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Autore: sweetpast    28/11/2011    1 recensioni
Ad Heric piacerebbe che i suoi ricordi non fossero pugni allo stomaco. Vorrebbe non sentire dolore nel ricordare, vorrebbe poter non stringere gli occhi e sentirsi contorcere i polmoni.
Se potesse, cancellerebbe la sua intera odiosa memoria, se non fosse cosciente di dimostrare, ancora una volta, la sua viltà.
Ma dei codardi non si parla mai abbastanza.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Erinnerung:  just hate on hate

 

Cos’è un ricordo? Penso che tutti sappiano attribuire una definizione a questa parola. I ricordi… possono essere felici o possono far male. Lo sappiamo, è scontato. Per alcuni, a volte, sono vere e proprie pugnalate.

Un’altra cosa che sappiamo: le cicatrici ricordano tante cose. No? Ognuno ha almeno un segno sul proprio corpo che gli rammenta una qualche esperienza, giusto?
Le cicatrici, però, non sempre nascondono eroi.

Beh, dai, sappiamo anche questo.

Heric, tuttavia, certe cose se le domanda spesso.
Perché lo scontato non dà sicurezza alle cose, tutt’altro; Heric lo sa. E lo teme. L’ovvietà è vuota, e come tale rende vuoti i pensieri e la vita stessa. E il vuoto è doloroso,  perché non c’è niente di più orribile del perdersi nelle proprie giornate.
Sarebbe meglio, quindi, mettere tutto in dubbio.
Peccato che, per questo, ci voglia ancora più coraggio; mettendo tutto nel dubbio si brancola nel buio. È quello che ad Heric manca, e ne è consapevole. Non fa per lui.
Ma lo scontato, per quanto sicuro, è troppo vacuo.
A cosa appartenere, allora? C’è una risposta?

Heric ha scelto di appartenere all’illusione.

Heric sa bene, che è una menzogna. Lo sa; chino nella penombra del suo appartamento, si scompiglia con rabbia i capelli biondi e si alza, forzandosi ancora ad illudere se stesso. Perché l’illusione non è altro che convincersi e convincere gli altri di una determinata situazione, no? Basta fingere che in realtà non lo sia.

Ha scelto di farlo e lo farà, per poter fingere di appartenere a qualcosa.

Però, Heric alcune domande se le pone. Quasi aspettandosi che le risposte arrivino da sole.
Si chiede tante cose, stringendo gli occhi cerulei, piegando le fini sopracciglia in quella smorfia frustrata tanto sua, che brucia, simbolo solo di odio su odio… e tanta fragilità, quella temuta debolezza.

“Sono un codardo?
Le mie scelte sono dettate dalla codardia?”

Le iridi si abbassano, lo sguardo vaga sulle mani bianche, poi sui polsi coperti dai bracciali, dai polsi agli avambracci, fino alle spalle.
Là si ferma, sulla spalla sinistra. Come carta velina strappata, la pelle è solcata da una rosea croce incisa, dai bordi irregolari; è un’ustione risalente a molto tempo prima. Nient’altro che il rosso segno di un ricordo.

Ad Heric piacerebbe che i suoi ricordi non fossero pugni allo stomaco. Vorrebbe non sentire dolore nel ricordare, vorrebbe poter non stringere gli occhi e sentirsi contorcere i polmoni.
Se potesse, cancellerebbe la sua intera odiosa memoria, se non fosse cosciente di dimostrare, ancora una volta, la sua viltà.

Ma dei codardi non si parla mai abbastanza.

*

Heric abbandonò, quasi con furia, l’ennesimo bel compito scolastico sul comodino e si lanciò stancamente sul letto.
Tanto non sarebbe servito a niente, papà trovava più interessante affondare il naso nelle borse del paese.
Anche quel giorno, appena era tornato, nemmeno aveva alzato gli occhi dal giornale.
Nemmeno un saluto.

