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Autore: Emily Kingston    27/11/2011    1 recensioni
Tutto iniziò con l’estate, quando Hermione piombò a casa mia all’improvviso e mi disse che aveva ritrovato i suoi genitori e che stava andando a riprenderli.
Quel giorno, quel caldo giorno d’estate, ebbe inizio il resto della mia vita.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Tutto iniziò con l’estate
 

È iniziato tutto con l’estate.
O forse con il caldo, non lo so.
Probabilmente è iniziato tutto prima che io me n’accorgessi; anzi, sicuramente è andata così.
Sono sempre stato un po’ tardo a capire le cose, quando c’era di mezzo lei, poi, le difficoltà si moltiplicavano.
Con lei le difficoltà si sono sempre moltiplicate, anche nel fare le cose più semplici.
Perché è lei che mi sconvolge, sconvolge il mio ordinario, l’ha sempre fatto.
Mi piace dire, quindi, che tutto iniziò con l’estate; con l’afoso sole di Giugno che batteva insistente contro i campi intorno alla Tana.
Ricordo che il cielo era particolarmente limpido e che casa mia non era mai stata silenziosa quanto allora.
Ero appoggiato alla balaustra della veranda, lo sguardo rivolto a Leotordo che svolazzava impazzito per il giardino, lanciandosi in picchiata verso il terreno ogni volta che uno gnomo aveva l’ardore di farsi vedere in giro.
Non era passato neanche un mese intero dalla fine della guerra e ancora ricordo, a distanza di tanto tempo, quanto rimasi deluso nel realizzare che tutte le speranze nelle quali mi ero cullato durante il periodo di guerra non erano che stupide utopie.
Avevo creduto, forse quando ancora il mio cervello ragionava come quello di un adolescente, che tutti ne saremmo usciti vivi e che, a guerra finita, saremmo stati tutti felici e contenti, come in una delle più perfette fiabe babbane.
Casa mia, quel pomeriggio d’estate, era vuota a causa delle illusioni infrante e delle ferite doloranti che affliggevano il cuore di chi è sopravvissuto.
Perché sopravvivere è quasi peggio che morire, devi fare i conti con ciò che resta e ciò che è andato via e, personalmente, credo che il vero coraggio sia questo, alla fine.
Sopravvivere alla vita.
Quel giorno d’estate mio padre era partito con mamma per andare a far visita ai genitori di Fleur, in Francia; respirare un’aria diversa le avrebbe giovato, diceva.
George si era trasferito di nuovo nell’appartamento che un tempo divideva con Fred e aveva riaperto i Tiri Vispi Weasley; con disappunto di mia madre.
Ricordo ancora quando, una sera di pochi giorni prima, era sceso dalle scale, infuriato e deciso, ed aveva annunciato che il negozio avrebbe riaperto e che Fred, se fosse stato lì, li avrebbe mandati tutti al diavolo in caso di proteste.
Mamma disse che lo stava facendo per tenersi impegnato e non pensare, io dico che lo fece per tenere vivo il ricordo di Fred, per dimostrare che, nel suo piccolo, era stato un grande uomo.
E lo era stato veramente, alla fine.
Harry si era trasferito in pianta stabile a Grimmauld Place alcuni giorni prima e Ginny era andata a fargli un saluto.
Dopo la guerra non avevano avuto molto tempo per loro e, anche se mi secca un po’ ammetterlo, erano forse le persone che più meritavano intimità dopo quell’assurda agonia.
Charlie se n’era tornato in Romania quasi subito e Bill e Fleur erano scomparsi a Villa Conchiglia quella mattina stessa, dopo aver salutato mamma e papà.
Percy non si era fatto più vedere dal funerale di Fred.
Nessuno voleva ammetterlo, ma la loro, quella di tutti loro, era solo una fuga e quasi ho provato invidia per il loro coraggio di scappare, perché almeno a scappare ci provavano.
Io l’ho sempre ritenuto una perdita di tempo, anche se è quello che ho fatto per metà della mia vita.
