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Autore: _diana87    29/11/2011    7 recensioni
[Possibile alzamento di rating per i temi trattati]
"Qualcuno dice che la guerra più grande da combattere è quella interiore, contro noi stessi."
Un pacco bomba esplode al 12esimo distretto. Un caso o un attentato? Fatto sta che quello stesso giorno Castle viene inviato dalla sua casa editrice in Israele per scrivere qualcosa di diverso, un racconto-reportage sulla primavera araba in corso; nel frattempo Beckett, Ryan ed Esposito vengono scelti per addestrarsi insieme ai marines in Iran. Separati dalla guerra che irrompe all'esterno, Castle e Beckett riusciranno a ritrovarsi? Ma sopratutto la battaglia più grande per Beckett sarà quella interiore: combattere contro i suoi demoni che le riportano alla mente quando rischiò di morire.
Storia narrata dal punto di vista di Kate Beckett.
Storia classificata all'11° Turno dei CSA al 1° posto nella categoria "Sad".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Non sto sognando

Hola!! Si continua a postare... voi come va?
Io non vedo l'ora che arrivino le vacanze per starmene a casa XD

ps: per chi non l'avesse notato, ho cambiato di poco la trama... tanto per rendere ancora le cose più tragiche XD


Guardare il mondo mentre va a fuoco.

 

 

Non sto sognando.

L'orrore è reale.

Il 12esimo distretto è andato, sparito.

Un attimo era qui, e l'attimo dopo non c'è più.

Mi stropiccio gli occhi, cercando di capire qualcosa, di razionalizzare, ma c'è troppo, troppo fumo, oddio.

Il mio scrittore mi aiuta a rialzare da terra, poi mi porge qualcosa: il nostro caffé quotidiano, ovvero "il nostro bacio mattutino", come ultimamente amiamo chiamare questo rito, che ormai è una routine da 3 anni.

La prima cosa che faccio è controllare i miei capelli per assicurarmi che stiano in ordine; poi lui fa un gesto carino per me... un altro, dopo avermi portato il caffé... e sono appena le 9 di mattina... mi tocca i capelli, scrutandomeli, per vedere se è rimasta della fuliggine.

Mi sento una bambina e come una piccola ragazzina, mi lascio toccare la testa da quest'uomo così fiero e così coraggioso qual è.

"Niente, sei pulita."
"Mi resterà il bernoccolo, vero, Castle?"

Faccio gli occhi a cuoricino, in un certo modo, lui sorride davanti a me, con i suoi occhi azzurri, così profondi quanto l'oceano.

"Certo che no, Beckett."

Mi dà una pacca sulla testa, proprio come un padre con sua figlia.

Richard Castle mi ha toccata non solo esternamente, ma anche dentro. Mi ha rapito l'anima il giorno in cui è entrato come "partner" nel distretto.

Col suo agire da bambino di 12 anni, ha saputo consolarmi, esserci quando ne avevo bisogno, ha ficcato il naso nell'omicidio di mia madre, ma lo ha fatto solo per aiutarmi. E' rimasto con me dentro quella cella frigorifera, quando entrambi pensavamo di morire. Mi ha seguito fino a Los Angeles per risolvere il caso di un mio ex collega. Era lì quando mi spararono...

Mi tocco la testa, ho un mancamento.

"Beckett, Beckett! Ti tengo io..."

E mi è vicino adesso, esattamente dove è giusto che sia.

"Detective Beckett?"
"Sì."
Un uomo vestito elegantemente giacca e cravatta, sfoggia un distintivo dell'FBI nascosto dentro la tasca della sua giacca.

"Permette qualche parola?"
Guardo l'uomo e poi Castle, che mi fa segno di andare.

"Certo."
"Bene, ci segua."

