Parental Advisory: The static age
Capitolo Settimo
There
is no place like home, when you got no place to go.
Il
mio cuore palpitava
veloce.
Sentivo
il cervello
scoppiarmi a causa del mal di testa venutomi per lo stress, e le gambe
minacciavano di cedermi.
Me
ne stavo in piedi
davanti al grosso portone in legno di cedro di casa mia, in balia della
sorte.
Il
cielo del
crepuscolo donava all’atmosfera un’immagine non troppo rassicurante,
impedendomi di rilassarmi.
Come avrei potuto dire a
mio padre
che ero rimasta a scuola in Detenzione?
E perlopiù, che vi ero
finita perché avevo disturbato la
lezione in compagnia di due perfetti
delinquenti?
No,
non ero in grado
di farlo.
Su,
Amy, puoi farcela.
Mi
resi conto che le
mani mi tremavano mentre prendevo le chiavi di casa dalla tasca del
cappotto.
Avevo
il terrore di
mio padre.
Mi
immaginavo il suo
sguardo severo che mi fulminava, e le sue guance arrossate dalla
pressione.
Oddio, come avrei potuto affrontare tutto quello?
Finalmente
aprii la
porta di casa.
Lo
stretto e lungo
corridoio d’entrata mi accolse, facendomi notare che le luci erano
accese;
quindi la casa non era vuota, nonostante
ovunque il silenzio regnasse.
Appesi
il cappotto
sull’appendiabiti e posai la borsa sulle scale che portavano al piano
superiore.
La
mia mente era
stracolma di pensieri negativi e lugubri. Ciò mi impediva di assumere
un’aria
neutra.
Dannazione,
Amy!
Ero
sempre stata abituata a fare la brava marionetta, la bambola di cera
senza un
capello fuori posto..
Ma
se la cera si fosse
sciolta?
Mi
fermai davanti alla
porta della cucina.
Mio
padre e mia madre
erano seduti attorno al tavolo rotondo, che fungeva da punto di ritrovo
per
tutta la famiglia. Il centrino e il vaso di fiori rossi, che decoravano
la
bella tavola di mogano, avevano d’un tratto assunto un’aria del tutto
inquietante.
Non
appena notò la mia
presenza, mia mamma si sistemò i capelli e prese a giocherellare con
alcune
ciocche, chiaro sintomo della sua irrequietudine.
Mio
padre non mi degnò
neanche di uno sguardo, continuò imperterrito a fissare il legno
pregiato del
mobile.
Era
peggio di quanto
mi aspettassi.
Una
sola volta era
successo che avevo disobbedito ad un ordine di mio padre, ero piccola e
non
avevo alcuna idea di quanto il carattere di Steven fosse duro; era una
bella
giornata e mia madre mi aveva raccomandato di non sporcare il bel
vestito nuovo
che mi avevano comprato, ma io, piccola bimba, ero andata a giocare nel
fango.
Mi
ricordavo ancora
alla perfezione l’espressione di pura ira che si era dipinta sul volto
di mio
padre, e di come la punizione mi aveva fatta star male: mi aveva chiusa
in
camera per tre giorni, facendomi uscire solo per i pasti e la doccia.
Da
quel giorno in poi
non avevo osato mai più disobbedire ad un ordine di mio padre.
Fino
a quel momento.
-Ci
hanno chiamati da
scuola, Amy.-
Mia
madre non mi
chiamava mai con il mio nome; usava appellativi ridicoli o affettuosi.
Solo
quando le cose si mettevano davvero per il peggio usava il mio nome di
battesimo.
Abbassai
lo sguardo
sul pavimento.
-Non
ci sono parole
per descrivere la delusione che provo. Sono così amareggiata, Amy.-
Dannazione!
Perché
diavolo dovevano fare una scenata del genere? Non era mai successo che
disobbedissi, che li deludessi..
Non
avevo forse
anche io il fottuto diritto di sbagliare?