-Papà, umh…ho preso otto a biologia.-
Un vago cenno col capo.
-E…umh…domani c’è il ricevimento.-
-Non ho tempo.-
-E la sera ho la partita…-
-Non ho tempo, Heric. Chiedi alla mamma.-

Aveva un tono così freddo. Le labbra quasi non si muovevano, troppo occupate ad essere serrate dalla concentrazione.
E poi…sì, chiedere alla mamma.
Heric aveva spostato rassegnato lo sguardo sulla donna che, come al solito, gridava contro il fratello.

E se ne era andato in stanza.
La voce isterica della madre continuava ad infuriare, nemmeno il cuscino premuto contro le orecchie riusciva a funzionare. Adesso, la donna aveva iniziato a prendersela con tutto e tutti e minacciava di andarsene a Colonia dalla madre e lasciare da soli tutti quanti, questi fottuti ingrati.

Dopo un po’, il fratellino stava bussando.

-Fratellone, fammi entrare.- sbuffò Jeff. –Mamma è una gallina inacidita e rompe le palle.-
Heric sorrise appena e lo lasciò entrare. Lui sollevò lo sguardo immusonito. Aveva la guancia destra quasi scarlatta- forse uno schiaffo.

-È tirannica, non la sopporto.- asserì il più piccolo. Heric gli passò una mano tra i capelli a spazzola. –Lo so, e papà se ne frega. Siam messi bene, eh?-
-No, per niente.- poi, gli occhioni color cobalto del minore si puntarono curiosi in quelli lucidi (color cielo bagnato) del più grande. –E tu che stai facendo? …Colpa di papà?-

Heric si abbandonò di nuovo sul cuscino, mentre Jeff gli gattonava a fianco  gli si accovacciava sul petto. -…Sì. …Pensi che gli importi qualcosa di noi?-
-E che ne so.- rispose Jeff. –Ma almeno non urla.-

Heric sospirò profondamente, sfiorando le spalle gracili del fratello, suo unico complice.

-Sai, fratellino…-
-Mh?-
-Sei davvero l’unico a cui tengo.-
Jeff sorrise, come se non ci fosse niente di più ovvio.
-E tu sei il fratellone migliore del mondo, lo so! Ti voglio bene. Domani andiamo insieme al concerto?-
Un abbraccio, stretto. –Certo.- mormorò.

*

Il fratello era un complice, ma non poteva dargli la sicurezza che gli mancava.

Solitamente, dovrebbe pensarci un padre. In mancanza di esso Heric la trovò in un gruppo di amici e in qualche idea malsana.

Erano tutti tedeschi di buona famiglia.
Otto, per metà olandese, sfoggiava un improbabile look punk e si metteva a capo del gruppo. Hans era un bravo gregario; ottimi voti e sapiente uso delle mazze. Poi c’era Sarah, meno aggressiva, ma  ancora più determinata nei suoi ideali.
Heric, con loro, sentiva di non andare più alla deriva.

Il gruppo era tenuto unito da una certa idea malsana. Un credo, un orientamento, chiamato neonazismo.
Perché scegliere una dottrina tanto insensata?
Antisemitismo, xenofobia, aggressività. Cosa poteva trovarci Heric in tutto questo?
Il fatto di non conoscere cosa si odia e di odiarla perché non la si conosce.

La parola chiave è frustrazione.

Qualcosa di troppo grande da urlare e troppo poca forza per tirarlo fuori.
Identificarsi in tanto estremismo aveva permesso loro di trovare quella forza necessaria a sfogare la loro rabbia.
Heric era conscio che fosse una rabbia vigliacca.
Era ovvio, ma l’ovvio non gli piaceva. A quel punto voleva solo convincersi del contrario.

Dopotutto, in qualche modo Heric doveva dire la sua.

-Il tuo vecchio è un bastardo, Heric.-

 Otto sputò sul marciapiede, dopo aver ascoltato l’amico. Heric annuì, pensieroso, mentre giocherellava distratto con un sassolino.

