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Autore: Jack_Chinaski    30/11/2011    1 recensioni
“Quindi hai perso la ragazza?”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Quindi hai perso la ragazza?”
Non volevo rispondere, mi sentivo stanco, e finsi di vomitare ancora.
Il vecchio Hope, mi passò un fazzoletto fetido e fradicio, me lo poggiai alla bocca per sputarci dentro.
Aveva l’ Alzheimer ,il vecchio, e mi costringeva ogni sera a ripetere la mia storia.
Prima ci conoscevamo come fossimo persone mai viste, poi il rituale del passaggio del vino e alla fine la richiesta di raccontargli come erano andate le cose.
“Come sei finito tu qui, ragazzo? Sei ancora così giovane!”
“Non hai visto, vecchio?”
Gli indicai la brodaglia, rosso vermiglio, a pochi metri da noi. Era uscita dalla mia bocca poco fa.
“Vomito sangue”
“Stai morendo?”
“No, per nulla. Sto benissimo”
“Oddio, non capisco”
A questo punto assumeva un espressione pensosa, trangugiando vino e scordandosi di passare la bottiglia.
Era intento a cercare una soluzione, una cura. Voleva che tornassi dai miei cari domani, all’alba.
Mi toccava pure rassicurarlo, dirgli come non era riuscito nessuno a fare niente e che non mi era rimasto più nessuno che piangesse per la mia scomparsa.
Avevo provato ogni tipologia di test e dottore, il mio corpo aveva subito ogni forma invasiva medica e il risultato era nullo. Fegato, polmoni, cuore e tutto il resto erano intatti.
Da dove venisse tutto quel sangue, nessuno sapeva dirlo.
Le scale dei valori parlavano chiari, avevo tutto apposto. Leucociti, piastrine e globuli rossi.
Eppure mentre mangiavo nel ristorantino alla moda con la mia dolce metà o ero ad un importante briefing lavorativo o mi stavo soltanto grattando,  potevo tirare improvvisamente fuori getti di rosso vivo.
Una volta assicurato il fatto che ero in salute e non me ne stavo andando all’altro mondo, tutti si ricordarono di non dovermi più commiserazione o la pietà per il debole e ridicolo morente, è così il mio vomitare divento socialmente inaccettabile.
Ovunque trovavi disapprovazione e bigottismo, bastavano un po’ di capelli spettinati o un abito succinto a fare clamore. Io che tiravo fuori, letteralmente, quello che avevo dentro, non avevo chance.
Il declinò intaccò per primo il lavoro, mi misero in malattia e poi fui cacciato per assenteismo.
Devo ammetterlo, risi.
Poi toccò agli amici, i quali furono i più titubanti fino alla fine. Non erano per nulla preparati all’eventualità.
Se fossi morto, avrebbero pianto lacrime amare e sprecato parole di gloria o se stessi morendo, sarebbero rimasti fedeli al mio capezzale.
Ma ero un uomo sano, un uomo sano che ogni tanto vomitava sangue. Né carne né pesce, per capirci.
Questo doveva apparirgli come un dispetto, un capriccio e così mi abbandonarono.
Dandomi, ovviamente, la colpa di tutto.
Quella che resistette, con mio enorme stupore, più di tutti fu’ proprio Meg, la mia ragazza. O meglio, ex.
Aspetto con pazienza che finissi tutti i test, quando era sicuro che non fossi in punto di morte, mi prese da parte e mi disse:
“Mi spiace, ma io sono giovane e devo vivere la mia vita, essere felice e stare con persone in salute.
Non posso rimanere al tuo capezzale di vecchio, mentre te ne vai lentamente e in agonia.
Mi capisci, vero?”
C’erano solo due anni di differenza fra me e lei, ma chi ero io per smontare un tale discorso, così vero, sincero e inumano? Nessuno, non ero nessuno.
Quando se ne andò anche lei, non rimasi per nulla stupito ma finii col realizzare per la prima volta di essere oramai solo, quasi senza soldi visto il dispendio usato per le cure e senza sapere cosa avessi.
La notte che venne dopo fu un tormento, non dormii per nulla e rigettai abbastanza da equivalere un mare.
Presi poche delle mie cose, con l’intenzione di darmi alla vita di strada, e in un negozio di liquori aperto tutto il giorno incontrai Hope.
La nostra storia ha avuto così inizio, ci ritroviamo ogni sera a fare lo stesso spettacolo, nel nostro personale teatrino, ovvero il sottopassaggio del ponte.

