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Autore: Dom_Lucci    02/12/2011    0 recensioni
Nick e Trevis sono due tipici ragazzi, che vivono la loro vita spensierati. Ma i loro giorni come semplici teenagers staano per finire. Una minaccia sta incombendo e solo loro hanno il potere di cambiare il destino di tutta l'umanità.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era tarda sera a Browntown, una piccola cittadina pianeggiante, la luna era alta nel cielo, le luci provenienti dalle finestre delle case si stavano lentamente spegnendo e nelle strade non c’era quasi nessuno. Solo due ragazzi, ignari di quello che sarebbe capitato loro di lì a poco, stavano girovagando. Nick Lucci, il più piccolo dei due, sebbene avesse 17 anni, avendo un fisico robusto, era spesso scambiato per uno studente universitario. I suoi occhi erano del colore del cielo e i suoi capelli castani. Trevis Lauren, invece, aveva 19 anni, il fisico esile, gli occhi castani e i capelli rossicci intrecciati in dei dread. I ragazzi si erano conosciuti quattro anni prima, ovvero quando i genitori di Nick avevano divorziato e lui cercava sempre di uscire fuori di casa per stare da solo. Amava andare nella periferia della loro città, dove c’erano resti di vecchi palazzi, e dove, stranamente, riusciva a rasserenarsi. Fu lì che notò un ragazzo, più o meno della sua età, che correva tra i detriti e vi si arrampicava sfruttando le crepe che vi si erano formate nel tempo. Si meravigliò nel vedere con quanta maestria riuscisse a sfruttare ogni appiglio disponibile e saltasse da un masso ad un altro senza fatica. Nick vide che stava puntando ad un cumulo di detriti molto alto e capì che era quello il suo obiettivo. Il ragazzo, infatti vi si avvicinò e con un balzo riuscì ad arrivare ad una sporgenza, e dopo qualche minuto, pur avendo rischiato di cadere più volte, riuscì ad arrivarne in cima. Si girò quindi, stremato ma soddisfatto, per guardare l’opera appena compiuta e abbozzando un sorriso, si lasciò cadere a terra per un meritato riposo. Nick decise allora di rivolgergli la parola: “come ci si sente a stare così in alto?”. Il ragazzo lo guardò e gli disse: “ non è niente di speciale, solo il mio allenamento quotidiano…”. Detto ciò, scese con un paio di balzi e gli si parò davanti e gli tese una mano: “piacere, Trevis Lauren”, Nick si alzò, si pulì i pantaloni e gli disse: “piacere mio, mi chiamo Nick Lucci”.
“Allora, perché vieni qui ogni giorno, partecipi a qualche gara?” gli domandò Nick “no, credo che il motivo sia lo stesso per cui tu vieni qui. È difficile essere l’unico figlio maschio ed avere sulle spalle tutta la famiglia, soprattutto da quando ho finito la scuola e i miei genitori pressano perché mi trovi un lavoro” rispose Trevis. “Beh, ognuno ha i suoi problemi” disse Nick “da quando i miei genitori hanno divorziato, casa mia è un inferno e questo è l’unico posto in cui riesca a sentirmi in pace con me stesso”. Da quel giorno, i due erano diventati inseparabili, e avevano fatto di quelle rovine la loro seconda casa. Quella sera, erano infatti diretti lì, in sella allo scooter di Nick, un modello di vespa italiana nera, per passare un po’ di tempo prima di andare a dormire. Arrivati, Trevis scese dallo scooter al volo e si arrampicò nel suo cumulo di detriti preferito, a fissare la luna. Nick, invece, si sedette su un masso che avevano predisposto a mo’ di sedia, e si mise a leggere distrattamente un libro che aveva comprato da poco. Stava quasi per iniziare a leggere quando Trevis gli disse: “Certo che la nostra è una vita stupida. Ogni giorno si ripete, identico al precedente, fino a portarci a diventare come degli automi. Tutti uguali, tutti costretti dalla società a seguire gli schemi, senza possibilità di scelta. È questo il nostro destino? Rimanere inchiodati a questa vita, priva di emozioni o di brividi? Io non ci sto, e riuscirò