Sarah, piegando melliflua le labbra sottili e violacee, gli sfiorò lenta una spalla in un gesto che doveva essere dolce. Lasciò scivolare i capelli corvini dietro la schiena e accavallò le gambe magre.  –I genitori non capiscono. Si sentono al sicuro coi loro soldi e i loro mocassini.- non c’era più dolcezza nella sua voce roca.

Hans e Otto la guardarono interrogativi. –Cosa intendi dire?-

-Che devono avere paura del nostro odio.-

Continuò Heric, e lì concluse; poi, alzandosi, lanciò il sassolino verso i campi, alla stregua di una bomba a mano.

Seguì un attimo di silenzio, nel quale Otto aveva alzato un sopracciglio, guardando Heric dal basso; ciò gli conferiva un’espressione torva. Gli angoli della bocca gli si storcevano per il fastidio provocato dalla luce forte del sole. Hans, che continuava a stare zitto, lasciava vagare gli occhi chiari sull’asfalto, incavati nelle gote paffute.

-Che ne dite di farci notare?- disse la ragazza, all’improvviso.
-E come, spaccandogli la faccia?-
-No, cretino, non così. Il nostro rancore è più elegante, no?
C’è un campo di zingari, qua vicino. Quegli emarginati schifosi non danno fastidio anche a voi?-

Non era difficile capire ciò che Sarah intendeva, considerando le idee che avevano adottato.
-Bruciamolo.-

 

*

 

-Che fai, esci anche stanotte?-
Jeff lo stava guardando con aria incupita. Heric alzò le spalle. –Già…ho un compleanno, sì. Mi dispiace.-

-Uffa.- Jeff si imbronciò. –Esci troppo, ecco!-
Si lasciò scappare una risatina. –Eddai, fratellino. Domani starò con te tutto il tempo, ok?-
-Va bene! Promettilo, promettilo!!-
Gli scompigliò i capelli. –Certo, lo prometto-

Jeff tornò a sorridere, raggiante. -…Certo che è strano, però! Un compleanno a mezzanotte!-
-Non mettertici anche tu, già ho dovuto cedere a due settimane di pulizie per convincere la mamma.-

Heric roteò gli occhi e sorrise, divertito. Jeff lo osservò per un attimo; notava una certa circospezione nei modi del fratello. All’inizio non seppe collocare quella sensazione aliena, ma sentiva che qualcosa non andava. In fondo, Heric stava passando fuori casa più tempo del solito. Ed era sempre particolarmente impaziente.

-Adesso tu va’ a letto, che è tardi.-
-E tu quando torni?-
-Non lo so. Emh…. Non lo so.-

Jeff sospirò e si ritirò in camera, anche se non aveva affatto voglia di andare a dormire.

Una volta che fu sparito, Heric prese una scatola di fiammiferi dal cassetto della cucina.
E poi… bella impacchettata sul fondo del cassetto, se ne stava anche una pistola. La pistola che papà teneva quasi unicamente per bellezza, “per autodifesa, ma non azzardatevi a toccarla.”. La tirò cautamente fuori, tenendola salda tra le dita. Era nera, lucida e invitante.
…Era così dannatamente emozionante. La nascose in fretta sotto la maglia e si infilò in tasca alcuni proiettili.
Poi uscì, per raggiungere i compagni.

Jeff sentì la porta chiudersi piano, e sbuffò. No, non aveva sonno. E si stava annoiando. 

In quel momento notò che il fratello aveva dimenticato sul letto la felpa con dentro il cellulare e il  pacchettino che aveva preparato per il “compleanno”.

-Accidenti.- Si disse, ridendo. –È proprio distratto. Gliela porto io! Così almeno faccio qualcosa.- Come se non fosse quello il motivo principale. Afferrata la felpa, si infilò un paio di scarpe e uscì in tutta fretta senza nemmeno ascoltare la madre che imprecava.

*

Era una nottata serena. Il quartiere era silenzioso; le luci iniziavano a spegnersi, e lo spiazzo davanti al boschetto brillava dei vetri colorati sparsi davanti alle roulotte.
Vicino alla strada, si erano raggruppati i quattro ragazzi, seminascosti da alcuni cespugli.

