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Autore: _shehatesthesun    27/11/2011    1 recensioni
I pensieri di un ragazzo particolare, che conosce la vera sofferenza.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicono che sia scemo, ma io non credo di esserlo. Ne sento di discorsi da scemi: dicono sempre le stesse cose, sceme, inutili, senza senso. Parlano di giubbotti da seicento euro, e poi si lamentano se glieli rubano. Io un po' sono contento quando lo fanno, mia madre ne guadagna la metà in un mese e lavora molto più di quelle persone. Parlano del mondo come se fossero loro a comandarlo, come se a tutto ci fosse una spiegazione, e la loro spiegazione è sempre quella giusta. Parlano di persone superiori e inferiori, bianche, nere, rosse e gialle. Si tingono i capelli e vanno dal parrucchiere tutti i giorni, e poi vanno a dire che i loro capelli sono i più belli di tutti. I capelli di mamma sono già tutti bianchi, ma sono morbidi e profumano d'amore, e sono cento, mille, duemila volte più belli. I loro cadranno tra poco, bruciati dalle piastre bollenti e consumati dalle tinte più forti. Certe persone poi fanno finta di vivere, guardando uno schermo tutto il giorno. Altri non studiano perché non vogliono affaticarsi, e diventano ignoranti. Altri colgono solo i frutti buoni della vita, e non sanno cosa sia la sofferenza: e quando quelli cattivi cadranno sulle loro teste non saranno preparati.
 
Dicono che non riesco a provare sentimenti, ma loro di me non sanno niente. Loro si commuovono davanti a film con persone, storie e dialoghi falsi, ma non donano un centesimo per coloro che muoiono di fame, oppressi da tutto e da tutti. Mi guardano come se fossi l'oggetto più interessante e penoso della mostra di animali imbalsamati, e hanno anche paura di toccarmi. Io mi guardo allo specchio ogni tanto, ma anche se faccio un po' paura mi toccherei. Il contatto è la cosa più bella della vita, è il gesto che più ti fa sentire amato. E io non posso neanche toccare mamma per farle capire che la amo più di qualsiasi altra persona. Le persone comuni parlano di me come se io non fossi lì in quella stanza, non mi chiedono se la torta era buona, non mi preparano una spremuta d'arancia perché glielo abbia chiesto. Io riuscirei a chiedere loro qualsiasi cosa se solo mi dessero la possibilità di esprimermi: ogni tanto ci provo, e sento che sto migliorando di giorno in giorno; comincio a sentire alcune parti del mio corpo che prima credevo non esistessero.
 
Dicono che non senta, che non parli, che non sappia cosa stia vivendo. Io lo so benissimo. Sono loro che non lo sanno: hanno mai provato, loro, a stare tutto il giorno su una sedia rotelle, senza sentirsi le mani, i piedi, gli occhi, la bocca, il petto, la schiena? Senza potersi muovere? Senza poter mangiare se qualcuno non gli apre forzatamente la bocca? Senza poter dormire ad occhi chiusi? Senza poter scrivere, leggere, scambiare due parole con le persone che ami? Come potrebbero vivere, loro, sapendo che sono perfettamente capaci di capire e pensare, ma nessuno se ne accorge? Quanto tutti credono che sono come persone in coma, che però possono vivere senza essere attaccati alla spina, senza essere in ospedale? Io l'avrei già staccata quella spina se non fosse per mamma. Vorrei morire se non fosse per lei, e se volessi non ci metterei niente. La volontà di morire è la volontà che più ti accontenta.
 
L'altro giorno sono venuti dei giornalisti da noi, ancora una volta. A mamma non piace che scrivano articoli su di me, ma senza di questi potremmo morire di fame. Quegli uomini mi guardano, mi fanno qualche foto e poi scrivono dei dettagli commuoventi che fanno pensare alla gente che sia uno scherzo della natura. In realtà la natura non mi ha mai fatto niente: sono nato il 5 novembre del 1980, normale, senza capelli, con gli occhi marroni, con le guance rosa e con il nome di Francesco. Ero un po' grassottello a guardare le foto, però ero abbastanza carino. La colpa non è della natura, ripeto, è dell'uomo ubriaco che sta al volante lo stesso. Io non me lo ricordo, ma me lo immagino alto, con la pancia un po' gonfia, la barba incolta, gli occhi infossati, il naso rosso. Con una catenina d'oro al collo. Quando facemmo l'incidente venni schiacciato, così ho capito dai discorsi che fa mamma, e adesso sono come imbalsamato. Non sono tutto imbalsamato in realtà, il cervello, gli occhi e le orecchie mi funzionano ancora. Mamma lo sa, ma non lo ammette mai, credo che ha paura di scoprire che in realtà non è come pensa, che io sia davvero un ragazzo di quindici anni completamente inconscio di ciò che mi accade intorno.
 
Tra due anni compirà cinquant'anni, e voglio farle un bel regalo. Voglio diventare un ragazzo normale, perché lei non merita di stare sempre dietro a me, che non le do nemmeno qualche soddisfazione. Andrò a scuola, frequenterò un corso di calcio, che è quello che fanno tutti i ragazzi, e poi mi sposerò e avrò figli. Mamma, questo te lo prometto.
 
 
 
 
 
Il 4 novembre 1996 Francesco morì per un infarto improvviso, aveva appena ricominciato a muovere le gambe.
  
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