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Autore: cheedori    02/12/2011    10 recensioni
In caduta libera.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Kate Hudson, Matthew Bellamy
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Meds

_You paint yourself white and fill up with noise

but there'll be something missing





*


Sono quasi le tre del mattino quando Bingham decide che i cinquanta minuti di dormiveglia che mi ha concesso possono, e anzi devono, bastarmi.

L’ingiustizia di tutto ciò mi colpisce con la potenza di un tram guidato da un fanatico sadico-bastardo: prima mi investe e poi mi ricalca in retromarcia, lo stronzo.
Distesa in un sonno beato, di fianco a me, Kate non accenna a muovere un dito. E grazie tante.
Ha già poppato, l’infame, e lei domani lavora, ed io invece sono qui in vacanza, quindi “Matt, ti occupi tu del piccolo, vero?” e poi sguardi di zucchero, ed io che son coglione: “certo amore!” - certo amore, me prima togliti quei cavolo di tappi dalle orecchie e dimmi, dimmi, benedetta donna: dove si spegne? L’hai fatto tu, dove sono le istruzioni? Pronto? Assistenza clienti?
A questo punto, la bestemmia che impasto mentre apro gli occhi e - sì, sì, dannato fagotto di cartilagine e cotone idrofilo, arrivo! - metto i piedi giù dal letto, mi sembra assai più che appropriata. Meritata, quasi. Liberatoria.
Sbadiglio, impreco, guardo l’ora (sono le 2:54), impreco, mi gratto la chiappa sinistra sopra ai - dove sono i miei boxers? Ah, eccoli qui, toglietevi dalle chiappe, pure voi. Impreco. I piedi l’un davanti all’altro, barcollo, borbotto, impreco. Porta, corridoio, tappeto in cashmere. Impreco, ma stavolta solo perché odio questo tappeto, e lo dico, dico “odio questo fottuto tappeto” e poi lo scanso coi piedi scalzi. Passo, passo - ormai ci siamo quasi; vagito, vagito. Porta, vagito. Luce. Orsetto, gattino, vagito, il Cane Pulce, Buzz Lightyear, vagito. Le stelle, sulla parete e sul soffitto - stelle e stelline ovunque, e giallino e azzurro e blu. A terra c’è una piccola coperta colorata, un affare di lana che 33 anni fa aveva servito un’altra culla, e che miracolosamente è ancora intatto; deve averla portata qui mia madre la settimana scorsa, insieme a quel dannato cane di pezza e al carillion della nonna che però a Kate dà i brividi, quindi l’abbiam messo via. Ah, dov’è mia madre ora? Non vuole goderselo un altro po’, nonna Marilyn, questo suo bel nipotino? Guarda come scalcia e tira e piange come un pazzo! Io ho una carriera, sai, ho bisogno di dormire, razza di polpetta starnazzante, ho... ho...

Ho avuto una settimana di merda. Ci siamo chiusi in sala lunedì, e poi martedì, e mercoledì no perché Kate doveva trascinarmi a comprare un cavolo di lampadario per il salotto, ma poi giovedì e venerdì sì e adesso siamo a sabato - non abbiam concluso molto, se non che 1) ho bisogno di una nuova chitarra e 2) i muffins dello Starbucks di fronte agli studi sono davvero molto buoni, mh! Quei fottuti paparazzi mi seguono ovunque vada - ovunque: sono lì tipo “guarda, c’è lì il fidanzato di Kate Hudson che cammina / respira / inciampa nei propri piedi!”. Ieri ne ho quasi picchiato uno - non ci sarei riuscito, perché quello era grosso tipo il triplo di me, ma l’intenzione era giusta. Gli ho lanciato addosso del ketchup. Mi è valsa almeno una tregua, la pausa pranzo - tragicamente solitaria, peraltro. È da due giorni che tento di beccare Dom da solo perché voglio parlargli di quest’idea che mi frulla in testa, ma ho come l’impressione che lo stronzo mi stia evitando. Certo so che è incazzato con me, forse perché abbiamo rimandato troppo queste prove. Fanculo, per una volta che il jolly paternità lo gioco io, deve andare tutto a puttane - e grazie al cazzo, Matt, sei tu che fai tutto lì dentro, da soli quei due sarebbero finiti a vendere caldarroste agli angoli delle strade ancor prima di poter dire “Showbiz”... beh, più o meno. Adesso chi è la “merdina egoista egocentrica egotutto”, uh? Dom me lo ha ripetuto a giorni alterni per gli ultimi quindici anni, e l’escalation dalla spensierata presa per il culo alla dura constatazione di un fatto è stata più veloce ed immediata di un colpo di crash. Dannati batteristi e i loro stupidi crash, e i ride, e quei campanacci che mi ricordano tanto le mucche e le pecore e la campagna del Devon. Ah, il Devon... mi manca così tanto quell’immensa distesa di niente. Un giorno mi piacerebbe portarci Bingham, raccontargli di quando suo padre bambino/ragazzino/adolescente/adulto si nascondeva tra gli alberi del Ness perché tutto attorno a lui diventava troppo e di nonno George che veniva a recuperarlo con la cinghia, e di quando poi il compito è passato allo zio Paul, e di quando poi alla fine ero rimasto solo a prendere a calci le radici sporgenti perché la nonna non sarebbe venuta a recuperarmi; dei miei giochi preferiti giù al Pier, il telescopio su cui da ragazzino avevo speso la quasi totalità delle mie paghette, il Den, e chissà se in piazza c’è ancora quella gelateria che fa un gelato buonissimo, così potrei comperargli un cono e poi ridere del suo faccino imbronciato quando la pallina in cima scivolerà per terra, e... oh. Oh.

