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Autore: voiceOFsoul    30/11/2011    1 recensioni
Bree, a causa di un incidente, ha perso momentaneamente la memoria. Dovrà ricostruire quello che le è successo in questi tre mesi "di buio" aiutata da qualsiasi cosa riesca a sollecitare in lei un ricordo, un "fulmine" come li definisce lei.
Cosa sarà successo e cosa succederà ancora?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La porta è rimasta aperta, così noi sentiamo tutto quello che si dicono.
- Avevi giurato che questo non sarebbe mai stato vicino a Bree. -
- "Questo" è tuo cugino, Stefano! E' un medico di quest'ospedale e oggi c'era da coprire un turno. Non sempre le cose possono ubbidire ai tuoi ordini, signorino. -
- Lo sai che è per il bene di Bree. -
- Quello che è bene per la sua salute posso dirlo io, non tu. E la sorveglianza di un bravo medico può solo farle bene. E' grazie a lui che oggi Bree può di nuovo parlare, mentre ho saputo che è merito tuo se non ci riusciva più. Giusto? - Un attimo di silenzio. - E' così o no? - Ancora silenzio. - Pensi ancora di combattere per il suo bene? Io non direi proprio. -
Altro silenzio seguito da passi che si allontanano nel corridoio.
- Medico o non medico, stai lontano da lei! - Steve urla nel corridoio, talmente forte che l'avremmo sentito anche con la porta chiusa. Rientra nella stanza e si avvicina a me silenziosamente. Mi bacia la fronte, prende la sua roba e va via continuando ad essere immerso nel suo silenzio. Nessuno fa nulla per fermarlo.
Raccolgo tutte le forze che ho e, appoggiandomi alla spalliera del letto, mi muovo lentamente per scendere dal letto.
- Che stai facendo, Bree? Ferma! - Mia madre mi intima, quasi terrorizzata, di rimettermi immediatamente a letto.
Gigì, la più vicina a me, invece, mi aiuta ad alzarmi e a raggiungere la porta il più in fretta che le mie gambe mi permettano. Arrivata in corridoio lo vedo ancora lì, a camminare lentamente a testa bassa, quasi strisciasse i passi per terra e contasse quante volte i suoi lacci si incrociano.
- Chiamalo tu. Io non posso. - Gigì annuisce prima di pronuniciare a voce alta il suo nome. Steve si blocca, ma senza voltarsi riprende a camminare.
- Steve. - Sussurro il suo nome, eppure sembra sentirmi. Si blocca ancora e stavolta si volta. Stupito dal vedermi in piedi, per lui ovviamente, si precipita indietro. Mi attira a sé tenedo strette le mie braccia, quasi volesse sostenermi. - Perché stavi andando via? -
- Perché mia madre ha ragione. - Soffia le parole dentro il mio orecchio, affidandomele come un prezioso segreto. - Non sono capace di farti stare meglio. -
- Cazzate! Tu lo fai, tu sei l'unico a farlo. - Lo stringo a mia volta, con quel poco di energia che mi resta.
Si scosta da me, continuando a sostenermi, per guardarmi in volto. - Sai che non è vero. E' tutta colpa mia se... -
- Non è stata colpa tua. -
- Oh sì, invece. Tutta. - Scosta lo sguardo mordendo le sue stupende labbra.
- Cosa vuoi dire? -
Sposta lo sguardo su Gigì.
- Nulla! - Interviene in suo aiuto. Si avvicina a noi e poggia la mano sulla spalla di lui. - Non vuole dire nulla. Vero? - Ha un tono ai limiti della minaccia.
Fisso lei. - Gigì cosa mi state nascondendo? -
Mi guarda con un sorriso dolce ai limiti del falso.
- Non fare quella faccia con me. -
Lo cancella e lo sostituisce con la faccia seria che aveva mentre parlava a Steve. - Bree, sai quanto vorrei dirti ogni cosa e quanto sia difficile per me non dirti nulla. Ma non posso, lo sai. -
- E tu sai che mi sono rotta di sta cazzo di scusa! - Non posso farci niente se ormai quelle fatidiche parole mi fanno girare i nervi. Allontano le mani di Steve da me e, appoggiandomi al muro, torno in camera. Sono stanca per essere stata questo tempo in piedi. I nervi a fior di pelle non migliorano la situazione. Superata la porta le fibre del mio corpo si accorgono di aver esaurito ogni briciolo di energia e mi abbandonano. Finisco dritta con la faccia a terra, sbattendo le tempie sul pavimento gelido, e finisco nel buio.