La
voce di mio padre,
forte e decisa come mai prima d’allora, si fece spazio tra il silenzio
teso, e
prese il comando della situazione: -Ho sempre pensato che mi avresti
reso fiero
di te. Saresti diventata un’avvocatessa degna di me, e magari avresti
anche
fatto carriera nel ballo. Sai, ci credevo davvero.
E
invece tu cosa vai a
fare?-
I
suoi occhi si fecero
piccoli e cattivi, la rabbia fuoriusciva dall’iride.
Avevo
paura.
Quando
mio padre si
arrabbiava, scatenava tutta la sua furia repressa.
Una
volta aveva alzato
le mani su mia madre, che si era dimenticata di preparare il latte per
colazione.
Avevo
sempre avuto una
bellissima considerazione di mio padre, lui diceva il vero. Il vero e
basta.
Ma
quando si
arrabbiava dimenticavo quanto fosse semplicemente fantastico, perché
riuscivo a
vedere solo un uomo iracondo che mi incuteva paura.
Mio
padre suscitava in
me una serie di sensazioni assolutamente incoerenti: lo amavo
incondizionatamente, ma nello stesso tempo lo odiavo con tutta me
stessa; mi
faceva sentire protetta, ma mi terrorizzava tanto da farmi venire i
brividi.
Tutto
ciò non aveva un
senso logico, per questo avevo sempre represso tali emozioni.
Ma
in quel
momento, con papà furioso
davanti ai miei occhi, non potevo
fingere di non
avere paura di lui, e di non volergli sputare addosso le mie sensazioni.
Il
fatto strano era
che mi dispiaceva.
Sapevo
che una parte
remota della mia mente detestava mio papà e avrebbe voluto ribellarsi a
lui, ma
l’altro spicchio di cervello mi sussurrava che la colpa era mia, che
ero io
quella che lo aveva deluso.
Non
aveva forse tutte
le ragioni per infuriarsi?
-Tu
te la fai con due
perfetti delinquenti!-
Lo
vidi diventare
paonazzo in volto e avvicinarsi a grandi passi a me.
Il
panico si impadronì
del mio corpo, così girai i tacchi e feci per uscire dalla cucina.
Purtroppo,
però, egli mi prese per i capelli, quasi strappandomeli.
Non
riuscivo a
respirare, urlai di rabbia e dolore.
È
impazzito, aiuto! È
pazzo!
La
mia mente in piena
crisi di panico prese a elaborare centinaia di pensieri in
contrapposizione, e
nello stesso tempo a cercare una via di fuga.
Stavo
provando terrore
allo stato puro.
-Steven,
ti prego,
lasciala!- esclamò mia madre con le mani sulla bocca.
-Taci!-
le ringhiò
addosso.
Mi
sentivo la cute
sfaldarsi lentamente, come se qualcuno mi stesse staccando con estrema
cura la
pelle. Non c’erano parole per descrivere ciò che stavo provando.
Avrei
voluto
ucciderlo.
Prenderlo
a calci,
riempirlo di botte. Vedere il suo lurido corpo spegnersi lentamente,
come una
candela che scioglie sotto il fuoco.
No,
il terrore aveva
annientato la parte razionale del mio cervello; l’odio per mio padre
aveva
preso il controllo delle mie considerazioni.
–
Adesso
mi devi
ascoltare per bene, Amy. Io ho dato la mia vita per te, ho speso tutto
il
denaro che avevo in possesso per darti una casa solida, dei sani
principi e un
futuro. Io non ti lascerò buttare via la tua promettente carriera. Hai
capito?
–
Il
mio cuore batteva
all’impazzata.
Sentivo
il mio stomaco
contorcersi, minacciando di espellere il poco cibo ingerito.
Stavo
per vomitare.
La
presa di mio padre
era salda come il ferro, e sembrava non avere alcuna intenzione di
lasciarmi
andare.
Dovevo
liberarmi, non
potevo sopportare quella situazione ancora per molto.
