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Autore: Zaire    29/11/2011    2 recensioni
One-shot sui pensieri di una ragazza che ripercorre mentalmente alcune tappe della sua vita andando all'appuntamento con il ragazzao che le piace.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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405 Steps.
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Quella sera mi ero vestita carina. Solo perchè dovevo vedere un ragazzo?Cercavo di convincermi che non era quello il motivo ma sapevo benissimo che lo era. Mi sistemai la grossa sciarpa di lana e uscì nel freddo della sera. Era solo il primo dicembre e le strade di Londra erano già addobbate, persino la mia, in un piccolo quartiere di periferia. Le luci intermittenti producevano ombre giallastre sul mul muro e facevano brillare il piccolo strato di neve che ricorpiva i marciapiedi.
Sospirai e dalla mia bocca uscì una nuvoletta di aria condensata. Colpa del freddo.
Il ristorante era a circa un isolato da casa mia ma nonostante tutto avevo deciso di andare a piedi: mi piaceva camminare, sentire il vento freddo che mi sferzava sul volto scompigliandomi i capelli. Mi avviai per la strada, le mani in tasca e il viso affondato nella grossa sciarpa di lana. Guardavo i miei piedi che si muovevano veloci sulla via schivando i pochi passanti. Dalla borsa presi l'Ipod e infilai le cuffie nelle orecchie. Optai per la riproduzione casuale. Everything. Michael Bublè iniziò a cantarmi la canzone facendo da sottofondo alla mia passeggiata.
Quattro. Cinque. Sei.
Contavo i miei passi adattandoli al ritmo della canzone. Come una ballerina che, sola sul palco, non pensa ad altro che ballare, non per gli altri ma per se stessa perchè le piace la sensazione che prova. I miei tacchi ticchettavano sull'asfalto del marciapiede, veloci e pazienti, quasi non dipendessero dal movimento dei miei piedi.
Cinquantotto. Cinquantanove. Sessanta.
Tra me e me canticchiavo le strofe della canzone pensando ad Erian. Nonostante il mio atteggiamento schivo verso tutti aveva trovato il coraggio di invitarmi ad uscire. Non che fossi una stronza senza cuore ma semplicemente ero un pò solitaria, difficile che mi fidassi di qualcuno tanto da frequentarlo. Eppure lui..era diverso: sicuro di se, frizzante, gentile. Era pur sempre un uomo, un uomo capace di ferirmi, ma sapevo che non lo avrebbe mai fatto, o almeno non volontariamente.
Centoventuno. Centoventidue. Centoventitre.
Girai su una piccola stradina contornata da case. Le finestre erano quasi tutte illuminato e da alcune proveniva un odore delizioso. Arrosto?Mia madre non aveva mai cucinato niente, di solito prendevamo la pizza, ovviamente quella per celiaci visto il mio problema. 
Non le era più fregato molto di fare la buona madre da dopo la partenza di mio padre. Era sempre fuori e spesso riportava a casa degli sconosciuti che la mattina sgattaiolavano fuori con le scarpe in mano. Era stata una liberazione andarmene di casa dopo i miei diciotto anni, dolo da quel momento avevo iniziato a vivere la mia vita. Mia madre non mi cerca mai, mio padre..non ne parliamo, è come se fosse scomparso, anzi, come se effettivamente non ci fosse mai stato. Una proiezione dei bisogn di una bambina, un'immagine inconsistente e inesistente. Non lo avevo più rivisto da quando avevo cinque anni. Da piccola pensavo fosse partito a causa mia e mia madre non cercava nemmeno di farmi credere il contrario.
Duecentouno. Duecentodue. Duecentrotre.
"Amanda Fitz!Vieni qui!Solo così imparerai a prendere atto delle tue colpe!"
Ripensai a quelle parole, quelle della mia maestra, passando davanti ad una scuola elementare. Fin da piccola ero stata abituata a riparare a certi episodi, persino a quelli di cui non ero io la responsabile. A quell'età non potevo capire che mettersi contro la gente importante era solo una perdita di tempo e una battaglia persa. La mente dei bambini è candida, ingenua, non ancora pronta alla crudele realtà del mondo e io dovevo piegarmi. Dovevo prendere le conseguenze degli errori di altri, altri..altri che andavano protetti, che nella loro vita non avrebbero mai risposto dei propri sbagli perchè l'avrei fatto io al loro posto.
Duecentottantacinque. Duecentottantasei. Duecentottantasette.
Girai per un'altra stradina parallela camminando sul marciapiede destro, quello che costeggiava il mattatoio. Le luci erano tutte spente ma si potevano sentire bene i guaiti straziati di quei poveri cani. 
Avevo sempre voluto avere un cane ma mia madre odiava quelle bestiacce, come le chiamava lei. Diceva sempre che portavano malattie e che mordevano la gente.
"Non voglio che tu rischi la vita per quelle bestie" diceva, testuali parole. In realtà non voleva animali in giro per casa, non gliene importava granchè di morsi o malattie, solo non poteva permettersi di sfamare un'altra bocca.
Trecentotrenta. Trecentotrentuno. Trecentotrentadue.

La strada dove sboccai era larga e trafficata, apparteneva al quartiere accanto al mio, ciò voleva dire che presto sarei arrivata a destinazione. La gente, stretta nei cappotti, mi evitava all'ultimo momento. Scartavano a destra. Scartavano a sinistra. Tenevano tutti lo sguardo basso, concentrandosi sul percorso e non prestando attenzione a ciò che era intorno a loro. Probabilmente ero l'unica ad essermi accorta che aveva iniziato a nevicare. I miei capelli, già bianchi per causa dell'albinismo, erano costellati di minuscoli batuffolini candidi, posati delicatamente sulle ciocche ondulate e sul cappello di lana.
Mi fermai e presi tra le lunghe dita pallide un fiocco di neve che subito si sciolse sul mio indice lasciando una piccola goccia d'acqua come ricordo. Era passato lì e aveva lasciato qualcosa di se, la sua vera essenza, proprio come fanno le persone.
La canzone era quasi finita. Accellerai il passo. Riuscivo già a vedere la stradina laterale in cui avrei svoltato e il mio cuore iniziò a palpitare più forte del normale, quasi uscendomi dal petto. Accellerai il passo. Stavo quasi correndo.
Mi fermai, tolsi le cuffie dalle orecchie e riposi l'Ipod nella borsa. Un respiro profondo.
Ero all'inizio della strada, poco distante da me vedevo l'ingresso del ristorante e lui, Erian, appoggiato al muro di mattoncini rossi. Indossava un semplice giacchetto di pelle, dei jeans, una maglietta bianca. 
Il cuore palpitava più forte, più forte, più forte ancora. Un respiro profondo.
Quattrocento. Quattrocentouno. Quattrocentodue. Quattrocentotre. Quattrocentoquattro. Quattrocentocinque. 
Un sospiro leggero.
"Hey"
  
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