Shhht, c’è qui papà adesso...”

L’unica ragione che mi impedisce di mollare tutto, album, fidanzate e cazzi vari e correre a nascondermi nel bosco più vicino è proprio lì, pesante tra le mie braccia goffe; è l’esatto istante in cui faccio schioccare la lingua sul palato, piano, e quella facciotta tonda rigata ancora dalle lacrime si volta a guardarmi, curiosa, il pianto ormai dimenticato. È quello che mi colpisce, travolge, affonda - forte e importante, ogni santissima volta.

Non credevo d’essere pronto a questo - l’intera storia dell’esser padre, intendo - ed in effetti forse non lo sono affatto, ma poi rifletto lo sguardo in quegli occhioni blu, così uguali ai miei, e penso: “ma sì, ma chi se ne importa!”. Chi se ne importa se ho avuto una settimana di merda, se sto crepando di sonno adesso, se domani ho un mucchio di lavoro da fare in sala - non m’importa più di niente, adesso, perché questa cosetta piccola che è mio figlio è sereno tra le mie braccia, e stringe piano un mio dito, possessivo. A dopo le rotture, i problemi - a domani, tra un mese, forse.

“Cosa c’è, uh? Non hai sonno? La ninna nanna della mamma ti ha fatto venire gli incubi? Ah, giuro che se l’hai fatta di nuovo ti denuncio al Proclama Ombra!”

Bing emette un suono simile ad una piccola risata, ed io non posso fare a meno di sorridere come un idiota a mia volta, mentre avvicino il viso al suo e lo cullo piano, sentendomi in pace. La mamma aveva ragione, e me lo ha detto sempre anche Chris: i bambini ti cambiano la vita; la parola “casa” assume un diverso significato, le tue preoccupazioni si spostano su un altro livello, cambia il modo di vedere le cose e d’improvviso ti ritrovi a giocare per ore e ore durante la notte / il giorno / il pomeriggio / la sera con il Cane Pulce perché tuo figlio adora quell’affare di pezza anche se è vecchio e rattoppato e non è uno di quei cosi nuovi e strafighi perché era tuo, e il trillo di quella risata, quei gridolini acuti, e le manine che picchiano e stringono il tuo naso sono l’unica ricompensa grata a cui riesci a pensare durante la giornata, quindi continui a canticchiare canzoncine senza senso perché sì. Amen.

Il mio cane mi dà un pensiero, un pensierino nero nero, ha un bel nome molto dolce sai qual è? Si chiama Pulce...

Sono solo un po’ sorpreso quando Bingham riprende a piangere disperato; subito penso che avrei dovuto provare prima con Buzz Lightyear, ma la mia preoccupazione circa il balocco da adottare per placare il Lamento Supremo del Pupo Avvilito viene soppiantata da panico allo stato puro quando lo sento squillare, distinto e insistente, da qualche parte tra le coperte della culla: il mio iPhone. Devo averlo dimenticato qui prima (una partita a Fruit Ninja mentre aspetti che il mostro s'addormenti non è mica un crimine!) e qualcosa, forse il modo in cui io stesso mi ritrovo a desiderare di coprirmi le orecchie al riparo dai RATM, mi dice che il casino totalmente inopportuno della suoneria lo ha svegliato. Povero piccolo, se Kate lo sapesse m’ammazzerebbe... fortuna che posso contare sul suo silenzio. Tenendo Bing con un braccio, allungo l’altro alla ricerca dell’aggeggio infernale disperso tra le pieghe del lenzuolino, cacciando poi un breve yep di conquista quando finalmente lo individuo. Ha smesso di squillare, nel frattempo, ma sullo schermo lampeggia, chiaro e preciso, l’avviso di segreteria.