Sentii
le lacrime
scorrere lungo la mia guancia, solcando il mio viso come una lama
d’acciaio.
Come
il sangue.
Non
sapevo di preciso
per cosa stessi piangendo, se più per la rabbia, la frustrazione o per
aver
deluso quell’essere abominevole che stentavo a riconoscere come mio
padre.
Non
avevo mai provato
un tale dolore in tutta la mia vita; forse il problema era il fatto che
Steven
aveva sempre cercato di proteggermi dal mondo, estraniandomi
completamente da
qualsiasi cosa potesse nuocermi … Senza rendersi conto che l’unico
pericolo era
lui stesso.
Mi
sentivo così
contraddetta e amareggiata che non riuscivo a muovermi, a formulare un
pensiero
che avesse un nesso logico.
Sentivo
il dolore
impossessarsi del mio corpo, strappandomi dalla perfetta vita che avevo
sempre
condotto, e catapultandomi in un Universo che non era mio, che non
riconoscevo.
Come
potevo provare una
tale sofferenza?
Mi
resi conto che se
non mi fossi liberata dalla stretta di mio padre, probabilmente non
sarebbe
finita bene.
Cercai
di scacciare
dalla mia mente ogni pensiero e di concentrarmi, per qualche istante,
solo alla
mia salute fisica, che era a grave rischio.
Vidi
mia madre
piangere con le mani sulla bocca, e mi ritrovai a disprezzarla come mai
avevo
fatto prima d’allora: come poteva stare ferma a piangersi addosso,
mentre suo
marito si comportava in quel modo?
Quella
non poteva
essere la mia famiglia.
Doveva
essere solo un
orrendo incubo.
Cercai
la forza
nascosta dentro di me, e iniziai a prendere dei grossi respiri.
Su,
Amy, puoi farcela.
Dannazione!
Urlai
con tutto il
fiato che avevo in gola, sentendomi come un’antica vichinga alle prese
con la
sua prima grossa battaglia.
Tirai
un calcio nello
stinco a mio padre, che lasciò la presa per imprecare dolorosamente.
È
il momento.
Non
mi girai due volte
per assicurarmi di non aver fatto troppo male a Steven, e mi fiondai in
camera
mia.
Avevo
il fiato corto,
e non sapevo se la scelta di andare nella mia stanza fosse stata
giusta, ma
dovevo prendere la borsa e qualche altro oggetto personale.
Con
il panico in corpo
gettai nella borsa a scacchi le prime cose che pensai potessero essermi
utili,
per poi correre giù dalle scale
con il terrore di incontrare papà.
Quando
arrivai al
piano di sotto vidi mio padre venirmi incontro con l’aria più demoniaca
che
avessi mai visto in tutta la mia inutile esistenza.
Con
mio grande stupore
notai che mia madre stava cercando –con scarsi risultati- di
trattenerlo per
una spalla.
Non
potevo perdere
altro tempo.
Diedi
un ultimo
sguardo a quella donna dai capelli scarmigliati e gli occhi colmi di un
dolore
inafferrabile, e mi resi conto che non aveva nulla che potesse
appartenere
anche solo lontanamente alla Signora Murray.
Tutto
a un tratto ci
fu un cambiamento radicale nella situazione: vidi la furia di mio padre
placarsi e trasformarsi in un’amarezza assoluta; i suoi occhi si
colmarono di
lacrime e li vidi inondarsi di sofferenza allo stato puro.
La
mia mano era
serrata sulla maniglia della porta d’ingresso, e gli occhi di mio padre
erano
fissi su di essa.
I
suoi occhi mi
stavano implorando di non andare, di rimanere con lui, che sapeva di
aver
sbagliato.
Rividi
il vecchio,
dolce ma autorevole Steven Murray.
Ma
come potevo
rimanere?
Aprii
la porta, ed
uscii a grandi passi.
Senza
voltarmi
indietro.