Ancora più indietro, dietro ad una macchina parcheggiata, Jeff stava in ginocchioni, a fissare il fratello, chiedendosi cosa diavolo ci facesse in un posto come quello. Doveva, sì, consegnargli la famosa felpa, però qualcosa lo bloccava. Voleva capire, ecco cosa. Aveva un brutto presentimento.

Di certo non credette ai suoi occhi quando, sotto le iridi palpitanti dei ragazzi, le fiamme iniziarono a salire.

-Così ci vorrà troppo, cazzo.-
-Ma lì c’è del gas. Vedi che botto.-
-Abbassate la voce. L’importante è che nessuno se ne accorga prima.-

Jeff  era incredulo, spaventato. Quello era davvero Heric, suo fratello? La figura che osservava il fuoco quasi con fierezza?

Era forse impazzito?

Prese il cellulare, tremando, e compose il numero della polizia. …Ma non aveva intenzione di rimanere a guardare.

Heric lanciò ancora un fiammifero. Aveva un sorriso di eccitazione dipinto in volto. Sarah rideva a bassa voce, con gli altri due.
Ma c’era qualcosa che non andava, la rabbia, la frustrazione, non se ne stavano andando affatto.

All’improvviso, un rumore fece voltare Heric di scatto.

-Heric, che cazzo fai?!-

 Jeff era ansimante, il volto contratto. Non sapeva cosa pensare.
Heric si pietrificò sul posto.

-Jeff…? Cosa…cosa ci fai qui?-

Non doveva vedere tutto quello…e no, non doveva rovinarlo!

Prese istintivamente la pistola dalla cintura. Era carica; ora che poteva usarla, sembrava tre volte più pesante. E tre volte più gelida.

Jeff tremò, fece un passo indietro. Ma non distolse lo sguardo.

-Cosa fai? Cosa stai facendo?!-
-Jeff, torna a casa!-

-Una pistola?- Otto fischiò. –Wow. Ehi, il moccioso è tuo fratello? Non è un problemino?-
-Zitto tu!-

Lo sguardo confuso del bambino andava facendosi adirato. Si morse a sangue il labbro inferiore.

-Ho chiamato la polizia! Smettetela subito!-

-Cos… merda, no!- Heric spalancò gli occhi e sollevò il braccio.
Sarah perse un po’ della sua sicurezza, stringendosi ad Otto. Hans, impanicato, se la diede a gambe.

Non…sarebbe dovuto accadere.

Tutto quello che chiedeva… cos’è che stava chiedendo, al fuoco? Attenzione? Forse. Sfogo? Anche. Ma…

Lo sguardo del fratello era molto diverso. Non era più quello di un fratello minore. Non lo sarebbe più stato. Come… come aveva osato tradire la sua fiducia, lui che era l’unico ad averla guadagnata? Per quale assurdo motivo doveva vincere una cosa per perderne un’altra? Come… come era potuto succedere che lo tradisse a questo modo? Erano sempre stati complici, complici!

Heric nemmeno sentiva le parole che si scambiavano gli amici, incerti sul da farsi.

Prese un bel respiro. Era bloccato, non sapeva come agire.

-Heric!- ancora la voce sdegnata di Jeff.

-…Se ti sparo non ci saranno testimoni, n-no?-

-Heric, fermo, non puoi ucciderlo!-

-Heric..?-

“Spara, se hai il coraggio.”, si ripeteva. “Spara, se hai il coraggio.”

Non aveva paura, non voleva avere paura.

“Spara, se hai il coraggio.”

Le fiamme iniziarono a farsi alte, alcune persone dell’accampamento iniziarono ad uscire, allarmate. Gli occhi di Jeff baluginarono violacei, mentre indietreggiava ancora, stavolta terrorizzato.

“Spara.”

Le sirene della polizia suonavano in lontananza.