4 chiamate perse.

Quattro chiamate perse. Quattro chiamate perse... quattro?
Mantieni la calma, Bellamy – svelato l'arcano, le tue priorità adesso consistono nel 1) riporre Bing nella sua culla, avendo cura di controllare bene che tra le coperte non ci sia più nulla prima di avvolgercelo al caldo; 2) cullarlo fino a che non si addormenti; 3) dopo aver appurato che il pupo sia effettivamente in letargo, lasciare la stanza senza emettere rumore alcuno e spegnere la luce alle tue spalle e 4) controllare nuovamente il cellulare cercando di combattere l'infarto che minaccia di stroncarti.

Una volta in corridoio, il panico che mi aveva bloccato la gola scende fin giù allo stomaco e si trasforma in angoscia pura. Traffico brevemente con il touchscreen, le dita che pasticciano sui comandi, rivelando prima la schermata ed infine l'autore delle chiamate, bianco su nero sotto l’iconcina di un telefono rosso mozzato.

Dom.

A questo punto lo stomaco fa una capriola all'indietro, ed io sento l'angoscia contenuta ribaltarsi al suo interno in una serie di echi rumorosi, prima di selezionare come un automa il comando “richiama numero”, e - che cavolo è successo adesso? Perché non risponde?
Provo a richiamarlo altre tre volte senza ottenere alcuna risposta, poi senza pensare né all'ora né al potenziale disturbo arrecabile, compongo il numero di Tom e aspetto uno, due, tre, cinque, otto squilli prima che mi risponda, la voce impastata dal sonno, il tono di pura accusa. Non perdo un colpo, anzi, nemmeno gli dico ciao, o scusa o buongiorno, gli chiedo direttamente se lui sia lì con lui, perché “tanto ultimamente vive attaccato ad una tua costola”.
La risposta di Tom è prima un grugnito, poi un insulto, poi una dichiarazione d’odio eterno ed infine una domanda che certamente non risponde alla mia.

“Matt, ma tu lo sai che ore sono in Inghilterra?”
“Fotte un cazzo dell’orario, sono anch’io a Londra, Tom, è da mezz’ora che prova a chiamarmi, non l’avevo sentito prima perché era nella stanza di Bing, e poi sono andato di là perché s’era svegliato e l’affare suonava di nuovo, un macello, e - e - non lo so, non risponde, ed io... dov’è? Che - che accidenti chiama a fare a quest’ora? Perché non è da te, io credevo che --”
“Matt, Matt, calmati! Non c’ho capito un cazzo, parla più piano! Dov’è chi?”

Sospiro, frustrato e anche un po’ seccato dalla mancanza di collaborazione da parte di Tom, poi passo una mano sul viso stringendo forte la punta del naso, accogliendo poco a poco la vocina nella mia testa che mi dice che sì, forse mi sto lasciando prendere un po’ troppo dall’ansia, e che, sempre forse, non è nemmeno il caso perché Dom sarà semplicemente rimasto a piedi dopo aver bevuto troppo e il pensiero di chiamare un taxi non gli avrà nemmeno sfiorato l’anticamera del cervello.

“Dom - Dominic. Mi ha chiamato, adesso non risponde, sai dirmi dov’è?”
Dom? Cazzo ne so, è uscito con quei tipi, Pete e gli altri, sono andati a... boh, in quella merda di locale, lo Skim, Skin, come cavolo si chiama...”
“Lo Skin, lo Skin... ah, lo Skin! Ok, d’accordo, ho capito. Vado a recuperarlo, mi sa che ha mandato giù qualche bicchiere di troppo...”
“Il solito bastardo... mandami un messaggio quando hai fatto e non t’azzardare a richiamarmi, torno a dormire.”
“Ok, ok. Ok, cioè, scusa. ‘Notte, Tom.”
“‘Notte, e... Matt?”
“Uh?”
Guida piano.

Sorrido a quest’ultima raccomandazione - un po’ perché riesco a rintracciarci dell’affetto, ed un po’ perché dimostra che ancora una volta Tom non ha fallito a cogliere il mio stato d’animo, sebbene stia cercando di mascherarlo dietro finto autocontrollo e parole pseudo-misurate. Sa bene che quando sono agitato, per qualsiasi motivo, tendo a pigiare con un po’ troppa fretta su tutto, acceleratore compreso, e che un paio di volte ci ho anche rischiato l’osso del collo, da bravo coglione.