Do un'ultima occhiata al distretto dietro di me: quel posto non è stato solo un lavoro per me. Era la mia casa, il mio rifugio segreto, la mia Isola che Non C'è, il mio mondo. E ora cosa ne era rimasto? Mi trattengo dal non espormi troppo, senza piangere, mi ripeto, sii forte Kate, fai vedere chi sei. Ogni giorno, è una lotta continua. Il mio mondo se n'era andato, scomparso. Anche lui, dopo mia madre e Royce.

Guardo il mio mondo mentre va a fuoco e io non ho potuto fare nulla per impedirlo.

 

"Detective Beckett, abbiamo ritrovato questo messaggio sotto alcune macerie..."

L'uomo alla Men In Black mi mostra un pacco alquanto sospetto, con un messaggio apparentemente cifrato sulla sua superficie. Poco dopo mi rendo conto che non è un messaggio in codice, ma che molto probabilmente è una lingua mediorientale.

"Ho poca dimestichezza con le lingue del Medio Oriente, ma è possibile che sia... ebraico, arabo, turco?"
"E' arabo, detective. Più precisamente l'antico persiano parlato in Iran."

Mi scappa una risatina, che copro con una mano sulla bocca. E' assurda questa situazione. Non che il terrorismo sia assurdo, non è questo ciò che voglio dire. L'America vive costantemente sotto il bersaglio di Al Qaeda da ormai 10 anni. E' assurdo che un pacco del genere sia finito nel nostro distretto.

"Mi perdoni, agente..."
"McNeil."
"Agente McNeil... lei vuole farmi credere che l'organizzazione mondiale terroristica ha preso di mira la città di New York?? Che succede, a questi musulmani non bastava farci soffrire con le Torri Gemelle? Cos'altro vogliono?? Oh no, aspetti... si stanno vendicando perchè abbiamo ucciso loro Bin Laden, vero?? Assurdo!"

Cerco di scandire per bene la parola "assurdo". Forse esagero perchè l'agente McNeil, alias Men In Black, mi guarda davvero male.

In effetti la mia voce sta diventando un tantino stridula e il mio agitare le mani sta attirando l'attenzione generale.

Mi sento gli sguardi addosso, quello di Castle in primis. Cerco di ricompormi, ma sento un brivido percorrermi la schiena.

"Detective, sta bene?"

Mi stringo le maniche del mio giubbotto di pelle. Poi mi avvolgo con le braccia. Sento anche freddo.

Il tizio di Men In Black continua a parlare, ma io lo sento a malapena. Riesco a captare qualche parola qua e là. Non ho voglia di sentire nessuno.

"...terrorismo internazionale... addestramento... Iran..."

Poi qualcuno mi prende per il braccio, riportandomi alla realtà.

"Beckett..."
E' Castle. Si era preoccupato per me e opportunamente mi aveva raggiunto, sorreggendomi, ancora una volta. Ultimamente non mi riconosco più. Mi sento così debole... che mi sta succedendo?

"Castle... ho bisogno di... sedermi... un secondo.."
"Detective Beckett, qui c'è in gioco il futuro delle popolazioni! Il terrorismo non può essere ignorato---"

"Per la miseria, ma non lo capite che la mia partner è sotto shock??!"

Castle urla contro McNeil prendendolo per il colletto della giacca.

"Ha visto il distretto dove lavora frantumarsi davanti ai suoi occhi! Se dice di essere preoccupato per la salute mondiale, allora non può ignorare che la mia partner è ancora scossa da quanto ha visto! Lei è indelicato!"
"Signor Castle... capisco la sua preoccupazione, ma..."
"L'ho già sentita questa storia. Volete parlarci? Prendete un appuntamento!"

Ancora in piedi davanti a loro li vedo battibbeccare. Castle si sta battendo. Per me. Spesso mi sono trovata a pensare che non fosse solo il mio scrittore e io la sua musa, ma lui il principe e io la fanciulla in pericolo. Tranne per quella volta quando rimasto come ostaggio nella banca, fui io a salvarlo.

McNeil gentilmente porge a Castle un biglietto da visita, poi mi guarda fisso negli occhi. Sono occhi gelidi i suoi, di chi ha visto troppo nella vita e conosce tanti di quei segreti che neanche la Casa Bianca può rivelarci. Poi, si allontana per scomparire in un macchinone blu.

