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Autore: Eryca    28/11/2011    7 recensioni
Avevo 17 anni quando un ciclone improvviso fece il suo ingresso nella mia vita, e mi stravolse ogni piano e ogni certezza.
Avevo 17 anni quando finalmente capii che c’era un’alternativa.
Avevo 17 anni quando mi resi conto che potevo scegliere.

~
Per Amy Murray la vita significa fare ciò che è giusto. Ma qualcuno di molto particolare arriverà, e metterà in discussione tutte le sue tesi, facendole capire il vero significato della vita.
~
Attenzione: Questa non è la solita storiella d'amore, non fermatevi a questa presentazione.
***
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parental Advisory: The static age

 

Capitolo Settimo

There is no place like home, when you got no place to go.

 

 

Il mio cuore palpitava veloce.

Sentivo il cervello scoppiarmi a causa del mal di testa venutomi per lo stress, e le gambe minacciavano di cedermi.

Me ne stavo in piedi davanti al grosso portone in legno di cedro di casa mia, in balia della sorte.

Il cielo del crepuscolo donava all’atmosfera un’immagine non troppo rassicurante, impedendomi di rilassarmi.

Come avrei potuto dire a mio padre che ero rimasta a scuola in Detenzione?

E perlopiù, che vi ero finita perché avevo disturbato la lezione in compagnia di due perfetti delinquenti?

No, non ero in grado di farlo.

Su, Amy, puoi farcela.

Mi resi conto che le mani mi tremavano mentre prendevo le chiavi di casa dalla tasca del cappotto.

Avevo il terrore di mio padre.

Mi immaginavo il suo sguardo severo che mi fulminava, e le sue guance arrossate dalla pressione. Oddio, come avrei potuto affrontare tutto quello?

Finalmente aprii la porta di casa.

Lo stretto e lungo corridoio d’entrata mi accolse, facendomi notare che le luci erano accese; quindi la casa non era vuota, nonostante ovunque il silenzio regnasse.

Appesi il cappotto sull’appendiabiti e posai la borsa sulle scale che portavano al piano superiore.

La mia mente era stracolma di pensieri negativi e lugubri. Ciò mi impediva di assumere un’aria neutra.

Dannazione, Amy!
Ero sempre stata abituata a fare la brava marionetta, la bambola di cera senza un capello fuori posto..

Ma se la cera si fosse sciolta?

Mi fermai davanti alla porta della cucina.

Mio padre e mia madre erano seduti attorno al tavolo rotondo, che fungeva da punto di ritrovo per tutta la famiglia. Il centrino e il vaso di fiori rossi, che decoravano la bella tavola di mogano, avevano d’un tratto assunto un’aria del tutto inquietante.

Non appena notò la mia presenza, mia mamma si sistemò i capelli e prese a giocherellare con alcune ciocche, chiaro sintomo della sua irrequietudine.

Mio padre non mi degnò neanche di uno sguardo, continuò imperterrito a fissare il legno pregiato del mobile.

Era peggio di quanto mi aspettassi.

Una sola volta era successo che avevo disobbedito ad un ordine di mio padre, ero piccola e non avevo alcuna idea di quanto il carattere di Steven fosse duro; era una bella giornata e mia madre mi aveva raccomandato di non sporcare il bel vestito nuovo che mi avevano comprato, ma io, piccola bimba, ero andata a giocare nel fango.

Mi ricordavo ancora alla perfezione l’espressione di pura ira che si era dipinta sul volto di mio padre, e di come la punizione mi aveva fatta star male: mi aveva chiusa in camera per tre giorni, facendomi uscire solo per i pasti e la doccia.

Da quel giorno in poi non avevo osato mai più disobbedire ad un ordine di mio padre.

Fino a quel momento.

-Ci hanno chiamati da scuola, Amy.-

Mia madre non mi chiamava mai con il mio nome; usava appellativi ridicoli o affettuosi. Solo quando le cose si mettevano davvero per il peggio usava il mio nome di battesimo.

Abbassai lo sguardo sul pavimento.

-Non ci sono parole per descrivere la delusione che provo. Sono così amareggiata, Amy.-

Dannazione!
Perché diavolo dovevano fare una scenata del genere? Non era mai successo che disobbedissi, che li deludessi..

Non  avevo forse anche io il fottuto diritto di sbagliare?

La voce di mio padre, forte e decisa come mai prima d’allora, si fece spazio tra il silenzio teso, e prese il comando della situazione: -Ho sempre pensato che mi avresti reso fiero di te. Saresti diventata un’avvocatessa degna di me, e magari avresti anche fatto carriera nel ballo. Sai, ci credevo davvero.

E invece tu cosa vai a fare?-

I suoi occhi si fecero piccoli e cattivi, la rabbia fuoriusciva dall’iride.