Il punto è che non sono una persona particolarmente paranoica - o meglio, lo sono eccome, ma ciò che voglio dire è che non mi sono mai preoccupato troppo per gli altri. Forse le parole che cerco per definirmi sono ancora una volta “merdina egoista egocentrica egotutto”, ma preferisco evitare di ricadere sotto quell’etichettatura, scegliendo invece una semplice e diplomatica litote.
Insomma, ‘fanculo, è Dom quello che si preoccupa per gli altri, la fottuta crocerossina della situazione, quello gentile e disponibile verso tutti, anche se in fondo a volte non gliene frega una mazza neanche a lui; più volte mi sono effettivamente chiesto come faccia a sopportare le aspettative di tutti e soprattutto le mie, cosa ci guadagni, insomma, a starsene lì a subire i miei repentini cambiamenti d’umore e gli insulti, tutti gli insulti più o meno sentiti che gli sputo contro ogni qual volta oltrepassi la linea (quella che definisce l’amicizia dalla pietà, ma non davvero, perché ancora una volta è tutto solo nella mia testa), tutte le volte in cui gli ho tirato contro un pugno, due, tre, e poi alla fine mi sono ritrovato con la testa schiacciata contro la moquette a sputare odio anonimo e lacrime contro polvere e lanugine, lui che mi stringe i polsi e mi ringhia dietro di calmarmi. Perché l’abbia fatto finora è quello che mi sfugge; perché ultimamente vi abbia rinunciato, arrivando ad evitarmi come la forfora, è quel che invece non mi dà tregua.

Tutto questo, penso, mentre mi infilo la giacca sulla maglietta che ho fregato (preso in prestito!), guarda caso, a Dom, e che utilizzo per dormire (se lui lo sapesse mi strapperebbe via i testicoli con un paio di pinzette), tutto questo preoccuparsi e lanciarsi nel buio della notte in mutande per poi ricordarsi che sì, forse è il caso che indossi dei pantaloni e anche delle scarpe prima di uscire, è nuovo per me. Forse deriva direttamente dall’esser diventato padre, o almeno così mi piacerebbe credere, ma in fondo so, lo so che è solo un mare di puttanate; la mia è pura mania di controllo - il pensiero che Dom, il mio migliore amico/fratello estremamente coglione, possa al momento trovarsi in una situazione estranea con persone che ho conosciuto, disprezzato da subito, e alle quali non affiderei neanche la responsabilità di una sputacchiera, mi arreca sentimenti pericolosamente affini alla rabbia, e forse anche alla gelosia. Non è solo perché, semplicisticamente parlando, lui è il mio batterista, amico, etcetera, ed io mi preoccupo per la sua sorte e salute - no, no. È proprio il pensiero che possa frequentare altre persone, altri ambienti, trovando godimento nella loro compagnia forse più che nella mia, ormai, che mi fa ribollire la bile nelle vene, nello stomaco o dove cavolo sta - soprattutto se ripenso al fatto che per vederci, io e lui, bisogna prendere l’appuntamento come dal dentista, o minacciarlo con le prove in sala. Ah, beh.

La mia paura più grande, assai immatura e bambinesca e per niente attribuibile ad un trentaepassenne appena diventato padre, è naturalmente che Dom possa avermi rimpiazzato, come del resto crede abbia fatto io - perché non sono un idiota e certe cose non sfuggono neanche a me - con lui e Kate. Stronzate, ovviamente, forse anche e solo paranoie, ma a notte fonda - coi pantaloni alle ginocchia e gli stivali infilati al primo tentativo senza nemmeno i calzini perché no, non tornerò in camera dove la mia letale donna giace per recuperarli - ad un uomo come me è concesso almeno qualche pensiero ridicolo da quattordicenne ultrasensibile, no?

La porta chiusa alle mie spalle, fuori la notte è buia - e grazie tante. Fa freddo, ma siamo in Inghilterra, perciò è normale, e una volta in macchina con il riscaldamento acceso a palla, è facile dimenticarsi della brina sull’erba del prato, meno del groppo che mi attanaglia la gola dandomi l’illusione di voler piangere o gridare, quando in realtà so che è solo voglia di sbadigliare e tornare a letto. Il viaggio è breve ed io preferisco non interrogarmi su Dom o su cosa possa essergli passato per la testa quando ha deciso di chiamare me, stanotte, e non uno dei suoi amichetti hipster. Nemmeno ricordo di esser uscito dal vialetto di casa, e tempo mezz’ora e due semafori ignorati col rosso e sono nel parcheggio del club più posh di tutta l’Inghilterra - cosa che mi dà i brividi, e non per via della temperatura.