Mentre me ne stavo in silenzio a guardare Leotordo che volava, un sonoro pop attirò la mia attenzione facendomi voltare verso il sentiero sterrato che portava al laghetto sulla collina.
Hermione alzò appena il capo, mentre con le mani si puliva i pantaloni dalla polvere, e mi sorrise.
«Ciao» io le sorrisi a mia volta.
«Ciao» lei scosse appena il capo e si avvicinò a me, venendo verso la veranda.
Improvvisamente, quando me la ritrovai davanti – più bassa di me di parecchi centimetri -, mi sentii arrossire, forse per colpa del ricordo che mi balenò alla mente.
Eravamo in piena battaglia, fuori dalla Stanza delle Necessità, nelle mani di Harry l’ormai carbonizzato Horcrux di Corvonero, tra le mie un manico di scopa e qualche decina di zanne di Basilisco.
Dissi qualcosa a proposito degli Elfi Domestici – che non volevo morissero com’era accaduto con Dobby – e, sinceramente, non so perché lo feci.
So quanto Hermione ci teneva a perorare la loro causa ma io, in quanto Purosangue nato e cresciuto tra maghi, conoscevo gli Elfi Domestici come generosi aiutanti nei lavori di casa, lieti del loro ruolo.
Tra gli sfocati ricordi della battaglia quello è il più nitido che posseggo: lei che sorride, lancia le zanne che sono tra le sue mani, corre da me e mi bacia sulla bocca, come se l’avesse sempre fatto.
Le sue labbra erano morbide, fresche, così adatte a stare sulle mie.
In quel momento mi sono chiesto cosa abbiamo fatto io ed Hermione in tutti quegli anni e per quale dannato motivo abbiamo dovuto aspettare di essere nel bel mezzo di una guerra per fare una cosa del genere.
Dopo quel giorno io ed Hermione non avevamo più accennato all’argomento; niente più baci, niente di niente.
Mi riscossi dai miei pensieri quando Leotordo lanciò un sibilo acuto all’indirizzo di uno gnomo.
Notai che anche lei era arrossita.
Alzò appena il mento verso di me per schioccarmi un timido bacio sulla gota; fu un lieve strofinare di pelle che mi mandò un lungo brivido su per la schiena.
«Credi che mi farai entrare o per punizione mi terrai qui fuori tutto il tempo?» ridacchiò ed io, più imbarazzato che mai, borbottai qualcosa e spalancai la porta, facendole strada verso il salotto.
Mi lasciai andare con uno sbuffo sul vecchio divano sfondato di papà e mi passai stancamente una mano sugli occhi.
Ben presto sentii le molle della poltrona cigolare, segno che anche Hermione si era accomodata.
«Dove sono tutti?» alzai le spalle.
«Un po’ qui un po’ là» risposi, vago, muovendo una mano in aria a casaccio. «Scappano, principalmente» lei fece un cenno d’assenso con il capo, ma non sono poi così sicuro che avesse sentito realmente il mio commento.
Comunque non me ne curai.
Incrociai le mani dietro la testa e rimasi a contemplarla per qualche attimo, soprapensiero.
«Allora, cosa ti porta qui, ti mancava la mia brutta faccia?» lei fece una smorfia e ridacchiò.
«Ho trovato i miei genitori» mi spiazzò.
Non avevo pensato a cosa mi avrebbe detto ma se lo avessi fatto non mi sarei aspettato che si trattasse di quello.
Era sempre stata molto silenziosa su quell’argomento, ero riuscito a strapparle il racconto di come aveva loro modificato la memoria uno degli ultimi giorni in cui era stata alla Tana, prima che andassimo a prendere Harry a Privet Drive.
L’avevo trovata strana, troppo silenziosa, poco vitale, non mangiava quasi più, così ero sgattaiolato nella vecchia stanza di Percy – quella che la mamma le aveva dato per passare quei pochi giorni – e l’avevo trovata a guardare malinconicamente una vecchia foto dei suoi genitori; la accarezzava piano con il pollice con un sorriso amaro sulle labbra.
Quando mi aveva visto era scoppiata a piangere, ricordo che stringerla tra le braccia mi procurò un senso di benessere che non penso proverò mai più; mi raccontò tutto quella notte ed io l’ascoltai.