“Spara, se hai il coraggio.”

“Non sparare, se ne hai il coraggio.”

Non l’ebbe.

Il colpo era partito e si era conficcato nella spalla del bambino, che cadde a terra gemendo. Lo sparo gli risuonò nelle orecchie, paralizzandolo. La pistola cadde al suolo, il sangue (il suo stesso sangue, in fondo) iniziava a macchiare i lamenti del minore. Heric trattenne il fiato, indietreggiò a sua volta. E il sangue si mescolò al fuoco, che lo aggredì alle spalle come un gatto impaurito.

Gridò, Heric, con tutta la sua forza. Per il dolore, dalla disperazione, per la paura, dall’ira.

Un agente lo tirò fuori dal fuoco, appena in tempo per limitare l’ustione alla spalla sinistra, mentre altri soccorrevano Jeff e cercavano di estinguere l’incendio.

Heric si lasciò andare ad un pianto violento.

*

 

Ricordava poco, dei giorni seguenti. Le lacrime della madre, il padre che parlava con gli avvocati. Jeff che, con la spalla ingessata, lo aveva guardato con odio puro.

…Aveva tanto farneticato, sulla sua fiducia, che aveva dimenticato quella di Jeff. Che aveva tradito con tanta leggerezza. Che aveva… oh, no, non voleva pensarci. Il fratello l’avrebbe detestato per la vita ed era solo colpa sua.

Heric sospira. Si è fatto del tutto buio, adesso, e pensa che filerà subito a letto. È stanco.

Quando si era ritrovato a perdere tutto, solo per egoismo, non poteva certo fingere che non lo fosse. Aveva dovuto scegliere un nuovo mestiere.

Avrebbe continuato a recitare la parte di egoista, fino in fondo, fino alla fine. Per sentirsi forte, magari anche accettato. Magari, il veder soffrire gli altri… gli avrebbe permesso di liberarsi dalla sua angoscia. ..Era bello pensare che ci volesse tanta di quella audacia a fare così, per dimenticare che in realtà sarebbe bastato chiedere scusa ad eliminargli la fama di vigliacco.

Ma a volte se lo chiede, perché l’illusione è pur sempre un’illusione. A volte se lo chiede.

Cosa sarebbe successo se avesse avuto il coraggio di non sparare, quel giorno.

 

Heric spegne la luce, abbandonandosi sul cuscino. L’indomani deve essere sorridente, ha per le mani un cuore di vetro che luccica come impazzito, i cui stessi battiti rischiano di mandarlo in mille pezzi. Ancora è egoista, perché non è quel piccolo cristallo a cui tiene; a lui interessa solo quello che può vederne attraverso.
L’unico che riesce a mettergli l’anima così in pace, a farlo sorridere così sinceramente, da arrivare a tradire persino la dottrina che lo ha cresciuto.

Gli uomini sbagliano, sbagliano sempre. Heric non immagina che quello non è altro che un nuovo grilletto premuto.

Ma, in fondo, a chi importa?
Dei codardi non si parla mai abbastanza.

 

{Just hate on hate, these are the pieces of my life.
Who cares, after all?

Who cares if they’re broken as well?}

 

 

NdA.


Mi chiedo cosa diavolo sia tutto questo. Heric mi confonde, accidenti a lui. Non ha un senso, ‘sta roba.

Sono solo farneticazioni. In realtà, come dice il titolo, è la farneticazione di un ricordo. Heric ha una personalità talmente affascinante che non mi permetto di comprenderla a fondo.

Può bastare così, pensatelo come vi pare. Tutto quello che io volevo era romanzare la famosa notte che ha separato per sempre (o quasi) i due fratelli, la notte che ha segnato la strada di Heric e la fredda personalità di Jeff.

Lo sapete che tanto non mi piace, suvvia. Oh, che schifo, non voglio nemmeno rileggere, VAVVIA.

Ma, ancora, dei codardi non si parla abbastanza.

Buona lettura.

Lole. <3

 

   
 
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