a cambiare tutto ciò”. Nick, allora ridendo disse: “ogni giorno diciamo le stesse cose, sempre convinti che ciò possa essere cambiato, ma sai benissimo anche tu che non è possibile. Fai prima a rassegnarti ed accettare quello che hai. Almeno, tu, hai l’azienda di tuo padre e se le cose ti dovessero andare male, puoi sempre andare lì”. “Va al diavolo Nick! Lo sai che odio quell’azienda, e preferirei fare il barbone piuttosto”. Scese quindi dal cumulo e disse: “Adesso, però, è meglio andare a casa, il tempo non promette niente di buono”. Nick non si era accorto, infatti, che mentre parlavano la luna era stata coperta da delle nuvole scure e cariche di pioggia, e appena accesero lo scooter iniziò una pioggerellina fitta. Nick accelerò, la vista annebbiata dalla pioggia che batteva sempre più forte, mentre all’orizzonte dei fulmini iniziarono a cadere. Erano quasi arrivati a casa di Steven quando accadde: un fulmine cadde, a un metro da loro, e Nick cercò di non cadere mantenendo il controllo dello scooter, ma la strada bagnata e la vista appannata non lo aiutarono, così i ragazzi scivolarono, sbattendo violentemente la testa. Nick, la testa che gli pulsava, cercò Steven con lo sguardo, ma le forze lo stavano abbandonando e senza che se ne accorgesse, svenne. Quando si risvegliò, ebbe la sensazione di aver dormito per molto tempo, e rimase sorpreso notando che la sua ferita alla testa fosse stata curata, ma la cosa che lo colpì più di tutte fu vedere che si trovava all’interno di una stanza le cui pareti erano grezze e che al posto della porta aveva una semplice tendina. Si alzò e vide che era stato adagiato su una sorta di brandina di legno e stoffa, e vide che Trevis era in un giaciglio simile al suo, e che anche lui si stava svegliando. “Che diamine è successo?” domandò Trevis, guardandosi intorno “l’ultima cosa che ricordo è che un fulmine ci ha fatti cadere e ci ha fatto perdere i sensi”.
“Ne so quanto te, amico” gli disse Nick “quando mi sono svegliato ero qui dentro, la ferita che avevo alla testa era stata sanata, ma non c’era nessuno nei paraggi”.
“Possiamo scervellarci quanto ci pare, ma se vogliamo capire qualcosa in più sarà meglio uscire”. Nick, allora, si alzò, scostò la tenda che copriva l’entrata e un’ondata di panico lo assalì: fuori da quella stanza, sotto lo sguardo vigile e costante di un sole cocente, c’era la più grande distesa di sabbia che i due ragazzi avessero mai visto. “Spero di sbagliarmi” disse Nick “ma credo che ci troviamo in un deserto”.
I ragazzi, ormai convinti di stare vivendo un sogno, decisero di incamminarsi per le dune del deserto. Camminarono per quelle che gli sembrarono ore, scavalcando una duna dopo l’altra, sempre più stanchi e assetati. “Amico, sono arrivato al limite” disse Nick “procedi senza di me” e si lasciò cadere a terra, esausto.
“Non credo proprio” Gli rispose Trevis, e indicò qualcosa davanti a loro. “Vedi quegli alberi? Sono sicuro che ci sia un villaggio lì, e calcolando la distanza, ci vorrà un’ultima ora di cammino” e gli tese una mano per farlo rialzare. Seppur ormai al limite, Nick afferrò la mano dell’amico e si rialzò. Stavano per ricominciare il loro cammino quando qualcosa piombò su di loro, facendo tremare la terra all’impatto, sollevando una spessa coltre di sabbia e facendo cadere i due giovani. Nick, una mano sul viso per ripararsi gli occhi dalla sabbia, si rialzò per capire cosa avesse provocato tutto ciò quando la vide: era la bestia più spaventosa, ma nel frattempo più maestosa che avesse mai visto. La sua struttura era simile per forma a quella di un leone, ma era grande quanto un’utilitaria, i suoi occhi felini erano completamente neri, la sua pelle era interamente ricoperta da delle squame ambrate che splendevano alla luce del sole ed intorno al suo collo, degli aculei che sembravano essere metallici erano disposti a formare una sorta di criniera.