Il mio scrittore si avvicina a me, apparentemente preoccupato per la mia salute.

"Stai meglio ora?"
"Sì, grazie."
"Sempre."
Sorridiamo. Entrambi conosciamo l'importanza di quella parolina magica. Ci incamminiamo lontani dal distretto ormai in cenere, mentre in lontananza si sentono le auto dei pompieri accorrere.

"Cosa ti ha dato l'agente McNeil?"

"Un appuntamento. Vuole che te, Ryan ed Esposito vi presentate al Quartier Generale."
Mi porge il biglietto.

"Vuoi dire all'FBI?? E per cosa?? Non sarà mica un rimprovero per aggressione a pubblico ufficiale?"

"No, no.. " ride, "penso intendesse sul serio quando prima parlava di un certo addestramento per forze armate speciali della polizia."

Il mio pensiero va a Royce Montgomery. Lui sì che era un poliziotto speciale. Un vero eroe. Meritava lui più di me di andare a questo addestramento.

 

Quel pomeriggio, sul tardi, sono in auto con Esposito al mio fianco, e Ryan seduto al sedile posteriore. Noi tre non parliamo, preferiamo non dire nulla. Quell'attentato che ci ha colpiti nel privato deve restare tra di noi. Perchè funziona così. Se c'è una cosa che l'America ha imparato dopo l'11 settembre, è quella di non confondere il pubblico col privato se non vuoi essere chiamato a testimoniare quanto accaduto... se non vuoi essere al centro del mirino... io ci sono stata al centro del mirino... letteralmente e metaforicamente.

I miei agenti guardano fuori il finestrino, poi Ryan fa segno che siamo arrivati. Davanti a noi, una cinquantina di auto parcheggiate... ognuna di loro porta un diverso nome di polizia... riesco a leggere Miami, Los Angeles, Las Vegas.

"E così questa è l'FBI."
"Come la descrivono nei film, fratello."
Ryan ed Esposito si scambiano degli sguardi compiaciuti che mi fanno sorridere. Immagino che si credano qualche attore in un film d'azione, tipo Ben Affleck in "Alta Tensione", oppure Matt Damon in "The Bourne Identity."

Usciamo dall'auto, io cammino avanti a loro ed entro nella struttura. Finora mi ero solo immaginata come poteva essere la sede dell'FBI, dal vivo però è tutt'altra cosa. Una segretaria è impegnata a filtrare delle telefonate... un'altra sta inviando fax... un'altra ancora parla in tedesco, credo, poi con naturalezza, prende un altro telefono e cambia lingua, come se nulla fosse. Alcuni uomini in nero ci passano vicino, poi vedo McNeil avvicinarsi a noi.

"Vi aspettavamo. Il 12esimo distretto? Bene, seguitemi."
Poco dopo siamo in ascensore. McNeil pigia il pulsante verso il 20esimo piano, e quindi mi sorge una domanda spontanea: quanti piani avrà questo edificio?

Alcuni minuti dopo, l'agente ci conduce in una stanza abbastanza grande: al centro vi è un enorme televisore dove posso vedere il Presidente degli Stati Uniti che sta preparando dei fogli davanti a sé... evidentemente ha in mente un discorso da farci, data la gravità della situazione.

Poi c'è un tavolo rettangolare e molte sedie... non so dire quante, fatto sta che ci sono circa una settantina di agenti di polizia tra quelli seduti e quelli in piedi.

Io e i miei uomini restiamo in piedi vicino la porta, mentre McNeil prende il posto di comando a capo tavola. Cala il silenzio, tutti appizzano le orecchie. Io, Ryan ed Esposito facciamo altrettanto.