“Ma dimmi un'altra  cosa, ragazzo”
“Che c’è?”
“Tu ti sei mai fatto una tua idea del perché? “
Questa era nuova.
“Ovviamente”
“E non l’hai detto ai dottori?”
“No, Hope, non l’ho detto ai dottori””
“Perché li pagavo per darmi risposte, non per dargliele io”
“Non fare lo stronzo, ragazzo”
Trasalii, era la prima volta che lo sentivo dire una volgarità.
Per quanto barbone ed ubriacone, era un uomo perbene ed educato. Chiaramente un padre.
“Non l’ho fatto perché non era scientifica, Hope”
“Capisco”
Bevve un sorso di vino, in modo molto scenico. Era evidente il suo desiderio di impostare la prossima domanda in modo teatrale.
“Allora dillo a me”
“Perché dovrei?”
“Perché non sono un dottore”
Risi, mi sembrava un ottimo motivo.
“Sai quando ho cominciato a vomitare sangue? Quando ho rincontrato Noah, la mia prima ragazza”
“Vedere una donna che hai amato ti fa vomitare sangue? Molto melenso, ragazzo”
“No, vecchio, non per quello.  Abbiamo parlato un po’ io e lei, cioè più lei che io.
Le parole le avevo ma non uscivano, ero troppo impegnato a guardarla e a vedere dentro di lei il mio passato”
“Che cosa hai visto lì dentro?”
“Tanta roba, vecchio. La maggior parte l’avevo rimossa, era in putrefazione dentro di me.
Rivedevo tutto quello lasciatomi alle spalle, lo vedo e in un certo qualche senso ne sentivo la mancanza ma anche il sollievo di averlo superato, abbandonato.
Poi era scappata, aveva un appuntamento ma era stata felice di vedermi, ed io tornai a casa, cercando di camminare guardando sempre a terra.
Ne ero sicuro, Hope, se avessi guardato la mia faccia in quel momento, se mi fossi specchiato in una vetrina e avrei visto il mio viso sarei tornato indietro, da lei.
Tornai a casa di corsa e mi addormentai, cercando di dimenticare”
Gli feci segno di aspettare, mi alzai e vomitai un po’. Non era sangue questa volta, era solo merito dell’alcol.
Quando mi misi a posto mi ripassò la bottiglia e buttai giù un grosso sorso.
“Riuscisti a dormire?”
“Sì, c’è la feci. Quando mi alzai pensai fosse tutto finito, andato.
 Avrei dimenticato, Hope, l’avevo fatto una volta, potevo farlo due.
Ma quando andai al bagno a pisciare, fui incauto e mi guardai allo specchio”
“Cosa hai visto lì, ragazzo?”
“La verità, solo la verità. La mia faccia, era la mia faccia e rappresentava tutto quello che oramai ero.
Potevo vederci il successo, il denaro o le belle donne come se fossero incastonate qua e là.
C’era tutto, veramente tutto su quel viso. Il successo, il denaro, le amicizie famose, le belle donne.
Eppure per quanto sembrava tutto così mio, così appartenente a me, io mi sentivo come se a godere e ad avere tutto ciò fosse un altro me. Un me che aveva preso il mio posto per troppo tempo.
Mentre inseguivo pensieri filosofici con ancora la patta abbassata, fui preso da un dolore lancinante allo stomaco, poi la nausea e infine la tazza.
Quando mi alzai a controllare, vidi solo rosso”
Riportare tutto a galla, sotto quel ponte, mi fece star male, riprovai le stesse identiche cose sentite davanti a quello specchio e dovetti alzarmi a rimettere. Stavolta era sangue, non si fermava, e ci vollero due spintoni sulla schiena di Hope per frenarmi.
Mi risedetti, la gola era in fiamme ed ispiravo ed espiravo per recuperare il fiato.
“Quindi?”
“Cosa, Hope?”
“Qual è questo tuo male, da dove viene questo sangue?”
“E’ la mia anima, la mia anima straziata che non fa altro che sanguinare da quando mi sono accorto delle sue ferite”
Non disse nulla, si limitò a sospirare e a guardare la bottiglia, notando che il vino era quasi finito.
Mi passò la bottiglia e ne stappò un'altra.
Voleva brindare, a quanto pare. Sbattemmo i vetri e l’eco risuono nel sottopassaggio.
Bevemmo a lungo, a perdifiato. Bevemmo per la mia anima.
   
 
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