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Autore: Vanilla Planifolia    01/12/2011    3 recensioni
"Il nostro rapporto si era trasformato in un carillon senza musica, dove noi eravamo ballerini che, in mancanza della base melodica, non sapevamo orientarci all'interno del mondo che ci aveva risucchiati.[...]
Coltivavamo una relazione nascosta, clandestina.
Fingevamo di odiarci.
Senza renderci conto che stavamo iniziando ad odiarci davvero."
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Capitolo 3

Immaginazione

Stavo sognando. Era così ovvio, come poteva essere vero altrimenti?
Lei era davanti a me, seduta sul letto della mia camera che appariva troppo piccolo per tutti e due. Seduta. Le mani, poco dietro ai lati dei fianchi, la sorreggevano con la schiena ritta; le gambe lunghe accavallate e lo sguardo curioso che esplorava ogni più minimo particolare della stanza.
Guardava tutto ciò che la circondava, analizzandolo nel dettaglio.
Tranne me.
Avrei voluto urlare, dirle che c'ero anche io lì insieme a lei, era me che doveva guardare. Non i mobili, non le tende, non i libri, non i CD, non la playstation abbandonata in un angolo, non la sedia, non la scrivania, non i cuscini e nemmeno il mondo assurdo fuori dalla finestra. Niente di tutto questo.
Solo me.
No, lei guardava oltre, sempre più in là.
Perché? avrei voluto chiederle, perché ti diverti così tanto a farmi soffrire? Non puoi volermi bene per ciò che sono? Non puoi essere disposta ad accettarmi? Qualunque cosa io faccia, qualsiasi cosa io pensi, voglio che tu sia obbligata ad amarmi.
Guardami! urlava il mio cervello.
Chiusi gli occhi e desiderai solo di svegliarmi. Quando li riaprii lei non c'era più, eppure stavo ancora sognando. Nel mio piccolo teatro onirico lei non era più lo spettacolo principale. E adesso? Che cosa mi avrebbe fatto sorbire la mia assurda immaginazione?
Mi voltai verso sinistra: ero quasi certo di aver sentito un rumore.
Una luce mi perforò il cervello, fino a rendermi quasi cieco.
In un istante mi ritrovai al cinema. Non a teatro, al cinema. La sala era vuota, improvvisamente buia. Fu allora che udii un respiro. Calmo e delicato, sentivo che era vicino, ma accanto a me non c'era nessuno che io potessi vedere.
Lo schermo di fronte ai miei occhi s'accese ed il mio volto stanco, con le occhiaie derivate dal poco sonno, comparve in primo piano.
Che visione orrenda.
Ero io, certo, ma qualche anno prima. Dovevo avere quindici o sedici anni.
Si vedeva solo il mio viso, il che non aveva senso, perché era sempre lo stesso: gli occhi bassi, i capelli ancora troppo corti ed un sorriso leggermente sarcastico. Guardavo qualcosa, spostavo lo sguardo: stavo leggendo.
Meravigliosa scoperta inutile. Leggendo cosa?
Poi l'audio, un bisbiglio incomprensibile, forte e delicato. La riconobbi solo quando l'immagine si spostò dal mio viso a lei: la mia ex professoressa di fisica, quanto l'avevo odiata; poi l'inquadratura ruotò ancora, e vidi Marianne. Era più giovane, con i capelli neri, la frangetta sugli occhi ed il naso dritto e squadrato che stonava con il visetto allora rotondo – forse un po' troppo rotondo –. Era cambiata tanto in quei pochi anni.
Aveva gli occhi bassi, anche lei stava leggendo.
Un libro, supposi che ci fosse quello in mezzo a noi.
Poi un suono.
Uno scricchiolio veloce, ed il battere di una punta su di una superficie troppo liscia. Il banco? Marianne stava scrivendo qualcosa.
All'improvviso ricordai.
Il mio cervello si mise in moto e, nel momento stesso in cui gli occhi del vecchio me leggevano il messaggio segreto, io lo rividi nella mia mente: “ho una cosa importante da dirti”, aveva scritto, “ma immagino che tu sappia già di che cosa si tratta, giusto?”.
«Si», avevo risposto nel sogno nello stesso momento in cui anche l'altro me quasi lo incideva sul banco lucido, «e non sono interessato...».
E poi? Cos'era successo dopo?
Una parte di me non voleva ricordarlo: le sue guance rosse per l'imbarazzo, il suo sguardo timido e disperato alla scoperta di non essere abbastanza per me e, infine, il mio colpo di grazia: “mi dispiace”, avevo iniziato a scrivere.
Lei si era voltata, fermando la mia mano senza guardarmi negli occhi: «Se scrivi che ti dispiace m'incazzo. Non farlo...».
C'era stato qualcosa, in quella frase, che mi aveva fatto sorridere.
Che cazzo ridi? Razza di cretino. Ero irritato. Da me stesso oltretutto. Stavamo sfociando nel ridicolo.
Il ragazzo che non avrei voluto essere io si era alzato ed allontanato dalla giovane appena suonata la prima campanella. E lei? Cosa aveva fatto lei?
«Sono rimasta seduta a quel banco per almeno dieci minuti prima di riuscire ad alzarmi, sai?».
La voce, quella voce. Arrivava dal posto accanto al mio, ma non potevo voltarmi per guardarla. «Ho aspettato che il dolore mi abbandonasse, ma non se ne è mai andato. E' ancora qui, riesci a sentirlo?», qualcosa di viscido e scuro scivolò sotto il mio sedile, attorno alle mie caviglie.
Non volevo farti soffrire, avrei voluto poter parlare. Volevo che lei sapesse, ma dalla mia gola non usciva alcun suono. Non era mia intenzione, te lo giuro Marianne. Non odiarmi, te ne prego...
«Non volevo altro che essere amata da te. Avevo solamente bisogno che tu mi reputassi importante. Non volevo altro, te lo posso giurare...».
Io ti amo ora, Marianne.
Cosa stavo dicendo?
Perché quelle parole?
Amore? No, io non so amare.
«Mi stai evitando, Liam. E' da anni che mi eviti, per paura o per rabbia», sospirò, «Non sono ancora degna di te, Liam? Non posso ancora meritarmi il tuo affetto? Basterebbe così poco, in fondo, basterebbe un tuo sorriso, o un tuo semplice gesto d'apprezzamento. Invece, tu non mi concedi nemmeno questo!».
Io ti posso amare ora, Marianne.
«Non rispondi, Liam?».
Dammi una possibilità, Marianne, posso amarti adesso!
«Sai perché non puoi rispondere? Perché ciò che vuoi dirmi è una bugia».
Non è vero.
Marianne, aspetta...la sua voce diventava così lontana. Il suo respiro così tenue e leggero. Torna qui, non lasciarmi da solo nel buio.
«MARIANNE!», riuscii ad urlare.
«Quando prendi una decisione non puoi tornare indietro».
«MARIANNE! No, non andartene!».
Implorai.
Sentivo caldo.
Cercai di liberarmi da quelle forze invisibili che mi bloccavano: «Marianne! Aspetta!».
«E adesso cosa fai? Piangi? Sei ridicolo, vedi di controllarti». No, quella non era la sua voce, non era la mia Marianne. Quelle parole non le appartenevano, non era lei. Non poteva essere lei.
Alzandomi dalla poltrona del finto cinema mi guardai intorno. Solo buio, sempre quell'oscurità densa e terrificante. Solo buio. «Marianne?», la chiamai, incerto, «Dove sei andata?».
«Non puoi vedermi perché non mi vuoi vedere».
«Io ti voglio vedere Marianne!».
«No».
Silenzio.
Nessun respiro, nessuno sguardo nel buio, nessuna voce.
Solo un enorme vuoto sotto i miei piedi di cui mi accorsi troppo tardi. Non vi erano appigli, l'unica cosa che potevo fare era cadere e morire. Qualcosa mi scosse. Dall'altra parte qualcuno mi chiamava.
Avrei voluto che ci fosse lei ad aspettarmi.