Avevo paura.

Quando mio padre si arrabbiava, scatenava tutta la sua furia repressa.

Una volta aveva alzato le mani su mia madre, che si era dimenticata di preparare il latte per colazione.

Avevo sempre avuto una bellissima considerazione di mio padre, lui diceva il vero. Il vero e basta.

Ma quando si arrabbiava dimenticavo quanto fosse semplicemente fantastico, perché riuscivo a vedere solo un uomo iracondo che mi incuteva paura.

Mio padre suscitava in me una serie di sensazioni assolutamente incoerenti: lo amavo incondizionatamente, ma nello stesso tempo lo odiavo con tutta me stessa; mi faceva sentire protetta, ma mi terrorizzava tanto da farmi venire i brividi.

Tutto ciò non aveva un senso logico, per questo avevo sempre represso tali emozioni.

Ma in quel momento, con papà furioso davanti ai miei occhi, non potevo fingere di non avere paura di lui, e di non volergli sputare addosso le mie sensazioni.

Il fatto strano era che mi dispiaceva.

Sapevo che una parte remota della mia mente detestava mio papà e avrebbe voluto ribellarsi a lui, ma l’altro spicchio di cervello mi sussurrava che la colpa era mia, che ero io quella che lo aveva deluso.

Non aveva forse tutte le ragioni per infuriarsi?

-Tu te la fai con due perfetti delinquenti!-

Lo vidi diventare paonazzo in volto e avvicinarsi a grandi passi a me.

Il panico si impadronì del mio corpo, così girai i tacchi e feci per uscire dalla cucina. Purtroppo, però, egli mi prese per i capelli, quasi strappandomeli.

Non riuscivo a respirare, urlai di rabbia e dolore.

È impazzito, aiuto! È pazzo!

La mia mente in piena crisi di panico prese a elaborare centinaia di pensieri in contrapposizione, e nello stesso tempo a cercare una via di fuga.

Stavo provando terrore allo stato puro.

-Steven, ti prego, lasciala!- esclamò mia madre con le mani sulla bocca.

-Taci!- le ringhiò addosso.

Mi sentivo la cute sfaldarsi lentamente, come se qualcuno mi stesse staccando con estrema cura la pelle. Non c’erano parole per descrivere ciò che stavo provando.

Avrei voluto ucciderlo.

Prenderlo a calci, riempirlo di botte. Vedere il suo lurido corpo spegnersi lentamente, come una candela che scioglie sotto il fuoco.

No, il terrore aveva annientato la parte razionale del mio cervello; l’odio per mio padre aveva preso il controllo delle mie considerazioni.

Adesso mi devi ascoltare per bene, Amy. Io ho dato la mia vita per te, ho speso tutto il denaro che avevo in possesso per darti una casa solida, dei sani principi e un futuro. Io non ti lascerò buttare via la tua promettente carriera. Hai capito? –

Il mio cuore batteva all’impazzata.

Sentivo il mio stomaco contorcersi, minacciando di espellere il poco cibo ingerito.

Stavo per vomitare.

La presa di mio padre era salda come il ferro, e sembrava non avere alcuna intenzione di lasciarmi andare.

Dovevo liberarmi, non potevo sopportare quella situazione ancora per molto.

Sentii le lacrime scorrere lungo la mia guancia, solcando il mio viso come una lama d’acciaio.

Come il sangue.

Non sapevo di preciso per cosa stessi piangendo, se più per la rabbia, la frustrazione o per aver deluso quell’essere abominevole che stentavo a riconoscere come mio padre.

Non avevo mai provato un tale dolore in tutta la mia vita; forse il problema era il fatto che Steven aveva sempre cercato di proteggermi dal mondo, estraniandomi completamente da qualsiasi cosa potesse nuocermi … Senza rendersi conto che l’unico pericolo era lui stesso.

Mi sentivo così contraddetta e amareggiata che non riuscivo a muovermi, a formulare un pensiero che avesse un nesso logico.

Sentivo il dolore impossessarsi del mio corpo, strappandomi dalla perfetta vita che avevo sempre condotto, e catapultandomi in un Universo che non era mio, che non riconoscevo.

Come potevo provare una tale sofferenza?

Mi resi conto che se non mi fossi liberata dalla stretta di mio padre, probabilmente non sarebbe finita bene.

Cercai di scacciare dalla mia mente ogni pensiero e di concentrarmi, per qualche istante, solo alla mia salute fisica, che era a grave rischio.

Vidi mia madre piangere con le mani sulla bocca, e mi ritrovai a disprezzarla come mai avevo fatto prima d’allora: come poteva stare ferma a piangersi addosso, mentre suo marito si comportava in quel modo?

Quella non poteva essere la mia famiglia.