«Parto tra un paio di giorni» annuii, il cuore che batteva lento nel petto.
Non potevo certo chiederle di restare, non per me né per noi.
Eppure, per quanto meschino fosse, lo feci.
«Resta. Aspetta ancora un po’, quando le cose si saranno appianate ti accompagnerò e…e..» lei sorrise, come sempre del resto, e scosse il capo.
«La tua famiglia ha bisogno di te, ora, e la mia ha bisogno di me» come facesse ad avere sempre ragione non so davvero spiegarmelo.
Diceva tante cose eppure ogni volta erano le cose giuste.
Sapevo che mia madre sarebbe impazzita vedendomi partire, proprio adesso che anche George se n’era andato via di casa.
Annuii.
«Quando tornerai?»
«Presto, il prima possibile» mi sentii quasi rassicurato da quell’affermazione anche se sapevo, nel profondo, che lei non aveva idea di quanto tempo ci avrebbe impiegato.
Avrebbe dovuto modificargli di nuovo la memoria, convincerli a tornare in Inghilterra, ad abbandonare la loro vita in Australia.
Non sarebbe stato facile, non lo sarebbe stato affatto.
«Beh, ora sarà meglio che vada» si alzò con mosse scattose, si sistemò i jeans e mi sorrise. «Devo parlare con Kingsley per la passaporta e poi dovrò iniziare a fare i bagagli» le sorrisi a mia volta, sperando che il mio fosse un sorriso credibile e l’accompagnai alla porta.
«Ci..ci vediamo quando torno allora» si portò un ricciolo dietro l’orecchio, imbarazzata.
In quel momento, non so perché accadde, ma ebbi una voglia dirompente di baciarla ancora.
«Hermione?» era ormai nel giardino, pronta a Smaterializzarsi.
«Mh?» si voltò appena verso di me, le sopracciglia inarcate nella sua classica posa pensosa.
«Posso baciarti ancora?» non so dove trovai il coraggio di pronunciare quelle parole né come fecero ad uscire dalla mia bocca senza che le avessi pensate prima.
Lei arrossì ma la vidi percettibilmente annuire, con forza.
«Puoi baciarmi tutte le volte che vuoi, Ron» fu la miglior concessione che avrò mai in tutta la vita.
Mi avvicinai a grandi passi, appoggiai una mano alla base del suo collo e l’attirai a me, riassaporando quelle labbra che per notti intere avevano tormentato i miei sogni più dolci.
Le trovai fresche e morbide come le ricordavo e non potei non sorridere, sentendo le piccole mani di Hermione che mi stringevano forte i capelli, come quella notte.
Mi allontanai da lei con un sorriso ebete stampato in volto, il respiro ansante e le labbra gonfie.
«Ti aspetto» suonò quasi come una minaccia ma lei ridacchiò, facendo scivolare via le lunghe dita affusolate dai miei capelli.
«Non ho intenzione di scappare» mi rassicurò, carezzandomi distrattamente una guancia.
«E io non ho intenzione di lasciarti andare»
Un sorriso, un ultimo lieve bacio a fior di labbra ed un pop silenzioso.
Rimasi a contemplare il punto in cui era scomparsa continuando a sorridere come un imbecille.
Tutto iniziò con l’estate, quando Hermione piombò a casa mia all’improvviso e mi disse che aveva ritrovato i suoi genitori e che stava andando a riprenderli.
Quel giorno, quel caldo giorno d’estate, ebbe inizio il resto della mia vita.




Note: Salve gente! 
Non chiedetemi da dove è uscita questa storia perché non lo so davvero. Era nella mia cartella da un po' e, visto che di recente l'ha letta un'amica e mi ha detto che le è piaciuta, ho pensato di pubblicarla.
Mi è sempre piaciuto immaginare che Ron ed Hermione, nonostante il bacio che si sono scambiati durante la battaglia, abbiano continuato a fare gli zucconi ancora per un po' quindi, tadan!, ecco cos'è uscito dalla mia mente malata. 
Be', spero che questa piccola cosetta sia di vostro gradimento :)
Un bacio a tutti,
Emily.

 

   
 
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