Scattai.
Velocemente mi alzai dal letto e guardandomi intorno, spaesato.
Qualcuno alle mie spalle si schiarì la voce: «Liam? Stai bene?». Fissai mio padre vicino al mio letto ed annuii, che ci faceva lì? «Ti abbiamo sentito gridare, tua madre è scesa a prepararti un po' di latte caldo per farti rilassare».
Sbuffai, «Non sono un bambino».
«Accetta il suo gesto e non lamentarti, lo fa solo perché ti vuole bene ed è preoccupata per te», papà sorrise, con quel suo volto contemporaneamente inquietante e dolce. Socchiusi gli occhi e cercai le pantofole. «E che latte caldo sia», dissi controvoglia, «Solo per questa volta!».
«Certo», rispose lui. Sarcastico, il padre.
Scesi le scale e seguii la luce che si rifletteva sullo specchio del salotto per arrivare fino alla cucina, svoltai l'angolo e trovai mia madre, con gli occhi fissi sul pentolino d'acciaio in cui bolliva una sostanza biancastra definita comunemente latte.
A diciotto anni mi faccio ancora preparare il latte da mamma? Dio, che pena.
Quando percepì la mia presenza si voltò e corse – quasi letteralmente – ad abbracciarmi. «Stai bene?», chiese preoccupata.
«Si, ho solo avuto un...incubo».
«Ti va di parlarne?».
Domanda idiota. «No».
Lei chiuse gli occhi e mi abbracciò di nuovo, ancora più forte. «Però lo sai che puoi parlarmi di tutto, vero?».
Annuii e cercai di azzerare il contatto tra noi: non mi erano mai piaciuti gli abbracci. Nemmeno da lei e, nonostante fosse la mia mamma, non riuscivo a superare quell'insormontabile muro che si era creato tra me e il resto del mondo.
Un muro.
Alto, solido.
Che nessuno mai era riuscito, o sarebbe riuscito, a scavalcare.
Mi sedetti all'isola della cucina e lasciai che mia madre mi portasse il mio sonnifero, o tranquillante che fosse, caldo in una tazza azzurro spento. «Tieni», le risposi con un cenno della testa. Guardai la bevanda, dubbioso: non avevo voglia di bere, o mangiare, o essere vivo.
In quell'unico dannato istante volevo solo che lei bussasse al vetro della portafinestra di quella stanza e mi squadrasse con i suoi occhioni verdi e scuri. Volevo solo che lei arrivasse da me, per dirmi che sarebbe andato tutto bene.
Volevo...
«Vuoi che ti lasci solo?», chiese mamma.
«Come preferisci», risposi scrollando le spalle, «Magari hai sonno, in fondo sono solo le quattro del mattino, giusto?».
Che scusa ridicola. Solo perché hai paura che ti scappi qualcosa di te che lei ancora non sa.
«Va bene...», lasciò la frase in sospeso, si aspettava qualcosa da me, esattamente come io stavo aspettando che quel mio dannato cuore di ghiaccio si risvegliasse almeno una volta nella mia vita per amare qualcuno, come quel qualcuno amava me.
La guardai.
Forse furono i suoi occhi.
Forse il suo sorriso triste.
Forse non fu niente di tutto questo, ma la presenza fissa di Marianne nei miei pensieri.
«Mamma?».
«Si?».
«Grazie...».
Sorrise.
«Buonanotte, Liam».
«'Notte mamma».




