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Autore: Mizar19    01/12/2011    5 recensioni
Mai crogiolarsi troppo nella sicurezza di un’abbondante cena calda e nel tepore del focolare, perché il gelo è sempre in agguato dietro la porta, soprattutto nel periodo delle feste.
[Storia partecipante alla Challenge di Natale indetta da Writers Arena Rewind]
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Storia partecipante alla Challenge di Natale indetta da Writers Arena Rewind.]


Sì, lo so che dovrei scrivere tutt'altro, perdonatemi!


Titolo: Avevo fame
Autore: Mizar19
Fandom: Originale
Genere: Horror
Tipologia: One-shot
Trama: Mai crogiolarsi troppo nella sicurezza di un’abbondante cena calda e nel tepore del focolare, perché il gelo è sempre in agguato dietro la porta, soprattutto nel periodo delle feste.
Note dell’Autore: Le masche sono le streghe della tradizione popolare piemontese.
Disclaimers e Crediti: Trama, luoghi, personaggi e qualsiasi altro elemento della fan fiction appartiene a me.
 
Prompt 1: http://writersarenarewind.forumfree.it/?t=58835014

 
*
 

AVEVO FAME

 
 
La polenta era soffice e calda, s’incollava piacevolmente nella bocca dei piccoli. Era festa, era la vigilia di Natale, dunque in tavola erano serviti carne e formaggi.
«Buon Natale», disse la madre.
«Buon Natale», rispose il padre.
I quattro bambini annuirono, le bocche piene di cibo e gli occhi infossati illuminati di gioia. Le loro piccole mani avevano applaudito di fronte al banchetto serale.
«Buon Natale», bofonchiò l’arcigna nonna, dietro il suo scialle di lana.
 

Neve, neve che scende. Lasciate la porta socchiusa.

 
«Dopo la messa siamo invitati da Serafina».
«Sì, molto bene», acconsentì l’uomo servendosi una modesta fetta di gorgonzola. L’adagiò senza troppe cerimonie nella propria porzione di polenta.
«Avete chiuso la porta?», sibilò l’anziana donna. Una lucida traccia di saliva solcava il mento coperto di peluria.
La più piccola della famiglia lasciò la tavola per controllare. «Mamma! Era aperta!», la rimproverò con la sua vocetta acuta. Uno spiffero fece rabbrividire i presenti, che si dimenarono sulle sedie.
«Chiudi, Maddalena», la esortò il padre con voce profonda, alzando gli occhi dal piatto.
 

Scivola, scivola in casa. Lasciate che il caminetto si spenga.

 
La nonna si fece il segno della croce, poi si decise finalmente ad iniziare il pasto.
«Nonna, com’era il Natale quando eri piccola?», domandò il bambino reggendo un bicchiere con entrambe le mani.
«Più misero e tetro di questo, puoi giurarci. Quella buona a nulla di mia madre non era nemmeno capace di servire un pasto decente, e mio padre ci dava da mangiare solo rape e patate. Il formaggio era un lusso che nemmeno il Natale portava con sé».
«Suvvia, mamma...», tentò di smorzare le gelide parole della madre la piccola donnina smagrita.
 

Gelo, gelo che bussa ai vetri. Lasciate che entri.

 
«Finisci la cipolla», ordinò il padre alla figlia maggiore, una dodicenne dallo sguardo spento e indeciso, le trecce lunghe e le guance scavate.
«Certo, papà», mormorò smettendo di giocherellarci.
Un ragliare insistente seguito dal lamento delle vacche attirò la loro attenzione. La madre alzò gli occhi dalla tavola, il padre sbatté i palmi sulla stoffa candida e ruvida.
«Porta con sé notte e lupi...», inspirò rumorosamente, osservandoli. «Il freddo non lascia scampo!», strillò l’anziana donna con tanta enfasi che il foulard che portava sul capo quasi le scivolò, rivelando una matassa di radi e stopposi capelli biancastri.
 

 Notte, notte inquieta sulla collina. Lasciate che vi ghermisca.

 
«Mamma!», esclamò la donna alzandosi in piedi. Si precipitò il più rapidamente possibile alla finestra che il vento aveva spalancato, facendo sbattere le persiane. Gemendo un lungo cigolio, furono riavvicinate dalla donna e chiuse con uno scatto. Una corrente d’aria fredda s’era insinuata nella stanza, danzando attorno ai presenti che fingevano d’ignorarla.
«Angela, metti a letto i bambini, è tardi», stabilì l’uomo alzandosi da tavola.
«Ma io sto ancora mangiando!», protestò il bambino mostrando il piatto pieno per metà. Il padre lo raggiunse con due ampie falcate e, senza dire una parola, fece l’unica cosa che sapeva fare: colpire il figlio con un ceffone in pieno viso. Il bambino non si lamentò neppure.
 

