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Autore: DaisyGardener    01/12/2011    0 recensioni
Daisy è una ragazza che tornando al suo paese di nascita, perde la memoria. quindi fa di tutto per recuperare i suoi ricordi e per scoprire chi è veramente
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Occhi fissi su di lui. Non riuscivo a smettere di guardarlo. No, non lo stavo guardando lo stavo fissando come un cacciatore fissa la sua preda. Ma io non ero una cacciatrice. O forse sì. Lo sono stata? In realtà non ricordo. Ho perso la maggior parte dei miei ricordi quando sono tornata al mio paese natale, se così si può chiamare il luogo in cui penso di essere nata e il luogo in cui penso di essere morta. C’è solo un grido che rimbomba nella mia testa da prima di arrivare in questo posto infernale: vendetta!

I miei ricordi iniziano dal momento in cui superai il confine della città. Mi sentivo spaesata, ma allo stesso momento mi sentivo come se fossi a casa. Non avevo idea di dove andare e soprattutto cosa fare. Andai avanti ancora per un po’ finché la mia macchina, guidata dalle mie stesse mani, si fermò davanti ad una pensione a due stelle. Mi sentivo come se qualcuno stesse guidando i miei passi e che mi stesse manipolando ma nel mio subconscio sapevo in realtà che l’unica persona che mi potesse guidare ero solo io.

 Era un edificio a un solo piano. Non era molto grande, ma era abbastanza carino. Allora entrai nella pensione e mi diressi verso la reception. Non avevo idea del motivo per cui mi trovavo in quel posto, ma il mio istinto mi diceva che era quello che dovevo fare.

“buongiorno signorina, la posso aiutare?”, mi chiese la locandiera, una signora anziana sulla settantina. Attendendo una mia risposta, mi lanciò un sorriso. Io risposi al suo sorriso ma notai nei suoi occhi come un sentimento di malinconia. Forse le ricordavo qualcuno che conosceva, o più semplicemente, aveva nostalgia della sua giovinezza. Aveva i capelli biondi, ma si notavano almeno due centimetri di ricrescita. Portava un maglioncino blu cobalto, sopra una dolcevita verde pino. Al collo aveva una catena alla quale pendeva un ciondolo a forma di G. Forse, si trattava del nome del marito: George, Gerard, Gabriel.

“ o sì, grazie". "Vorrei prenotare una camera, se possibile, per due mesi, o forse di più.” Le risposi con quella sicurezza che sapevo di non aver mai avuto. La signora continuò a sorridermi e mi chiese: “ cosa cerca una ragazza così giovane in un posto desolato come questo?”. Mi guardò cercando di captare qualche segnale dai miei occhi, ma io rimasi impassibile e le risposi: “Nessun posto secondo me è realmente desolato. Quello che mi spinge in paesi come questo è la ricerca dell’avventura”. La signora continuava a guardarmi e a esaminarmi con attenzione e nei suoi occhi ritornò quella luce di nostalgia che avevo subito notato. Le chiesi gli orari e il regolamento da seguire nella pensione e intanto mi consegnò la chiave della camera.

Infilai la chiave nella serratura e aprii la porta. La stanza era molto carina. Alla destra della porta c’era un letto, con delle coperte color pesca, che si abbinava perfettamente al colore delle pareti. Di fronte al letto c’era una finestra, sotto la quale c’era un tavolo con due sedie ai lati. Nella parte sinistra della stanza, c’era un armadio perfettamente coordinato allo stile del tavolo e delle sedie. Accanto all’armadio c’era la porta del bagno. Portai dentro la mia valigia e chiusi la porta. Mi sdraiai qualche minuto sul letto cercando di ricordare il motivo per cui mi ritrovavo in quella stanza tutta sola senza neanche un ricordo nella mia mente. Così, arrovellandomi il cervello inutilmente in cerca di una risposta, mi addormentai.

Mi svegliò il suono assordante della suoneria di un cellulare. Era il mio. Risposi alla chiamata: ”Pronto?”. Mi rispose la voce di una ragazza: ”Pronto Daisy, ci sei?”, mi chiese, io le risposi di sì e le chiesi con chi avevo l’onore di parlare. Allora lei mi rispose: ” sei già arrivata? Allora scusami non ti disturberò più. Volevo solo dirti che ti voglio bene. Non m’importa chi eri prima o quello che hai fatto. Per me l’importante è quello che tu ed io abbiamo passato insieme. E non mi viene altro da dirti se non che ti voglio bene”. Non feci in tempo ad aprire la bocca per parlare che la ragazza attaccò. Iniziai a rigirarmi nel letto. Non riuscivo a non pensare a quello che mi aveva detto quella ragazza. Cos’ho fatto? Chi era quella ragazza? E soprattutto chi sono io?

Mi risvegliai di colpo. Guardai fuori dalla finestra e vidi un cielo rosso come il fuoco, e vidi il sole che stava lasciando spazio alla sua amica luna: era il crepuscolo. Mi diedi una sciacquata veloce e mi cambiai. Volevo uscire. Così avrei capito, o almeno mi sarei avvicinata al motivo per cui mi trovavo a Chemistburg.

Mi avvicinai alla macchina e tirai fuori la chiave. Entrai dentro l’auto e accesi il motore. Non sapevo dove fossi diretta. Guidai per circa dieci minuti fino a quando vidi una scritta: Hell 23. Parcheggiai proprio di fronte all’edificio e spensi il motore. Scesi dalla macchina ed entrai nel hell 23. Quando entrai, la gente all’interno mi guardò ma non fece molto caso a quello che facevo. Era un posto molto confusionario. Infatti, c’era musica rock che faceva da colonna sonora a quella scena. Sul tetto del locale c’erano delle lampade che filtravano una luce rosso fuoco. In effetti, sembrava proprio di trovarsi all’inferno. Mi avvicinai verso il bancone dei cocktail, dove era seduto un ragazzo. Chiesi al barista, un uomo sui trent’anni, con capelli lunghi fino alle spalle di color carota: ” buonasera, potrei avere una soda?”. Inizialmente mi diresse un’occhiata agghiacciante, ma poi dopo circa trenta secondi mi sorrise. “non sei di qui vero?” mi domando. “come scusa?” gli chiesi di ripetere poiché c’era molta confusione. “No, niente. Non abiti in città, giusto?” riprovò. “no, in realtà no. Sono arrivata oggi.” Gli risposi gridando. “e cosa fa una ragazza carina come te in un posto del genere?”mi domandò. “sarò sincera con te. Non lo so”alla mia risposta mi guardò con curiosità. “quanti anni hai?” mi domando. “non lo so” gli risposi, non sapendo realmente rispondere alla sua domanda. Allora lui si mise a ridere. “sembri molto giovane, una bambina. Dove sono i tuoi genitori?”. Questa fu una domanda molto interessante. Credo che fosse l’unica domanda a cui sarei riuscita a rispondere. Infatti, mi ricordavo perfettamente chi erano i miei genitori e dove erano in quel preciso momento. “sono morti” risposi con un filo di tristezza. “mi dispiace, non avevo idea..”. “non ti preoccupare. Il dolore è passato. Comunque, piacere, io sono Daisy.” Mi presentai. “ ma che maleducato che sono. Non mi sono neanche presentato. Mi chiamo Gerard. Molto piacere.” Gerard?  Non mi era nuovo. Deve far parte di quei ricordi che ormai la mia mente ha cancellato.
   
 
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