La
notte era così buia
che sembrava quasi opprimermi; probabilmente era una normalissima
nottata, ma
il mio umore mi impediva di vederla in quel modo.
Mi
aggiravo tra le
strade di Rodeo senza una meta precisa, la mia borsa in spalla e il
cappotto
stretto attorno al mio corpo infreddolito.
Dove
sarei potuta
andare?
Non
avevo un posto in
cui dormire, e sicuramente non sarei andata a bussare alla porta di
qualche mio
compagno di scuola, né tantomeno a Jake, che avrebbe dato sicuramente
ragione a
mio padre e mi avrebbe rispedita a tempo zero a casa.
E
io non volevo tornarci.
Sentii
le lacrime
bagnarmi il viso, mentre, impaurita come mai lo ero stata prima
d’allora,
cercavo un posto al riparo in tutto quel deserto d’asfalto.
Tutto
il mio focolare
di calda sicurezza era stato distrutto dagli eventi. Dovevo essermi
persa qualche
incastro, non era possibile che d’un tratto tutto fosse cambiato così,
semplicemente.
Non
poteva essere
successo veramente.
Non
sapevo dire
lucidamente perché me n’ero andata di casa, semplicemente me lo aveva
suggerito
l’istinto.
Cosa
ne sarebbe stato
dei miei progetti per il futuro?
Cos’era
successo a mio
padre?
Avevo
vissuto tutti
quegli anni nella più totale inconsapevolezza? Che cosa non riuscivo ad
afferrare? Sentivo che qualcosa mi stava nettamente sfuggendo, non
riuscivo a
comprendere.
Mi
fermai nel bel
mezzo della strada.
Vicino
a me, gli
edifici sembravano non avere più un’identità; anche gli alberi, ben
disposti in
file, non aveva più la stessa immagine.
Tutto
il mondo
sembrava cambiato.
Era
successo qualcosa
di veramente importante, e io non riuscivo a cogliere del tutto il
senso.
Che
diavolo stava
succedendo?
Un
folle pensiero si
impadronì del mio cervello, facendomi sussultare.
No,
Amy, non puoi
farlo.
Repressi
quella
razionalissima vocina mentale, e mi lasciai sopraffare dall’unico
piccolo
barlume di speranza.
Mi
misi a correre per
le strade di Rodeo, diretta nell’unico posto in cui non sarei dovuta
andare.
Ma
che altro potevo
fare?
Nulla aveva più un senso, la confusione si era impadronita del mio
cervello, e
anche i pensieri razionali sembravano infine privi di ogni logica.
La
coerenza era d’un
tratto scappata da me, lasciandomi sola e in balia della sorte.
Non
appartenevo più a
niente, a nessuno. Non avevo più delle certezze, dei sogni.
Dov’era
finita la Amy
che si era svegliata quella mattina?
Svoltai
per un piccolo
viottolo, noncurante del fatto che mi stavo addentrando nella zona più
malfamata di tutta Rodeo.
Sapevo
dove stavo
andando, conoscevo la mia destinazione.
Il
puzzo di immondizia
e pipì invase le mie narici, costringendomi a coprirmi il naso con il
cappotto.
Tutto ciò che stavo facendo era fuori da ogni limite.
Ma
ormai che
importanza aveva?
Il vicolo era illuminato da una piccola insegna al neon, bruciata e
rovinata
dagli anni; tutto il resto aveva l’aria di sporco e maltenuto, compreso
un
povero cane che gironzolava nei paraggi, in evidente ricerca di cibo.
Dovevo
assolutamente trovarlo.
Il
pub si presentava
decisamente male, ed era tutt’altro che invitante.. Ma era la mia unica
scelta.
Presi
un grosso
respiro, sopprimendo ogni stupida paura. Era la cosa giusta da fare.
Aprii
la pesante porta
di legno, e l’odore di fumo mi entrò nei polmoni, facendomi tossire
come una
camionista.
Fantastico.