"Signori, se siete qui oggi vuol dire che la situazione è di portata mondiale. Ed è grave. In ognuno dei vostri distretti questa mattina, intorno alle 8-9, sono stati consegnati dei pacchi bomba. L'origine è iraniana, come abbiamo potuto constatare dalle nostre interpreti, e il messaggio è chiaro. Ora ve lo leggo."
Prende un telecomando e dal centro del tavolo compare una specie di diapositiva trasparente... fantastico, sembra di essere in un film di fantascienza. Siamo fighi, noi americani.

"Nel nome di Dio, il clemente, il misericordioso. I pacchi bomba non sono che l'inizio. Molti dei nostri profeti della jihad sono morti, e siccome la morte vuole morte, noi iraniani siamo gli unici mediorientali a possedere la bomba atomica. Se non vi arrenderete al nome di Allah, vedremo come far sganciare l'ordigno. Israele sarà il nostro primo bersaglio. E noi sappiamo quanto a voi americani sta a cuore Israele..."

McNeil ritira l'immagine, poi tutti iniziano a bisbigliare tra loro. Io sono a dir poco sconvolta. Guardo Esposito e Ryan e anche loro non sono da meno. In un gesto commovente, ci stringiamo le mani.

"Signori per favore..." McNeil cerca di ristabilire l'ordine, "vi metto in collegamento col Presidente...mi sente, signore?"
"Sì la sento benissimo...miei cari concittadini, la situazione è grave, come già ripetuto. Voi siete qui oggi perchè siete stati selezionati tra i migliori agenti del nostro paese. Partirete l'indomani per l'Iran dove l'agente McNeil vi inizierà ad un addestramento insieme ai nostri marines. L'obbiettivo è impedire questa catastrofe mondiale. Vi aspetto domani alle 10 qui sotto al quartier Generale."

La videoconferenza si chiuse in un attimo. Io cercai di assimilare quanto era appena accaduto. Accadde tutto in una frazione di secondi, e in un attimo mi ritrovai al distretto.

 

Erano le 13, ora di pranzo. Guardo la sedia vuota accanto a me, poi do un'occhiata all'orologio. Dov'è finito Castle? Di solito è puntuale.

"Ehilà, Beckett!"

E infatti eccolo arrivare: i soliti due caffé da una parte, e un cinese take away dall'altra. Adoro il cinese.

"Castle... pensavo non arrivassi più!"
"Preoccupata per me?"
"Uhm uhm."
La sua faccia diventa seria. Si acciglia e ha lo sguardo assorto. Ha qualcosa da dirmi.

"Sputa il rospo, Castle." dico mentre prendo il mio caffé e inizio a gustarmi gli spaghetti alla piastra.

"Sono stato alla casa editrice oggi... Gina mi ha affidato un incarico molto impegnativo... dice che se esce bene sarà un reportage-racconto che scalerà le classifiche, meglio della saga di Nikki Heat" sorride tra sé, poi torna a farsi serio... sguardo fisso su di me, "Kate, andrò a scrivere un libro a Gerusalemme, in Israele, raccontando la primavera araba in corso. Partirò domattina."
Il mio cuore per un attimo si interrompe. Vorrei stringergli la mano, so che vorrei farlo, invece so che è il mio turno per parlare adesso.

"Sono stata alla riunione nella sede dell'FBI. Il Presidente ha selezionato me e altri agenti del paese per addestrarci in Iran insieme ai marines. Rick, sanno che l'Iran minaccerà Israele se l'America non si converte ai voleri dei terroristi. Partirò domattina anche io."
Il mio mondo stava letteralmente andando a fuoco. Ora anche l'uomo che amo sarà esposto al pericolo, e io non potrò fare nulla per salvarlo, stavolta.

Castle mi prende la mano e me la stringe. Me la stringe così forte, come se consapevoli, sappiamo che sarà una delle ultime volte in cui ci vedremo. Io ricambio e intrecciamo le nostre dita, giocherellando con indici e pollici. Trattengo una lacrima che so sta per cadere. Lui si schiarisce la voce.

Poi, ci lasciamo le mani e, silenziosamente, continuiamo a mangiare.

   
 
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