Le parole dell'autrice

In questo capitolo ho voluto sperimentare una mia vecchia tecnica narrativa, lo svolgimento del racconto per la conoscenza del personaggio principale attraverso il sogno, un assurdo e meraviglioso viaggio onirico. Entrare nella psiche di qualcuno ci dice molto della realtà mentale della persona stessa e, spero vivamente, che questo vi sia stato utile per conoscere un po' meglio il nostro caro amico Liam e la storia che ha preceduto questo rapporto confuso e contraddittorio con Marianne.
Nel prossimo capitolo farò il modo che voi possiate farvi un'idea più precisa sulla co-protagonista.

Diciamocelo, la questione sta diventando seriamente ridicola. Liam, che cosa diavolo hai intenzione di fare?” questa è stata, parola più parola meno, ciò che ho pensato appena finito di scrivere questo capitolo. Assurdo che una scrittrice si ponga queste domande, dovrei essere proprio io a conoscere il finale!
Ammetto che, purtroppo, non sapere come andrà a finire inquieta anche me.
Lo scopriremo insieme – almeno questo è un fattore positivo –.

Passando alle cose serie: vi ringrazio tutti, dal più profondo del cuore.
Ho scoperto che esistono persone che apprezzano davvero il mio lavoro e questo mi riempie d'orgoglio e gioia! Non credo che riuscirò mai ad esprimervi quanto adori i vostri commenti, il vostro supporto e la vostra dolcezza nei confronti delle mie parole e dei personaggi che stanno man mano prendendo sempre più una forma concreta in questo racconto che si sviluppa giorno per giorno nella mia testa e nella realtà.
Mi emoziono quando vengo a sapere che voi mi sostenete e controllate la bacheca di questa sezione per vedere se ho aggiornato o meno. Il mio cuore vola quando leggo una recensione o quando mi accorgo che meravigliose ragazze dal buon cuore hanno inserito la mia storia tra i preferiti o le seguite.
Sappiate che anche il solo fatto di ricordarvi di leggerla mi riempie di serenità ed orgoglio.

Grazie, mille volte grazie.
Vi aspetto al prossimo capitolo – che prevedo di pubblicare al massimo entro il prossimo venerdì – ed attendo ansiosa un vostro amabile commento su questo nuovo passaggio della storia.

Un bacio, a presto.
Vostra, Vaniglia

PS: per quanto riguarda il farvi vedere le fotografie dei protagonisti, beh, siamo ancora in alto mare. Pressano sulla privacy da queste parti. Non preoccupatevi, troverò una soluzione.
  
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