Doveva essere solo un orrendo incubo.

Cercai la forza nascosta dentro di me, e iniziai a prendere dei grossi respiri.

Su, Amy, puoi farcela. Dannazione!

Urlai con tutto il fiato che avevo in gola, sentendomi come un’antica vichinga alle prese con la sua prima grossa battaglia.

Tirai un calcio nello stinco a mio padre, che lasciò la presa per imprecare dolorosamente.

È il momento.

Non mi girai due volte per assicurarmi di non aver fatto troppo male a Steven, e mi fiondai in camera mia.

Avevo il fiato corto, e non sapevo se la scelta di andare nella mia stanza fosse stata giusta, ma dovevo prendere la borsa e qualche altro oggetto personale.

Con il panico in corpo gettai nella borsa a scacchi le prime cose che pensai potessero essermi utili, per poi correre giù dalle scale con il terrore di incontrare papà.

Quando arrivai al piano di sotto vidi mio padre venirmi incontro con l’aria più demoniaca che avessi mai visto in tutta la mia inutile esistenza.

Con mio grande stupore notai che mia madre stava cercando –con scarsi risultati- di trattenerlo per una spalla.

Non potevo perdere altro tempo.

Diedi un ultimo sguardo a quella donna dai capelli scarmigliati e gli occhi colmi di un dolore inafferrabile, e mi resi conto che non aveva nulla che potesse appartenere anche solo lontanamente alla Signora Murray.

Tutto a un tratto ci fu un cambiamento radicale nella situazione: vidi la furia di mio padre placarsi e trasformarsi in un’amarezza assoluta; i suoi occhi si colmarono di lacrime e li vidi inondarsi di sofferenza allo stato puro.

La mia mano era serrata sulla maniglia della porta d’ingresso, e gli occhi di mio padre erano fissi su di essa.

I suoi occhi mi stavano implorando di non andare, di rimanere con lui, che sapeva di aver sbagliato.

Rividi il vecchio, dolce ma autorevole Steven Murray.

Ma come potevo rimanere?

Aprii la porta, ed uscii a grandi passi.

Senza voltarmi indietro.

 

 

 

 

La notte era così buia che sembrava quasi opprimermi; probabilmente era una normalissima nottata, ma il mio umore mi impediva di vederla in quel modo.

Mi aggiravo tra le strade di Rodeo senza una meta precisa, la mia borsa in spalla e il cappotto stretto attorno al mio corpo infreddolito.

Dove sarei potuta andare?

Non avevo un posto in cui dormire, e sicuramente non sarei andata a bussare alla porta di qualche mio compagno di scuola, né tantomeno a Jake, che avrebbe dato sicuramente ragione a mio padre e mi avrebbe rispedita a tempo zero a casa.

E io non volevo tornarci.

Sentii le lacrime bagnarmi il viso, mentre, impaurita come mai lo ero stata prima d’allora, cercavo un posto al riparo in tutto quel deserto d’asfalto.

Tutto il mio focolare di calda sicurezza era stato distrutto dagli eventi. Dovevo essermi persa qualche incastro, non era possibile che d’un tratto tutto fosse cambiato così, semplicemente.

Non poteva essere successo veramente.

Non sapevo dire lucidamente perché me n’ero andata di casa, semplicemente me lo aveva suggerito l’istinto.

Cosa ne sarebbe stato dei miei progetti per il futuro?

Cos’era successo a mio padre?

Avevo vissuto tutti quegli anni nella più totale inconsapevolezza? Che cosa non riuscivo ad afferrare? Sentivo che qualcosa mi stava nettamente sfuggendo, non riuscivo a comprendere.

Mi fermai nel bel mezzo della strada.

Vicino a me, gli edifici sembravano non avere più un’identità; anche gli alberi, ben disposti in file, non aveva più la stessa immagine.

Tutto il mondo sembrava cambiato.

Era successo qualcosa di veramente importante, e io non riuscivo a cogliere del tutto il senso.

Che diavolo stava succedendo?

Un folle pensiero si impadronì del mio cervello, facendomi sussultare.

No, Amy, non puoi farlo.

Repressi quella razionalissima vocina mentale, e mi lasciai sopraffare dall’unico piccolo barlume di speranza.

Mi misi a correre per le strade di Rodeo, diretta nell’unico posto in cui non sarei dovuta andare.

Ma che altro potevo fare?
Nulla aveva più un senso, la confusione si era impadronita del mio cervello, e anche i pensieri razionali sembravano infine privi di ogni logica.

La coerenza era d’un tratto scappata da me, lasciandomi sola e in balia della sorte.

Non appartenevo più a niente, a nessuno. Non avevo più delle certezze, dei sogni.

Dov’era finita la Amy che si era svegliata quella mattina?