Nick capì che lui e Trevis non avevano alcuna speranza contro quella bestia quindi guardò il suo amico, e con un cenno del capo corsero insieme verso il villaggio che avevano visto prima, nella speranza che qualcuno potesse aiutarli. La bestia, però, intuì quello che avevano in mente e con un solo balzo coprì la distanza che la separava dai due ragazzi. Appena gli fu davanti, schioccò la lingua, come eccitata dall’imminente banchetto che stava per degustare, ed iniziò a girare intorno alle sue prede, diminuendo via via la distanza che li separava. I ragazzi indietreggiavano, ma ormai sapevano che era questione di un attimo. Alla prima distrazione la bestia li avrebbe attaccati, uccidendoli. Improvvisamente, i ragazzi, indietreggiando, inciamparono in quella che una volta doveva essere stata una radice, e mentre cadevano a terra videro che la belva stava approfittando di quel momento. “Credo sia giunta la fine per noi…” disse infine Nick con amarezza “l’unico mio rimpianto è non aver avuto i mezzi per lottare”. “Nick, sei stato un buon amico” gli disse Trevis. La belva, ormai vicina, contrasse i muscoli delle zampe anteriori e saltò, le zanne e gli artigli tesi sulle gole dei ragazzi che, per quanto inutile, portarono le braccia al volto e chiusero gli occhi, un po’ per non vedere la morte in faccia, un po’ nella speranza che sarebbe bastato a salvarli. Nick, però, si accorse che la bestia si era fermata, e che nel suo pugno, prima serrato, stringeva qualcosa. Riaprì gli occhi per capire cosa l’avesse salvato, e solo allora vide che in mano aveva qualcosa che non si sarebbe mai aspettato: una spada. La lama era completamente verde, larga circa 5 cm e lunga circa un metro, l’impugnatura lunga abbastanza per essere usata ad una o due mani e alla cui base vi era uno smeraldo grande quanto un occhio. La cosa che però colpì Nick fu che nella lama vi erano dei simboli, forse lettere di una strana lingua che lui non riusciva a comprendere. Finita l’analisi della sua nuova arma, si voltò verso l’amico per vedere in che condizioni fosse, ma vide che anche lui teneva tra le mani una spada, anche se un po’ diversa dalla sua: si trattava di una katana, con un’impugnatura in pelle nera, una guardia a forma di croce, da dove partivano non una ma bensì due lame, parallelamente tra loro. “Beh, ti lamentavi di non avere un modo per combattere, adesso ce l’hai” disse Trevis. Non appena finì di dire queste parole una voce agghiacciante parlò: “non vi basteranno due miseri pezzi di ferraglia a sconfiggermi”. La voce proveniva dalla belva, che adesso ghignava mentre con rinnovata sicurezza si avventava di nuovo sui ragazzi. Diede una zampata a Nick, che pur parandolo accusò il colpo, mentre Trevis lo schivò indietreggiando, per poi cercare un affondo sicuro sul dorso della belva. La sua sicurezza svanì però nel notare che il suo colpo fu deviato dalle spesse scaglie senza provocare alcun danno mentre la belva lo colpì sul fianco, facendolo rotolare per terra. Trevis si alzò, appoggiandosi sulla sua spada e si avvicinò a Nick “non c’è modo di batterlo. Le sue scaglie lo proteggono da qualsiasi attacco!”. Nick lo guardò e gli disse: “Beh, allora basterà colpirlo dove non ce ne sono no!? Mi serve un diversivo”. Trevis guardò lui e la bestia e capì quello che doveva fare. Le si avvicinò ed iniziò a colpirla, senza successo, ai fianchi. La bestia rise, dicendo “Stolti umani, non riuscireste a ferirmi neanche se fossi legato”. Colpì quindi Trevis, sferrando delle zampate, che però il ragazzo riusciva a parare, mentre Nick, che intanto si avvicinava, aspettava il momento buono per colpire. Trevis, però, era sempre più stanco dai colpi che gli venivano inferti dalla bestia, fino a che, con una violenta zampata, gli fece volare la spada “è la tua fine moccioso!” “non credo proprio!” gridò Nick, mentre conficcava la sua spada nella zona ascellare della bestia, tranciandogli di netto la zampa anteriore sinistra. Un urlo agghiacciante si levò allora, mentre un’onda di vento colpì i ragazzi allontanandoli da lei ed alzando una piccola tormenta di sabbia. Quando l’urlo cessò, i ragazzi guardarono dove un attimo prima c’era la bestia, ma con loro sgomento videro che al suo posto c’era una figura, dalle sembianze umane, con una spada al braccio destro e privo di braccio sinistro. “Come avete osato a ferire me, il grande Lowen! Vi pentirete amaramente di avermi fatto riassumere la mia vera forma! E non sperate di sconfiggermi, perché anche senza un braccio sono molto più forte di voi!”