio in questo corpo e, come forma di ringraziamento, ho voluto donarti questa forma decisamente più attraente e potente…” disse, continuando a elencare altri motivi che l’avevano spinto a prendere questa decisione.

 

Ma Faust non ci vide più. Così, abbandonandosi a quella rabbia, mista al disappunto e a una buona dose di vergogna, liberò tutti i suoi poteri demoniaci da tempo assopiti, prorompendo in un grido quasi animalesco. Fiamme blu circondarono il suo corpo e vennero aizzate contro quegli sfortunati demoni che si erano ritrovati a passare di lì, attratti da tale confusione: ogni cosa venne bruciata, come voleva la natura distruttiva del fuoco demoniaco.

Faust, vedendo ciò che aveva fatto, tentò di imporsi la calma, senza però riuscirci: le fiamme continuavano a prorompere dal suo corpo, con la stessa violenza di un vulcano in eruzione. Pensò a Greta, ma la situazione non mutò; Mephisto, resosi conto della difficoltà della ragazza, trattenne una risata e pronunciò una formula in una lingua sconosciuta. A quelle parole arcane, le fiamme blu si acquietarono, riducendosi a lievi scintille sulla testa della ragazza, simili a corna. Intanto, Faust si accorse con orrore che una cosa nera spuntava da dietro il mantello, muovendosi sinuosa e con una scintilla blu posta sulla punta.

 

“Cos’è questa cosa?!” urlò rivolta a se stessa, o più precisamente a Mephisto, prendendosi la coda.

 

“La tua coda” rispose semplicemente il demone.

 

“Questo lo vedo anche da me, ma perché ho una coda?”

 

“Perché adesso sei un demone, proprio come me! E se vuoi un consiglio disinteressato, faresti meglio a nasconderla: è un punto debole per noi”

 

“Ma io sono umana…” gemette Faust, prendendosi il viso fra le mani.

 

“Ogni essere umano ha una parte demoniaca dentro di sé, che cela i suoi desideri più oscuri. Anche le persone di questa città la possiedono, e imparerai presto a conoscerla” disse, bisbigliando queste ultime parole.

 

Nonostante lo sconvolgimento, Faust tirò un sospiro di sollievo nel sentire che non aveva ereditato nessun pizzetto con la possessione: almeno per quello, manteneva la sua femminilità. Però, osservandosi meglio al vetro, si accorse dei suoi occhi: non erano mutati in sé, ma riconobbe una piccola punta di scarlatto, proprio al centro della pupilla, che riluceva sinistra. Per il resto, ad eccezione delle orecchie a punta, dei canini e della coda, non era cambiata più di tanto.

 

“Alla fin fine, non importa quale aspetto assuma se la mia anima resta inalterata”

 

“Se riesci a mantenere vivo questo pensiero, non perderai mai te stessa…” sentì sospirare Mephisto.

 

Faust sorrise e distolse lo sguardo dal suo nuovo aspetto, decisa a ignorarlo per un po’. Si concentrò invece sul bivio che aveva di fronte, sinceramente indecisa su quale strada scegliere; per un attimo, si sentì come il povero Don Abbondio, posto anche lui dinanzi a un bivio simbolico dove solo una delle due strade poteva concedergli la salvezza, mentre quell’altra l’avrebbe portato inevitabilmente fra le braccia del Male. Ma per lei stavolta non c’era scelta: entrambe l’avrebbero comunque portata in grembo agli incubi.

 

“Allora, quale strada sceglierai?” la destò Mephisto, avendo intuito i suoi pensieri.

 

Faust preferì evitare la piazza dove di sicuro c’era un accumulo maggiore di demoni; inoltre il profilo ora sinistro del campanile della chiesa le mise i brividi. Optò quindi per la strada che conduceva alle residenze, incuriosita da quello che avrebbe potuto trovare nelle case di cartone e decisa a fare un po’ di pratica con i suoi nuovi poteri.

Camminando nella via silenziosa, illuminata debolmente da qualche lampione storto, poté osservare meglio i cambiamenti avvenuti nel giro di poche ore: un paesaggio da incubo le si apriva davanti agli occhi, dove la vivacità e i colori che predominavano in precedenza sui muri delle case, adesso erano solo spettri di un lontano splendore. Gli orrori dell’animo umano si mostravano in tutta la loro violenta e cruda realtà.