Svoltai per un piccolo viottolo, noncurante del fatto che mi stavo addentrando nella zona più malfamata di tutta Rodeo.

Sapevo dove stavo andando, conoscevo la mia destinazione.

Il puzzo di immondizia e pipì invase le mie narici, costringendomi a coprirmi il naso con il cappotto. Tutto ciò che stavo facendo era fuori da ogni limite.

Ma ormai che importanza aveva?
Il vicolo era illuminato da una piccola insegna al neon, bruciata e rovinata dagli anni; tutto il resto aveva l’aria di sporco e maltenuto, compreso un povero cane che gironzolava nei paraggi, in evidente ricerca di cibo.

Dovevo assolutamente trovarlo.

Il pub si presentava decisamente male, ed era tutt’altro che invitante.. Ma era la mia unica scelta.

Presi un grosso respiro, sopprimendo ogni stupida paura. Era la cosa giusta da fare.

Aprii la pesante porta di legno, e l’odore di fumo mi entrò nei polmoni, facendomi tossire come una camionista.

Fantastico.

Mi strinsi di più nel cappotto, cercando di rendermi il meno visibile possibile; nonostante tutto non mi andava che qualcuno mi vedesse in quel postaccio.. Avevo ancora una schifezza di reputazione.

Se mio padre avesse saputo che ero uscita di casa come una furia per nascondermi in un postaccio come quello, probabilmente sarebbe impazzito.

Non potei fare a meno di rabbrividire all’idea di Steven infuriato, ne avevo avuto abbastanza per quella sera, non volevo pensarci più.

Scesi le scale, e non appena arrivai nel piano sottoterra, mi resi conto che quel posto meritava in tutto e per tutto l’appellativo di bettola.

Lo spazio era decisamente piccolo e angusto, le luci erano poche e mal funzionanti, per non parlare della televisione dell’anteguerra appoggiata sul bancone; quest’ultimo era posizionato al fondo della sala, era di legno massiccio e rovinato dagli scalfi, probabilmente fatti con dei coltellini.

I pochi uomini presenti nel locale erano seduti su alti sgabelli, e tenevano in mano delle grosse pinte di birra; non erano di certo i tipici uomini raccomandabili, anzi.

Forse avevo sbagliato posto, forse lì non avrei trovato ciò che stavo cercando.

Dannazione, Amy!
-Vuoi qualcosa?-

La voce scorbutica apparteneva ad uno sdentatissimo cameriere, intento ad asciugare bicchieri. Era tozzo e basso, ma aveva l’aria buona, nonostante fosse burbero.

Perché mi trovavo in quel posto?

Assunsi un’aria abbastanza dignitosa, e cercai di sorridere gentilmente.

-No, grazie. Cercavo un mio amico, ma ho sbagliato posto.-

L’uomo allora rise beffardo, quasi prendendosi gioco di me.

-Lo credo anche io.- concluse squadrandomi da capo a piedi.

Nello stesso istante, una figura magrolina e malconcia uscii da una porticina sul retro del bancone.

I suoi capelli ossigenati e pieni di ricrescita erano decisamente scompigliati.

Non appena mi vide serrò la mascella, assottigliando i suoi penetranti occhi verdi, visibilmente stupiti dalla mia improvvisa apparizione.

-Che diavolo ci fai tu qui, Barbie?-

Grazie, grazie, grazie!

Ero riuscita a trovare l’unica persona che forse mi avrebbe potuta aiutare in quella situazione.

 

Billie-Joe.

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

Angolo Snap:

 

Grazie alla Vi!

 

Sono tornata tutta per voi, miei carissimi lettori ^^

Quindi commenterò un po’ questo Settimo Capitolo, così capirete un po’ la motivazione di alcune mie scelte.

Direi che questo Kapitel è decisamente drastico per la nostra Amy, che vede tutte le sue certezze smontarsi in una sera. Sono stata forse troppo cattiva?

Assolutamente no, questa è la storia, è deve andare così. xD

Steven non è questo stinco di santo, ma noi già lo sapevamo (o almeno lo sospettavamo xD).

Adesso Amy è confusa, e dentro di sé ha un sacco di emozioni nuove e tristi.. Per questo nel testo troverete molto incoerenza: è fatto apposta, perché lo stato d’animo della protagonista è esattamente così; si contraddice da sola.

Detto questo.. Scappa da Billie. xD

 

Spero vi sia piaciuto,

come sempre vi chiedo di lasciare un commento se avete qualcosa da farmi sapere!

Un caloroso abbraccio,


Un ultima cosa: qua sotto vi linko una one-shot che si è classificata seconda ad un contest sul forum di Efp; mi farebbe piacere sentire i vostri pareri. Vi ringrazio.

 

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=869230&i=1

 


La vostra Snap.

 

   
 
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