Apro gli occhi non so dopo quanto tempo. Mi ritrovo immersa in una luce accecante e sento un rumore meccanico. Inizo a muovere freneticamente gli occhi per cercare qualche indizio che mi dica dove sono, ma non c'è altro che bianco intorno a me.
- Bree, Bree sta ferma. Abbiamo quasi finito. - La voce della dottoressa Collins mi arriva filtrata e amplificata da un microfono.
Un rumore secco, poi un sibilo e il lettino su cui mi trovo inizia a spostarsi verticalmente. Riconosco il tetto della sala Tac e appena sono fuori dal tubo, inizio a tirarmi su. Che cosa diavolo mi è successo?
Vedo la Collins entrare quasi di corsa, precipitandosi ad aiutarmi. - Bree, come ti senti? -
- B-bene. Almeno credo. Ho un gran male alla testa. - La mia voce sta magnificamente.
La Collins annuisce e fa un cenno ai medici dall'altra parte del vetro. Li vedo entrare in silenzio. Uno di loro, prima di raggiungerci, richiede un'infermiera tramite l'interfono. C'è Benussi, ma nessuno dei tre è Alex, almeno questa volta la Collins ha rispettato il patto.
- Cosa è successo? - Non lo reggo più questo enorme silenzio allo stesso modo in cui non reggo più le loro facce serie che non accennano a spiegarmi nulla.
- Sei caduta e hai battuto la testa. -
- Questo lo ricordo. -
- Sei svenuta, così abbiamo anticipato la TAC di domani. -
- E.. cosa avete trovato? -
- Per fortuna non c'è stato trauma cranico conseguente alla botta che hai preso. -
- E il post-operatorio? -
La Collins inizia a sciogliersi in un sorriso, ma non proferisce parola.
L'infermiera arriva con la solita sedia a rotelle. Mentre mi aiutano a sedermici, continuo a chiedere la stessa cosa. - Perché non mi rispondete? Cos'ho? - Inizio a piangere mentre la giovane infermiera mi spinge lungo i corridoi, su fino ad arrivare in camera. Continuo a farlo ininterrottamente quando mi lascia da sola nella stanza che ormai mi è cara come una prigione.
Benussi arriva ad interrompere i miei singhiozzi.
- Perchè stai piangendo Bree? -
- Perchè non mi dite cos'ho. - Qualche singhiozzo mi sfugge ancora.
Si avvicina ad accarezzarmi le mani. - E cosa ti fa pensare che tu abbia qualcosa? -
- Perchè sarei qui allora? Perchè non mi avreste detto nulla? -
- Bree, devi capire che la medicina non sempre può permettersi giudizi affrettati. - Si siede sul letto accanto a me. - Se io oggi ti dicessi che sei perfettamente guarita, ma domani ci fossero complicazioni, come la prenderesti? - Rifletto in silenzio sulle sue parole, finchè non si decide a continuare. - Per il momento le cose vanno bene, molto meglio di quanto ci aspettassimo. Ma dobbiamo essere cauti. La botta di oggi non ci voleva proprio. Fortunatamente non è successo nulla di grave. -
Riesco a fermare anche le ultime lacrime definitivamente. - Quindi è tutto ok? -
- Per adesso sì. - Dice sorridendomi. Non l'avevo mai visto sorridere così, come mio padre mentre mi curava i graffi alle ginocchia quando cadevo da bambina.
Non so perché l'ho fatto, non so se era il caso, non so se gli ha dato fastidio, ma mi sono gettata al suo collo con tutta l'energia che potessi racimolare tra i miei tessuti. Sì, l'ho abbracciato con tanto di quell'entusiasmo che per poco non siamo caduti entrambi dal letto.

Ho passato una notte serena, dormendo più o meno come un bradipo. Mi sono svegliata presto, prima del passaggio dell'infermiera e mi sono avventurata da sola verso il bagno. Stavolta non ho avuto nessun problema e nessun cedimento. Mi sento le gambe più forti e sembra che nuova energia abbia ricominciato a scorrermi dentro. Sono tornata nel mio letto prima che Jessica arrivasse per la colazione e i controlli mattutini. Non ho detto nulla della mia gitarella, ma il sorriso che non abbandona il mio viso l'ha stupita.
- Ti senti meglio? -
- Moltissimo, sì. -
Questo è stato tutto quello che ha detto prima di andare via.
Continuando a sorridere, fisso le quattro mura che ormai sono l'unico panorama possibile. Il mio sguardo viene attratto dalla finestra e quasi mi convinco a raggiungerla. Poi rifletto che è meglio non esagerare. Prendo Teddina dal cuscino e la stringo. La sollevo a mezz'aria e inizio a parlare con lei, come una pazza. No, come una bambina felice.
- Sai, Teddina, è bello vedere come ogni pezzo di puzzle stia andando pian piano al suo posto. Tutto quello che mi sembrava strano ed insolito, sta trovando una spiegazione. Primo fra tutti Evan! Lo sai quanto mi tormentavo perché non veniva subito a trovarmi? Mi sono messa a fare mille e mille supposizioni. Invece era per il ricovero nella clinica. Puff, Evan. Non so ancora cosa dovrei pensare di quello che è successo. Eravamo così tanto amici, che mi fa male anche solo pensare di non perdonarlo. Ma poi penso a quanto sono già stata male, e... non so decidermi! Peccato tu non possa aiutarmi! - Faccio un attimo si silenzio. Già, come potrebbe aiutarmi un'orsacchiotta di pezza? - E tu? Tu cos'hai da raccontarmi? Finora tu non mi hai detto tanto, sai? Ti ho comprato con Gigì, questo l'ho ricordato. E dormo stretta a te quando litigo con lei, anche questo l'ho capito. Ma c'è una cosa che non mi spiego ancora. Come mai ti ha portato qui Steve? - Una strana sensazione mi blocca. Sento come un vento, un irrequieto vento del Nord, che entra a far baldoria nella mia testa. Fisso Teddina e rivedo il momento in cui l'ho trovata nella scatola lasciata da Steve. Il vento nella mia testa soffia più forte. Appoggio la testa al cuscino, portando anche Teddina con me e continuando a fissarla.
- Vuoi spiegarmelo adesso, vero? -
Poi, il fulmine.
   
 
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