Fra i giardini, un tempo di un verde lussureggiante, strisciavano enormi vermi simili a quello che aveva tentato di divorarla, mentre sui tetti spigolosi erano appollaiati gargoyle, inquietanti cherubini dalle ali nere e gli occhi insanguinati, arpie invasate e con le zanne ben in vista, pronte a gettarsi sulla loro prossima preda. Faust li guardò uno ad uno, imponendosi un freddo autocontrollo e chiedendosi cos’altro avrebbe potuto trovare in quella notte.

Poi si fermò d’improvviso di fronte a una casa che non si distingueva in nulla dalle altre, ma che ai suoi occhi aveva un aspetto ben diverso. Prima di questa notte, lei e Greta la chiamavano la casa rosa e il nome scelto non era certo casuale: la vernice rosa ricopriva quell’abitazione, rendendola riconoscibile da lontano perfino di notte; il cancello era bianco, così come i tavoli e le sedie esposte fuori, abbellite da qualche enorme fiocco di raso bianco e rosa confetto legato qua e là, a rendere quella visione ancora più dolce; Biancaneve e i sette nani si ergevano sul terreno, come antiche sentinelle di quella casa; un cartellino appeso al cancello riportava questa amichevole scritta: Ti auguro tutto ciò che pensi di me. L’interno, inoltre, non si distingueva dall’esterno: pareti fucsia, con affissi dei piattini bianchi con disegnati sopra gatti e cani; peluche posti ordinatamente sulle mensole; mobilia di tutte le tonalità di quel fausto colore…

Un enorme confetto, ecco cos’era. Se non ricordava male, ci abitava una vecchia conoscente di suo padre, anch’essa altrettanto singolare come la sua abitazione, ma di cuore gentile e mente acuta.

 

“Entriamo” disse Faust, dirigendosi verso il cancellino ora nero, arrugginito e piegato all’interno.

 

“Perché proprio qui?” domandò incuriosito Mephisto.

 

“Perché questa casa, nella realtà, rispecchierebbe i tuoi gusti”

 

Ignorando le bestie che la fissavano malamente, Faust mise la mano sul pomello della porta squadrata e il dubbio di trovarla chiusa la assalì. Quando però la serratura scattò e la porta si aprì con un lento cigolio, un sentimento di sollievo misto a terrore la fece fremere. Ma l’eco della risata di Mephisto, la riportò violentemente alla calma: non voleva mostrarsi debole di fronte a quel demone.

La porta si apriva sul vuoto, dove l’oscurità aveva inghiottito ogni cosa: nero totale in quella casa dai gioiosi colori. Ora come non mai avrebbe desiderato vedere quel rosa acceso.

 

Chissà cosa troverò dentro…

 

“Prepara la tua mente, perché ciò che vedrai sono le immagini partorite dalla mente umana, i desideri più nascosti dall’animo, le brame oppresse dal proprio cuore: non lasciarti tentare da nessuna di queste!” la raccomandò Mephisto.

 

Faust strinse gli occhi per riuscire a scorgere qualcosa in quel buio perenne, ma null’altro che oscurità le si parava dinanzi: perfino il suo futuro, da lì in poi, era incerto e oscuro come questo corridoio.

Liberando così la mente da ogni futile pensiero, di modo che qualunque cosa trovasse non potesse farle perdere la ragione, sospirò rassegnata e si gettò nelle tenebre, abbracciandole come se fossero vecchie amiche. Non si sarebbe mai immaginata che fossero così inconsistenti e fredde…

La porta dietro di lei si richiuse seccamente, privandola di ogni debole luce in quel mare nero. Continuò solo a cadere, sperando solo che finisse quella lenta e lunga agonia che ritrovava perfino nei suoi incubi.

Sperò solo che tutto ciò finisse il prima possibile.

 

 

 

 

SPAZIO DELL’AUTRICE:

buonasera! – Perché come al solito i capitoli li pubblico di notte…

La storia sta andando per le lunghe, me ne accorgo perfino io: un po’ perché è difficile amministrare il tempo e i capitoli, un po’ perché mi servono fonti per i prossimi demoni che Faust dovrà sterminare. Anche se un’idea cominciò già ad averla….

Capitolo abbastanza noiosetto e forse inutile, ma ci tenevo a farlo soprattutto per parlare della possessione: quando ho visto per la prima volta gli abiti di Mephisto quando incontra Faust, la mia prima reazione è stata lo shock per quelle calze, poi ho pensato: “Quell’abito lo devo mettere addosso a un mio personaggio!”. Ed ecco come è partorita l’idea della possessione. Detto questo, vi saluto!

Eins, Zwei, Drei! *puff

 

 

  
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