La
mia non è mai stata una vita a colori.
Sembra
che qualcuno abbia deciso di portarmeli via e nasconderli in
qualche scatolone, in qualche soffitta nascosta di qualche
fortezza
sperduta.
Il
mio ottimismo è solo un mondo nel quale mi rifugio
per non sentire il peso
di una realtà che conosco solo per metà.
Non
so cosa darei per sapere di che colore è quella distesa di
liquido che mi
bagna i piedi di ogni estate e di che tonalità è
il cielo al tramonto; mi
piacerebbe vedere le stelle steso su un prato
ed emozionandomi, collegarle
con le dita, creando le immagini più assurde che mi vengono
in mente; vorrei
tanto vedere l’alba e rabbrividire vedendo apparire
l’arcobaleno nel cielo
dopo un pomeriggio di tempesta.
Sarebbe
meraviglioso poter finalmente vedere i fantastici boccoli
biondi di mia
sorella e godere del sorriso di mia madre.
Per
sentirmi normale. Per sentirmi completo.
Sin
da quando sono nato, ho potuto solo immaginare tutto questo.
Che
poi – accidenti – cosa posso immaginare se non ho
mai visto nulla?
I
medici, poi, che ti riempiono di speranze…
“Stai
migliorando, se continuiamo così c’è la
possibilità di usufruire
della
conoscenza di un famoso dottore per un
intervento…”.
Certo.
Perché io faccio spendere alla mia famiglia una barca
di soldi per farli
spostare dall'altra parte del continente e per
“sperare” che
l’operazione riesca.
Preferisco
restare qui, nella mia piccola città, con la mia
famiglia ed i miei amici.
Sono
sempre stato una persona insicura, fragile, spaventato
all’idea di
andare a sbattere contro un muro mentre camminavo per i
corridoi del
liceo, facendo attenzione a non perdere il conto dei passi che
mi avrebbero permesso di raggiungere il bagno e cercando di
ignorare gli
sguardi che sentivo addosso ad ogni singolo passo, di perdermi
nella mia
stessa casa, senza ricordare per quale direzione dovessi girare per
raggiungere
la mia stanza, di essere scambiato per uno zombie e di sentire
tutti
ridere mentre, con le mani tese in avanti, cercavo la sedia del tavolo
al
quale festeggiavamo i miei tredici anni.
…Poi
comincia a diventare un’abitudine: non fai quasi
più caso ai tuoi amici che
discutono della partita di calcio della sera prima, o alla
guida del Museo
di Storia dell’Arte – che poi quella donna aveva
una voce assolutamente
odiosa.
Non
ho bisogno di chiudere gli occhi per godermi un’emozione fino
in fondo o per
concentrarmi.
Il
mio unico conforto sono la musica, i libri e Dot, il mio
fedele pastore
tedesco che mi porta a passeggio.
So
che la fragola, la mela e le labbra di Biancaneve hanno lo
stesso colore.
Ma
non saprei proprio dirvi quale sia, questo maledetto colore: per me
sono
tutti uguali.
Non
ho mai capito la mia professoressa di scienze del liceo: voleva
scrivere sul
suo registro solamente con una penna nera. Ora, che diamine di
differenza
c’è tra una penna nera o blu? Me lo spiegate? E se
fosse stata verde o gialla?
Non
bastava che fosse una penna? Non serviva solo che scrivesse?
Non era
sufficiente che con quella fosse in gradi di scarabocchiare
i terribili
votacci che ci affibbiava ingiustamente?
Tanto
era una stronza: che scrivesse con la penna blu o nera, a me non
faceva né
caldo né freddo.