. Con un movimento impercettibile, si lanciò verso Nick e mirò al suo petto. Il colpo, fu però deviato miracolosamente dal ragazzo. I colpi però continuavano sempre più veloci e potenti. Trevis si avventò allora su Lowen, ma quest’ultimo alzò la sua spada sopra la testa, deviando completamente il colpo per poi colpire Trevis alla gamba, provocandogli una lunga ferita al polpaccio. “Se sei così impaziente di morire, aspetta almeno il tuo turno” gli disse, mentre tornava su Nick. Continuò a colpirlo insistentemente ed il ragazzo non poteva fare altro che continuare a deviare i colpi avversari senza riuscire a sferrare un’offensiva. Continuarono un violento scambio di colpi, ma Nick stava perdendo le forze e capì che doveva mettere fine a quello scontro al più presto. “Con questo metteremo la parola fine a questo scontro!” urlò Lowen, ed affondò la sua lama verso il petto del ragazzo. Nick deviò la lama, che però lo ferì provocandogli una lunga ferita verticale al braccio sinistro. Nick, ormai allo stremo, represse il dolore dentro di lui, e con un ultimo sforzo, affondò la lama nel petto ormai scoperto di Lowen, lì dove dovesse esserci il cuore. “Maledetto” disse la belva “ma se devo morire, tu verrai con me!”. L’essere, ormai in fin di vita, alzò il suo braccio dietro la schiena di Nick, che cercava invano di estrarre la spada dal suo petto, e stava per calare la lama, quando due lame lo trafissero da dietro nello stesso punto in cui Nick lo aveva colpito: Trevis, ferito e barcollante, si era rialzato e l’aveva colpito. “Che strano scherzo del destino” disse Lowen, ormai morente “ucciso da due umani che non sanno tenere in mano neanche una spada…Crede che Lord Lain non sarà entusiasta di saperlo…Ma badate bene che la fortuna che vi ha accompagnato oggi, non sarà sufficiente per sconfiggere i miei fratelli”. “Ricorda, non siamo stati noi a sconfiggerti oggi, bensì la tua arroganza” disse Trevis. Lowen spirò, e il suo corpo esplose in un cumulo di cenere, mentre i due ragazzi, stremati e feriti, caddero a terra. Il dolore, prima attenuato dall’adrenalina, adesso era vivo e li dilaniava, fino a far perdere loro i sensi.
Nick fu svegliato, quasi di soprassalto, dalla pioggia che gli cadeva addosso. Gli ci volle un po’ prima di accorgersi di essere lì, dove era caduto con lo scooter, che giaceva infatti a terra, ancora acceso. Corse subito dal suo amico, anche lui in fase di risveglio. “Che cosa è successo?” gli chiese Trevis “che fine ha fatto quel luogo?”.
“Credo fosse solo un sogno, amico” gli rispose Nick “guarda, non è passato neanche un quarto d’ora da quando siamo svenuti”.
“Beh, allora questo come lo spieghi? E questa?” gli chiese Trevis, alzando i suoi pantaloni dalla caviglia destra e la manica sinistra di Nick. Lì, dove Lowen lo aveva ferito, adesso c’era una lunga cicatrice bianca, come bianca era la ferita sul polpaccio di Trevis.
“Non lo so” ammise Nick “ma l’unica cosa certa è che per stanotte abbiamo ne ho avute abbastanza, quindi preferisco andare a dormire piuttosto che rischiare chissà cosa. Domani avremo tempo per parlarne, ma mi raccomando, nessuno lo deve sapere”. Nick accompagnò quindi Trevis, poi tornò a casa, dove si buttò nel letto, ripensando a tutto quello che gli era capitato. Chi era quel Lord Lain? Che cosa voleva da loro? Furono tali interrogativi che cullarono Nick e lo accompagnarono nel suo sonno.
  
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