Mi
strinsi di più nel
cappotto, cercando di rendermi il meno visibile possibile; nonostante
tutto non
mi andava che qualcuno mi vedesse in quel postaccio.. Avevo ancora una
schifezza di reputazione.
Se
mio padre avesse
saputo che ero uscita di casa come una furia per nascondermi in un
postaccio
come quello, probabilmente sarebbe impazzito.
Non
potei fare a meno
di rabbrividire all’idea di Steven infuriato, ne avevo avuto abbastanza
per
quella sera, non volevo pensarci più.
Scesi
le scale, e non
appena arrivai nel piano sottoterra, mi resi conto che quel posto
meritava in
tutto e per tutto l’appellativo di bettola.
Lo
spazio era
decisamente piccolo e angusto, le luci erano poche e mal funzionanti,
per non
parlare della televisione dell’anteguerra appoggiata sul bancone;
quest’ultimo
era posizionato al fondo della sala, era di legno massiccio e rovinato
dagli
scalfi, probabilmente fatti con dei coltellini.
I
pochi uomini
presenti nel locale erano seduti su alti sgabelli, e tenevano in mano
delle
grosse pinte di birra; non erano di certo i tipici uomini
raccomandabili, anzi.
Forse
avevo sbagliato
posto, forse lì non avrei trovato ciò che stavo cercando.
Dannazione,
Amy!
-Vuoi
qualcosa?-
La
voce scorbutica
apparteneva ad uno sdentatissimo cameriere, intento ad asciugare
bicchieri. Era
tozzo e basso, ma aveva l’aria buona, nonostante fosse burbero.
Perché
mi trovavo in
quel posto?
Assunsi
un’aria
abbastanza dignitosa, e cercai di sorridere gentilmente.
-No,
grazie. Cercavo
un mio amico, ma ho sbagliato posto.-
L’uomo
allora rise
beffardo, quasi prendendosi gioco di me.
-Lo
credo anche io.-
concluse squadrandomi da capo a piedi.
Nello
stesso istante,
una figura magrolina e malconcia uscii da una porticina sul retro del
bancone.
I
suoi capelli
ossigenati e pieni di ricrescita erano decisamente scompigliati.
Non
appena mi vide
serrò la mascella, assottigliando i suoi penetranti occhi verdi,
visibilmente
stupiti dalla mia improvvisa apparizione.
-Che
diavolo ci fai tu
qui, Barbie?-
Grazie,
grazie,
grazie!
Ero
riuscita a trovare
l’unica persona che forse mi avrebbe potuta aiutare in quella
situazione.
Billie-Joe.
*
Angolo
Snap:
Grazie
alla Vi!
Sono
tornata tutta per
voi, miei carissimi lettori ^^
Quindi
commenterò un
po’ questo Settimo Capitolo, così capirete un po’ la motivazione di
alcune mie
scelte.
Direi
che questo
Kapitel è decisamente drastico per la nostra Amy, che vede tutte le sue
certezze smontarsi in una sera. Sono stata forse troppo cattiva?
Assolutamente
no,
questa è la storia, è deve andare così. xD
Steven
non è questo
stinco di santo, ma noi già lo sapevamo (o almeno lo sospettavamo xD).
Adesso
Amy è confusa,
e dentro di sé ha un sacco di emozioni nuove e tristi.. Per questo nel
testo
troverete molto incoerenza: è fatto apposta, perché lo stato d’animo
della
protagonista è esattamente così; si contraddice da sola.
Detto
questo.. Scappa
da Billie. xD
Spero
vi sia piaciuto,
come
sempre vi chiedo
di lasciare un commento se avete qualcosa da farmi sapere!
Un caloroso abbraccio,
Un
ultima cosa: qua sotto vi linko una one-shot che
si è classificata seconda ad un contest sul forum di Efp; mi farebbe
piacere
sentire i vostri pareri. Vi ringrazio.
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=869230&i=1
La vostra Snap.