Una volta dentro mi ritrovo a galleggiare come in un flashback dei tempi andati, l’atmosfera anche solo della sala d’ingresso carica di ombre e sensualità gratuita proprio come il nostro tourbus fino a qualche anno fa, prima che la cosa assumesse un tono totalmente ridicolo e tutto diventasse semplicemente troppo. Le dita nude che si agitano scomode negli stivali, mi avvicino alla reception, piccolo e fuori luogo, con i miei pantaloni di velluto, i capelli da cuscino e la giacca decisamente poco elegante, e lì la tipa mi guarda come si fa con un ragazzino che abbia smarrito la propria mamma mentre le chiedo di ‘Sergio Georgini, un mio amico’, perché so che Dom ha ripreso quest’abitudine di fornire false identità in giro proprio dal sottoscritto. Mentre salgo le scale indicate, pur sempre inseguito da un chiacchiericcio breve e derisorio, tutta la preoccupazione accumulata nell’ora precedente si risolve in rabbia, e la prospettiva di prendere a calci in culo quella troia del mio batterista diventa sempre più invitante, nonché concreta - oh, perché lo sarà. Mi ci vogliono esattamente due minuti per arrivare alla sua suite schifosamente lussuosa (si tratta bene, il principino) e altri due per aprire quella cazzo di porta con la chiave elettronica. Una volta dentro, mi faccio strada verso la camera da letto tra le bottiglie vuote sul parquet e quelle che somigliano terribilmente alle chiazzette giallastre che Bing graziosamente riversa sui miei vestiti puliti quando non è riuscito a digerire la sua poppata - che amore.

“Dom?”

Bottiglia, bottiglia, giacca, moquette - camera da letto. Bottiglia (rosso stavolta), calzino, condom, pantaloni, altro condom, boxers - letto. I piedi, le gambe, le palle - Dom.

“Dom?”

Dom non accenna a muoversi, neanche quando prendo a schiaffeggiarlo su una coscia nuda, mentre con l’altra mano recupero i boxers scuri dalle lenzuola ai piedi del letto. Lo chiamo ancora, già cercando con gli occhi il resto dei suoi indumenti, e quando ancora una volta non risponde inizio sul serio a preoccuparmi, lasciando perdere la ricerca dei suoi stupidi pantaloni a sigaretta.

“Dom? Dom, svegliati, dai, ti porto via... Dom!”

Non mi accorgo della nota d’isteria che vela la mia voce, né delle mani che stringono un polso e la spalla fino a fare male; tutto cessa quando incrocio il suo sguardo grigio e vago, e il panico e la confusione e la stessa isteria scemano lasciando spazio alla consapevolezza, la voglia di chiudere gli occhi e non essere, non più davanti a quel sorriso che di attraente ormai ha poco o niente. Disteso con le gambe penzoloni sui bordi del materasso, la camicia aperta fino all’ombelico e il capo abbandonato su un lato al centro del letto, Dominic è perfettamente sveglio.

Semplicemente, non mi sente perché chissà che merda gli sta fottendo il cervello.







Note, brevi ed essenziali perché non mi va di ammorbare nessuno e soprattutto mi pesa il culo in primo luogo /bonjour finesse!
1. Il Proclama Ombra è la polizia strafiga intergalattica di Doctor Who, shame on you se non lo sapevate;
2. Il Cane Pulce è una triste realtà - l'ho fregato all'Albero Azzurro e non me ne pento neanche un po';
3. Il Ness è un bosco che sorge su una specie di collinetta a Teignmouth;
4. Bellamy va in giro con una busta di Tesco in testa, ma non in questa fanfic;
5. Bellamy spara ketchup contro i paparazzi, prima in questa fic e poi pare nella realtà, chissà;
6. Vi voglio male, adesso vo a dormire/disegnare/whatever.

Ah, semi-importante, la citazione di inizio capitolo proviene da una canzone per me taboo, quindi googlatela se ci tenete tanto, ecco. Inoltre, vorrei ringraziare TIPO TANTISSIMO chi ha recensito, preferito e seguito questa storia - sul serio, risponderò alle recensioni presto, sappiate solo che avete fillato il mio cuoricino imbrutito di gioia immensa. <3

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