Dormono, dormono nelle loro stanze. Lasciate che mi riversi.

 
Il suo piccolo stomaco si contorceva nel ventre, impedendogli di dormire. Perché suo padre gli aveva impedito di terminare la cena? Si arrabbiava sempre senza motivo. Il bambino odiava il suo genitore. Ma più di tutti odiava la vecchia nonna, con i suoi tre denti gialli e i baffetti grigi: lei lo terrorizzava, con i suoi quadri di Gesù sofferente, il sangue, e quelle storie di punizioni e atroci pene eterne.
Il bambino si rigirava tra le lenzuola inodori, accaldato, nervoso. L’ipotesi di scivolare nella cucina e rimpinzarsi era alquanto allettante, ma prevedeva con timore la punizione che sarebbe seguita.
E se non l’avessero scoperto? Il petto gonfio di coraggio, scivolò sul pavimento di pietra gelida, badando di non svegliare le sorelle e il fratello.
Aveva quasi raggiunto la porta quando un fruscio catturò la sua attenzione.
«Torna a dormire», sussurrò immaginando la piccola Maddalena pronta a seguirlo.
Una risata sconosciuta lo costrinse a voltarsi, il volto teso e le mani tremanti.
«Hai fame?», disse con voce stucchevole la donna che stava in piedi con le braccia aperte nella sua direzione, come per accoglierlo in un abbraccio. I capelli erano lunghi e chiari, sottili come fili d’erba, gli occhi simili a quelli dei caprioli che spesso si lasciavano vedere dai bambini.
Il bambino era pietrificato, raggelato nella sua paura: la donna non aveva in sé nulla di lecito per suscitargli quella reazione, semplicemente non avrebbe dovuto trovarsi lì con quell’abito bianco, la cui coda svolazzava oziosamente come sospinta da una corrente d’ignota provenienza.
«A-avevo fame», mormorò il bambino, schiudendo appena le labbra screpolate.
Lei sorrise, mettendo in mostra una fila di denti acuminati come rasoi. I lineamenti del suo viso mutarono, si liquefecero per poi ricomporsi con un terrificante crocchiare di ossa. E mentre il vento si alzava e la donna si avvicinava a lui, il bambino urlò.
 

Fame, fame che ti faceva soffrire. Lasciate che si nutra.

 
La madre si svegliò improvvisamente, turbata da un innaturale silenzio. Accanto a lei, il marito dormiva profondamente rivolgendole la schiena. Era ancora notte fonda perché i suoi occhi aperti annaspavano in un inchiostro denso. Sollevò il busto di alcuni centimetri, aiutandosi con i gomiti, per poi liberare un sospiro nella notte. La rugosa pelle della sua schiena rabbrividì violentemente quando le arrivò un sospiro di risposta dal buio.
«To-Tommaso...?», chiamò piano. Solitamente era il bambino che si svegliava durante la notte e camminava per la casa.
«No, mamma», sussurrò una voce conosciuta.
«Oh, cielo! Mi hai spaventata, Luigino!», ansimò la donna portandosi una mano al petto. Il palmo premette la grezza stoffa della camicia da notte, solleticandola con il pizzo rigido.
«Avevo fame...», soffiò il figlio nel buio.
«Luigino, se vuoi proprio mangiare qualcosa è avanzata un po’ di polenta»
«Avevo fame», disse il bambino con più convinzione. Questa volta la sorgente vocale si era spostata verso di lei. La donna rabbrividì, respirando a fondo l’aria umida e fredda della stanza.
«Piccolo, la polenta...», iniziò la donna con voce stanca sollevando una mano callosa.
«Avevo fame!», ruggì la voce e prima che la donna avesse il tempo di realizzare che quel Natale sarebbe stato l’ultimo, le rigide manine del figlio si contrassero con foga contro la sua gola. Non ebbe la forza di urlare nemmeno quando quell’essere, che ormai aveva intuito non essere suo figlio, chiuse una fila di denti aguzzi come pugnali sotto il suo mento, affondando dolorosamente nella carne molle e rugosa.
Pregò affinché il marito si svegliasse mentre il bambino affondava la mano nello squarcio che aveva aperto con i denti e strappava. Pregò affinché il marito si svegliasse mentre tossiva sangue caldo. Pregò affinché il marito si svegliasse mentre l’essere lo sventrava.
Sua madre aveva ragione: avevano lasciato che la porta si socchiudesse, che il camino si spegnesse, che lei entrasse, che lei li ghermisse, che lei si riversasse, che si nutrisse. Perché ora la Masca aveva il suo banchetto natalizio.

 
   
 
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